The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

3. Sette Occhi x Sette Chakra




Capitolo 3: Sciamanesimo Andino 3 – : Sciamanesimo Andino 3 – Sette Occhi x Sette Chakra

Ho già parlato dell’etimologia della parola “Sciamano”: sebbene il tunguso non sia parlato sulle Ande (proviene infatti da Siberia e Manciuria), la definizione che ne consegue di Sciamano come “colui che vede attraverso l’Occhio Forte” è straordinariamente coincidente con quella che è la tradizione Inka. Per questa, infatti, sono centrali i concetti di percezione e visione.
Esistono sette centri energetici che la tradizione Inka riconosce e che vengono chiamati Ñawi. Posso già sentire le menti di voi lettori formulare il parallelismo con i ben noti Chakra della tradizione indoeuropea. Li ho deliberatamente citati nel titolo del capitolo proprio per questo motivo: non cadete nella facile tentazione di assimilarli; vi dimostrerò nel corso del capitolo che queste due culture, che non a caso si trovano ai due poli opposti della Terra, hanno tante somiglianze quante antitesi.
La parola Ñawi in Qechua significa “occhi”. Ciascun occhio è legato ad un tipo di energia elementale differente, ed è quindi connesso naturalmente ad uno dei Teqse Apus (i Grandi Spiriti). Il fatto che questi centri siano chiamati occhi e che vengano anche visualizzati come tali ci fa capire come sia essenziale la percezione nel rapporto con l’energia e gli Spiriti. L’essere umano è capace di filtrare la realtà in modo diverso a seconda degli organi che utilizza; con i centri energetici è lo stesso: a seconda dell’occhio che si usa, l’esterno ci appare in modo differente e le sensazioni che riceviamo cambiano radicalmente. O meglio, ciascun occhio ci dà un punto di vista proprio, una sfaccettatura della stessa cosa o fenomeno osservato. Qui notiamo la prima differenza fondamentale con i Chakra: essi sono “ruote”, punti di snodo energetico passivo; i Ñawi invece sono centri di percezione attiva, oltre che punti attraverso i quali l’energia comunica con l’esterno e l’interno del nostro corpo. I Chakra sono figli di un sistema di matrice maschile (come tutta la tradizione indoeuropea), ed infatti riportano tutto alla singola persona: sono posti in linea verticale, dalla terra al cielo, e nonostante si tratti di ruote, l’energia e la filosofia che è sottostante si concentra sulla connessione dell’individuo al cielo e alla terra, in linea retta. I Ñawi, al contrario, pur essendo disposti sulla stessa linea verticale che attraversa l’uomo, sono orientati orizzontalmente, come cerchi, cinture che partono dalla persona e si espandono ad abbracciare tutto ciò che è intorno. Questa impostazione, di tipo chiaramente femminile/accogliente, è ovvia se ci pensate: come ho già detto in precedenza, tutta la tradizione Inka è riassumibile nello Yanantin, la relazione armoniosa tra cose diverse. Per essere in relazione occorre guardarsi attorno, letteralmente, e poi muoversi verso l’esterno, stabilire una connessione. Ogni occhio ha una radice, come un cordone energetico, che da esso fuoriesce e che rappresenta la sua estensione nel mondo. Attraverso la radice si scambia energia con ciò che ci circonda, con le persone, gli animali, le piante e con gli Spiriti.
Andando ad osservare i sette occhi in dettaglio, ci accorgeremo delle altre differenze rispetto ai Chakra. Il primo occhio, chiamato Siki (“coda”), è l’unico che guarda indietro, alle nostre spalle. è situato ala base della spina dorsale, dove è il coccige (e dove era appunto un tempo la nostra coda). L’energia che ad esso è connessa è di colore nero brillante, come una luce nera, ed è collegata all’acqua e a Mama Qocha (Madre Mare); è un’energia selvaggia, dall’alto potere distruttivo e al contempo curativo; nasce e si alimenta dall’istinto, e come l’acqua sa essere devastante quando scorre incontrollata e allo stesso tempo profonda e viva, così è questa energia. Se vi è mai capitato di avere i brividi lungo la schiena, in quelle occasioni in cui sentite che c’è qualcosa che sta per capitare o qualche presenza che non riuscite a localizzare, sapete che essi corrono lungo la spina dorsale, e finiscono proprio dov’è il Siki. Quest’occhio poi, come vi ho detto, è l’unico che guarda dietro: proprio come l’istinto, che punta sempre in quel cono d’ombra che non riusciamo a coprire con la nostra vista fisica. Diversamente dai Chakra, che pongono come primo elemento la terra, i Ñawi pongono l’acqua: una teoria che può spiegare la differenza è che il sistema Inka risalga così indietro nel tempo da abbracciare il periodo anfibio della vita sul pianeta: proprio come le prime “lucertole”, che avevano la coda nell’acqua e la pancia sulla terra.
Ed è proprio sulla pancia che si localizza il secondo occhio, punto centrale ed essenziale per la tradizione Inka: il Qosqo. Qosqo significa “ombelico”, ed infatti ciascuno può sentire il proprio Qosqo attorno a quella zona (in genere un po’ sotto o un po’ sopra). Legato al colore rosso e alla Terra, Pachamama, non ci deve stupire che si tratti del centro nevralgico: qualcuno ha notato l’assonanza di Qosqo con Cuzco? Non è un caso: Cuzco, città centrale dell’Impero Inka, è anche chiamata “Ombelico del Mondo”. Energeticamente è proprio il polo femminile del nostro Pianeta, contrapposto in asse –guarda un po’! – all’India e al Tibet, che invece sono il polo maschile. A Cuzco, come nel Qosqo, convergono tutte le energie, si incontrano e si espandono di nuovo. Chi è stato nella città sa di cosa parlo: è un posto davvero magico, dove le cose succedono come per incanto; lì si può trovare tutto ciò che non si sapeva di star cercando. Il Qosqo è definito “il nostro cervello energetico”, o “secondo cervello”, proprio per via della sua intensa attività sottile e capacità di “conoscere oltre la conoscenza razionale”. Come il Siki è legato ai fluidi, così il Qosqo è legato a ciò che è struttura, solido: nel corpo, quindi, ossa, muscoli e tessuti. Attraverso il Qosqo avviene l’azione fondamentale per l’equilibrio energetico: la “digestione” della Hoocha, l’energia pesante, e la restituzione della stessa a Pachamama, che ne è il contenitore naturale.
Il terzo occhio si chiama Sonqo, “cuore”, ed ivi si trova. Come il Qosqo è legato alla Madre Terra, così il Sonqo è legato al Padre, il Sole, Inti Tayta. Ha un’energia dorata e calda, capace di accendere un vero sole interiore. Si esprime nell’amore gentile proprio dei padri, che vegliano sui figli e sulla casa, e attiene a tutte le manifestazioni energetiche degli impulsi nel corpo (come i centri nervosi).
Il quarto occhio è la porta di comunicazione con il vento, Mama Wayra: si chiama Kunka, “gola”, esattamente dove si colloca. Di color argento vivo, come il mercurio, la sua energia è anch’essa come quella del Siki dotata di grande potere curativo. Nel corpo, governa tutti gli spazi cavi, come gli alveoli polmonari, ma anche gli spazi tra le giunture. Attraverso il Kunka ci si connette anche alle energie della Luna e delle Stelle (Mama Killa e Ch’askas).
Il settimo occhio è il Qanchis (che vuol proprio dire “settimo”), si trova al centro della fronte (dove è situato il sesto Chakra). Esso è il punto di comunicazione con il Cosmo e Wiraqocha, il Supremo Creatore; è la porta di accesso al Sami più puro, ed è legato al colore viola.
Ho saltato due occhi, dite? Vero. Perché, chiedete? Ma perché li conoscete già: sono i due occhi “fisici”, quello destro e quello sinistro. Abbiamo due occhi che indagano il mondo fisico, e cinque che si immergono in quello sottile. Ma la cosa stupenda è che il mondo in cui viviamo, il Mondo di Mezzo (Kay Pacha), è un intreccio di spirito e materia: ogni cosa ha milioni di facce, milioni di voci che possono parlarci; sta a noi scegliere con quale orecchio ascoltare, con quale occhio guardare. Più ne usiamo, più a fondo entriamo nel flusso della Vita e impariamo a fonderci col momento.

Vi propongo questo esercizio di meditazione per prendere dimestichezza con i Ñawi: partendo dal Siki e salendo per gli altri 4 occhi, Qosqo, Sonqo, Kunka e Qanchis, concentratevi, magari in presenza dell’elemento corrispondente. Lasciate che la vostra consapevolezza e la vostra percezione si concentrino nell’occhio scelto. Poi, pian piano, fate uscire la radice dall’occhio, e fatela immergere nell’elemento. Scambiate energia con l’Apu, donandogli la vostra energia pesante e assorbendo Sami da lui/lei. Riempitevi e purificatevi attraverso la nuova energia che vi arriva, sentitela scorrervi dentro e nella vostra bolla, portando via l’energia pesante e prendendone il posto. Lentamente, man mano che vi alleggerite, l’energia costruisce una cintura di energia viva che si chiude attorno a voi; quando la cintura si è formata, passate all’occhio successivo, mantenendo il contatto con tutti gli Apu. Quando arrivate al Qanchis, lasciate che il Sami scorra dall’alto verso il basso, dandogli il comando di armonizzare tutte le energie raccolte. Chiudete con un ringraziamento.
Ora avete a disposizione “5 sensi nuovi”: provate ad utilizzarli, “assaggiate” le cose che vi circondano con ciascuno di essi. La realtà comincerà a parlarvi con tante voci e colori diversi…