The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Chakra II: Svadhishthana - Il Sacrale

 

CHAKRA II: SVADHISHTHANA – IL SACRALE

 

GLI ASPETTI DI SVADHISHTHANA

Situato tra gli organi genitali e l’ombelico, Svadhishthana è il secondo tra i sette chakra maggiori ed è responsabile di varie funzioni il cui orientamento è legato all’autogratificazione, manifestata attraverso la sessualità e il desiderio. Svadhishthana procede nel suo sviluppo tra i sei e i ventiquattro mesi di vita, in cui se i bisogni fisici basilari rappresentati dal primo chakra sono stati soddisfatti, l’essere umano può cominciare a passare ad uno stadio successivo, legato alla soddisfazione di sé.

Se, quindi, nell’evoluzione del primo chakra abbiamo dovuto cercare delle basi: far crescere una radice, un fittone che possa garantirci una stabilità, nel secondo possiamo cominciare a sviluppare la sfera delle emozioni. Di fatto il passaggio è dalla Terra all’Acqua, ossia da uno stato solido ad uno stato fluido. Svadhishthana è il chakra del movimento, del cambiamento, della sessualità e delle emozioni. Tutti stati fondamentali per il corretto sviluppo umano, che però si possono manifestare correttamente nel momento in cui i bisogni primari di sopravvivenza sono stati placati.

La parola Svadhishthana in lingua sanscrita significa “Dolcezza”, ma anche “la propria dimora”, dal momento che alcune fonti fanno derivare il nome dalla radice sva, che significa “ciò che appartiene a sé stesso”, e a dhishthana, che significa “il suo vero posto”. Unendo, quindi, questi due concetti diversi, otteniamo l’idea della “propria dimora” o “il luogo del sé”. Nella sua formazione esprime pienamente il concetto legato al ruolo del piacere, della sessualità, della creatività e della procreazione, sotto aspetti molto ampi che questo chakra riveste. Svadhishthana è il chakra legato alle emozioni, quelle più profonde e radicate dentro di noi: proprio grazie a quelle l’evoluzione di questo centro permette la formazione della propria personalità basata sulla fiducia in sé stessi e sul nostro benessere. Svadhishthana è la nostra dimensione emotiva, la sicurezza dei nostri affetti principali, soprattutto quelli direzionati verso i nostri genitori, in particolare nostra madre. Se non è abbastanza sviluppato corriamo il forte rischio di percepire la nostra sfera emotiva come bloccata, priva di scopo, e ci riteniamo incapaci di esprimere i nostri sentimenti, soprattutto nella vita affettiva.

Quando mi capita di trattare delle persone, la prima cosa che faccio è ovviamente misurare i loro chakra attraverso un sistema psicometrico attivo. Ad adesso non mi è ancora capitato di incontrare una persona, nella mia vita, che non abbia questo chakra se non disarmonico, quanto meno in poca attività. Il problema, principalmente caratterizzante della nostra cultura occidentale, è dovuto probabilmente alla demonizzazione della sessualità: un lavoro che il cristianesimo di origine paolina ha svolto con dovizia. Per quanto, quindi, possiamo ritenerci emancipati e capaci di parlare, disquisire o argomentare di sesso in totale armonia, sia con noi stessi che con altre persone, nella maggioranza dei casi, chi più e chi meno, lo riteniamo a diversi gradi un tabù. A volte per paura, a volte per vergogna, a volte per senso di colpa, a volte per dipendenza, a volte per motivi che nemmeno siamo in grado di identificare, spiegare o isolare, in un modo o nell’altro tutti noi che siamo cresciuti con una visione occidentale cristianeggiante, volente o nolente, abbiamo a che fare con problematiche riguardanti il sesso. E ogni volta che questa questione si solleva è il nostro secondo chakra a “soffrire”. In quanto chakra legato ai legami e alla soddisfazione sessuale ed emotiva, ci basta dare un’occhiata intorno a noi, alla difficoltà del mondo attuale a mantenere, costruire e vivere dei legami per capire quanto tutti quanti avremmo bisogno di lavorare assiduamente per recuperare questo chakra, e con esso il nostro bisogno di sentire, di provare emozioni e piacere. Piacere sia in senso sessuale, quindi fisico, che piacere emotivo; due cose che spesso sono collegate.

Questo chakra ha uno sviluppo che si assesta tra il primo e il secondo anno di età, quando non siamo ancora in grado di concepire un concetto di tabù, di senso di colpa e di pudore. La parola stessa “pudore” arriva a spiegarci con una certa chiarezza qualcosa di determinante: i bambini non provano vergogna, ed infatti non hanno problemi a rimanere nudi di fronte ad altri, perché vedono il mondo con una semplicità priva di secondi fini. Per un bambino essere coccolati e abbracciati è un’esperienza fisica e sessuale assieme, esperienze che un adulto invece tende a distinguere, proprio perché ha sviluppato questo chakra in maniera completa.

In tal modo, quindi, impedire, intralciare o bloccare l’evoluzione di questo chakra limita la crescita emotiva attraverso l’incapacità di provare piacere, e quindi di riuscire a esprimere le proprie emozioni e poter così essere in grado di soddisfare i bisogni emotivi delle persone che ci sono intorno.

Svadhishthana è il chakra legato all’elemento acqua. L’acqua è sempre stato l’elemento delle emozioni e del movimento. Quando siamo tristi piangiamo e quando siamo addolorati proviamo un senso di magone proprio all’altezza dello stomaco: pertanto questo chakra rappresenta sia il flusso che il movimento tipico delle emozioni, che possono variare anche repentinamente. Come tale è il chakra associato all’apparato urinario, ai reni, al ventre, al sistema circolatorio e ovviamente al sistema riproduttivo. Le ghiandole associate a Svadhishthana sono le gonadi, ossia le ovaie e i testicoli: ghiandole legate al cambiamento, essendo quelle che nel maschio e nella femmina determinano lo sviluppo sessuale e la produzione di seme e ovuli. Questo chakra infatti non è attivo in modo completo fino all’età dello sviluppo. Mentre una volta il concetto di sessualità e di procreazione erano strettamente legate, con lo sviluppo umano che è avvenuto nei secoli abbiamo cominciato a distinguere questi due aspetti cominciando a fare sesso solo per piacere e non forzatamente per procreare. Sono ben pochi gli animali che usano il sesso non a fini prettamente procreativi, e l’essere umano è uno di questi.

In quanto legato all’acqua e alla sessualità, Svadhishthana è anche collegato all’inconscio e quindi al concetto di ombra che Carl Gustav Jung ipotizzò e su cui basò tutta la sua concezione di psicanalisi, ripresa dai neojunghiani. Da un punto di vista psicanalitico, quindi, l’ombra andrebbe a popolarsi di tutti quegli aspetti, desideri e pensieri che noi reprimiamo perché non ritenuti “accettabili” da una società moderna. Questo continuo reprimere, spingere verso il basso e nascondere, apre una miriade di collegamenti e posizioni differenti per spiegare e interpolare diverse realtà. Per quello che ci riguarda, Svadhishthana raccoglie proprio questi aspetti oscuri, essendo il vaso contenitore dei desideri e della sessualità, di qualsiasi natura siano. Non è quindi difficile immaginare come più una società partorisce e forma persone represse, più queste abbiano problemi legati al secondo chakra.

 

IL DIRITTO DI SVADHISHTHANA

Come già abbiamo visto con Muladhara, il cui diritto era quello di esistere, quello di Svadhishthana è il diritto di provare piacere e di percepire. Quando siamo privati di questo diritto siamo incapaci di provare soddisfazione anche nelle cose più semplici: siamo incapaci di concederci, quindi, del tempo per noi stessi, fare qualcosa per noi stessi, che possa essere anche solo dedicare un’intera giornata solamente a non pensare ad altro che a fare qualcosa che fa piacere a noi e non ad altre persone.

Svadhishthana rappresenta il bisogno umano di essere felici delle proprie cose, di poter essere soddisfatti delle imprese ottenute, di poter godere di ciò che abbiamo e permetterci di ottenerlo per goderne. In questo caso, quindi, la nostra vita diviene priva di passione, di vitalità, di capacità di “sentire”, di avere il diritto di poter essere emotivamente instabili. Si profila, quindi, all’orizzonte quello che vedremo come il demone stesso di questo chakra, il senso di colpa. Pertanto, se non ci sentiamo in diritto di provare piacere anche nelle piccole cose, coccolandoci, decidendo di voler spendere del tempo e dei soldi per qualcosa che ci piace, nel momento in cui capita che lo facciamo scatta dentro di noi il subdolo meccanismo del senso di colpa.

Anodea Judith nel suo Il Libro dei Chakra esprime chiaramente questo concetto: “Negare le qualità del secondo chakra significa negare una parte essenziale della nostra interezza, una parte che gioca un ruolo importante nell’espansione e nel risveglio della coscienza. Renderlo più o meno importante degli altri chakra significherebbe sbilanciare l’intero sistema. Onoriamo il secondo chakra come una parte eccitante e necessaria del nostro viaggio e, con l’onorarlo, rendiamoci liberi di espanderci ancora oltre e al di là di esso.”

Quando parliamo di “sensazioni”, la tendenza che abbiamo è quella di distinguere questo termine in due differenti categorie: una fisica e una emotiva. Nel mondo occidentale dove viviamo, da millenni abbiamo dovuto fare i conti con un grandissimo scoglio legato alla nostra cultura e, in larga misura, dalle religioni mediorientali che abbiamo importato e che hanno messo radici profonde nel nostro vivere: ossia la suddivisione tra ciò che è sacro e ciò che è profano, e in particolar modo tra la sessualità e la spiritualità. Nel mondo cattolico, infatti, per motivi più politici che religiosi, nel medioevo venne imposto il celibato dei preti che facevano parte della Chiesa Apostolica Romana. Questo negare, quindi, la sessualità come parte della vita di chiunque, anche di chi era spiritualmente coinvolto in quanto ministro di culto, fu un passo ulteriore al bigottismo trascendentale imposto da un giovane S. Agostino, il quale, oltre ad essere profondamente misogino, era sessuofobo. Secondo lui i bisogni e i desideri sessuali erano sbagliati e impuri e si doveva praticare la completa astinenza sessuale. Fino a quando non divenne chiaro, nelle loro menti ignoranti, che il sesso e la procreazione erano intrinsecamente collegati, questo veto era diffuso pressoché a tutti i fedeli. Allora fu accordato che solo le coppie sposate potessero fare sesso, ma solo in precisi giorni dell’anno, ben lontani dalle festività liturgiche e ovviamente solo a scopi procreativi. Inoltre, vi era la necessità di sforzarsi in ogni modo di non provare piacere nel farlo.

Anche se tutto questo ci appare, attualmente, come una dissertazione divertente per inventare barzellette da raccontare in serate tra adulti, quello che ho appena esposto era parte di un’omelia e un argomento molto sentito da Agostino. Questa visione era così sentita, che esistono tuttora dottrine e sette fanatiche, come il Familiaris Consortio, che impongono che il sesso, anche tra coppie sposate, debba essere fatto attraverso un lenzuolo in cui è stato praticato un foro giusto delle dimensioni dei genitali, affinché non si possa avere alcuna tentazione di provare piacere e di coinvolgere nell’atto altri sensi, come il tatto e la vista.

Col passare del tempo, e in non tutte le correnti cristiane, il celibato dei preti è rimasto un dogma del cristianesimo, imponendo così una chiara e netta distinzione tra ciò che è spirituale e ciò che è terreno, e definendo questo confine proprio in concomitanza dei desideri sessuali delle persone.

Questo punto di vista, opinabile ovviamente, interessa però la visione culturale di moltissime persone che vedono nella spiritualità un aspetto del tutto virginale, mantenendo quindi vivo un concetto di sesso legato all’impurità e vedendo i desideri carnali come qualcosa da evitare, qualcosa di sconveniente, una tentazione demoniaca.

Quando imponi una tale deviazione alla natura stessa di cui fai parte, quello che fai è storpiare il senso stesso del piacere, al punto di creare un buco incolmabile in te stesso e nelle persone che ti sono intorno, dal momento che ogni atto di affetto è piacere, quindi nessun contatto fisico diventa concesso se non legato ad un senso di disagio. Le persone hanno così bisogno di essere abbracciate e coccolate come se fossero bambini, proprio perché è mancata loro la soddisfazione di quel diritto fondamentale che è il diritto di provare sensazioni. Svadhishthana rappresenta il fulcro delle sensazioni, anche dal punto di vista fisico, quindi trasmesse attraverso gli organi di senso: il diritto di desiderare ciò che vedo con gli occhi, che siano oggetti o persone o eventi che sento mancanti e di cui provo il bisogno, o desiderare con l’olfatto e il gusto, creando così gravissimi problemi di disturbi alimentari, strettamente collegati al bisogno di riempire un vuoto emotivo, nonché desiderare di toccare o essere toccati da qualcuno, a partire soprattutto da nostra madre e nostro padre, o anche desiderare di udire qualcosa, che siano anche solo parole di incoraggiamento. Il risultato è un’incapacità di abbracciare o toccare le persone, una freddezza emotiva generale, nonché bulimia e anoressia.

 

L’IDENTITÀ DI SVADHISHTHANA

L’identità di Svadhishthana è fisica e si esprime, nella maggioranza dei casi, attraverso l’esperienza tattile. Come abbiamo visto, questo chakra crea la sua affermazione attraverso il concetto dei “sensi”, sia fisici che metafisici. La sua identità si sviluppa attraverso la possibilità e la capacità di dare adito ai nostri sensi di espandersi attraverso gli stimoli. Se un bambino non viene stimolato attraverso giochi, coinvolgimenti, discorsi e approfondimenti riguardanti il mondo e la natura intorno a lui e anche e soprattutto riguardanti ciò che prova, alle motivazioni che lo spingo a sentirsi triste, arrabbiato e felice, crescendo tenderà a relegare le emozioni ad una sfera meramente basica e a non riuscire a concernere con solidità ciò che prova e perché lo prova, arrivando ad uno stato ultimo di confusione e di blocco emotivo.

Questa problematica si presenta preponderante in situazioni famigliari conflittuali in cui cresciamo con l’obbligo di abnegare la realtà di ciò che vediamo, ciò che sentiamo e ciò che proviamo. Questo si verifica in situazioni tristemente comuni in cui in famiglia si celano violenze, follia, alcolismo e uno dei due genitori, molto spesso la madre, con la scusa di cercare di preservarci dalla dura verità, ci impone di non vedere, non sentire, non parlare e rifiutare la realtà che ci sta attorno, con il risultato ultimo che noi neghiamo tutto ciò che succede, reputandolo come “normale” o semplicemente convincendoci che non sia ciò che è.

Questo processo, in forma minore, è ben noto qui in Italia perché è stato messo in moto, ancora una volta, dalla cultura cattolica e riguarda, di nuovo, la sfera sessuale. Personalmente sono cresciuto negli anni dell’adolescenza con la totale incomprensione di cosa significasse per una donna avere le mestruazioni. Un’esperienza che le ragazze che frequentavano la mia classe alle medie cominciarono a vivere dal secondo o terzo anno e che, per quanto ci fosse stata spiegata in termini biologici durante le lezioni di scienze, rimaneva un arcano. A volte le ragazze arrivavano tristi a scuola e non avevano voglia di parlare con nessuno, erano scontrose e intrattabili, a volte piangevano senza alcun motivo e questo lasciava noi ragazzi abbastanza perplessi. Per noi maschi gli unici cambiamenti che ci era possibile notare consistevano nel loro non poter fare il bagno in piscina e nello scendere in spiaggia con gli shorts sopra al costume. Quando interrogate sull’argomento, rispondevano in malo modo, come se provassero una reale rabbia e vergogna per il loro stato, o magari dicevano “sono indisposta” oppure “ho le mie cose”.

Quando ho affrontato le prime esperienze sessuali, l’imbarazzante situazione delle mestruazioni diventava semplicemente “che non si poteva fare sesso” o peggio, una scusa per giustificare le volte in cui una ragazza era semplicemente triste o arrabbiata. Ora, è chiaro a tutti che gli sbalzi ormonali influiscono sull’emotività, ma questa totale e incomparabile ignoranza maschile adolescenziale (e tristemente non solo) sugli stati fisici ed emotivi delle donne è argomento, tuttora, di grosse difficoltà. In parte perché in molte condizioni il bisogno di mantenere privati alcuni argomenti crea una sfera di “mito” adolescenziale che giunge a sfatarsi (e purtroppo non sempre), con la fine della pubertà, e in parte perché esiste ancora una parte di “senso di colpa” legato al bisogno di una donna di essere libera di essere triste e incavolata senza doversi giustificare.

Crescendo ed entrando a far parte del neopaganesimo, mi sono spesso scontrato con questa abitudine e quando qualche ragazza mi chiedeva quali passi fare, la prima cosa che consigliavo era quella di cominciare a chiamare le cose con il proprio nome e smettere di nasconderlo. Questo processo, infatti, tende a bloccare il secondo chakra, che viene così demonizzato.

I traumi che possono influire e creare situazioni negative legate al secondo chakra sono ovviamente tutti quelli di origine sessuale, come le violenze e i soprusi, avvenuti sia in tenera età sia in età adulta. Quando una persona, uomo o donna che sia, subisce una violenza, viene privata del diritto di desiderare, pertanto anche quello del non desiderare. E una volta che veniamo privati di questo diritto, si crea una reazione a catena in cui dobbiamo lottare per non sentirci vittime giustificate di questa mancanza: pertanto non abbiamo diritto di essere felici, di provare emozioni e piacere, come vedremo quando parleremo dei blocchi.

L’identità di Svadhishthana viene violentata anche quando ci viene impedito di muoverci, o di dire di no, bloccando quindi l’esplorazione del mondo esterno. Molti adulti, per comodità, usano il box per i loro figli come se fosse un escamotage per sentirsi liberi, così che il bambino possa farsi gli affari suoi, non costringendoli a dovergli dare retta. Allo stesso modo si può parlare di un eccessivo uso della televisione o del passeggino; la paura, spesso, di doversi occupare di un bambino porta i genitori a comportamenti di questo tipo che limitano l’area d’azione dell’evoluzione umana e la ricerca di stimoli.

Abbiamo quindi l’esempio delle madri che impediscono ai figli di crescere, di trovare una donna, sposarsi, perché impongono un’approvazione che è impossibile da soddisfare, o padri che castrano le figlie impedendo loro di avere relazioni sane con i propri fidanzati. Tutto questo impedisce una crescita e un’evoluzione del secondo chakra, che pertanto rimane costantemente carente e sotto stress e la psiche e l’emotività di una persona non riesce a trovare una reale identità, squassata com’è dal bisogno innato di soddisfare e non deludere il genitore, pena il senso di colpa, e il bisogno di crescere e spiccare il volo.

Questi tipi di maltrattamenti, fisici o emotivi portano le persone a non ritenersi degne o in grado di provare emozioni, con il risultato che tendono a sopprimere i propri sentimenti o a deviarli. Questo avviene perché quando si crea una barriera tra l’esperienza e i nostri stessi sensi, pertanto quando questo flusso continuo è interrotto, perdiamo fiducia in essi e ci ritroviamo ad azzerarli. Perciò, se una persona viene costretta a non poter riconoscere la realtà per come la vede, questa ne creerà una alternativa, e quando avverrà che qualcuno la metterà di fronte al reale aspetto di quello che ha vissuto, la sua posizione sarà ancora quella di non riuscire a vedere. Prendiamo ad esempio un caso di violenza in famiglia, in cui la madre fa leva sull’amore dei figli per impedire che questi raccontino qualcosa a qualcuno. “Altrimenti la mamma ci sta male e papà viene portato via”. In casi come questi, nell’evoluzione della persona si verificherà una tendenza a creare una realtà alterata sulla base della nostra stessa esperienza di essa. Pertanto i figli cresciuti in situazioni analoghe non saranno in grado di parlare dei propri stati emotivi, di esprimere la propria rabbia, di mantenere una discussione con qualcuno, perché nel momento stesso in cui si dovranno esporre dei problemi per quelli che realmente sono, dando loro il giusto nome, subentrerà il senso di colpa.

Ogni trauma di questo tipo, per quanto legato al secondo chakra, si ritrasmetterà ovviamente in modo speculare su quelli superiori, là dove “non agire” è riferito al quarto chakra, “non parlare” al quinto, “non vedere e non udire” al sesto e “non pensare” al settimo, in quanto come è noto i chakra sono collegati. Pertanto, quando troveremo Svadhishthana disarmonico e con esso anche Anahata, Vishuddha, Ajna e/o Sahasrara, spesso troveremo che pulire o armonizzare il secondo chakra metterà immediatamente gli altri, se hanno un trauma collegato, in perfetta armonia.

 

IL DEMONE DI SVADHISHTHANA

Come ben possiamo immaginare, il demone di Svadhishthana è la colpa. Il senso di colpa, questa arma a doppio taglio usata come base sociale di intere religioni, specialmente qui in occidente ha avuto modo di attecchire e radicarsi come una pianta dal fittone che arriva a toccare il cuore stesso della nostra cultura. Tra le persone più colpite dal senso di colpa ci sono di sicuro le donne, soprattutto e specialmente se cresciute in seno al cristianesimo dove, anche se non esplicitato ai giorni nostri come veniva fatto in passato, la loro stessa esistenza era segno di colpa, riuscendo a concepire un principio di reo fino all’albore della mitologia ebraica, quando Eva colse il frutto dall’albero della conoscenza, su suggerimento del serpente, e lo condivise col compagno, macchiandosi così del peccato originale.

Come abbiamo anticipato, il secondo chakra è legato al concetto di Ombra, ossa l’incarnazione suprema di tutto ciò che noi rifiutiamo della nostra personalità e della nostra natura e che rinchiudiamo, come un cugino scomodo, nei profondi meandri del nostro subconscio. Jung ci insegna, nel suo Gli Archetipi dell’Inconscio Collettivo, che l’acqua è il simbolo più ricorrente dell’inconscio, proprio per la sua natura oscura e insondabile. Immaginiamoci un lago profondo. Più scendiamo, più la luce che giunge dal sole non riesce a filtrare attraverso l’acqua e più questa diventa buia e oscura. Nelle profondità degli oceani si inseguono creature terrificanti e immaginarie. Pertanto, la tendenza, antica come attuale, è quella di gettare in fondo al mare le cose che non vogliamo più vedere. Gli americani lo hanno fatto con i residui radioattivi come nei miti lo si fa con creature malvagie imprigionate e gettate negli abissi.

Come fece Zeus con i Titani, gettandoli nelle prigioni del Tartaro, così in profondità che se avessi fatto cadere un’incudine avresti dovuto attendere giorni prima di sentire il rumore, tutto ciò che noi gettiamo in quegli abissi non smette di vivere, ma va a popolare parte del nostro immaginario subconscio, quell’Ombra che noi rifiutiamo e che Robert Louis Stevenson interpretò magistralmente nel suo Dottor Jekyll e Mister Hyde. Ma proprio come quel racconto che mi appassionò così tanto da ragazzo, più noi mettiamo catene e chiavistelli al cancello dietro cui abbiamo imprigionato la nostra Ombra, più questa cercherà di emergere e sfuggire. Proprio perché il principio stesso della discesa è quello della risalita.

Gesù Cristo fu rappresentato come un pesce, in particolare una carpa. Questo particolare è stato associato al fatto che incarnava l’inizio dell’Era Astronomica dei Pesci, cosa in effetti reale, ma con sé porta anche un altro simbolo. La carpa è un pesce di fondale, che si nutre di organismi animali così come sostanze vegetali e detriti organici di ogni tipo. La sua ricerca avviene grufolando, ossia infilando il muso nel fango e cercando il cibo con l’ausilio dei barbigli. Così facendo solleva il fondo e rende torbida l’acqua. Come tale, il simbolo che porta con sé è quello di qualcuno che cerca di nutrirsi delle cose sporche per purificarle. Non per nulla Gesù Cristo, nel mito scese negli inferi, durante i tre giorni in cui morì, per condurre in paradiso le anime delle persone che erano morte prive di battesimo in quanto vissute prima della sua venuta. E il fondale fangoso è lo stesso grazie a cui cresce il loto, simbolo dei chakra, che ha la radice che affonda negli abissi per sbocciare sulla superficie dell’acqua.

La divisione forzata tra ombra e luce è qualcosa che ci riporta ad un concetto dualistico stesso del divino, in cui l’essere umano riesce da sempre ad interagire perché è facilmente assimilabile e determinato da leggi semplici e concise: questo è giusto, questo è sbagliato. Fai il giusto verrai premiato, fai lo sbagliato e verrai punito. Quello che da sempre dimentichiamo, forse per desiderio inconscio, è proprio che ogni volta che noi desideriamo qualcosa e ci viene insegnato che è sbagliato desiderarlo, stiamo alimentando la nostra Ombra, che si ingrossa e si fa sempre più minacciosa, come un animale in gabbia. E il legame con l’acqua ancora ci viene a riproporre un tema centrale legato appunto al secondo chakra, ossia il concetto dello specchio, che rivedremo in particolare nell’ultimo paragrafo: ossia la primigenia paura di vedere noi stessi per quello che realmente siamo.

Ora, ogni chakra, come abbiamo visto, mette in ombra alcuni aspetti di noi e, come abbiamo detto, il demone di Svadhishthana è la colpa. Pertanto è interessante notare come, dalla stabilità del primo chakra con il suo demone paralizzante della paura, siamo ascesi ad un concetto di movimento, trascinandoci comunque dentro il pantano della colpa, che ci impedisce di gioire pienamente delle cose che ci portano bellezza e soddisfano il nostro desiderio. Nella società occidentale, dove il sesso è stato “bandito” e reso un atto impuro, la colpa è per lo più legata proprio alla sfera della sensualità. Pertanto provare piacere è sbagliato. Anodea Judith a riguardo esprime benissimo il concetto: “La colpa sequestra l’ombra nel suo regno oscuro e inconscio. Potremmo dire che la colpa è il guardiano della prigione che tiene intrappolata l’ombra, impedendole di illuminarsi, alla luce della coscienza. Così l’ombra, presa in trappola, diviene ancora più insistente e il secondino deve intensificare il suo controllo. Man mano che il secondo chakra si apre alla natura duale della realtà, subito la colpa lo segue da vicino e polarizza la personalità. Ci divide in luce contro ombra, in bene contro male. Un giorno ci sentiamo meravigliosi e il giorno dopo orribili e tutto per qualcosa che abbiamo fatto. Più splende la luce, più oscura è l’ombra. Più è grande la colpa, più tentiamo di emanciparcene con un comportamento impeccabile. Il comportamento impeccabile impedisce il naturale scorrere dell’energia, che sale dai chakra inferiore e tende a polarizzare mente e corpo”.

 

SECONDO CHAKRA BLOCCATO

In quanto chakra legato agli organi genitali, Svadhishthana subisce traumi che possono causare blocchi a persone che hanno subito abusi sessuali di svariata natura. La violenza sessuale è infatti strettamente legata a questo chakra e comporta disfunzioni erettili, frigidità, paura della penetrazione, nonché difficoltà a lasciarsi andare. In larga scala, questo trauma lascia intendere a chi ne è afflitto che non ha il diritto di provare piacere, pertanto tende a vivere con rigidità e terrore la sessualità stessa e l’intimità. La violenza sessuale non è esclusivamente da intendersi come obbligo ad avere un rapporto, ma a volte può anche essere più sottile e apparentemente blanda. Ho conosciuto un uomo che ha subito per anni una violenza da parte di una zia, quando era bambino, che lo costringeva a lavarle i piedi e a massaggiarglieli perché questo le dava piacere. Quello che apparentemente non è un atto sessuale, se inserito in un certo contesto e con certe modalità lo diventa.

Se da una parte abbiamo un blocco dovuto ad un abuso sessuale, dall’altra Svadhishthana mantiene dentro di sé anche blocchi dovuti a mancanze affettive. Questo chakra è legato al concetto di movimento e di piacere e, come dicevamo già prima, il suo sviluppo si snoda in una fase della crescita umana che ci vede ancora assolutamente dipendenti e in cui la nostra esperienza tattile comincia ad accentuarsi e si esprime soprattutto attraverso i gesti fisici di affetto che le persone che amiamo mostrano con noi. In questa fase della nostra vita il contatto ci aiuta a sviluppare sicurezza. Stiamo cominciando a fare i primi passi nel mondo e non siamo ancora abbastanza stabili da poter essere sicuri di noi stessi: abbiamo bisogno di avere la garanzia di poter ricevere la giusta dose di affetto e considerazione da parte dei nostri genitori. La mancanza di fisicità e di tattilità nei rapporti con l’adulto si tramuterà in freddezza e in blocchi a questo chakra, che limiterà pertanto anche la nostra capacità, in futuro, di saperci comportare allo stesso modo con altre persone; pertanto rifiuteremo il contatto fisico o ne avremo paura, ma percependo il nostro vuoto ci getteremo sul cibo o su altre forme di riempimento atte a colmare una mancanza emotiva determinante. Oppure, come spesso capita, cercheremo di risolvere tutto con logica e distacco, convincendoci di non aver bisogno di provare piacere, perché di fatto abbiamo imparato a farne a meno, proprio perché nel momento in cui avevamo più diritto di provarlo, anche nelle piccole cose, a noi è stato negato.

Una persona con il secondo chakra bloccato sarà un solitario, incolmabile nella sua profonda esigenza che lo porterà a vedere il raggiungimento del suo obbiettivo come qualcosa di perennemente distante, perché raggiungere quell’obbiettivo significa dover essere felici, poter finalmente provare piacere e questo non è concesso. E quando, per qualche motivo, è possibile concedersi una pausa alle privazioni, immediatamente suona una campanella che ci mette in guardia sull’egoismo: il senso di colpa si fa vivo, subito presente, a ricordarci quale è il ruolo che ci siamo scelti.

Un altro blocco di questo chakra è dovuto a un ambiente emotivamente instabile, quando ad esempio non ci è concesso di provare emozioni. L’esempio più lampante l’ho visto quando una mia compagna di classe alle medie ha perduto il padre. Un giorno, in classe, meno di due settimane dopo l’evento, in un momento di debolezza, scoppiò a piangere per un rimproverò ricevuto. La professoressa, con lo stesso tatto che avrebbe mostrato un alligatore con un cucciolo di gazzella, le inveì contro replicando che piangere non serviva a nulla. Nel corso del tempo, lungo il cammino che ho percorso fino a qui, attraverso diverse esperienze, ho sempre tenuto a mente quell’evento perché mi colpì in modo terribile e insano e ho cercato di non dimenticarlo mai. Ci sono momenti della nostra vita in cui siamo fragili; sono cose che sono più che giustificabili: il diritto di esserlo, di piangere e disperarsi, magari anche provare rabbia è qualcosa che se ci viene negato crea un blocco al secondo chakra, perché ogni volta che lo facciamo, sopprimiamo e schiacciamo verso il basso queste emozioni, relegandole in zone di confine da cui poi cercheranno di uscire ad ogni piè sospinto. Quante volte ci è capitato, a noi bambini degli anni ottanta, di sentirci dire: “non fare la femminuccia”? Come risultato questo ha portato al concetto tutto shakespeariano: “fragilità, il tuo nome è donna”; pertanto se mostravamo debolezze e fragilità eravamo dei poveracci. Ma invece di crescere come uomini tutti di un pezzo, quello che è successo è che siamo cresciuti incapaci di esprimere ciò che siamo, pertanto con uno stato emotivo completamente disfatto, privo di stabilità e confini.

La carenza e l’eccesso di questo chakra, nel suo aspetto fortemente duale, sono spesso soggetti a continue oscillazioni, in cui trovare un equilibrio è un obbiettivo fondamentale per la nostra stessa crescita. Un secondo chakra carente si manifesta generalmente con una debolezza emotiva, stati di preoccupazione perenne, poco interesse per il sesso, frigidità. Il bisogno di protezione mancato porterà a due aspetti diversi: o la concentrazione totale ai chakra più alti, quindi il rifiuto del fisico per concentrarsi sulla mente, oppure la staticità, che sovente si traduce in obesità e disordini alimentari legati spesso ad un bisogno di affetto mancato e insoddisfatto. Come dice Marion Woowdman in Addiction to Perfection: “l’obesità è un tentativo del corpo di avvolgersi di carne morbida per sostituire una madre assente che l’ha rifiutato”.

Inoltre, dal momento che Svadhishthana è il chakra legato al movimento dell’energia, quando il secondo chakra è bloccato avremo un irrigidimento articolare, goffaggine e contrazione. Una persona che evita di provare piacere vive spesso di una forte auto criticità, che la porta a non potersi divertire o essere felici senza auto condannarsi. Come dice Anodea Judith: “Questa negazione può inviare energia ai chakra superiori, con risultati positivi o negativi. L’energia può muoversi in alto verso il terzo il terzo chakra come attività spasmodica o lavoro-dipendenza, oppure verso i chakra superiori come un’intensificazione della creatività, fervore religioso, ossessione per la purezza o ricerca intellettuale. Poiché il piacere si traduce in una parte rifiutata del sé, il piacere degli altri viene giudicato severamente”.

Al contempo non è anomalo vedere dei principi di “redenzione” del secondo chakra, spesso traducibili in manifestazioni ossessive di ricerca di attenzione, portate a cercare di far sì che le persone conoscano quali sono i nostri bisogni, i nostri desideri, inducendoli quindi a soddisfarli al posto nostro, in modo che noi si sia liberi dal senso di colpa che ne deriverebbe se lo facessimo da soli.

Un secondo chakra carente si manifesta in rigidità, sia del corpo sia nei comportamenti, quindi eccessivo distacco dal concetto emotivo che comporta quindi anche in pratiche sociali limitate, eccessiva introversia portata in questo caso in una perversa negazione del piacere nelle sue forme più varie, quindi sia sessuale, come abbiamo visto, sia anche solamente emotiva. Questo modus operandi costruisce ovviamente eccessive difese dietro cui schierarsi per sentirsi al sicuro, così da non dover affrontare i cambiamenti, perché questi implicano scelte e le scelte implicano responsabilità e, ovviamente, scatenamento del senso di colpa ad essa associato.

Un secondo chakra eccedente invece comporta un’agitazione emotiva costante, una crisi senza sosta e un’incapacità di vedere i problemi per quello che sono, invece che come ostacoli insormontabili che devono essere trattati con assoluta dovizia. Il movimento qui diventa un bisogno spasmodico: non riusciamo mai a calmarci, a rilassarci, a godere di un momento di quiete. Ogni manifestazione emotiva è eccedente, per cui la rabbia diventa una furia incontrollabile, esattamente come la passione diventa sfrenata e un momento di tristezza diventa depressione. Le persone con un secondo chakra in eccesso sono emotivamente difficili anche perché non riescono facilmente a distinguere ciò che provano da ciò che succede, tecnicamente, intorno a loro. L’emotività è talmente dominante che nel caso della paura è impossibile capire se è dovuta a un evento presente o passato.

Da un punto di vista sessuale, un secondo chakra eccedente si manifesta in dipendenza sessuale e incapacità di creare una vera e propria intimità con qualcuno, perché si è portati a valutare con più facilità il numero di amanti che il rapporto che possiamo avere con loro.

Non è difficile sfociare nell’edonismo quando si ha un secondo chakra in eccesso, nonché essere sempre alla ricerca di emozioni sempre più forti e sempre più esperienzialmente coinvolgenti. Si è spesso dominati da un senso di onnipotenza che si traduce in manipolazione seduttiva. Quando Svadhishthana si manifesta come eccedente rimaniamo legati alla dipendenza emotiva e all’attaccamento ossessivo, mantenendo così dei confini tra il nostro spazio e quello altrui decisamente fragili.

Tra le disfunzioni fisiche che possono darci segnali di un secondo chakra disarmonico esistono ovviamente tutte quelle legate agli organi riproduttivi e al sistema urinario e biliare, con un particolare accento su difficoltà mestruali quali ad esempio ovaie policistiche e ciclo doloroso e irregolare per le donne ed eiaculazione precoce o disfunzioni erettili per gli uomini, arrivando anche ad una totale anorgasmia.

Dolori lombari e di flessibilità alle ginocchia e alle articolazioni sono un altro segnale degno di nota, dal momento che Svadhishthana è il chakra del movimento, ma anche un assopimento sensoriale, nonché disinteresse per il sesso e inappetenza, anoressia e bulimia.

 

SVADHISHTHANA A LIVELLO ESOTERICO

Svadhishthana è di colore arancio intenso e legato all’elemento acqua. È il nostro secondo gradino evolutivo nel risveglio della nostra coscienza superiore e ci mette in condizioni, attraverso la nostra crescita, di esplorare i profondi e oscuri reami dell’inconscio. Affrontare l’inconscio significa, per la maggior parte di noi, mettersi a confronto con quello che Goya chiamava: “il sonno della ragione che genera mostri”.

Come ci fa notare Jung nel suo saggio Gli Archetipi dell’Inconscio Collettivo: “L’acqua è il simbolo più corrente dell’inconscio. Il lago della valle è l’inconscio che giace, per così dire, al di sotto della coscienza; perciò è spesso indicato come “subconscio”, non di rado con la tonalità negativa di coscienza di qualità inferiore. L’acqua è lo “spirito della valle”, il drago acquatico del Tao, la cui natura assomiglia all’acqua, uno Yang accolto nello Yin. Psicologicamente quindi, l’acqua significa: spirito divenuto inconscio”.

Se Svadhishthana rappresenta l’ascesa dalla terra, materia solida, per passare all’acqua, materia fluida, attraverso i densi reami inconsci, questo ci riconduce di sicuro al pensiero iniziatico del viaggio infero che possiamo vedere in moltissime mitologie: Psiche, Eracle, Odisseo, Enea, Teseo, Orfeo solo per citarne alcuni. Nella discesa, per giungere nei reami oscuri delle profondità della terra, il viaggiatore deve sempre attraversare l’acqua, il reame mobile dell’inconscio, sia all’andata che al ritorno, e tutto questo per affrontare il proprio sé, la propria reale visione di sé, quella fatta di carne e sangue.

Prendiamo l’esempio del mito di Psiche, che è di sicuro più collaudato. Il suo stesso nome, in greco, significa “Anima”, ed è una giovane fanciulla che, per una serie di sfortunati eventi, si è trovata ad essere amante di Eros, il dio dell’Amore, e maledetta da Afrodite ad affrontare un viaggio negli inferi per giungere al cospetto di Persefone e ottenere da lei uno scrigno contenente la sua bellezza.

Prima di affrontare il viaggio, su suggerimento di alcuni numi, la fanciulla si procurò due monete che tenne in bocca e due focacce d’orzo intinte nel miele, che tenne in mano. Giunta all’ingresso per l’Averno, nei pressi di Sparta, si mise in cammino nelle profondità e incontrò un asinaio claudicante con un asino zoppo anch’esso che le chiese aiuto per raccogliere delle fascine che gli erano cadute a terra. Psiche lo ignorò e continuò, perché se lo avesse fatto avrebbe dovuto lasciar cadere una delle focacce che teneva in mano. Quando si trovo sulle rive dell’Acheronte, Psiche lasciò che Caronte prendesse una delle due monete come pegno per il traghettamento oltre le rive infere direttamente dalla sua bocca. Durante il transito incontrò un morto affogato che la implorò di essere caricato a bordo, ma lei ancora lo ignorò e proseguì il suo viaggio fino a trovarsi di fronte a tre anziane che filavano il fuso e che le chiesero aiuto. Ma anche questa volta Psiche continuò il suo viaggio, finché non si trovò di fronte al cancello degli inferi, dove Cerbero faceva buona guardia, e per placarlo gli diede una delle due focacce d’orzo.

Arrivata di fronte a Persefone, Psiche le spiegò il motivo del suo viaggio e la dea le offrì di rifocillarsi ad un sontuoso banchetto, ma lei rifiutò e si sedette a terra accettando solo un tozzo di pane secco. Dopodiché le concesse di portare con sé lo scrigno, a patto che non guardasse al suo interno. Psiche riprese così la via del ritorno, placò Cerbero con l’altra focaccia, pagò Caronte con l’altra moneta e si incamminò verso l’uscita.

Questo viaggio rappresenta chiaramente il concetto di accettazione e di abbandono dell’ego per prendere coscienza del nostro vero sé e vivere così il sogno del proprio desiderio sommo. L’Anima, ossia Psiché, deve affrontare un viaggio dove impara a capire cosa è veramente importante per lei. Nel caso della fanciulla, nel mito narrato da Apuleio, la cosa che più importante per lei è l’Amore, rappresentato proprio dal dio dello stesso di cui lei è innamorata. Pertanto Psiche si ritrova di fronte a tre differenti situazioni in cui l’ego potrebbe trovare agio di soddisfazione, ossia aiutare gli altri. Ma in quel viaggio verso i reconditi accessi di sé stessa, lei deve fare da sola e deve imparare a saper dire di no: non deve mai smettere di rimanere focalizzata sul motivo per cui sta viaggiando. Infatti porta con sé due focacce che le serviranno per placare Cerbero, il guardiano. Se si fosse soffermata ad aiutare altre persone avrebbe dovuto lasciarle a terra e così facendo non avrebbe più avuto modo di portare a compimento il suo viaggio.

Quando immaginiamo l’evoluzione, così come ci viene rappresentata, questa parte da un concetto terreno per andare verso uno spirituale. La teosofia, partendo da concetti filosofici antichi sia occidentali che orientali, vede appunto il viaggio dello spirito come un’ascesa dai reami inferi a quelli celesti. Da questo punto di vista, l’Anima deve attraversare i reami inconsci per scoprire sé stessa per quello che è e poter emergere cambiata. Tuttavia, da un punto di vista evolutivo, dimentichiamo che questo viaggio è intrinseco e non reale, bensì metafisico. L’Anima viaggia dentro sé stessa, come uno spirito dentro uno spirito, emergendo poi da sé stessa coscienziosa di ciò che è, capace così di accettarsi e crescere. Pertanto lo “spirito” in quanto tale è sia evoluto che non evoluto, perché è un evento di transito. Dottor Jekyll e Mr Hyde sono la stessa persona. Quanto meno finché siamo incarnati, ciò che ci rende umani è lo spirito tout court: sia eccelso e illuminato che oscuro ed infero. Come ci fa notare Jung: “Per lei (la coscienza) “Spirito” è soltanto qualcosa che si può trovare sulle vette. Apparentemente lo “Spirito” viene sempre dall’alto, mentre dal basso viene tutto ciò che è torbido e riprovevole. Per questa concezione, spirito significa la più alta libertà, un librarsi sugli abissi, una liberazione dal carcere ctonio e perciò un rifugio per tutte le anime timorose che non vogliono “divenire”.”

La lotta, continua, volta a schiacciare gli istinti verso il basso per elevarci verso l’alto, ci porta a cercare di disconoscere le parti di noi che non desideriamo vedere, che vogliamo dimenticare e che vanno ad ingrossare l’Ombra. Come abbiamo accennato prima, è proprio attraverso questo chakra che abbiamo accesso a questo reame e al suo potere.

In una meditazione guidata che ho svolto più volte durante il percorso che ho fatto con la Progressive Witchcraft, sono stato guidato in una discesa verso il basso, attraverso uno stretto passaggio tra le radici di un albero, per discendere in una caverna dove ho avuto modo di incontrare una figura anziana che reggeva uno specchio. Nella meditazione ho dovuto affacciarmi a quello specchio e osservare l’immagine che esso mi rimandava. Quello specchio mi mostrava una parte della mia ombra, quella che Jung chiama “ombra luminosa”, ossia quelle parti di me che io non riconosco, ma che non sono l’Ombra in quanto tale. Come ci dice lo stesso Jung: “Chi guarda nello “specchio” dell’acqua vede per prima cosa, è vero, la propria immagine. Chi va verso sé stesso rischia l’incontro con sé stesso. Lo specchio non lusinga; mostra fedelmente quel che in lui si riflette, e cioè quel volto che non mostriamo mai al mondo, perché lo vediamo per mezzo della persona, la maschera dell’attore. Ma dietro la maschera c’è lo specchio che mostra il vero volto. Questa è la prima prova di coraggio da affrontare sulla via interiore, una prova che basta a far desistere, spaventata, la maggioranza degli uomini. Infatti l’incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli, alle quali si sfugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante. Chi è in condizione di vedere la propria Ombra e di sopportarne la conoscenza ha già assolto una piccola parte del compito: ha perlomeno fatto affiorare “l’inconscio personale”.”

Svadhishthana è il contenuto fluido di un vaso, costituito dalla solidità di Muladhara e come tale è legato all’iniziazione, attraverso i simboli spirituali e liturgici di ogni cultura. Basti vedere il Battesimo Cristiano per capire come questo simbolo ci riporti ad una condizione iniziatica. Questo simbolo è associato alla Luna, al potere acqueo, inconscio e profondo dell’astro notturno, che non svela mai uno dei suoi due volti. Lo fa per raccontarci come possa sempre avere un aspetto oscuro e uno luminoso, una duplicità che troviamo ripetersi spesso quando affrontiamo la scoperta di questo chakra.