The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Chakra IV: Anahata - Il Cuore

CHAKRA IV: ANAHATA – IL CUORE

 

GLI ASPETTI DI ANAHATA

Anahata è il quarto tra i sette chakra maggiori ed è definito quello centrale nel sistema, facendo da spartiacque tra i tre inferiori e i tre superiori. È posizionato nel plesso cardiaco ed è associato proprio al cuore. Il suo ruolo è legato, sopra ogni altra cosa, all’amore e all’equilibrio dell’intero sistema del corpo. Nei primi tre chakra abbiamo sviluppato una coscienza del nostro corpo, del piacere, e quindi anche di noi stessi. Ora con il quarto ci spingiamo verso l’esterno.

Mentre Svadhishthana rappresentava la passione e il piacere, Anahata rappresenta l’amore vero e proprio, per sé stessi e per gli altri, in senso altruistico. A differenza di come avviene nel mondo moderno, in cui pensiamo di dover avere relazioni sociali prima di conoscere noi stessi, la nostra scoperta, sia nella vita che nella nostra evoluzione, parte da dentro di noi, dai nostri istinti, dalle nostre intimità, prima di espandersi verso l’esterno e trovare qualcuno.

Anahata, posizionato sul cuore, è anche legato ai polmoni, pertanto alla capacità di aprirsi alle nuove esperienze e di comunicare con l’esterno i nostri bisogni e le nostre insicurezze, e poter accogliere, come scambio, ciò che ci arriva in ritorno. L’abbraccio, come forma di coesione e di conoscenza, è simbolicamente l’avvicinare il cuore al cuore, ma deriva, sopra ogni altra cosa, dal cercare di non disperdere calore, quindi anche dal fare scudo con il proprio corpo. Il cuore infatti è l’organo centrale del corpo umano e la sua funzione e integrità sono tutelati dalla cassa toracica. Ad adesso l’abbraccio è qualcosa di molto intimo che non concediamo con facilità, se non a persone con cui desideriamo davvero entrare in contatto, e questo proprio perché è necessaria un’apertura e una condivisione che non tutti sono disposti a dare.

Recentemente sono stato a un intervento di uno sciamano Inhuit, che era seguito da alcune donne le quali, prima che l’evento iniziasse, venivano a salutare ogni partecipante, a dirgli il loro nome, a chiedergli il suo e infine ad abbracciarlo. Il gesto, in sé stesso, ripetuto anche dallo sciamano prima della breve conferenza, aiutava le persone a lasciarsi andare. Questo perché Anahata è il chakra dell’empatia e della compassione. Al terzo chakra, con Manipura, ci preoccupiamo di cosa le persone possano pensare di noi, dal momento che è legato al nostro Ego e al nostro rapporto con il mondo esterno, con Anahata invece sviluppiamo la nostra capacità di condividere, comprendere a accettare ciò che gli altri provano.

Anahata in sanscrito significa “Non colpito”, “Non urtato”, quindi non ferito, ed è legato alla ghiandola endocrina del timo. La funzione del timo è di portare a maturazione vari tipi di linfociti, finalizzandoli a distruggere i patogeni intracellulari. Queste cellule, prodotte dal midollo osseo in forma di precursori immaturi, subiscono una serie di trasformazioni diventando dapprima timociti e poi linfociti T (da Timo). La loro attività sta alla base dell'immunità cellulo-mediata, vale a dire di quel processo per cui l'organismo riconosce e distrugge le cellule infette risparmiando quelle sane. In sostanza questo chakra è legato all’autodifesa del corpo e pertanto alla preservazione delle funzioni vitali.

Esiste un detto che sostiene che l’amore renda forti. E in effetti è vero: amare ed essere amati ci fa sentire al sicuro; la mancanza d’amore, invece, ci rende vulnerabili, per il fatto che amare significa avere fiducia, poter contare su qualcuno, e questo ci permette di superare gli ostacoli che, da soli, ci sarebbe impossibile affrontare.

Quando parliamo d’amore, ci riferiamo a un concetto che è molto più ampio del semplice innamoramento. L’amore di Anahata è la forza che ci permette di amare noi stessi tanto quanto amiamo gli altri e amare gli altri tanto quanto amiamo noi stessi. Non avere quindi la capacità di amare le persone che ci sono intorno si manifesta in un’incapacità di amare noi stessi, creando un vortice spiraliforme di autodistruzione: non amiamo noi stessi, quindi non amiamo gli altri. Meno amiamo gli altri meno amiamo noi stessi. Per questo motivo l’equilibrio è uno dei fondamenti di questo chakra, dal momento che manifesta il nostro bisogno di poter essere sicuri di ciò che siamo e poter, solo in questo modo, accogliere dentro di noi un sentimento.

Dal momento che, come abbiamo visto, Anahata si trova esattamente nel mezzo del nostro sistema a sette centri, è possibile vederlo sia come un ponte tra il corpo e la mente, sia come la pietra angolare su cui è poggiata un’altalena, che rappresenta noi stessi. Ai lati di questa altalena, abbiamo tutti gli aspetti della nostra dualità: fisico e spirito, corpo e mente, Animus e Anima, Ombra e Persona.

Ci sono persone che non si sentono realizzate se non hanno qualcuno vicino, altre che invece hanno un bisogno assoluto e tassativo di essere sole. Ma la verità, unica e immutabile, è che l’essere umano è un animale sociale e che nessuno ama la solitudine, anche quelli che desiderano rimanere soli. L’eremita infatti rifiuta la società, non rifiuta la compagnia. Il problema che emerge in questo è che alcune persone vedono i legami come se fossero una debolezza, una mancanza di libertà, e altre invece hanno bisogno di questa sicurezza perché alternativamente si sento sperdute, senza via di uscita. Anahata ci insegna che l’equilibrio è determinante perché devi stare bene con te stesso per poter stare bene con gli altri. E stare bene con sé stessi significa accettare ogni proprio aspetto interiore, sia quelli deboli che quelli forti. Se non sappiamo creare e mantenere un equilibrio all’interno di noi, è difficile avere relazioni sociali all’esterno, soprattutto creare relazioni amorose sane e durature. La nostra sfiducia minerà i rapporti.

Jung, sviluppando l’idea di Freud, definì i concetti di Animus e Anima in quanto aspetto maschile e femminile dentro di noi. Questi due aspetti rappresentano sia l’esperienza che l’esempio interiori che noi abbiamo con il sesso opposto. Pertanto l’Animus sarà la parte maschile in una donna e l’Anima la parte femminile in un uomo. I primi esempi che noi abbiamo per queste due manifestazioni della nostra psiche sono ovviamente i genitori. Quando non abbiamo un equilibrio sano tra questi due lati di Anahata, ogni volta che entriamo in contatto con una persona dell’altro sesso, proiettiamo addosso a lei il nostro Animus o la nostra Anima, con tutto il bagaglio di esperienze positive o negative che possiamo aver avuto. Quando, quindi, giudichiamo le persone che abbiamo davanti, e a nostra volta siamo giudicati, è probabile che quello che succeda in realtà sia che quella persona stia proiettando su di noi un aspetto archetipico di sé stessa.

Se nel terzo chakra abbiamo identificato quello che è il nostro ego, perché quello era il suo compito, nel quarto abbiamo bisogno di contemplarlo nella sua interezza e imparare ad amare noi stessi. Ma amarci per quello che siamo, ossia esserne consapevoli. Se non abbiamo amore per noi stessi non possiamo amare gli altri e se non rispettiamo noi stessi non possiamo sperare nemmeno lontanamente di rispettare le altre persone. Anodea Judith nel suo Il Libro dei Chakra definisce così il concetto di contemplazione del quarto chakra: “La contemplazione stabilisce una relazione sacra. Quando una figlia adolescente scende le scale per il suo primo appuntamento, vestita per la prima volta come una donna, noi la contempliamo. C'è quel momento della consapevolezza in cui semplicemente si incontra ciò che è. È un abbraccio, ma non fisico. Contemplare non è fissare, cambiare, giudicare o volere. È semplicemente essere testimoni - abbracciare con la nostra consapevolezza. Quando contempliamo il sé, noi assistiamo ad una manifestazione dell'energia divina che vive dentro di noi, con tutte le sue speranze e i suoi timori, gioie e lacrime. Questo assistere "è il cuore del cuore". Ci avvicina al sacro. È la consapevolezza fondamentale che deve essere presente perché si verifichi una vera guarigione.”

 

IL DIRITTO DI ANAHATA

Come ben possiamo immaginare, il Diritto fondamentale di Anahata è amare ed essere amati. Un diritto che, in un mondo come quello attuale, è negato più spesso di quanto si possa pensare.

Quando ero un ragazzo e andavo a scuola, il regime di Ceaucescu cadde assieme al muro di Berlino, rivelando all’occidente nel suo splendore economico la mostruosità di ciò che celava. Gli orfanotrofi, saturi di oltre 100.000 bambini, vennero per la prima volta ripresi in un documentario che attestava le condizioni di vita disumane degli occupanti e che ci fu mostrato a scuola. Io, che sono cresciuto amato e rispettato, ho ancora nella mente quelle immagini di bambini rasati che giocavano a terra tra urina ed escrementi, completamente svestiti e abbandonati a loro stessi. Ce n’era uno, ricordo, denutrito e spaventosamente lurido che continuava a colpirsi violentemente le orecchie con le mani aperte. Con questo gesto continuo si era procurato una sordità pressoché permanente. Quando chiesi, stranito, il motivo di quel comportamento, il mio professore mi rispose: “La mancanza d’affetto lo ha fatto impazzire”.

In un’intervista a una ragazza cresciuta in un orfanotrofio transilvano si può leggere: “Ero come un automa, quando vivevo nell'istituto, priva di sentimenti. Quando sono nata piangevo, come ogni bambino, chiedevo affetto ma quando ho visto che non me ne veniva offerto ho imparato a non aspettarmelo. Non avevamo alcun tipo di relazione con gli adulti; c'erano loro e c'eravamo noi. Non provavamo sentimenti verso di loro e loro non provavano sentimenti verso di noi”.

Chi è cresciuto amato e coccolato, apprezzato e stimato non può veramente capire cosa può significare crescere senza essere amati. Klaus Kinski, in Nosferatu, enunciava laconicamente: “La mancanza d’amore è la più crudele e abietta delle pene”. Ed è proprio vero, perché quando una persona viene privata del diritto fondamentale di ricevere amore, viene privata di sé stessa: crescerà in una costante totale mancanza, privata del bisogno imparerà a crescere senza.

L’amore, e quindi il diritto di Anahata, è esprimibile sotto forma del gesto di un bambino che allunga le braccia verso un adulto per essere preso in braccio. Quando cerchiamo amore noi tendiamo verso l’esterno, ma quando questo diritto ci viene negato, la nostra tendenza è quella di mantenere le braccia incrociate sul petto. Questo stesso gesto è la più diffusa forma di difesa fisica che mettiamo in moto in modo inconscio. Incrociare le braccia sul petto crea una barriera sul chakra del cuore che ci fa sentire protetti; è il linguaggio del corpo che manifesta la paura di essere colpiti là, dove non possiamo essere colpiti.

Quando il nostro diritto invece è soddisfatto, siamo in grado, sopra ogni altra cosa, di provare compassione, che è il sommo sentimento tra tutti, perché significa provare passione assieme agli altri, quindi condividere le proprie emozioni. La compassione è avere consapevolezza dei sentimenti e delle emozioni altrui, ed è quindi una delle più grandi forme di altruismo. Il mio maestro attuale, che mi sta istruendo sulle vie della guarigione, insegnandomi il metodo con cui curare i traumi e le ferite sottili, mi ha spiegato e ribadito più volte come debba essere la compassione a muovere il mio intento e non la volontà, come avviene invece in magia. Solo attraverso la compassione, che si trasmette attraverso il quarto chakra, noi possiamo aiutare davvero le persone a guarire.

 

L’IDENTITÀ DI ANAHATA

Se in Manipura l’identità era l’Ego, con Anahata abbiamo il passaggio al concetto della socialità. Il quarto chakra è il regno della connessione. Non per nulla è infatti legato al cuore e ai polmoni. Sul lato interiore il cuore è il centro nevralgico di tutto il corpo, perché ogni singola cellula viene irrorata di ossigeno grazie al sangue che viene pompato dal cuore. Questo significa, nei conti, che ogni cellula del corpo è interconnessa grazie a questo muscolo. Da un punto di vista esteriore, invece, i polmoni rappresentano il nostro rapporto con l’esterno. Noi infatti abbiamo necessità di respirare ossigeno per vivere e lo facciamo attraverso i polmoni, che di fatto sono la nostra connessione con il resto del mondo, dal momento che respiriamo la stessa aria che respirano tutti gli esseri viventi di questo pianeta.

Quando parliamo, quindi, di socialità e connessione, parliamo di aria e di movimento. L’identità di Anahata si manifesta proprio attraverso la condivisione e la relazione sociale. Questa relazione, a sua volta, può essere di tipo accogliente o respingente, con i rispettivi lati di attaccamento e libertà.

Nella cultura ideale dei Jedi, a questi cavalieri non è concesso provare amore se non dal lato più esterno e più vago. “L’attaccamento porta al lato oscuro”, è il detto. Se esaminiamo questo aspetto è facile riflettere che, per evitare la paura di perdere ciò che amano, ai Jedi viene negato di amare. Quando quindi riflettiamo sull’attaccamento e lo compariamo alla libertà, se siamo immaturi sentimentalmente, tendiamo a vederli come poli opposti. Se ho una relazione non posso essere libero. Per essere libero non posso provare attaccamento. Credo che chiunque abbia sentito o provato il bisogno, almeno una volta nella vita, di pensare: “è meglio non affezionarsi se no poi è più difficile”. Questo pensiero è logico. Non c’è nulla che si possa dire a riguardo. Se non ti affezioni non soffri la separazione. Tuttavia cela una fondamentale mancanza di identità sociale che, in ogni momento, ci urla il bisogno di avere qualcuno con cui relazionarci e per cui provare affetto.

Questo qualcuno può essere qualsiasi cosa, purché soddisfi il bisogno di socialità che ogni essere umano prova e che è determinato proprio da Anahata. Mia zia, ad esempio, non ha mai avuto figli. Ha viziato un po’ i nipoti, ma fondamentalmente ha proiettato il suo affetto e il suo istinto materno verso i suoi gatti, che trattava proprio come se fossero dei bambini.

Questa identità sociale si manifesta proprio attraverso l’equilibrio che sentiamo tra libertà e attaccamento. In Anahata noi cerchiamo di armonizzare il nostro spirito libero con la nostra necessità di vivere delle relazioni. Thomas More, nel suo Soul Mates, in cui mette a confronto questi due bisogni, asserisce: "Molte persone sembrano vivere con pena lo stare insieme e sognano le gioie dell'essere separati; altre, viceversa, vivono una vita di solitudine e si riempiono la testa di immagini fascinose di intimità. Rimbalzare da un estremo all'altro di questi due giusti desideri del cuore può essere una lotta frustrante e senza fine, che non dà mai frutti e non si placherà mai". Il ruolo di Anahata è quello di favorire l’equilibrio tra questi due sentimenti decisamente opposti.

Questo chakra ha il suo arco di sviluppo tra i quattro e i sette anni, che è poi il momento in cui, da bambini, cominciamo a intessere delle vere e proprie relazioni sociali al di fuori dell’ambito strettamente genitoriale e famigliare con individui della nostra stessa età, condividendo spazi, giochi e problematiche gestionali. La condivisione crea legami e conflitti, proprio perché in ambito sociale dobbiamo uscire dallo stretto spazio interiore dell’Ego di Manipura, per tuffarci nel mondo esteriore, fatto di persone che desiderano ciò che noi abbiamo e che possiedono cose che noi desideriamo. Imparare a interagire con loro è lo scopo evolutivo dell’identità di Anahata.

 

IL DEMONE DI ANAHATA

Quando dobbiamo fare i conti con l’amore, con il bisogno e la sua mancanza, siamo costretti, prima o poi, a dover fare i conti anche con la perdita. Il Dolore, infatti, è il demone del quarto chakra. Quando amiamo e poi perdiamo, tendiamo a reputare che la sofferenza che proviamo sia la misura della grandezza di ciò che abbiamo vissuto. In alcune delle riflessioni che ho avuto modo di fare nella mia vita mi sono sempre domandato perché debba essere proprio il dolore ad essere la misura stessa dell’amore.  E alla fine ho capito, con l’esperienza, che non è sempre così. Però c’è una verità, in questo assunto: il dolore è un grande insegnante, se siamo comunque pronti ad accogliere ciò che possiamo apprendere.

Quando il dolore ci colpisce, frantuma il chakra del cuore. Il dolore morale può essere così intenso da piegarci completamente, da storpiare la visione che noi abbiamo del mondo circostante. Il dolore è capace di farci impazzire. Per sua natura, Anahata raccoglie dentro di sé il dolore e cerca di sfogarlo. Quando non ci riesce, rallenta il suo corso e diventiamo emotivamente sterili, gelidi, incapaci di provare amore. La paura ci impietrisce e ci rende sfiduciati. È quello che potrebbe raccontarci la ragazza rumena cresciuta nell’orfanotrofio-lager di Ceaucescu. Quando non siamo in grado di gestire il dolore, allora congeliamo la nostra esperienza e cerchiamo di diventare insensibili alle cose. In sostanza, quello che facciamo è costruire una seconda cassa toracica intorno al cuore allo scopo di proteggerlo. Evitiamo contatti, aperture e diventiamo insensibili. Una persona fortemente ferita sul chakra del cuore potrebbe anche diventare estremamente vendicativa, perché l’invidia verso chi, invece, riesce a vivere l’amore è tale da pensare che sia meglio distruggere la felicità altrui piuttosto che accettare la difficoltà che arriverebbe dal percorso della nostra guarigione.

Se invece lasciamo che il Dolore trovi sfogo, allora Anahata sì spacca, lasciando che l’accumulo energetico che c’è al suo interno spurghi, e noi cominciamo a piangere, a urlare ed esprimere il nostro dolore. Il pianto è liberatorio proprio perché lascia che gli argini che mantenevano costretta l’energia della sofferenza come una diga si dissolvano e che noi possiamo trovare una via di crescita. Il dolore e la frantumazione di Anahata limitano la crescita e a lungo andare inaridiscono i sentimenti. Questo, certo, inibisce il dolore, ma semplicemente perché evitiamo, a radice, il principio che ce lo potrebbe indurre, e con esso tutto il bagaglio esperienziale ed emotivo di un coinvolgimento.

Quando parliamo di dolore e perdita, non possiamo dimenticare né tralasciare il dolore dovuto dalla morte, che si allaccia al concetto di tradimento e abbandono. Un genitore che muore lasciando i figli senza una guida lascerà un enorme vuoto nella loro vita, un vuoto che trasformerà il bisogno in rabbia se non metabolizzato. Crescendo, infatti, tenderanno a vivere la dipartita come un abbandono, provando rancore verso la persona che è morta per il fatto che li ha traditi lasciandoli indietro. Razionalmente possiamo ragionare sul fatto che una persona non sempre sceglie di morire, ma il campo dei sentimenti e delle emozioni sfida la razionalità, e la fiducia che un bambino prova nei confronti dell’adulto è il fondamento della sua stessa vita. Un bambino non ha la capacità di comprendere perché avvengano alcune cose: metabolizza a suo modo il fatto che sono avvenute e impara a sopravvivere con le mancanze e le privazioni che ha dovuto subire.

 

QUARTO CHAKRA BLOCCATO

Quando il nostro quarto chakra è bloccato, la nostra capacità di provare sentimenti subisce una severa limitazione. Ci sentiamo impotenti e incapaci di provare amore e soprattutto di riceverlo, di lasciare che la marea entri e porti scompiglio. Incapaci quindi di lasciarci andare al cambiamento, il quarto chakra bloccato limita l’afflusso di energia dal terzo e dal quinto chakra, portando a una incapacità di esprimere il nostro disagio o l’imposizione forzata di regole di vita autoritarie e prive di scopo. Ciò nonostante, il nostro bisogno di amore rimane costante, anche se non riconosciuto, perché un quarto chakra bloccato cercherà sempre la via per sbloccarsi, ma verrà castrato da una forza preponderante, che si esprime perfettamente in un cuore circondato dal filo spinato, che quindi gli impedisce di estendersi, di aprirsi, per non dover sanguinare.

Quando però questa mancanza e questa privazione continua non trovano una via, la fiducia in noi stessi decade totalmente e cominciamo a vedere solo i lati negativi, a volte forzatamente, del vivere l’amore e una relazione, dell’avere dei figli e del relazionarci, quindi spostando il nostro baricentro all’esterno del nostro io. È in quel momento che lo spirito di libertà prevale sul bisogno di amare e, come dicono i Lynyrd Skynyrd in uno dei loro più grandi successi: “Ma se io resto qui con te, ragazza, le cose non possono rimanere le stesse. Perché sono libero come un uccello ora, e tu non puoi cambiare questo uccello. Nostro signore lo sa, io non posso cambiare. Signore aiutami, io non posso cambiare”. In Free Bird si esprime esattamente questa dualità di bisogno di partire e di lasciare qualcuno per inseguire il sogno, ma nello stesso tempo provare l’urlo di aiuto perché sentiamo che qualcosa non è come dovrebbe: siamo adulti ma vorremmo essere ragazzini, o siamo ragazzini ma vorremmo essere adulti, pertanto viviamo nel mezzo, come su un pendolo e non sappiamo decidere da che parte stare, in bilico tra ciò che ci si aspetta da noi, dalla nostra età, dalle nostre responsabilità e ciò che noi vorremmo invece che sia: solo festa e divertimento.

Quando Anahata è bloccato noi ci troviamo a provare la disillusione dettata dall’incapacità di perdonare noi stessi per il dolore che proviamo. Se siamo abbastanza cresciuti guardiamo con distacco ciò che ci è successo, ci prendiamo del tempo per valutare, per soppesare la situazione, e poi andiamo oltre, riuscendo a comprendere l’insegnamento che possiamo trarre dall’esperienza e riuscire a far sì che il dolore ci renda più forti, integri e capaci di capire meglio noi stessi. Se invece non siamo abbastanza cresciuti tendiamo a chiuderci in noi stessi, rifiutando l’amore o vivendo ogni possibile relazione nel passato, soppesando ogni singola azione, comportamento, parola che il nostro partner dice o compie sulla base di ciò che ci è avvenuto in passato, diventando estremamente gelosi, despoti e incapaci di dare fiducia a chi abbiamo vicino, aspettando in ogni istante che si riveli una verità che ci imponiamo di voler vedere anche quando non c’è per poter dire a noi stessi: “Sapevi che sarebbe andata così”.

L’amore è un sentimento animale. Al contrario di come il cristianesimo ci ha sempre imposto di credere, anche gli animali che riteniamo meno evoluti di noi provano sentimenti. Nella corsa all’evoluzione dei nostri chakra, quello che spesso capita è che lo sviluppo di uno vada a discapito di quello sottostante. Anodea Judith conferma questa teoria in questo modo: “Dobbiamo rinunciare a parte della stabilità e della sicurezza del primo chakra per poterci arrendere al mutamento nel secondo chakra. Dobbiamo domare la continua spinta del desiderio nel secondo chakra per incanalare la nostra energia in attività produttiva nel terzo chakra. Dobbiamo spingerci oltre i nostri bisogni egoistici per poter veramente provare amore per qualcuno. Anche se durante i cambiamenti delle fasi evolutive c’è sempre una certa ridistribuzione dell’energia, ciò non significa che la progressione dei chakra sia un fenomeno di esclusione basato sulla repressione, è invece una trasmutazione inclusiva di energia. Le emozioni e i sentimenti diventano travolgenti se non vi è sufficiente terreno per sentirsi sicuri.

Senza desiderio, la volontà manca di energia. L’amore è una fusione disperata di proiezioni dove l’ego possiede poca forza. Una volta che abbiamo soddisfatto le richieste iniziali possiamo soltanto trascendere. Questo è un punto essenziale da ricordare nel corso della nostra ascesa lungo i chakra.”

Quando Anahata ci risulta bloccato, ciò può essere dovuto in larga misura a una nostra incapacità di uscire dal loop del nostro egocentrismo. Pertanto riconosciamo di aver bisogno di un amore, ma lo vogliamo perfetto, cerchiamo il principe azzurro, il cavaliere senza macchia, l’avventuriero, l’eroe misterioso, oppure la pornostar, la dama in attesa, la donna servizievole o colei che ci esalta. Quando ci scontriamo, quindi, con la verità che la persona che abbiamo di fronte non può incarnare e soddisfare tutti i nostri desideri, a volte mutevoli, a prescindere dal proprio carattere e dalla propria individualità, noi ci sentiamo defraudati, traditi, e il nostro mondo illusorio va in pezzi, non facendo altro che alimentare la delusione e la sfiducia. Se non siamo in grado di valutare noi stessi come peso sulla bilancia su cui poniamo le altre persone, quello che succede è che dimentichiamo che la felicità è accontentarsi del relativo, pertanto poniamo le persone che incontriamo in controluce, le confrontiamo con la silhouette della perfezione idealizzata e se non combaciano le scartiamo, asserendo che noi meritiamo di più. Non c’è nulla di male nel desiderare di più, se questo non porta come fine ultimo l’alimentazione della nostra incapacità di accettare i difetti delle persone come dovremmo, e come loro devono accettare i nostri.

Il blocco del quarto chakra si manifesta quindi in eccesso o in carenza. Quando è in eccesso abbiamo un estremo bisogno di donare amore e ci gettiamo in ogni relazione senza alcun freno; diamo tutto quanto e lo diamo subito, senza riserve, con il risultato di perdere di vista i desideri dell’altra persona e il gioco di equilibri che, per la natura stessa di una coppia, ha necessità di tempo per crescere ed armonizzarsi. Spesso l’eccesso si manifesta in un bisogno estenuante di non essere soli e di costruire immediatamente castelli in aria anche solo dopo un bacio o un lieve interesse, a volte anche meno. Se questo non si verifica da entrambe le parti, il risultato che otteniamo è soffocare l’altra persona con esagerate attenzioni, arrivando a spaventarla e a farla correre ai ripari, prendendo le distanze. Questo comportamento, di contro, getta ulteriori semi di paura e sconforto dentro di noi, aprendo ulteriori voragini di fame d’amore.

Una persona con un quarto chakra eccedente avrà confini sociali molto deboli, tenderà a non riuscire ad avere una propria intimità, ma cercherà di mettere a nudo sé stesso per dimostrare a tutti la propria debolezza, spesso cercando di risvegliare la compassione nelle persone, affinché possa ricevere amore. Sarà una persona gelosa, territoriale, si attaccherà con estrema facilità, spesso gettandosi a capofitto in relazioni che sono come palafitte sulla sabbia, e dando tutto e subito, senza limitarsi e misurarsi. La tipica manifestazione è la crocerossina, che si getta nelle relazioni in cui normalmente si avrebbe tutto da perdere, immolandosi per la causa. Dando tutto e sacrificandosi una persona con un chakra in sofferenza si sentirà gratificata nel dare, ma spesso sarà esigente e pretenderà una completa devozione, creando così relazioni chiuse e senza sbocchi, negando amicizie esterne. Un esempio sono le persone che fanno rinnegare al partner il passato, costringendolo a bruciare e distruggere fotografie o lettere delle relazioni precedenti.

Quando invece il quarto chakra si manifesta in carenza, noi non siamo in grado di esprimere amore e rifuggiamo i sentimenti e i legami. Li temiamo perché temiamo il coinvolgimento, spesso perché abbiamo ferite profonde che ci impongono di non fidarci delle altre persone e aspettiamo in ogni istante di essere delusi, a volte forzando la mano per giustificare noi stessi a non darci una chance di innamorarci e di vivere qualcosa solo perché è bello. Anahata ci insegna che amare è qualcosa di innato dentro di noi, pertanto quando sentiamo di non saper amare gli altri in realtà sappiamo di non essere in grado di amare per primi noi stessi. Quindi, quando abbiamo un quarto chakra bloccato, non concediamo spazio al perdono perché sentiamo di non essere in grado di accettare e di perdonare noi stessi per le nostre mancanze.

Una persona con un quarto chakra carente sarà narcisista, inflessibile e intransigente. Sarà un asociale, freddo e distaccato, e centrerà tutto su sé stesso e sui propri bisogni. La mancanza d’amore per sé stessi causa un bisogno costante di attenzioni e di centratura su sé stessi: avrà continuo bisogno di conferme del proprio potere, pertanto sarà ipercritico e vivrà di manie persecutorie dovute alla sfiducia negli altri e in sé stesso. La depressione è uno dei malanni più comuni legati ad un quarto chakra sofferente, nonché la solitudine e l’isolamento o l’incapacità di creare e mantenere relazioni salde, sia da un punto di vista sentimentale che da uno meramente sociale. Incapace di giudicarsi in modo equilibrato, un quarto chakra bloccato porta a una forte intolleranza verso le altre persone con comportamenti di natura dissociativa e lunatica: o tutto o niente, a prescindere da che cosa. La rappresentazione perfetta è l’artista che dipinge il quadro affinché sia perfetto e, se non lo è, lo straccia e lo brucia, manifestando una profonda rabbia, seguita in genere da delusione e sconforto perché si sente insoddisfatto di sé stesso, incapace di esprimersi e quindi intollerante verso la propria posizione.

La più grande fonte di ferite sul chakra del cuore è dovuto ai traumi di mancanza d’amore. Come abbiamo visto con i bambini cresciuti nell’orfanotrofio, e come afferma anche Nosferatu, non c’è nulla di più devastante per un essere umano che vivere senza amore. Ogni tipo di abuso crea traumi sul chakra del cuore e si manifesta attraverso il concetto di tradimento. Quello dei genitori è il più difficile da superare e non si verifica solo ed esclusivamente attraverso la violenza fisica, verbale o sessuale, ma anche attraverso l’abbandono, la privazione, l’anaffettività, l’incapacità di accettare le idee e di perdonare gli errori, il rifiuto e tantissime altre varianti che sarebbe troppo lungo elencare. Da bambini, nella fascia di età in cui Anahata si sviluppa, ossia tra i quattro e i sette anni, noi apprendiamo emulando i genitori o i nostri punti di riferimento. Mia madre descriveva questo fenomeno, quando si verificava tra me e mio fratello, di dodici anni più grande di me, con queste parole: “Quello che fa la scimmia fa anche lo scimmiotto”. Se l’esempio che noi abbiamo in questo periodo così delicato è malsano, noi chiudiamo i canali sociali che comportano una privazione e lo facciamo per difesa. Ogni volta che una richiesta d’amore viene pertanto ignorata, frustrata, noi la sopprimiamo per non soffrire e la releghiamo nell’ombra. Se, inoltre, viene snaturata, allora continuiamo a viverla in maniera sbagliata e dobbiamo vivere e sopportare un’intensa ordalia per riuscire a equilibrarla dentro noi e vivere una relazione sociale sana con qualcuno: ossia fare del lavoro su noi stessi.

Una persona con il quarto chakra bloccato presenterà problemi respiratori, come l’asma, e cardiaci, come il soffio al cuore e tutte le cardiopatie dovute a malformazioni o malfunzionamenti. Essendo il chakra del collegamento, un blocco causerà patologie legate all’ossigenazione del sangue, al timo e alle difese immunitarie, con tutto quello che concerne. Per le donne una delle avvisaglie sono linfonodi ingrossati al seno. Per gli uomini rachitismo, scoliosi dovuta al petto infossato: un chakra del cuore, quando carente, comporta un vuoto energetico che, come un buco nero, risucchia ciò che c’è intorno. Quando siamo feriti, infatti, ci chiudiamo a riccio, quindi il blocco si verifica anche con problemi alle scapole e al petto, come dolori intercostali, nonché ipertensione e arteriosclerosi. Anahata è legato all’apertura, quindi anche alle braccia e le mani: ossia la capacità di cogliere e dare.

Quando invece il quarto chakra è in armonia noi sappiamo gestire il nostro dolore, sappiamo ascoltare e amare le persone che ci sono intorno senza pretendere che siano come noi vorremmo che fossero. Siamo altruisti e aperti, sappiamo accettare le opinioni altrui senza imporre le nostre come uniche verità. Nelle relazioni sociali siamo in grado di equilibrare ciò che diamo con ciò che prendiamo, comprendendone le differenze, senza dissanguarci ma senza irrigidirci. Sappiamo avere fiducia in noi stessi e negli altri, non temiamo di saper perdonare gli errori e cerchiamo di andare oltre.  Siamo a conoscenza di avere qualcosa di profondamente sacro dentro di noi e lo onoriamo, tuttavia senza nasconderlo come i gioielli della corona, ma senza nemmeno gettarlo ai porci affinché lo razzolino. Dare noi stessi non significa buttarci via, ma sapere che ciò che doniamo non è perduto.

Un quarto chakra armonico si manifesta in una natura comprensiva e compassionevole, capace di riconoscere i difetti tanto quanto i punti forti e valutare gli uni in parallelo con gli altri. Una persona con il quarto chakra in equilibrio sarà in grado di amare senza svalutarsi o svendersi, senza snaturare sé stessa o la propria natura. I confini sociali saranno ben saldi e non vivrà il pericolo di confondere l’amore con l’amicizia o con il sesso. L’empatia sarà un suo punto forte: sarà in grado di mettersi nei panni altrui, cercando di comportarsi riflettendo su cosa potrebbe voler dire vivere una situazione o un’altra prima di giudicare in modo spietato. Un quarto chakra equilibrato ci rende altruisti ma non per questo privi di amor proprio: avere dei confini ben netti di ciò che possiamo permettere di dare e di ricevere è determinante e svilupperà una pace interiore con noi stessi. Le ferite di dolore verranno metabolizzate senza demonizzare chi le ha causate e il processo di guarigione concederà spazio a una crescita e una evoluzione personale armonica.

 

ANAHATA A LIVELLO ESOTERICO

Anahata è rappresentato come un loto a dodici petali al cui interno è disegnata una stella di David. La stella di David è composta da due triangoli intersecati, che nella visione alchemica rappresentano l’Acqua e il Fuoco, ossia l’elemento proiettivo e quello ricettivo per eccellenza. Ovviamente non significano solo questo, ma anche il moto di due diverse energie, una discendente e una ascendente, in perfetto equilibrio. Pertanto in questo chakra centrale del sistema convergono le due correnti, ascendente e discendente. La corrente discendente va verso i chakra inferiori, e conduce alla manifestazione della materia, portando all’individualizzazione e alla forma la contrazione e la densità dell’energia. Quella ascendente, invece, si muove verso i chakra superiori e conduce alla liberazione dello spirito, portando alla libertà, all’astrazione, all’espansione e universalità.

Ora, tornando alla stella di David, questo simbolo è usato anche come metodo di lettura cartomantico in un sistema a sette carte, in quanto richiama l’archetipo della vita e del destino. Il primo triangolo con la punta verso l’alto, che rappresenta il fuoco e il lato proiettivo e maschile, è definito come il triangolo temporale, in cui le tre carte vanno a richiamare i tre stadi delle fasi concettuali umane legate al tempo: passato, presente e futuro. Il secondo triangolo, quello che richiama l’acqua e il lato femminile e passivo, è quello delle influenze esterne e va a rappresentare gli aiuti, gli eventi e gli avvenimenti dell’ambiente circostante, nonché gli ostacoli e le difficoltà. La settima carta, che va a posizionarsi nell’esagono che si forma nella zona di incrocio tra i due simboli, rappresenta il traguardo finale.

L’incrocio di questi due triangoli, nella tradizione yogica, è anche legato all’incontro delle due divinità: Shakti e Shiva, che in Anahata trovano la loro perfetta armonia tra la consapevolezza di Shiva (il triangolo verso l’alto) e la forza di Shakti (il triangolo verso il basso). Anahata rappresenta quindi la liberazione alla subordinazione del Karma personale e collettivo, che influenza invece i tre chakra inferiori. In questo stadio della nostra evoluzione cominciamo l’esplorazione della vera e propria consapevolezza e universalità.

Questo chakra, a livello esoterico, si manifesta nel colore verde e governa il senso del tatto, dal momento che le nadi del cuore scorrono fino alle mani lungo le braccia. E attraverso questi canali, che infatti, si canalizza il Prana che i pranoterapeuti usano per guarire e che parte proprio dal cuore, in quanto la guarigione è la somma arte perché determinata dalla compassione, che scaturisce, come già detto, da Anahata. Naomi Ozaniec nel suo libro I Chakra dice: “Il centro del cuore è l’unico che possiede un chakra ausiliare, raffigurato da un fiore di loto a otto petali, situato sotto l’Anahata chakra e chiamato Kalpavriksha o albero di Kalpa, l’albero divino che esaudisce tutti i desideri. L’albero, con l’Altare Ingioiellato sormontato da una specie di baldacchino e adornato di vessilli, si trova sull’Isola di Gemme, il luogo di culto in cui il discepolo può recarsi mentalmente per offrire la sua adorazione. Il centro, una volta risvegliato, sembra dunque avere il potere di esaudire i desideri personali che paradossalmente, grazie al risveglio, consistono nel desiderare la felicità e il bene degli altri.”

Il chakra del cuore è anche la sede del respiro ed è appunto legato all’elemento aria. Prima di lavorare con una delle ragazze della mia congrega e seguire alcune delle sue lezioni di yoga, io ho sempre reputato il respiro da tre punti di vista differenti: quello vitale (per ovvie ragioni), quello musicale (in quanto cantante) e quello magico (in quanto strega). Non mi sono mai posto prima, in effetti, il problema di valutare che il controllo del respiro, secondo quella che era la mia esperienza, si manifestava esclusivamente sotto una forma di disciplina atta ad ottenere uno scopo preciso: misurare il mio fiato o direzionare il mio potere. Per il resto, come tutti, mi limitavo a respirare secondo un automatismo inconscio. Lavorando invece con questa persona, che incentra moltissime delle sue pratiche proprio sul “semplice” atto di respirare, mi sono accorto quanto l’apertura del chakra del cuore fosse legata proprio a una incapacità di saper respirare in modo corretto, e quindi non solo con la parte alta del polmoni, ma con tutto il resto dell’organo, facilitando in questo modo il risvegliarsi delle sensazioni più profonde di completezza e intimità interiore con le nostre stesse sensazioni, che per ovvie ragioni sono strettamente legate al Prana stesso e alla via di guarigione che ho deciso di seguire.

Anahata, tuttavia, non si limita a ciò che noi possiamo concettualizzare dell’amore, ma si estende oltre i confini universali della parola stessa. Il suo stesso nome significa “non colpito” e “non urtato”, ma intende riferirsi a “quel suono che avviene senza l’urto di due cose tra loro”, ossia la mistica vibrazione universale. Quando si parla di cuore, si parla sempre di amore, e questo perché quando siamo feriti il dolore lo proviamo proprio al centro del petto. Tuttavia, come abbiamo potuto vedere nel corso di queste righe, non tutti hanno avuto la fortuna di poter conoscere davvero l’amore, anche solo da un punto di vista relazionale, sociale e sentimentale: amore per qualcuno, per qualcosa o per un’idea o un progetto. Ma anche in questo caso, per chi ha avuto la fortuna di conoscere l’amore, nessuno di noi è in grado di relazionarci anche a questo sentimento al di fuori di confini prestabiliti, come se avessimo una riserva limitata di amore che dobbiamo centellinare o misurare per non rischiare di rimanere senza. Questo bisogno di confinare, classificare e regolamentare ogni cosa non solo è del tutto occidentale, ma deriva dagli strascichi dell’evoluzione dei chakra inferiori, soprattutto Manipura, che cerca di mettere il paletto dell’ego su ogni cosa: quindi io amo questa persona e nessuno può amarla come la amo io, o se amo una persona non posso amare qualcun altro. Nel corso del tempo in cui ho lavorato con la guarigione ho riscontrato che gran parte del malessere umano legato alle relazioni sociali è dovuto proprio ad una incapacità di accettare l’amore come un sentimento universale, di aprire Anahata e lasciare che scorra, ma cercare sempre di arginare ogni cosa e pretendere che le persone agiscano come desideriamo noi e non come si sentono di fare.

Frequentando ambienti esoterici questo processo è evidente: il novanta percento delle richieste che giungono agli operatori magici riguardano proprio legamenti d’amore. Il bisogno di essere amati e di amare qualcuno si aliena e diventa desiderio di possesso, giustificando qualsiasi azione in nome dei nostri sentimenti: se la amo lei mi appartiene. Ma le persone hanno lo stesso diritto di amare quanto di non amare più o non amare affatto, per quanto questo possa apparirci doloroso e difficile da accettare. Per quanto il legamento sia una delle forme più arcaiche e potenti di magia, è scorretto parlarne in riferimento all’amore, perché a livello sottile non coinvolge per nulla il chakra del cuore, ma Manipura, quello dell’ego. Come lo descrive anche Dion Fortune in Difendersi dagli Influssi Negativi, e come ho avuto modo di valutare personalmente quando sono stato chiamato ad intervenire in situazioni di questo tipo, viene creato un cordone che parte dal plesso solare del coercitore e che si annoda alla propria vittima, legandola.

Naomi Ozaniec, infatti, nel suo libro I Chakra dice: “Secondo la tradizione questo chakra contiene il secondo nodo, chiamato Vishnugranthi. Per svegliare questo centro è necessario superare i nostri preconcetti rispetto alla realtà che ci circonda perché essi restringono il flusso del nostro amore. La katha Upanishad precisa che una volta sciolti tutti i nodi del cuore, allora perfino qui, nella sua condizione umana, il mortale diventa immortale. Questo è l’insegnamento delle scritture”. Anahata, quindi, ci insegna ad accettare ciò che siamo, per accettare ciò che diventiamo e per essere in equilibrio con ciò che amiamo.