The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Chakra VI: Ajna - Il Terzo Occhio

CHAKRA VI: AJNA– IL TERZO OCCHIO

 

GLI ASPETTI DI AJNA

Esplorati gli altri, arriviamo al sesto dei nostri centri: Ajna, situato al centro della fronte, tra le sopracciglia, e associato alla ghiandola dell’ipofisi, una ghiandola endocrina divisa in due lobi che si trova nei pressi del chiasma ottico. Il suo ruolo è determinante per il corretto funzionamento del metabolismo, in quanto secerne un numero elevato di ormoni utili all’intero equilibrio metabolico del corpo fisico. I due lobi dell’ipofisi sono noti come adenoipofisi e neuroipofisi. Il loro corretto funzionamento è strettamente legato alla tiroide, alle ghiandole surrenali e alle gonadi; la sua asportazione ha infatti mostrato l’atrofia della tiroide e del processo di ovulazione e di spermatogenesi, nonché l’arresto dello sviluppo somatico, quali, in alcuni casi, il gigantismo o il nanismo.

Giunti a questo punto, nel nostro viaggio ci inoltriamo nel reame ancora più sottile della mente e della visione. Questo chakra, infatti, è noto proprio come “terzo occhio”, in quanto determina tutti i concetti legati alla chiaroveggenza, alla preveggenza e alla divinazione. Sotto questo punto di vista, quindi, Ajna è legato alla luce. Il suo nome, in sanscrito, significa sia “Percepire” che “Comandare”, ma anche “Sapere”. È un chakra legato alla determinazione di ciò che riteniamo essere reale, vero e che pertanto ci permette di farci un’idea di ciò che ci circonda. Naomi Ozaniec afferma: “Il termine sanscrito Ajna deriva dai verbi “sapere” e “seguire” da cui il significato più generale di “disporre” lo identifico con il centro di comando dell’intero essere. Questa nozione è particolarmente preziosa per tutti coloro che si interessano di occultismo. Come ci ricorda Alice Bailey l’individuo spiritualmente realizzato regna “dal trono situato fra le sopracciglia”; in altre parole possiamo asserire che la nostra vita sottostà al controllo di un alto grado di coscienza e di consapevolezza”.

Il sesto chakra, come abbiamo detto, è legato alla visione, pertanto nel mondo attuale diventa il filtro attraverso cui noi giudichiamo ciò che ci circonda. Quando noi ci muoviamo percepiamo il mondo attraverso i cinque sensi, ma, a conti fatti, il primo senso con cui entriamo in contatto è proprio la vista. Quando incontriamo qualcuno, è attraverso gli occhi che lo giudichiamo. Al contrario, infatti, di altri animali, in condizioni normali la vista è il senso fisico che siamo in grado di utilizzare a una distanza maggiore. Quello che noi vediamo viene mandato al cervello, che lo interpreta secondo i filtri che la nostra società, la nostra educazione e il nostro stile di vita ci hanno dato. Ancora adesso, ad esempio, il concetto di bellezza non è uguale per tutti gli esseri umani, ma porta con sé profonde differenze a seconda della cultura di cui si parla. Se per molti la simmetria è bellezza, per altri popoli lo era l’asimmetria. Non per nulla si parla di “strabismo di Venere”, in riferimento proprio all’unico difetto della dea della bellezza, che fu rappresentato magistralmente da Botticelli nella sua celebre opera.

Ciò che vediamo con gli occhi, quindi, viene filtrato, elaborato e immagazzinato nel cervello proprio attraverso questo chakra. Nel mondo attuale, come ben sappiamo, è più importante l’apparenza che la sostanza, pertanto non è strano vedere come spesso questo chakra sia in sofferenza.

Ajna comincia il suo risveglio in adolescenza. In questo periodo della nostra vita noi cominciamo a fare conoscenza con i modelli di vita e ad applicarli a quelle che sono le nostre decisioni. Ciò che abbiamo visto nella nostra vita fino ad ora comincia a manifestarsi e a definire veramente ciò che siamo e che vogliamo essere. Cominciamo a vedere i limiti dei nostri genitori, riconoscere quelli che possiamo ritenere degli errori nelle loro scelte educative e a contrastarle, perché cominciamo a rivedere e a riformare quella che è la nostra identità sociale.

Ricordo che quando ero in seconda media, quindi quando stavo facendo i primi netti passi nel tunnel dell’adolescenza, ci fu dato da scrivere un tema su quello che sarebbe stato il nostro futuro. Io ero ancora abbastanza acerbo e sognante a quel tempo. L’idealizzazione dei miei sogni era ancora totalmente fluida e non si era cristallizzata nella realtà e nella sua applicazione a poter realizzare ciò che desideravo davvero. In quel tempo ero davvero totalmente visivo, in modo completo, ma non riuscivo a definire un inizio, non sapevo dove mettere il piede per il primo, singolo passo per realizzare ciò che volevo essere. Un mio compagno, invece, che aveva una visione in un certo modo più semplicistica, ricordo che scrisse questo: “Quando sarò grande andrò al lavoro, mi spaccherò la schiena, tornerò a casa sempre incazzato e picchierò mia moglie e i miei figli come fa mio padre”.

In questa semplice frase, per quanto agghiacciante nel suo calcolo freddo e conciso, si cela la verità archetipica che si installa nel sesto chakra in adolescenza: ossia aderire ai modelli che abbiamo avuto modo di conoscere e applicarli alla nostra vita, al nostro futuro, a quella che è la nostra visione della vita, manifestando rifiuto in contrapposizione all’essere rifiutati, mettendo uno specchio davanti a uno specchio. Ora, quando sviluppiamo il quarto chakra, noi ci basiamo su ciò che è inconscio e legato a reazioni puramente legate alle dinamiche familiari. Cominciamo a valutare l’affetto e l’amore sulla base del tipo di affetto e amore che ci vengono dati. Se ci viene centellinato impariamo a fare senza, se ci viene dato in modo esagerato impariamo a crescere con immense pretese. Quando la nostra coscienza si sposta, quindi, sul sesto chakra, noi ci stacchiamo dal contesto famigliare e cominciamo a sviluppare delle idee che, spesso, sono in contrasto con quelle dei nostri genitori, per il semplice fatto che comincia a crescere dentro di noi il desiderio di esplorare aspetti della realtà che sono archetipici e simbolici, spesso dovuti a un vero e proprio confronto con altre persone al di fuori della stretta cerchia familiare. È proprio in questo periodo che il bisogno di vedere qualcosa di diverso ci spinge a mettere il muso fuori dal nido; è in questo periodo che, mettendo in dubbio ciò che ci è stato insegnato come dogma, sia in termini spirituali che sociali, tendiamo a confrontarlo con ciò che ci è intorno, con le abitudini e le idee dei nostri coetanei, a volte sposandole, a volte invece creandone di nuove miscelandole e maturandole insieme. Questa maturazione, che si manifesta in primis proprio attraverso il confronto con coetanei, ci porta a mettere in dubbio ciò che ci è stato detto, perché l’esperienza di altri, confrontata con la nostra, ci pone in situazioni diverse. Tendiamo quindi a staccarci da ciò che conosciamo per vedere altro, per conoscere il mondo, e lo facciamo attraverso la musica, la lettura e l’adorazione di idoli diversi da quelli imposti dalla famiglia; che siano religiosi o sociali.

La nostra scalata lungo i chakra potrebbe essere, infine, vista come una ricerca della consapevolezza. Ottenuta questa, possiamo riconoscere dove eravamo, dove ci troviamo e dove stiamo andando e, pertanto, anche approssimare quanta strada ci manca da fare per raggiungere quelli che sono i nostri obbiettivi. Più il nostro sesto chakra è aperto, più i nostri obbiettivi sono chiari e delineati. Questa delineazione, perché possa trasformarsi in “dialogo” con altre persone e perché possa essere quindi comprensibile, deve essere tradotta in quelli che sono noti come schemi e ruoli. Osservando il mondo noi siamo in grado di riconoscere dei comportamenti o dei ruoli e decidere a quale di essi aderire o, nel caso, di crearne di nuovi. Nella fase di sviluppo di questo chakra, cominciamo a mettere a confronto la nostra identità con i ruoli che ci si parano di fronte e, in modo pressoché inevitabile, affrontiamo i conflitti che si creano in questo passaggio.

Gli schemi di cui siamo parte e che riconosciamo ci permettono di interpretare ciò che abbiamo di fronte. Più restringiamo il campo dello schema che usiamo, più siamo in grado di vedere in profondità e osservare livelli diversi di realtà, tutti quanti esistenti e contemporanei, e tutti quanti importanti a modo loro, sia singolarmente che nel complesso. Quando, ad esempio, sono andato in un gattile a cercare un micio da adottare, ho visto moltissimi gatti. Ognuno di loro aveva comportamenti e caratteristiche differenti; alcuni mi hanno colpito più di altri, ma di base erano tutti quanti gatti. Per far sì che io potessi riconoscere in loro un’individualità, avevo necessità di interagire con loro, soffermarmi su ognuno di essi e capire quali fossero le loro attitudini. Dovevo, in qualche modo, restringere il campo di osservazione dello schema; usare una retinatura diversa, più sottile.

Quando conosciamo una persona, per prima cosa, come dicevamo all’inizio, la giudichiamo con gli occhi. In questa fase noi valutiamo principalmente due cose: la prima, che percepiamo con gli occhi consci, è l’aspetto fisico, quindi la sua bellezza, in termini di simmetria del volto, piacevolezza delle espressioni e del linguaggio corporeo (tutti termini che si basano sulla cultura), e la seconda con gli occhi inconsci, ossia le misure del corpo che potrebbero far scattare un desiderio sessuale legato alla riproduzione, quindi un aspetto florido e sano (interpretabile dalla donna come una costituzione e una postura stabili che possano garantire una certa sicurezza e un progredire di geni sani e forti e da un uomo come la possibilità di avere molti figli anch’essi sani e forti e che possano essere nutriti adeguatamente). Per procedere a che il retino della nostra vista passi ad uno stadio secondario è necessario entrare in contatto con chi abbiamo di fronte, sia con un linguaggio verbale che non verbale, ma sostanzialmente conoscere le persone e cominciare a vedere “oltre” all’aspetto fisico.

Questa favola del “vedere oltre” è un punto ricorrente in molte morali fiabesche, ma nella vita reale si traduce comunque nella necessità di dedicare del tempo a conoscere qualcuno e di permettere, quindi, ad una persona che ci vuole conoscere di guardare oltre. Se non concediamo a noi stessi e agli altri questo tempo, il risultato è che verremo sempre e solo giudicati con le mere misure esteriori, come del resto facciamo anche noi.

Quando rivolgiamo il nostro occhio verso l’interno e non più verso l’esterno, l’applicazione degli schemi e dei modelli ci permette di comprendere, in sostanza, anche la totalità di ciò che siamo noi stessi. In assenza di questi modelli e di questi schemi non siamo in possesso di chiavi di interpretazione adeguate a capire chi siamo, pertanto il risultato è che pretenderemo sempre che le persone ci accettino per chi siamo veramente, senza in realtà avere coscienza reale di chi vogliamo essere, oltre che del lato di noi che mostriamo all’esterno e per il quale veniamo giudicati, magari a nostro avviso in modo del tutto ingiustificato.

La nostra capacità di comprendere gli schemi e i modelli umani con cui abbiamo a che fare ogni giorno ci permette di elaborare, dentro di noi, ciò che noi vediamo per trasformarlo in consapevolezza. Un’incapacità nel tradurre questo codice si trasforma in incapacità di capire le situazioni che ci sono di fronte per quelle che sono; ci porta invece a tradurle in un codice del tutto personale, un po’ come l’inizio del film “L’uccello dalle Piume di Cristallo” di Dario Argento, in cui il protagonista assiste al tentato omicidio di una donna da parte di una figura in impermeabile che si dà alla fuga. Nel corso del film, tuttavia, si viene a scoprire che la dinamica dell’accaduto è stata interpretata in modo ingannevole dall’osservatore (sia nel personaggio che nello spettatore), che ha messo in atto un bias, ossia una decodificazione dei fatti basata su presupposti arbitrari ed errati. In realtà era la donna a cercare di assassinare l’uomo in impermeabile, ma dal momento che la persona in impermeabile era oscura, misteriosa e non si vedeva in volto, mentre la donna invece era molto bella e non dava l’aria di essere una psicopatica, lo spettatore viene tratto in inganno.

Quando conosciamo qualcuno ci possiamo concedere di vedere oltre quelle che sono le apparenze, esattamente come andiamo avanti nella pellicola di Dario Argento e lasciamo che il regista srotoli la storia davanti ai nostri occhi. Allo stesso modo noi possiamo vedere dentro di noi, rimuovendo una ad una tutte le possibili maschere che indossiamo e gli specchi che frapponiamo tra noi e le altre persone, che rimandano le nostre immagini distorte.

Anodea Judith, nel suo Il Libro dei Chakra, dice: “Ogniqualvolta riconosciamo uno schema ci muoviamo verso la totalità. Questa totalità possiede un’identità, che ci dà significato e scopo. Quando il terzo occhio si apre, ci permette di vedere la figura d’insieme, di trascendere il nostro egocentrismo e di trovare il più profondo significato inerente ad ogni cosa. Via via che la vista interiore si sviluppa, le illusioni svaniscono, i sogni vengono integrati, inizia la chiarezza e la coscienza si estende di un altro passo al di là di quello che era disponibile solo attraverso i cinque chakra inferiori. Ora abbiamo accesso all’ampia visione che ci permette di vedere la via verso il nostro completamento.”

 

IL DIRITTO DI AJNA

Ajna, nel suo ciclo di sviluppo, manifesta il diritto di “vedere”. Questo diritto è determinato dal bisogno di capire la realtà che ci circonda e di poter distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. Quando entriamo nella sfera della “realtà”, ovviamente entriamo in un mondo costituito da “punti di vista”, in cui il bene e il male sono solo due sfumature tra le molte che ci sono. Ciò che può essere vero per me può non esserlo per altri, e di fatto è il motivo per cui diverse diagnosi psicologiche possono portare a diversi approcci anche se lo stesso paziente presenta gli stessi problemi.

Quando noi ci approcciamo alla realtà che ci sta di fronte, come abbiamo visto, la interpretiamo secondo gli schemi e i simboli che abbiamo sviluppato. Questi schemi e simboli, in larga misura, ci vengono passati dai nostri genitori e dalle esperienze che abbiamo vissuto, spesso attraverso ciò che loro ci hanno insegnato. Se, ad esempio, ci viene insegnato da sempre che le persone con i capelli rossi sono malvagie, da sempre noi valuteremo con sospetto chiunque vedremo con i capelli rossi, interpretando qualsiasi cosa diranno o faranno come malvagio fin quando non spaccheremo questo schema e lo metteremo in dubbio.

Quando il nostro schema, invece, ci arriva dall’esperienza, abbiamo una difficoltà maggiore, perché ogni nostro punto di vista rimarrà sempre collegato a un trauma emozionale o uno shock mentale che ci porta dolore, come se fosse una spina infilata nella carne. Ogni volta, quindi, in cui vedremo qualcosa che ci ricondurrà a quel dolore, noi reagiremo in difesa, a volte negando, a volte rifiutando, a volte fuggendo da ciò che abbiamo di fronte per non affrontare l’evento passato ad esso collegato e, di conseguenza, il dolore che ci porta.

L’essere umano, da che mondo e mondo, impara solamente attraverso il dolore. Non esiste altro modo. Questi insegnamenti, che talvolta ci fanno capire che abbiamo una memoria dannatamente breve, si insinuano dentro di noi e si fossilizzano solo quando sono collegati a situazioni dolorose. Non sempre, tuttavia, ci è facile affrontare ciò che significa questo dolore e apprendere; a volte noi fuggiamo perché non ci sentiamo pronti ad affrontarlo.

Il diritto di Ajna, quindi, è quello di vedere ciò che abbiamo intorno e riconoscerlo come tale. Alcuni lavori per le persone che ho contribuito a svolgere, in situazioni di dramma rituale, non facevano altro che mettere la persona di fronte a un evento o a una serie di eventi, o delle situazioni tipiche che avevano causato loro dei traumi. Per farlo il tutto veniva rappresentato simbolicamente, dando però una chiave di lettura finale risolutiva e, in qualche modo, positiva. Spesso, in ultimo, la persona veniva “riconosciuta” come tale, veniva riconosciuta la sua bellezza, il suo potere e tutto ciò di cui in un modo o nell’altro era stato privato.

Non riconoscere in qualcuno delle qualità, per quanto presenti, significa privarlo di un potere. Se, durante la nostra crescita ci viene impedito di “vedere” ciò che abbiamo intorno o se la realtà ci viene rimandata storpiata, noi tendiamo a creare intorno a noi un mondo falsato, dal quale sarà molto difficile uscire senza aiuto.

Quando noi incontriamo qualcuno, in qualche modo facciamo per lui da specchio. Quella persona vedrà, dentro di noi, molti dei suoi aspetti. E quando non riuscirà ad affrontare quelli che sono valutabili ai più come difetti, lui li riconoscerà in noi e ci odierà proprio perché glieli rimandiamo speculari. Questa filosofia è stata valutata dagli Esseni nei loro specchi, come vedremo nella parte legata alla visione esoterica. Quando, quindi, il nostro diritto di vedere viene negato o danneggiato, noi tendiamo a storpiare la realtà che abbiamo di fronte, interpretandola e poi, spesso, ricordandola in maniera non corretta, trovandoci ad incolpare altri di cose che non hanno fatto o detto; e quando lo facciamo siamo perfettamente convinti di ciò che ricordiamo. Semplicemente però questa realtà è storpiata. Si entra quindi nel loop di chi “vede solo ciò che vuole vedere”, che in stati fortemente gravi si può trasformare in psicosi.

Il diritto di vedere è storpiato anche quando in modo deliberato la realtà ci viene nascosta o negata o quando ci viene limitata l’ampiezza della nostra visione. Questo evento si verifica spesso quando assistiamo, da bambini, a violenze famigliari che vengono abnegate, o in casi in cui gli stati come follia o alcolismo vengono mascherati sotto nomi diversi. Pertanto da bambini ci capita di vedere che nostro padre torna a casa ubriaco, ad esempio, e alla nostra domanda su cosa sta succedendo nostra madre ci risponde che nostro padre è stanco dal lavoro. Questa negazione della verità spesso viene fatta per tutelare l’infanzia, o per proteggere, in qualche modo, l’innocenza dei bambini. Per quanto questo sia un gesto protettivo, a lungo andare distrugge e annulla il diritto di vedere, per il semplice fatto che lasciare che i bambini assistano a eventi che sono al di là della loro comprensione oppure a scenate spaventose tende a chiudere i loro chakra, esattamente come farebbero se stessero guardando un film horror: si coprirebbero gli occhi per non vedere.

Ricordo che, parlando con una cara amica, lei mi narrò di come suo padre, quando lei era bambina, ma abbastanza grande da averne memoria, ebbe una relazione extraconiugale. La madre, nonostante sapesse di questa relazione, non ebbe in principio alcuna reazione positiva o negativa; semplicemente ignorò l’accaduto, al punto che il padre arrivò a portare questa amante in casa. La mia amica, mentre mi narrava questo evento, continuava a sorprendersi del fatto che non riuscisse per nulla a ricordarsi di questa vicenda, che conosceva solo per i racconti della madre. Lei aveva tagliato fuori quella persona dalla sua vita, mettendo in atto esattamente lo stesso meccanismo di difesa che aveva usato la madre: ignorarla. Questa cancellazione era così profonda, che anche ragionandoci con assoluta coerenza e certezza non riusciva a ricordare il momento in cui questa donna viveva a casa sua.

 

L’IDENTITÀ DI AJNA

Quando ci inoltriamo nel campo del sesto chakra, stiamo entrando nell’identità archetipica. L’Io individuale è una sfera della nostra psiche che abbiamo già visto e affrontato. Ora entriamo in un ambito più ampio, che ci collega in modo diretto ai nostri genitori, ai loro traumi e alle loro paure, trasmesse anche in modo non preordinato alla nostra identità archetipica.

Quando lavoriamo con i traumi e con le ferite, prima o poi ci imbattiamo nel fatto che ciò che ci capita non sempre è dovuto a una nostra esperienza diretta, ma spesso è dovuto in qualche modo a una connessione archetipica. In un recente articolo apparso sul quotidiano Repubblica è possibile leggere che dopo uno studio effettuato in particolare da Isabelle Mansuy, docente all'Istituto federale di tecnologia (Eth) e dell'ateneo di Zurigo, “è stato possibile dimostrare, finalmente, a livello scientifico che i traumi possono essere ereditari, le paure passare da padre in figlio. E segnare vite”.

"Siamo stati in grado di dimostrare per la prima volta - riassume Mansuy - che le esperienze traumatiche influenzano il metabolismo a lungo termine, che i cambiamenti indotti sono ereditari" e che gli effetti del trauma ereditato sul metabolismo e i comportamenti psicologici persistono fino alla terza generazione. "Lo squilibrio dei microRna nello sperma si è dimostrato un fattore chiave per il passaggio degli effetti del trauma da genitore a figlio". Per il momento questo è solo uno studio, pertanto non dimostra in effetti nulla a livello scientifico, ma ritengo che sia comunque un passo importante che ci avvicina alla coniugazione tra scienza sperimentale e scienza esoterica.

Al di là del semplice trattamento di traumi sottili, che implica moltissimi approcci differenti a cavallo, spesso, tra psicologia e guarigione sottile, possiamo ricondurre l’identità archetipica direttamente alle figure psicologiche neojunghiane. Pertanto, come ci fa notare Anodea Judith nel suo Il Libro dei Chakra: “La nostra storia personale viene ora vista come un evento in una storia più ampia. Se abbiamo sofferto per una figura materna negativa, perché nostra madre non è stata aiutata, siamo portatori di un aspetto della storia archetipica della degradazione della dea madre – la perdita della madre archetipica. Il potere che mancava a nostra madre è quello stesso potere che nei millenni è stato tolto alle donne, tolto all’archetipo stesso. Coloro che hanno sofferto per la lontananza del padre sono portatori di una parte della più grande storia della rivoluzione industriale, della privazione del potere che gli uomini, allontanati dalle loro famiglie, hanno subito e dei valori della casa legati alla terra.

Ampliamo la nostra comprensione del Sé quando scopriamo i temi della nostra vita riflessi nelle fiabe, nella mitologia, nei film e nelle storie riportate dai giornali.

Facciamo esperienza della riflessione del sé nel sistema più vasto. Ci rendiamo conto di essere degli attori di un dramma assai più ampio, che cavalcano le onde delle basse e alte maree culturali. Maturando a questo livello, comprendiamo consciamente l’evoluzione dei simboli archetipici che ci parlano. Se abbracciamo la causa per la conservazione delle antiche foreste, stiamo facendo qualcosa di più che salvare semplicemente degli alberi – contribuiamo a una più grande causa archetipica.”

L’identità di Ajna ci è utile per comprendere le cose nel suo insieme. La visione archetipica è appunto quella che ci permette di ricostruire il fondamento della visione globale. Jung diceva che, dal punto di vista psicologico, l’archetipo, come immagine dell’istinto, è un obbiettivo spirituale verso cui tende l’intera natura dell’uomo. Noi stessi entriamo in contatto con la nostra identità archetipica in larga misura durante i sogni, le meditazioni, nell’arte e, spesso e volentieri, anche nei nostri rapporti interpersonali. La stessa struttura dell’Astrologia, infatti, come metodo per classificare le diverse strutture caratteriali e potenziali, è basata interamente su identità archetipiche. In realtà la posizione degli astri nel cielo è in effetti secondaria in quanto pianeti da un punto di vista astronomico, non per nulla si parla del Sole e della Luna come pianeti e non come stella e satellite.

Il mondo di questo chakra è infatti simbolico e non materiale. Saper dare un nome e una connotazione al simbolo che noi vediamo ci permette di avere una visione più chiara di ciò che ci succede. Ajna è infatti legato al mondo onirico, che per sua natura è punteggiato di simboli e stimoli archetipici dove la nostra mente cerca in ogni momento di dialogare con noi stessi. Attraverso i sogni noi abbiamo modo di mettere ordine, di elaborare i nostri traumi, di rivedere alcune situazioni vissute attraverso il simbolo e di riuscire a porre un rimedio in un confine di sicurezza dettato dallo stato onirico in cui ci troviamo.

Quando esaminiamo i sogni spesso tendiamo a correre il forte rischio di cadere nel facile tranello di non saper ancorare l’identità archetipica a ciò che vediamo e, anzi, di collegare gli eventi in modo assolutamente diretto, storpiando in questo modo il messaggio che in realtà ci sta arrivando. O meglio, il messaggio che noi stessi stiamo cercando di inviarci. Quello che facciamo quando sogniamo è sederci di fronte alla tv e guardare una rivisitazione astratta e simbolica di tutto ciò che consciamente noi non siamo riusciti a metabolizzare. Questo processo è pressoché interamente gestito da Ajna, che attraverso la sua funzione visiva ci permette di riesaminare nei dettagli le nostre paure, le nostre preoccupazioni, le nostre speranze, i nostri dolori e i desideri che normalmente non potremmo valutare come attuabili o consoni. Nei sogni i luoghi che visitiamo spesso o le persone che incontriamo e che magari conosciamo rappresentano diversi aspetti di noi che la mente, per comodità di linguaggio, prende in prestito perché connessi in qualche modo.

Ci è possibile identificare diversi archetipi e ognuno di essi può essere legato ai diversi chakra. Come asserisce Anodea Judith nel suo Il Libro dei Chakra: “ciascuno dei chakra può essere messo in relazione a un archetipo. Inoltre, ogni chakra possiede l’energia archetipica dell’elemento che gli è associato (terra, acqua, fuoco, aria, suono, luce, pensiero). Lo stesso sistema dei chakra è un sistema archetipico ancora più ampio, simile all’archetipo junghiano della totalità: il Sé. Jung vide la totalità del Sé come archetipo centrale di ordinamento della psiche, il principio formativo del processo di individuazione.

Anche la stessa individuazione è un processo archetipico e benché differisca da persona a persona, vi sono elementi comuni che costituiscono lo schema archetipico.

Il processo di individuazione rispecchia lo schiudersi dei chakra, durante il quale ci riappropriamo dell’ombra, stabiliamo la nostra autonomia, integriamo la nostra anima e il nostro animus, esprimiamo la nostra individualità, riconosciamo quali archetipi ci influenzano e integriamo tutti questi elementi in un’unità più ampia. Quando riconosciamo un’energia archetipica, ne riconosciamo lo schema e il significato e poi ci regoliamo di conseguenza. Riconoscere lo schema dell’individuazione (cioè lo schiudersi dei chakra) come si verifica nella nostra vita, ci permette di capire dove siamo, dove stiamo andando, e che cosa ci è necessario per arrivarci. Dunque l’introspezione dirige l’azione.”

Questo stesso concetto di “totalità” ci mette a confronto con il fatto che Ajna richiama una nostra appartenenza più alta. Mentre nei chakra inferiori noi sviluppiamo una nostra individualità, in Ajna invece ci troviamo a confrontarci con il nostro esistere nella forma di esseri pensanti, parte di qualcosa di più grande. Secondo Barbara Ann Brennan, nel suo Mani di Luce, è proprio la disgregazione, il rifiuto di appartenere a qualcosa di più grande, la disconnessione dal vero sé, dal sapere chi siamo, che conduce al disequilibrio dei chakra e di conseguenza alla malattia che interessa poi il corpo fisico. Ogni volta in cui tendiamo quindi a disconoscere i nostri comportamenti, i nostri atteggiamenti, disconosciamo una parte di noi, un nostro archetipo, e pertanto ci disgreghiamo, dimentichiamo sempre di più chi siamo, anche se poi ci preoccupiamo di dove stiamo andando e di cosa facciamo.

 

IL DEMONE DI AJNA

È proprio in questa semplice equazione che possiamo trovare i segni lasciati dal demone di Ajna, che è identificabile come l’illusione. L’illusione fissa l’attenzione e ci impedisce di vedere con precisione. Ogni volta che pensiamo di vedere qualcosa ma in realtà ne stiamo vedendo un’altra, noi viviamo una realtà distorta dall’illusione: ci illudiamo.

Se ci è possibile prendere in mano i nostri vecchi diari adolescenziali, vedremo come il termine “illusione” sia ridondante, soprattutto nel contesto legato alle relazioni sociali con i coetanei, compagni di viaggio, gli amici e spesso anche relazioni sentimentali. Quando questo avviene, testardamente tendiamo a non riconoscere di aver in effetti visto qualcosa che non c’era o di aver travisato la realtà di ciò che abbiamo vissuto, bensì incolpiamo qualcuno di “averci illuso”, di “averci fatto credere qualcosa”. Questo modo di vedere le cose ovviamente tende a esternalizzare l’effetto del demone di Ajna, che in realtà non fa altro che indurci ancora una volta a “vedere ciò che vogliamo vedere” e “credere ciò che vogliamo credere”.

Spesso il demone dell’illusione si pone come un’immagine immobile nel tempo, a cui noi rimaniamo ancorati, vuoi perché ci faceva stare bene, vuoi perché è tutto ciò che abbiamo conosciuto o vuoi perché è ciò che desideriamo o desidereremmo. Soprattutto in casi di violenze perpetrate per lungo tempo, nella ricerca per trovare un motivo per spiegare o giustificare ciò che ci capita, tendiamo a identificare qualcuno o qualcosa in modo simbolico o creare un vero e proprio transfert, ricreando in certe situazioni, dei veri drammi viventi. In casi come questi, quando ci troviamo di fronte qualcuno che identifichiamo come un possibile attore del nostro dramma, riversiamo verso di esso il nostro bisogno e cominciamo a trattarlo come se fosse il diretto responsabile della nostra illusione.

Questi eventi sono molto più comuni (a gradi inferiori, quindi non a livelli psicotici), di quanto si possa anche lontanamente immaginare. Basti pensare a eventi in cui una delusione d’amore sia così forte da indurre una persona a non avere più alcuna relazione perché intrappolata nell’evento, che magari si è verificato anche molti anni addietro. Mi è capitato di parlare con una cara amica che dopo oltre quindici anni non faceva altro che continuare ad inveire nei confronti del suo ex fidanzato, e che asseriva che a causa di quell’uomo aveva realizzato che non avrebbe mai più avuto alcuna relazione, perché nessun uomo valeva il suo tempo e il suo amore. In casi come questi il demone dell’illusione ci fa vivere in una prigione di vetro, e non ci permette, finché non lo vogliamo noi, di capire che le pareti di questa prigione sono totalmente opera nostra e che siamo in possesso, in ogni momento, delle chiavi per aprire la porta e uscire.

Se alimentata e non infranta, l’illusione può tenerci nella sua morsa per un tempo pressoché indefinito, arrivando a indurci a credere che meritiamo di vivere come viviamo, che non c’è alternativa o che qualsiasi possibilità di riscatto o di perdono per gli eventi che hanno causato la costruzione di questa realtà illusoria sia imprescindibilmente fallimentare. Alternativamente, a seconda del motivo per cui viviamo prigionieri del nostro demone, possiamo tendere a incolpare a diversi gradi il resto del mondo, ritenendolo responsabile della nostra sofferenza.

Tutto questo, inoltre, può portare a un circolo vizioso da cui diventa davvero impegnativo uscire, dal momento che più tempo passiamo vivendo nell’illusione, più riusciamo a creare dettagli della stessa, rendendola sempre più reale per noi, al punto di arrivare a fare collegamenti mentali e correlazioni incredibili pur di giustificare ciò che crediamo di vedere. Questo fenomeno è accentuato, spesso, proprio dalla viziosità feticistica del culto dell’immagine di cui siamo pressoché vittime costanti in questo periodo della storia umana. Schemi imposti di canoni di bellezza o perfezione sono un continuo e incessante confronto e non fanno altro che nutrire l’illusione di felicità legata a un’immagine preordinata.

L’equazione, come dicevamo, è semplice: “Essere felici significa essere belli e perfetti. Essere belli e perfetti significa essere felici. Se non sei bello e perfetto come dicono, allora per ovvi motivi non hai ragione di essere felice”. Non è anomalo pensare che moltissimi dei malesseri legati ai disordini alimentari e a sindromi psicotiche siano collegati proprio allo scontro tra i bisogni insoddisfatti dei chakra inferiori che urlano una pacificazione e il demone dell’illusione che invece chiama a un canone di irraggiungibilità perenne che ci porta, in ultimo, a un collasso.

Come espresso da Valeria Ugazio e Salvador Minuchin nei libri Storie Permesse, Storie Proibite e Famiglie Psicosomatiche, il problema dell'anoressico è una sindrome che viene definita "vietato l'accesso" e si regge sul binario: intimità e invadenza. Sono ragazze, soprattutto femmine ma anche maschi, che da bambine sono state cresciute per essere perfette, che hanno sofferto di una mancanza di presenza o di disinteresse da parte paterna e che hanno avuto madri che non erano in grado di vederle. È pertanto legato all'illusione della madre che non riconosce la figlia in quanto sé stessa, ma le proietta addosso l'immagine di una bambina perfetta ed educata. In questo modo, crescendo, sviluppano un'immagine fittizia di sé che quando divengono adolescenti viene messa in discussione.

La magrezza quindi risulta essere soltanto un sintomo legato alla necessità di essere visti. In occidente, dove non esistono indicativamente problemi di carestia, questo bisogno si manifesta proprio nel mostrarsi in procinto di morire di fame, ossia la cosa più eclatante che possa esserci nel nostro contesto. La magrezza è quindi legata alla morte: le ragazze non sono viste, quindi muoiono, letteralmente, perché se non sono visto non esisto, per cui effettivamente muoio. Lo faccio però obbligandoti a guardarmi: mi devi vedere per forza. Le anoressiche non puoi non notarle. Il cibo inoltre rappresenta proprio il nutrimento materno (emotivo) che a loro è mancato. Nel rifiutarlo, rifiutano la madre e la falsa immagine che questa ha costruito per loro. È come se urlassero: Guarda, io non voglio questa immagine, sono altro. Riesci a vedermi? no? Allora non esisto.

Questo stesso dilemma lo abbiamo affrontato anche negli articoli sui chakra inferiori, ma torna a ripetersi in maniera differente in quanto strettamente collegato ad un concetto di immagine illusoria.

Anodea Judith esprime il concetto con queste parole: “Le illusioni sono tenute ferme al loro posto da un investimento di energia psichica.

Quando ci fissiamo su un’immagine, tutto diventa nutrimento per abbellirla. Se pensiamo di essere antipatici a qualcuno, ci attacchiamo alla minima disarmonia come prova. Un ipocondriaco interpreta il minimo dolore come prova dell’essere malato.

Quando investiamo in un’illusione, questo lega la nostra energia e perpetua l’attaccamento. Più è forte l’attaccamento, naturalmente, maggiore è la quantità di energia che dobbiamo investire. È a questo punto che si corre il rischio dell’ossessione. Poiché l’illusione non ritorna l’energia investita, non porta soddisfazione o completamento e, come una droga, continua ad attirarci verso la sua falsa promessa”.

L’idealizzazione è, in effetti, un altro lato della medaglia: quando idealizziamo qualcuno non facciamo altro che dorare e venerare una statua a perfetta somiglianza senza mai distogliere la mente da ciò che crediamo di vedere. Nel caso di un evento, ad esempio, ci imprigiona in un passato magari molto distante, inducendoci a non voler uscire da una situazione invivibile perché non vogliamo accettare la verità che qualcosa è cambiato. Quando io e la madre di mio figlio ci siamo separati, abbiamo passato un anno circa convivendo nello stesso appartamento e sforzandoci di portare avanti una relazione pacifica in cui ognuno viveva la propria vita pur condividendo il letto e gli spazi comuni. Nel nostro caso, l’illusione fu duplice, perché non solo credevamo di poter fingere con noi stessi che avrebbe funzionato, ma ci illudevamo di credere che nostro figlio così non ne avrebbe risentito. Come spesso capita, la realtà ci piovve addosso e dovemmo semplicemente mettere ordine in ciò che avevamo fatto e viverci la separazione con il surplus di malumore accumulato nel tempo trascorso.

 

SESTO CHAKRA BLOCCATO

Quando Ajna è bloccato, noi siamo incapaci di vedere, di capire e di comprendere, nonché soprattutto di accettare ciò che ci sta capitando e ciò che succede intorno a noi. Il trauma può manifestarsi in molti modi. La nostra incapacità di riconoscere ciò che è vero e ciò che non lo è, o di interpretare la realtà secondo degli schemi che non sono comuni, ma che appartengono solo a noi, può in ultimo porci in uno stato di isolamento arrivando, in casi estremi, alla psicosi, alla paranoia e a diversi stadi di schizofrenia. Tutto ciò che vediamo, filtrato attraverso un chakra disarmonico, si può trasformare in qualcosa di totalmente opposto.

È dichiarato che la nostra esperienza visiva è legata a doppio filo a quella somatica. Come possiamo eccitarci guardando qualcosa o possiamo calmarci pensando a qualcosa in modo intenso, coinvolgendo così le nostre emozioni solo con la visualizzazione (del resto gran parte della magia e della guarigione sfrutta questo principio), è ovvio che un’esperienza traumatica a cui abbiamo assistito possa influenzare in modo altamente negativo anche il nostro approccio. In questo modo, quando noi viviamo un trauma visivo, che possa essere dovuto al fatto che assistiamo ad una scena particolarmente dolorosa o spaventosa o anche perché ci troviamo dinanzi a qualcosa che non siamo in grado di comprendere perché impreparati, quello che tendiamo a fare è semplicemente rifiutare questo evento, quindi in un certo qual modo cancellarlo, reprimendone il ricordo al punto da far sì che non sia mai avvenuto, oppure dissociarci da esso. Non è sempre una scelta consapevole quella di intraprendere l’una o l’altra strada, ma è sempre e comunque una tutela che mettiamo in atto per proteggere noi stessi da ciò che abbiamo di fronte. Se dovessimo reprimere, quello che faremo è letteralmente mettere le mani davanti agli occhi, limitando e bloccando la nostra capacità di vedere ciò che sta succedendo, come faremmo durante un film horror per non rimanerne impressionati. Se invece scegliessimo la seconda strada, ossia dissociarci, quello che faremmo sarebbe spogliare totalmente di ogni significato le immagini che abbiamo impresse nella memoria, inibendo la nostra capacità di capire il senso di ciò che è accaduto. Quegli eventi, dentro di noi, rimarranno così orfani e totalmente disconnessi, al punto da galleggiare nell’inconscio ed emergere nei sogni, nelle meditazioni o in atteggiamenti non completamente comprensibili in quanto dettati da ferite e paure profonde.

Il blocco del sesto chakra spesso si verifica quando, soprattutto in età infantile, siamo costretti ad assistere a scene che non sono adeguate e comprensibili per la nostra età ed esperienza, quando vediamo qualcosa che non siamo in grado di capire e quando non ci viene data una spiegazione adatta alle nostre domande su ciò che abbiamo visto. Ma il problema più grosso, a mio avviso, si determina quando ci vengono inviati dei messaggi contrastanti e quando siamo bloccati in una situazione senza via di uscita. Ad esempio, se dovessimo assistere ad una lite violenta tra i nostri genitori, il nostro senso di impotenza si trasmetterebbe in due direzioni: sia verso chi non ci può proteggere da ciò che abbiamo visto, quindi dalla paura che ci capiti, sia da chi invece pratica violenza, da cui noi non siamo in grado di proteggerci. In quei casi, l’unica cosa che ci rimane da fare è mettere in pratica il più istintuale metodo di difesa che la natura ci mette a disposizione: diventare invisibili, o “fare il morto”: cercare di far finta di nulla per evitare di dover affrontare situazioni che non siamo comunque in grado di gestire.

In casi come questi, ciò che noi vediamo va in contrasto con ciò che ci viene detto e con ciò che ci viene insegnato e che apprendiamo dagli schemi comuni. Guardiamo la tv e siamo tempestati di sitcom piene di famiglie felici in cui tutti si abbracciano e stanno bene e non litigano mai, poi ci confrontiamo con quello che vediamo a casa e ci poniamo quindi il dubbio: dove si trova il punto di rottura tra queste due informazioni contrastanti? Se essere una famiglia significa volersi bene e se la mia famiglia litiga sempre e avvengono casi di violenza, allora due sono le possibilità: o nella mia famiglia non c’è amore oppure amore e violenza sono strettamente legati. In casi come questi, spesso, crescendo ci si ritrova di fronte ad una rabbia infinita o ad un profondo senso di inferiorità e impotenza che tendono, a lungo andare, a rendere le persone che ne soffrono vittime del loro stesso passato.

Se invece dissociassimo gli eventi in una situazione analoga, diventeremmo assolutamente anaffettivi e freddi, incapaci di mantenere un contatto tra mente e corpo. In casi come questi, il sesto chakra è talmente bloccato da risultare pressoché disconnesso dal resto del corpo, come una testa che svolazza, priva di totale contatto con il mondo. Tenderemmo verso una ricerca spasmodica di comprensione senza mai esserne soddisfatti, per il semplice fatto che non siamo stati mai istruiti sugli schemi corretti da applicare a ciò che abbiamo di fronte, quindi saremmo incapaci di capire i comportamenti delle persone e le reazioni che hanno di fronte alle nostre parole o le nostre azioni.

Ancora una volta ci troviamo dinanzi a un problema fondamentale, che è la separatezza e il distacco. Sin dalle teorie Newtoniane, la scienza ha trattato gli esseri umani come esseri separati. Ma attualmente ha fatto grandi passi per dimostrare che noi tutti siamo assolutamente interconnessi. Non siamo quindi esseri separati, bensì esseri individuati. Come dice Barbara Ann Brennan nel suo Mani di Luce “La separatezza favorisce la paura e crea la figura della vittima, due cose che a loro volta promuovono il concetto illusorio di impotenza. La responsabilità e l’accettazione, invece, favoriscono la potenza – la potenza interiore di creare la propria realtà. Poiché se è vero che inconsciamente determiniamo le situazioni esistenti, allora abbiamo lo stesso potere di determinare le situazioni che vogliamo, cioè di creare ciò che desideriamo”. In sostanza, ogni volta che noi ci distacchiamo per paura, perdiamo pezzi di noi stessi e in qualche modo dimentichiamo ciò che siamo e chi siamo. In un certo qual modo questo ci dà una tutela di protezione, di irraggiungibilità, ma in realtà ci fa sentire totalmente soli e abbandonati, sia da noi stessi che dal resto del mondo; è solo una questione di tempo prima che ci rendiamo conto di ciò che ci sta capitando. Spesso, quando è troppo tardi, le persone che si sono dissociate fino a questo punto arrivano anche a togliersi la vita perché incapaci, in alcun modo, di trovare la strada per tornare indietro o incapaci, in modo alternativo, di saper chiedere aiuto in quanto in grandissima difficoltà ad accettare di avere realmente un problema e di fidarsi di qualcuno.

Anodea Judith, nel suo Il Libro dei Chakra esprime questa divisione in questo modo: “Quando reprimiamo i ricordi, chiudiamo il sesto chakra e lo rendiamo carente.

Quando ce ne dissociamo, perdiamo il nostro radicamento alla terra e il sesto chakra è in eccesso – bombardato di immagini che ingombrano la psiche, ma senza mai giungere alla comprensione.

Un ambiente in cui vi sono quotidianamente delle scene di sofferenza ci porta a chiudere il nostro sesto chakra e può persino diminuire la capacità di vedere con i nostri occhi fisici. Se qualcuno indossa gli occhiali fin dall’infanzia, può essere utile esplorare che cosa succedeva in famiglia quando si sono verificati per la prima volta questi problemi di vista. E se non avessero voluto vedere? Qual era la contraddizione? Qual è l’illusione che si portano dietro e quale potrebbe essere la verità nascosta?

Vi sono anche casi in cui a un bambino viene detto che non ha visto quello che pensava di aver visto. “Papà non è ubriaco sul letto, è solo stanco”. “La mamma non è arrabbiata con te, ha solo una brutta giornata”. “Siamo una famiglia felice e ci vogliamo tanto bene”. Questi sono i tipi di illusioni che vengono dichiarate verbalmente o sono recitate dalla famiglia nella loro commedia quotidiana. Poiché per il bambino è così difficile vivere con la contraddizione, gli è più facile negare le proprie percezioni”

Molti sono quindi i traumi che possono portare a un blocco, sia in carenza che in eccesso, di questo chakra, ad esempio quando si crea una forte discrepanza tra ciò che vedi e ciò che ti viene detto, come genitori che picchiano i figli dicendo che è per il loro bene. Una forma di violenza che tende a bloccare Ajna è l’invalidamento dell’intuizione e degli avvenimenti psichici, pertanto impedire a una persona di seguire il proprio intuito denigrandolo e facendogli pensare che non ha senso che abbia fiducia in ciò che sente e vede. Ajna si blocca anche quando un bambino cresce in una situazione spaventosa, come zone di guerra o in un ambiente fortemente violento. Un bambino che vede morire o vede persone che ama subire violenza tende a chiudere il sesto chakra per difesa.

Un blocco al sesto chakra si manifesta attraverso carenze alla vista (miopia per rifiuto di vedere al di là, presbitismo per incapacità di entrare nel dettaglio o astigmatismo per rifiuto degli schemi), emicranie, congiuntiviti, strabismo, cecità parziale o completa, ivi comprese cataratte e fotosensibilità. Si manifesta anche con forti e incessanti incubi, difficoltà ad apprendere e tutti i disturbi legati alla lettura e la scrittura come dislessia o disgrafia. In carenza, Ajna causa una forte mancanza di sensibilità, nonché una difficoltà a concepire il futuro o immaginare delle alternative alla propria vita e ai propri problemi. Una persona che ha Ajna in carenza riterrà sempre che nulla cambierà mai e sarà in definitiva pessimista e disfattista e incapace di trovare una soluzione alle difficoltà che lo affliggono. In extremis cercherà di perdere nei giochi appositamente per scadere nel vittimismo ed affermare che “tanto sapeva che sarebbe andata in questo modo”, rifugiandosi quindi in ciò che lo conforta sapere, ossia la conferma che la sua mancanza di visione non dipende da sé stesso, ma dagli eventi che gli sono contrari e contro ai quali non può opporsi.  Una forte carenza di immaginazione e l’incapacità di ricordare i sogni sono altri aspetti che mostrano una carenza di Ajna, che determina una difficoltà a mantenere ferme le immagini oniriche per il peso del significato che portano. Rifiutando il significato, la persona rifiuta l’immagine. Si tratta, ancora una volta, di un bisogno di negazione, che si riversa infine anche nella vita reale, dove non vogliamo vedere ciò che accade. La negazione, inoltre, è una delle cinque fasi della metabolizzazione del lutto e la usiamo per distaccarci da ciò che ci fa male; è uno strumento di protezione di noi stessi.

Un dettaglio in particolare lo spenderei per la monopolarizzazione, il sintomo di un sesto chakra fortemente carente. Nelle religioni, soprattutto, si tende a monopolarizzare fortemente le persone, imponendo loro una visione fortemente castrante e quindi impedendo di valutare opzioni alternative. Quando si ritiene, quindi, che esista solo una verità, solo una forma di giustizia e solo una via che sia giusta, non si sta facendo altro che manifestare una forte carenza di Ajna, che rimane pertanto chiuso alle novità, alle idee diverse e alle opinioni, valutandole come parte di un qualcosa di diverso e pertanto fortemente sbagliato, se non addirittura nemico e avverso. È il caso, questo, delle religioni monoteiste che, per indottrinamento, tendono a chiudere fortemente il sesto chakra proprio per riuscire, in questo modo, a mantenere un più forte controllo sulle popolazioni che aderiscono alle loro vie: impedendo loro di valutare alternative mantengono saldo il potere. Questa, a mio personale avviso, è una delle forme di violenza legate al sesto chakra che troviamo più comuni anche nel mondo attuale.

Ajna si può manifestare, invece, in eccesso attraverso stati allucinatori, ossessioni, manie persecutorie e paranoia. Quando vediamo cose che non ci sono o ci convinciamo profondamente che il mondo ci sia avverso per motivazioni che sono giustificate solo per noi, quando riteniamo che alcune persone ce l’abbiano con noi o ci convinciamo in modo ossessivo che qualcosa sia profondamente sbagliata, allora denotiamo un’eccessiva apertura del sesto chakra. Una persona che vive di illusioni è profondamente legata a un sesto chakra spalancato, al punto che non riesce più a distinguere la realtà dalla fantasia. Una volta ebbi per le mani il caso di una ragazza che, mesi dopo essere stata lasciata dal fidanzato, si era gettata dalla finestra, salvandosi ma finendo con una lesione permanente all’articolazione del ginocchio che la costringeva a zoppicare. Lei non soltanto aveva completamente rimosso l’evento del suo tentato suicidio, sostituendolo con una vicenda mai avvenuta in cui era stata investita e giustificando il suo deficit deambulatorio così, ma quando la incontrai continuava a parlare del suo ex ragazzo, che aveva una relazione con un’altra ragazza da mesi, come se fosse ancora la sua fidanzata, ignorando deliberatamente la presenza della compagna e storpiando totalmente anche il passare dei giorni, sostenendo che non fosse altro che due o tre giorni che non si vedevano e stavano assieme. Questo caso, abbastanza eclatante, dimostra chiaramente come una persona incapace di superare un trauma non solo sia in grado di cancellare e sostituire eventi avvenuti, ma anche di manipolare lo stato della percezione della realtà a proprio piacimento.

Ajna, quando in eccesso, può comportare anche una grave difficoltà a concentrarsi, a studiare; il problema che hanno molti bambini e che è noto come deficit dell’attenzione è dovuto proprio al fatto che per molti anni lo sviluppo porta a un’apertura quasi totale del sesto chakra, in cui la fantasia e l’immaginazione fervida dei bambini trovano ampio spazio nella realtà, a volte sostituendola. Non c’è nulla di male in tutto questo. Vivere in un mondo di fantasia non solo è assolutamente lecito quando si è bambini, ma è anche importante per non inibire la capacità di trovare spiegazioni diverse e creative a domande per le quali non c’è per forza necessità di una risposta materiale e precisa. Proprio nella fase della crescita, intorno all’anno di età, i bambini cominciano anche a presentare incubi e paure. La fervida immaginazione lavora in entrambe le direzioni. Una persona che ha un sesto chakra in eccesso, presenterà incubi particolarmente spaventosi proprio perché fortemente vividi e reali.

 

AJNA A LIVELLO ESOTERICO

L’elemento di Ajna è la Luce. La luce è ciò che ha portato con sé, e in parte ancora porta, uno dei più grandi paradossi della fisica. In termini scientifici, infatti, la luce è una radiazione elettromagnetica che, tuttavia, conserva dentro di sé una duplice natura che in fisica è nota come dualismo onda-particella. In sostanza la luce risulta essere sia un’onda che una particella. Non entreremo nel dettaglio della fisica delle particelle perché sono sicuro che esistano siti che possano trattare l’argomento in modo molto più competente di questo, ma questa dualità, in realtà, sposa in modo chiaro la stessa dualità di Ajna. Situato, infatti, tra le sopracciglia, il sesto chakra è noto come Terzo Occhio, proprio perché da un punto di vista biologico è collegato alla ghiandola endocrina dell’ipofisi, che si posiziona al centro del cervello e a sua volta è divisa in due lobi distinti.

Nelle rappresentazioni yogiche Ajna viene rappresentato ed è noto come “il loto a due petali”. La sua connotazione con la luce è pertanto determinata dal fatto che è collegata alla vista e alla funzionalità dell’organo adibito a questo senso.

Quando noi osserviamo il mondo, lo facciamo “attraverso” gli occhi, ma di fatto lo stiamo guardando con il cervello in modo diretto. Gli occhi hanno il compito di catturare la rifrazione delle onde e dei corpuscoli di luce sulla materia per rimandare il risultato al cervello, che interpreta ciò che gli arriva. In sostanza, gli occhi non sono altro che buchi da cui la luce filtra in diversa misura e gradazione.

La vibrazione della luce è più alta e sottile, nonché più veloce di quella del suono, che è collegata al quinto chakra ed è l’elemento che ci dona la facoltà di percepire il mondo attraverso le sue forme. Ma la funzione di Ajna va oltre a questo semplice fatto ed entra nel campo della “percezione”. Come dice Anodea Judith: “Questo atto miracoloso del vedere è la funzione fondamentale di questo chakra, ma ciò significa ben di più che vedere con i nostri occhi fisici. La percezione fisica ci dice che qualcosa esiste, ma solo la vista interiore ci può dire che cos’è.

Mentre i nostri occhi fisici sono gli organi della nostra percezione esterna, il sesto chakra è in relazione con il mistico terzo occhio – l’organo della percezione interiore.

Il terzo occhio può vedere lo schermo interiore su cui si intrecciano in uno spettacolo senza fine memoria e fantasia, immagini e archetipi, intuizione e immaginazione.

Guardando i contenuti di questo schermo, creiamo un significato e lo portiamo alla coscienza. Scopo del sesto chakra è quello di vedere la via e portare la luce della coscienza a tutto ciò che esiste dentro e attorno a noi.”

Quando entriamo nel campo della visione, entriamo nel campo legato alla nostra capacità di interpretare il mondo e ciò che il mondo ci rimanda, così come la materia riflette la luce. Noi pertanto diventiamo sia la luce che la materia, perché riflettiamo e percepiamo il riflesso.

Una tribù ebraica del secondo secolo a.C. nota come Esseni, che conduceva una vita pressoché cenobitica, attraverso svariati studi sulla natura e i rapporti umani identificò i ruoli che abbiamo dividendoli in sette diverse categorie relazionate, a o loro volta, a sette tipi di rapporto che ogni essere umano ha modo di sperimentare nel corso di una vita. Gli Esseni definirono “Sette Specchi” questi diversi misteri proprio a riscontro del fatto che quello che noi definiamo come “realtà” è in effetti un punto di vista che noi abbiamo e che non è altro che la rifrazione di ciò che noi rimandiamo al mondo attraverso linguaggi, azioni, comportamenti e reazioni nei confronti di chi ci circonda e delle persone con cui interagiamo.

Come dicevamo prima noi fungiamo da specchio per le persone così come loro fungono da specchio per noi. Il modo in cui noi ci specchiamo, ciò che vediamo nel confronto con il nostro riflesso e soprattutto la nostra reazione ad esso possono essere inglobati in queste sette diverse categorie.

Il primo Specchio Esseno riguarda ciò che noi viviamo nell’attuale. Ciò che vediamo in questo specchio è ciò che noi siamo nel presente; chi ci è vicino e si rapporta con noi ci fa da specchio.

Il secondo Specchio Esseno non riflette ciò che siamo, ma riflette ciò che noi giudichiamo nel momento presente, pertanto quando ci troviamo di fronte a comportamenti di persone che ci fanno irritare, è probabile che ciò che ci porta rabbia è il riflesso che noi vediamo in essi.

Il terzo Specchio Esseno riflette la possibilità di ammettere che, innocentemente, stiamo rinunciando o abbiamo rinunciato ad alcune parti di noi stessi in favore di altre, il tutto per riuscire ad emergere o resistere alle difficoltà della nostra vita. Possiamo aver rinunciato ad esse, come possiamo averle perdute o, in casi estremi, possiamo esserne stati privati.

Il quarto Specchio ci riflette i modelli di comportamento che noi abbiamo adottato, che siamo stati costretti ad adottare e che infine diventano così determinanti nel corso dell’organizzazione della nostra vita da renderci pressoché schiavi, ossessivi e compulsivamente dipendenti da essi, portandoci a rinunciare a ciò cui teniamo e amiamo.

Il quinto Specchio riflette e mette in mostra i nostri genitori attraverso la nostra interazione con loro. Attraverso questo specchio noi riflettiamo aspettative e credenze, arrivando a interpretare veri e propri archetipi maschili e femminili da soddisfare. In questo si può rivelare la nostra possibilità di poter comprendere meglio la ragione per la quale abbiamo vissuto la nostra vita in un certo modo e abbiamo compiuto determinate scelte.

Nell sesto Specchio, noto come Oscura notte dell’anima, noi possiamo vedere l’equilibrio che la natura sempre va a ricercare. Qualsiasi difficoltà che noi affrontiamo diventa possibile solo quando abbiamo raccolto tutti i necessari strumenti per superarla. In questo specchio si cela la presunzione dell’eroe che affronta il nemico senza essere in possesso dell’arma che possa renderlo superiore e che pertanto, alla prima sfida, inevitabilmente trova la sconfitta. Solo dopo che ha svolto la cerca l’eroe può affrontare il suo destino e superarlo. Nel sesto specchio noi ci vediamo completamente spogliati di emozioni, sentimenti e architetture che ci siamo costruiti a protezione.

Il settimo e ultimo Specchio Esseno ci pone di fronte alla difficoltà di ammettere che ogni esperienza di vita, a prescindere dai suoi risultati ultimi, è per sua natura perfetta. Non conta, quindi, il raggiungimento di traguardi che altri hanno stabilito per noi, ma in questo specchio possiamo guardare i nostri successi senza doverli paragonare o legare a riferimenti esterni. Il fallimento, insomma, non è misurabile dai nostri risultati, ma dal loro confronto attraverso un metro che non ci appartiene.

Il confronto con gli specchi, quindi, è un confronto con noi stessi, per il semplice fatto che essi ci rimandano l’immagine che noi proiettiamo, senza menzogna. La differenza sta in ciò che noi vogliamo vedere.

Durante il percorso che ho svolto in seno alla Progressive Witchcraft guidato da Janet Farrar e Gavin Bone, a un certo punto si arrivava a svolgere una meditazione in cui ci si trovava dinanzi ad un’anziana signora che ci poneva di fronte uno specchio, attraverso il quale noi avremmo dato una sbirciata alla nostra Ombra Luminosa, in termini neojunghiani. Porci dinanzi a questo specchio non era alla portata di chiunque, al di là del fare la meditazione, e posso affermare con una certa sicurezza che non è facile per nulla. Nonostante le difficoltà, anche solo porsi di fronte a questo specchio ci metteva in condizioni comunque di porre una difesa a ciò che potevamo vedere. Se non dovessimo essere pronti a guardare con sincerità, semplicemente lo specchio non rimanderebbe alcuna immagine o in qualche modo non ci sarebbe concesso guardare.

La nostra capacità di guardare non è da mettere forzatamente in correlazione alla nostra facoltà di vedere. Quando svolgiamo una divinazione spesso ci poniamo a confronto con dei simboli archetipici posizionati in precisi schemi da interpretare. Sia i Tarocchi che l’Astrologia ripercorrono e vanno a toccare veri e propri archetipi che utilizzano simboli e nomi solo per costume di interpretazione associati a divinità, pianeti e lame. Quando un astrologo redige un oroscopo, una sinastria o un tema natale, non fa altro che valutare la posizione dei diversi pianeti al momento della nascita utilizzandoli come archetipi, non perché l’influenza planetaria in termini cosmologici sia realmente di tipo energetico. A ritenere che l’astrologia e l’astronomia siano collegate sono solo le persone che, senza alcuna conoscenza della somma Arte, cercano di smontarne la validità con mezzi scientifici. Qualcosa che non è diverso da affermare che sia la scienza a dover dimostrare che gli unicorni rosa non esistono, invece che il contrario.

Ajna, tramite la sua identità archetipica è il chakra che è utilizzato da tutti i divinatori, qualsiasi metodo decidano di usare, proprio perché sono in grado, attraverso il potere di questo chakra, di interpretare i messaggi archetipici oracolari e applicarli alla realtà, dando così un responso. Allo stesso tempo è anche il chakra che determina la capacità di “visione” legata alla chiaroveggenza.

Per chiaroveggenza ci si riferisce sia alla facoltà di vedere a distanza, sia in termini di spazio che di tempo, quindi di poter scorgere eventi passati e futuri, ma anche, da un punto di vista teosofico, alla facoltà di riuscire a distinguere i diversi livelli dei corpi sottili e spirituali con relativi abitanti. Quando Ajna è aperto e armonico e soprattutto abbastanza evoluto, noi diventiamo in grado di riuscire a distinguere le auree dei corpi a partire dall’eterico, fino ad arrivare ai corpi spirituali.

Il sesto chakra si trova nel punto esatto in cui convergono le due nadi del corpo, Ida e Pingala, che come i due serpenti del caduceo si attorcigliano sulla Sushumna per tre spire e mezzo, e mentre quest’ultima prosegue fino al culmine del settimo chakra, le due nadi si fermano in corrispondenza dei due lobi rappresentati su questo chakra.

Naomi Ozaniec, nel suo libro I Chakra, asserisce: “L’incontro delle tre energie (Ida, Pingala e Sushumna), una volta risvegliate, spiega i poteri straordinari attribuiti al cosiddetto terzo occhio. Il centro infatti, una volta risvegliato, agisce effettivamente come un terzo occhio: il suo nome “sapere” si riferisce ai poteri telepatici e agli altri mezzi di percezione che anticipano e sostituiscono i cinque sensi e che riescono ad abbattere le barriere che limitano il nostro io. Proprio come il senso della vista procura dei vantaggi enormi a un vedente in una folla di ciechi, così Ajna, che è l’occhio dell’anima, conferisce all’individuo una visione della vita sensibilmente più ampia”.

Esistono alcune correnti di pensiero, alle quali aderisco, che affermano che i primi tre sacramenti della religione cattolica servano a chiuderti e bloccarti gli ultimi tre chakra, partendo dal battesimo, che ti chiude il settimo attraverso l’abluzione sulla cima del capo, bloccando così l’accesso diretto al dialogo con la divinità, arrivando alla comunione, che blocca la libera espressione, magari contraria al potere ecclesiastico, chiudendo il quinto chakra con l’introduzione dell’ostia, e in ultimo il sesto e più difficile, ottenuto con la cresima, in cui grazie all’olio benedetto viene tracciata una croce proprio in concomitanza con il terzo occhio, inibendo così la capacità di visione; un rituale, quello della cresima, che viene svolto in concomitanza con l’inizio dell’adolescenza, quindi proprio quando il sesto chakra comincia a evolversi. In sostanza lo si blocca sul nascere. Sarebbe un errore credere che i cristiani, in termini esoterici, non siano a conoscenza dei chakra. La conoscenza dei centri di energia del corpo è molto antica e non è strettamente legata all’oriente e alle tradizioni ariane. Basta guardare una qualsiasi statua della Iside egizia per vedere la posizione del cobra in cima al capo, che è esattamente in concomitanza del sesto chakra, a dimostrazione che Iside rappresentava anche l’apertura della coscienza universale.

Ajna è di colore indaco o, secondo alcune visioni, violetto. Il suo simbolo è distinto in due diversi petali disposti ai due lati del cerchio. Questi due petali, racconta Ozaniec, “possono essere pensati come il primo elemento di dualità scaturito dall’originario stato di unità. La dualità è presente a tutti i livelli e si evidenzia anche nella manifestazione fisica. Il cervello stesso è composto da due emisferi con funzioni diverse e specifiche. La polarità di base si ripresenta non solo nella simmetria del corpo umano e nel collegamento degli occhi ognuno con un emisfero cerebrale, ma anche a livelli più sottili. Il campo energetico globale del corpo può essere paragonato a un ovoide che dal corpo si irradia in tutte le direzioni. Il corpo, poi, come una barra magnetica, genera dei sotto-campi che fluiscono in direzioni opposte. I chakra stessi formano delle linee mediane del campo energetico dove si incontrano le due energie. Ogni chakra produce un campo energetico che riflette l’attività presente nel chakra stesso. Quando il corpo è sano il campo energetico si conforma a questo modello di base, al contrario la malattia genere delle aree morte nelle quali l’energia non fluisce”.

Lavorare con Ajna significa risvegliare la coscienza di cosa sia il nostro Io e cosa sia la realtà. A livello esoterico può significare anche andare incontro al lavoro con le nostre guide e imparare ad affidarsi ai loro insegnamenti, che, per prima cosa, ci metteranno di fronte al fatto che crediamo di conoscere qualcosa del mondo solo sulla base di ciò che abbiamo esperito di esso, ma facciamo, spesso, di questa esperienza una totalità e non una parzialità come in realtà dovremmo. Affidarsi alle nostre guide significa affidarsi anche al nostro intuito, che quasi mai ci tradirà, ma di contro significa anche dover abbandonare la sicurezza di una terra apparentemente immobile per inoltrarci in un mondo libero e privo di regole rigide e imposte.

Qualcosa che non tutti sono pronti a fare.