The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Litha 2008

Litha 2008

Questa notte ti ho sognato di nuovo. Eri lì, dietro al tuo strumento. Mi sembravi un po' strano, ricordandoti ancora come se tutto fosse normale, tranquillo, come se non fosse successo niente. Nei sogni funziona così, no? Niente è diverso, e rimaniamo lo spaccato di ciò che eravamo. Tu sistemavi le tue cose, con quel tuo fare serafico, come se non avessi mai smesso, come se non avessimo mai smesso di farlo assieme; avevi un sorriso carico di emozione, come quando si è pronti a ritirare un premio che si ambisce da tempo. Il sorriso che avevi sempre quando si doveva registrare in studio; quello del pregustare il momento. Io dovevo dirti qualcosa, e come al solito rimanevo un po' sulle spine, su quel ponte tibetano che mi fa sempre l'effetto caramella sotto i piedi, e con le ginocchia che mi fanno giacomo giacomo. Così ho abbassato lo sguardo e ho osservato la gran cassa della batteria, rendendomi conto ad un tratto che era tutta smontata e c'era un telo che la ricopriva... e io che credevo di averla vista montata, pronta per suonare... invece era come abbandonata in una soffitta. Ho alzato lo sguardo su di te: eri di spalle, intento a legarti i lunghissimi capelli, come sempre facevi prima di posizionarti seduto e cominciare.
"Ho due cose importati da dirti... e la prima è che mi dispiace", ho arrischiato prendendo coraggio; poi ho teso la mano, a cercare la tua. Nel frattempo ti sei seduto al tuo posto, sistemandoti bene sul seggiolino, e senza parlare ti sei allungato oltre i piatti e le aste e hai colto il mio invito ad afferrarla. Negli occhi avevi quello sguardo tipico di chi sapeva che qualcosa sarebbe accaduta. La tua stretta di mano però era gelida, molliccia, poco da uomo. Questa cosa mi ha colpito profondamente, ma non l'ho dato a vedere; non mi sembrava il caso e con probabilità non avresti accettato la critica, così ti ho detto quello che dovevo dirti, degli gli errori che ho commesso, cosa ne hanno causato... come in un fiume. Mi capita sempre quando ti sogno. Io parlo e tu ascolti. Parlandoti mi sono reso conto che eri tornato a suonare al tuo posto nella band, ma senza di me. Me ne sono reso conto mentre mi guardavo in giro ed eravamo nella nostra prima sala prove. Gli altri stavano arrivando, tu eri in anticipo per perpararti e io ero di troppo, ad un tratto. Nella mente mi immaginavo le foto di voi quattro assieme, abbracciati, carichi, proprio come una volta, ma senza il quinto... ossia me. Un moto di tristezza degli eventi mi ha assalito, ma non volevo darla a vedere, non me ne volevo convincere. Così ad un tratto ero all'aperto e tu eri con me, e camminavi a lunghe falcate per la strada, come al tuo solito. Lungo il percorso abbiamo incontrato il nostro chitarrista, i capelli al vento. Ti ha abbracciato di slancio, come se fossi tornato da un lungo viaggio, ignorandomi totalmente. Io lo incontro spesso, a mangiar kebab e discutere di musica, il rapporto intatto... ma in quel momento c'eri solo tu. Chissà poi perché... in fin dei conti non sei mai andato via da qui dentro. Hai scavato quel tuo piccolo santuario dentro di me... ed è riservato solo a te. Nessuno te lo porterà mai via. Capita così con gli amici, ma in quel momento ho sentito quella gelosia premere... come a sfidarmi a dir storie a me stesso che non è vero che esiste e che ferisce un po'. Che assurdità... mi direi se non volessi esser sincero almeno con voi, se proprio non riuscissi ad esserlo con il mio io. Emetterei quella risatina isterica e quello sbuffo di chi sa di mentire e non riesce/vuole nasconderlo.
Così, questa mattina, svegliandomi... e anche adesso, osservando i filari di viti innanzi a me, dal patio dove sto scrivendo, ho capito che questo discorso sospeso è giunto ad un punto in cui mi perseguita senza pari. E incolpare gli eventi sarebbe come incolpare il coltello della ferita che fa. È colpa mia. È sempre stata colpa mia; e ti sogno da quei giorni perché ho davvero qualcosa da dirti, senza rendermi conto momento per momento, che si sono accumulati anni da quella sera, quando mi hai stretto la mano e mi hai sorriso sornione. Sono passati tre anni da quando ho ricevuto il tetro messaggio di risposta al mio sms della nascita di Morgan, mentre ero in ospedale e la mia piccola cominciava a sudare dalle doglie; un sms rabbioso il tuo, che mi ha ferito dentro profondamente, e che non riesco comunque a giustificare. E ogni volta che ti sognavo, sapevo che dentro me tutte le cellule urlavano a tua discolpa e accusavano la mia codardia per il punto dove siamo giunti... forse perché se avessi saputo far la mia parte, se le cose fossero andate ugualmente così... non mi sentirei colpevole. Inutile dirsi che era una via necessaria... ma questo non mi solleva il peso dal cuore.
Forse è anche per questo che rido... mi è facile parlarti così... dimostrando ancora quanto sono codardo... sogni ed editoriali. Non puoi per ovvi motivi condividere l'intimità dei primi e non sei iscritto alla newsletter di questo sito per leggere le righe dei secondi. Che impavidità eh?
Io credo che ciò che rimane irrisolto nella nostra vita urli come un racconto senza finale, come le "Anime Morte" di Gogol. Ci perseguitano sempre, finché non riusciamo a porvi rimedio. E non dipende solo da quello che ci capita con altre persone... anzi. Credo che dipenda solo da noi. Il resto del mondo funziona indipendentemente da quello che facciamo, e in un modo o in un altro, tutto ci sopravviverà. Basterebbe chiedere alle pietre, quegli stessi ciottoli piatti e levigati, caldi e lisci che faccio rimbalzare sull'acqua sulla riva, con mia nipote; erano qui prima di noi e se potessero parlare ci racconterebbero dell'inizio del mondo e delle nostre civiltà sorte e cadute, esattamente come noi parliamo delle mosche che ci hanno infastidito con il loro ronzare in una tiepida mattina di giugno. Quello che fa differenza è il completarci... sia nelle relazioni, che con noi stessi. Non dovremmo permetterci di lasciare che qualcosa ci lasci incompleti nella realizzazione di ciò che desideriamo essere. Chi se ne frega dei canoni civili? Dobbiamo cercare di realizzare e completarci e non lasciare niente in sospeso. Il resto non importa. Se facciamo tutto ciò che è in nostro potere fare per non essere consapevoli responsabili dei nostri fallimenti, quanto meno quelli delle mete che ci siamo prefissati, sappiamo che, dentro, siamo dei vincitori.
Io vedo mio figlio crescere con rapidità strabiliante... anche quando penso agli anni che mi attendono... e grazie ad alcuni discorsi fatti e consigli ricevuti... mi sono reso conto che non è un'appendice di me, ma un individuo a se stante. E per quanto io possa aver pensato che fosse così, averne parlato in quel modo, averlo dato per scontato... in realtà non mi sono comportato come se lo fosse, quanto meno con me stesso; forse con lui sì. Ma è così. Lui ha la sua individualità, e anche se adesso ha bisogno del mio aiuto per vivere, prima che possa rendermene conto gli anni si accumuleranno come pietre e lui si sceglierà la sua vita. E che ne sarà di noi? Morti e sepolti?
Forse. Ma se non fosse così che cosa gli comunicherò fino a quel momento? Idee di realizzazione? Qualcosa come: "Se non ci fossi stato tu avrei continuato a suonare in giro e non avrei abbandonato la band"? La sua risposta sarebbe consona: "E chi te lo ha chiesto? È stata una tua scelta." È vero che è così. È sempre una nostra scelta; talvolta possiamo scegliere con libertà... talvolta no ma le scelte sono sempre le nostre. Quando poi possiamo scegliere con libertà non ha senso incolpare gli altri che ne subiscono comunque il risultato. E mi viene in mente, sai, quello che disse Gesù Cristo nella splendida opera di Webber quando lo apostrofarono come "Re dei Giudei", inginocchiato e legato innanzi a Pilato: "Questo è ciò che dici tu". Non è ironico? Troviamo sempre analogie in quello che leggiamo, ascoltiamo, vediamo.
E a proposito di analogie... se io guardo ciò che hanno fatto i miei genitori per me... cosa vedo? Tanto. Tantissimo. Hanno dato tutto per me e mio fratello. Ma loro hanno provato, fino alla fine, a realizzare qualcosa per loro stessi, dopo aver pensato a noi? Se glielo chiedessi sono sicuro che lo sguardo di mia madre sarebbe deciso e carico di emozione. Mi direbbe che vederci sani e sapere che i nostri figli stanno bene è il massimo della sua realizzazione; e io le credo. Mio padre con probabilità alzerebbe lo sguardo al cielo, come Dean dei Tygers of Pan Tang quando parlava degli anni '80 durante il tour che abbiamo fatto assieme. La risposta infine è no. Perché ci hanno dedicato tutto. E anche se li vedo soddisfatti nella gioia dei nipoti... io mi chiedo... ma se avessero avuto dei loro sogni, a noi indipendenti... e se avessero dovuto rinunciarvi per un senso di responsabilità nei nostri confronti? Insomma... è giusto? Non smettiamo mica di essere umani... non smettiamo di sognare, anche se diventiamo genitori, adulti. Rimaniamo sempre persone che hanno dentro qualcosa che deve trovare una via per manifestarsi. Se dovessimo smettere di crederci, o peggio, se dovessimo abortire i nostri sogni per coadiuvare la nostra vita con quella della nostra società... che cosa insegneremo a nostri figli? Come potremmo crescerli nella forza delle proprie convinzioni, delle proprie certezze, nel desiderio di realizzare ciò che vogliono essere, e perché no, di cambiare il mondo, se noi stessi partiamo sentendoci falliti perché abbiamo gettato la spugna? Non è giusto nemmeno per loro. Avranno delle possibilità ma non avranno davanti l'esempio di come coglierle.
Hanno così tanto da imparare... ma parte è quello che gli insegnamo a parole, e parte è quello che vedono di noi. Se ci vedono realizzati, completi, o comunque grintosi, nel volerci affermare come tali, almeno con noi stessi, impareranno ad esserlo anche loro.
È nostro dovere sistemare tutto quanto... dovere di ognuno di noi. Senza sacrificare loro... ma cercando di non smettere di essere ciò che siamo. Affinché possano riuscire anche loro a capire cosa sono e cosa vorrebbero essere, e fare di tutto per diventarlo.
Purtroppo... sappiamo tutti che quando la morte arriva, il più delle volte non bussa. Oh, certo ti vesti in gran gala per lei, come se fosse una vecchia signora che merita rispetto, e spesso noi la sentiamo vicina... vicinissima. Quando correvo sull'autostrada a 210 chilometri orari e guidava un amico ad un tratto ho avuto il bisogno di mandare un sms a mio fratello e dirgli di avere cura di mio figlio. Sentivo che non sarei arrivato vivo a rivederlo. Se mi voltavo sul sedile mi pareva di vederla lì, a fianco a me, e contarle i denti e valutare la rotondità delle orbite vuote. Non avevo più paura, solo sapevo che era il momento e volevo assicurarmi che tutto fosse in ordine. Non saprei spiegarmi... era una cosa dovuta. Un po' come gli elefanti e le balene, accettiamo il suo giungere a noi con solennità... a volte con garbo e soddisfazione. Non sempre giunge con crudeltà, infatti. Ma quando l'ho vista arrivare... ho notato che innanzi a lei riconosciamo sempre la sua inevitabilità... e se sappiamo che arriverà presto, cerchiamo di non lasciare indietro niente per chi rimarrà dopo di noi. Sistemiamo tutto... ecco. Vogliamo che niente sia fuori posto, o almeno se abbiamo a cuore chi rimane, desideriamo che sia così.
Ecco che i discorsi sospesi ci lasciano sempre dentro dei solchi, profondi, come letti di fiume... se non riusciamo a chiuderli ci distruggono negli anni... sia che riguardino persone, che questioni irrisolte che ci lasciamo dietro... e anche sogni irrealizzati. Anche a te... con cui ne ho uno da tempo; tu che mi hai aiutato a crescere... io che ti ho visto soffrire, piangere come un bambino. Sono corso da te quando morivi dentro per la separazione... e ho passato serate con te in macchina a parlare della vita, della morte, della letteratura, delle canzoni, del mondo, nel suo girare sempre, ignorandoci come parassiti sulla sua schiena, mentre con in bocca un biglietto della metro arrotolato rollavi il tuo spinello di gran pregio. Mi hai fatto conoscere il Jesus Christ Superstar e questo Giuda maledetto che ora perseguita anche me con le sue urla e i suoi canti... Mi ricordo che estasiato, dentro, ti stavo ad ascoltare nella tua curiosità sul mondo, nel tuo ego immenso... che faceva parte di te e che ti faceva imbestialire. Mi ricordo come mi raccontavi del tuo passato, delle tue esperienze, con quel tuo vocabolario vasto e fornito. Ma qualcosa di grande mi hai sempre lasciato dentro, quel qualcosa di grande che ha fatto poi sì che io stesso abbandonassi il nostro progetto comune; perché da quando io stesso ho sentenziato la tua dipartita, mi sono reso conto che era quel tuo spirito a tenerci assieme. E venendo a mancare quello... mancava la chiave di volta nel nostro arco a tutto sesto. Una pietra singola... che tutti ignoravamo, sapendo che c'era... e che pensavamo non ci sarebbe servita. O almeno lo pensavo io... e anche un po' qualcun altro... che mi ha sempre fatto notare questa cosa... ma non sono io che te lo devo dire. E invece questa pietra ha fatto sì che, quanto meno per me, tutto crollasse in macerie. Non è quindi solo abilità quella che serve, o capacità... o anche coesione per fare ciò che amiamo fare assieme ad altri. È spirito. Lo spirito di volercela fare e di pensare di essere in grado di farcela, con tutte le proprie forze. Senza quello non siamo niente. E io ho voluto che mio figlio portasse con sé un po' di quella tua saggezza, di quel tuo spirito... e ora porta anche parte del tuo nome, quello che ti sei scelto da te.
Ecco quello che mi hai insegnato; io ho ancora te come esempio. Ci credevi più di tutti noi. E forse è stato più per quello che per il tuo ego che in ultimo non ci parliamo più. Ci credevi e ti ha fatto male sentirti proibire il sogno da chi lo condivideva con te. E io mi chiedo... ne avevamo il sano diritto?
Ora come ora, se ci penso in via tardiva... credo di no.

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