The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Samhain 2014

Samhain 2014

Pezzi d'anima ho perduto andando.
Alla loro ricerca io vado danzando.
Alla loro ricerca io vado danzando.
Col cuore sicuro al ritmo del tamburo.
Alla loro ricerca io vado danzando.


Chakarunas: Pezzi D'Anima

Parliamoci chiaro. In un modo in cui credo di non aver mai fatto. Sono allibito. Cazzo. Possibile che si debba andare in giro in maglietta all'alba del 20 di ottobre? Possibile che non si riesca a trovare una cazzo di zucca da intagliare? Possibile che ogni volta che vado a casa della mia donna vedo un barattolo pieno di caramelle gommose alla fragola, quelle ruvide e rosa e, solo dopo aver sentito l'acquolina in bocca mi ricordo, ogni volta, che sono solo sassi colorati? La magia funziona. Eccome se funziona. A volte meglio di quanto vogliamo o crediamo. Forse, come dico sempre, il guaio è proprio il fatto che funzioni.
Forse nelle cose bisogna crederci anche se non le crediamo possibili. Quando una volta mi intervistarono in una comune radio di paese, mentre stavo per salire sul palco più grande che mai abbia calcato nella mia vita, mi chiesero quale fosse il segreto del successo. Ricordo che tentennai. Era uno di quei momenti in cui avrei voluto allungare la mia mano verso la dan-cintura e prendere una delle dan-bombe fumogene per gettarla per terra e svanire come un ninja dopo aver lanciato un grido in giapponese maccheronico con un'intonazione di aperta sfida. Non mi prenderete mai! Nemmeno gli Erculoidi mi prenderanno! Nemmeno gli Impossibili! (rispettivamente Coilman - solo chi è folle sfida le sue molle! Fluidman - celata in una goccia la forza di una roccia! e Multiman - a capo di un plotone la furia di un ciclone! Gli Impossibili! Gli Impossibili! Gli Impossibili!). Credo che guardai la ragazza che ci stava intervistando con un'espressione ebete. Alla fine risposi: "Se conoscessi il segreto del successo, non credi che mi troverei a Roxy Bar invece che a Marina di Camerota e al tuo posto ci sarebbe Red Ronnie?". La ragazza rise di gusto, così riformulò la domanda e mi chiese quale fosse "secondo me" il segreto del successo. Io risposi sognante: "Non smettere mai di crederci". La risposta le piacque, credo, perché chiuse l'intervista in quel modo, come se avesse avuto tutte le risposte.
Una mezz'ora circa dopo mi trovavo sul palco. Dovevamo aprire il festival e io feci il soundcheck quando la gente era ormai già al suo posto, disposta tutta davanti al porto e sulla passeggiata. Intorno al collo mi pendeva il "Pass Artist" che denotava "ALL AREAS". Perché ero io uno dei fighi della situazione e quando si è in quella posizione sei obbligato a farlo vedere. Così, con indosso il mio vecchio giubbotto di jeans grigio e le mani nelle tasche, cantai a capella "Forever" degli Stratovarius, così che dal fondo il fonico potesse avere il suo tempo per settare i suoni. Tanto io sul palco sentivo alla grande. Mai avute così tante spie in vita mia. Confronto a me Tom Cruise in Mission Impossible era Don Lurio.
Ma perché sto pensando a quel giorno? Sono passati più di dieci anni ormai. Eppure è come se sentissi ancora l'odore del mare, dei fiori, il sapore della pizza che mangiai sul porto, le urla delle persone sotto al palco. Quando mi dissero che gli anni volavano non ci volevo credere. Già. Ma è un'accelerazione progressivamente in crescita.
Sto aspettando questo Samhain con un bisogno crescente. Lo sento premere da dentro, come un prigioniero che urla picchiando contro la porta per farsi aprire, come un veleno che lentamente scorre inesorabile e mi strappa la spina dorsale dalla schiena. E giacendo in quell'oscuro abbraccio, con il seme gettato in un luogo sacro, attendo che la luna colga le mie lacrime argentee. Un giorno, quando passerò sotto quel velo, sarà per non uscire alla chitichella dall'altra parte. O quanto meno... non subito.
È stato un anno lungo. Con avvenimenti degni di importanza. È stato come essere bollato per matto ed essere spedito in Inghilterra, là dove nessuno si sarebbe accorto della mia follia, perché sarebbero stati tutti matti come me, come direbbe il buon vecchio becchino di Elsinore. Ho visto occhi che mi guardavano sgranati ed increduli. Ho sentito su di me il peso di mille voci e mille parole. Alcuni giorni paiono lontani mille miglia e a ripensarci mi sale un magone grande e terribile. I ricordi si impilano come i fogli dattilografati a fianco di una macchina da scrivere della Olivetti, che ringhia ogni volta che va a capo. Quando mi tornano in mente quei tempi, quando i Duran Duran suonavano alla radio con quel video fichissimo di Wild Boys dove Simon Le Bon era legato ad una delle pale di uno pseudo mulino mezza sommersa e cantava, riporto alla mente il tac tac tac che risuonava in tutto il soggiorno quando scrivevo. Se non avessi mai avuto un computer probabilmente sarei impazzito. Troppi errori, cazzo. Volete mettere poter cancellare e riscrivere i pensieri mille volte senza mai doversi preoccupare? Affanculo la tecnologia ma grazie alla tecnologia.
Qualche tempo fa, non ricordo chi, mi chiese se i miei editoriali di Samhain avessero un senso compiuto nella loro formazione, se quindi mettessi ordine nei pensieri per importanza. Col cazzo, mi sono sentito di rispondere. I miei editoriali, soprattutto a Samhain, sono come i vortici che si creano nei fiumi e dove le foglie, attratte, si ritrovano a mulinellare pazzamente, come Burt Lancaster e Claudia Cardinale nel valzer del Gattopardo. Forse perché, proprio come in quel film, alla fine del ballo comincio a fare sempre un bilancio della mia vita.
È stato un anno di feste. Un anno di ritrovi. È stato un anno ma anche un inno all'amore. Un anno senza l'ippocastano. Un anno di separazioni dolorose. Forse come mai prima d'ora. E purtroppo non è destino che le cose migliorino. Da quel punto di vista, come dice Neil Young, noi usciamo dal blu per entrare nel nero ed è sempre meglio divampare che spegnersi lentamente.
Forse verrà un tempo in cui ci sarà possibile ricordare fin nei minimi particolari le cose belle che ci capitano e dimenticare la sensazione che quelle brutte lasciano dentro di noi. Ma belle o brutte che siano, tutto passa. Me lo disse una cara amica, anni fa, in un tempo che ora mi pare così lontano, come se osservassi il mio volto dalla superficie di Marte, seduto sul Rover Spirit ormai spento, con le gambe a penzoloni e davanti a me quella distesa così infinita di stelle, bellissima e inquietante. L'infinito mi ha sempre terrorizzato. Il record del film più spaventoso che ho visto è stato battuto. L'Alba dei Morti Viventi è stato scalzato agevolmente da Gravity. Ci ho riflettuto, in effetti e la conclusione cui sono giunto è semplicemente che la paura è la stessa. Solo appare in sembianze differenti: la manzanza di legami, l'essere privo di una via, di una possibilità di avere un punto di riferimento da cui partire e dove dirigermi. Non importa poi arrivare o non arrivare, se andare e non tornare. Basta solo sapere dove sono i miei piedi, dove il mio Muladhara possa trovare riposo e radice. Dove io possa, anche solo per malizia della mente, sentirmi al sicuro e far sì che le persone che amo si sentano al sicuro con me. Alcune verità sanno essere come i tapirulan che trovi agli aeroporti. Quando ci sali sopra e cammini ti viene concesso di guardare il mondo come se ti muovessi più veloce di Quick Silver. Ma è bene che non ci prendi molto gusto perché finisce presto e lo slancio ti fa cadere per terra. La vita, talvolta, ha la capacità di farti sentire come se il terreno ti mancasse sotto i piedi; a volte perché è come se ti avessero tolto la sedia da sotto il culo quando stai per sederti. A volte perché come il mio amico Ultraman svolazzi usando delle bombolette spray.
Ma ora mettiamo ordine. Non tanto. Un pochino.

  • Sono rinato urlando. Questa volta dalla parte opposta c'era e c'è sempre stato qualcun altro. Ho cambiato per la prima volta il punto di vista e mi è servito. Ho sentito un abbraccio caldo, paterno, incredibilmente accogliente e io mi sono sentito abbandonato. Per molto tempo, quando qualcuno mi metteva le mani addosso per farmi dei massaggi mi sono sempre sentito dire: "lasciati andare", "rilassati", "stai morbido". Mi erano incomprensibili quelle richieste. Anche quando io ero convinto di rimanere assolutamente morbido in realtà avevo difficoltà a lasciarmi andare. Credo di aver imparato, finalmente. Non è qualcosa che, quanto meno con me, funziona in modo istintuale. È una di quelle cose su cui ho dovuto disciplinarmi. Lasciare la presa e sentire il corpo che si arrende, il respiro che piano piano, gonfiando la cassa toracica, espelle le tensioni, ad una ad una e con esse veder svanire i pensieri, le preoccupazioni.
  • Ho ricominciato un nuovo ciclo con il gruppo di Studio di Janet e Gavin. Ho conosciuto persone nuove e imparato nuove cose, quanto meno sul modo di vedere quelle che già sapevo. E comunque no... per me l'athame rimarrà comunque aria e la bacchetta fuoco.
  • Ho parlato con una cara amica al telefono per l'ultima volta. Non potendo, ovviamente, sapere che sarebbe stato così. Ricordo la sua voce, così roca, così bassa, tinta di quell'amarezza che mi faceva barcollare, che mi ha fatto sentire impotente, privo di forze, indegno, incapace. Mentre ero lì, su quelle scale, seduto con il culo che mi si gelava sotto i jeans, ad ascoltare tutto quello che le stava capitando e sentirla dire, senza mezzi termini, tutto ciò che le passava per la testa nei riguardi delle delusioni che aveva provato, delle situazioni che era stata costretta a vivere e con cui doveva lottare ogni giorno, ricordo che mi balenò alla mente quella canzone che dice: "Eppure sentire nei fiori tra l'asfalto, nei cieli di colbalto c'è, eppure sentire nei sogni in fondo ad un pianto, nei giorni di silenzio c'è un senso di te". È stato quello il momento in cui mi sono reso conto di quante stronzate che riteniamo importanti possano condizionarci la vita in modo da indurci a non vedere più le cose da un punto di vista diverso, perché le diamo per scontate. "Sai, Danny", mi disse lei: "non ricordo più quali sono le mosse necessarie a mettersi in ginocchio". Rimasi senza parole a ciò che mi disse. Dentro di me piansi. Ma non piansi perché sapevo che, in qualche modo, la stavo perdendo per sempre. Piansi perché avrei voluto avere qualche potere utile a farla stare meglio, a scacciare quelle entità oscure che le orbitavano intorno e che non era mio potere gestire. Ma quanto di quello avrebbe fatto stare meglio me e quanto lei?
    Dopo quella chiacchierata mi sono iscritto ad un corso di yoga che tiene una delle ragazze che fa parte del mio gruppo di studio. Mi sentivo strano a dirglielo, ma le scrissi un sms in cui le confessavo che aver parlato con lei mi aveva spinto a fare quel singolo, stupido passo che è il riappropriarmi, quanto meno un po', del mio fisico. Temevo che potesse farla sentire male, dopotutto non aveva più modo di camminare, invece se ne rallegrò molto. Mi proposi di portarla giù per le scale in braccio quando fosse venuta al seminario dei Farrar, dove ci saremmo visti, dato che l'unico accesso alla sala è per una scala scoscesa. Ma non venne. E io perdetti un'occasione per vederla e salutarla. Il 29 di Gennaio esalò l'ultimo respiro e i miei sms dei due giorni precenti rimasero senza risposta.
    La morte ha un modo molto strano di entrare nella nostra vita. Stephen King parla di un tempo in cui non dovevi andare a scuola per imparare a conoscerla: ti entrava in casa e ti diceva "Salve!", a volte si sedeva al tavolo a cenare con te e a volte la sentivi che ti mordeva il culo. Io non so come sia stato quel tempo. Tuttavia perderla è stato qualcosa che mi ha ferito dentro. Ricordo che quando me l'hanno detto ero alla finestra. Fuori il vento serale muoveva le fronde degli alberi. Io le fissavo senza vederle, fino a quando il telefono mi è cascato dalla mano e mi sono accasciato al suolo. Le gambe non mi hanno retto. Polpetta, cogliendo il momento, mi è venuta in grembo. Lei sa sempre come prendermi. Undici anni insieme... è la relazione con una femmina più lunga della mia vita. Quanto meno per ora.
    Ci sono però voluti alcuni giorni per fare chiarezza e per mettere ordine dentro di me. Mi sono sentito perduto, immemore, distaccato. Ma una certa prospettiva razionale mi ha fatto raddrizzare e si è messa in parallelo al dolore, sempre vivo. Mi sono abbandonato alla sofferenza ma ho saputo vedere le cose in modo più calmo. È stato così che la domenica ci siamo messi in viaggio per andare ad Arezzo, a stappare alcune bottiglie di idromele in suo onore, assieme con chi l'aveva conosciuta e desiderava onorarla. C'erano un sacco di persone; molte di più di quelle che spererei di vedere al mio, quando verrà il mio momento. Lì sono riuscito ad avere una sua foto, scattata ad un matrimonio che, gentilmente, i due sposi hanno messo a disposizione. E, sai, hai lo sguardo sbarazzino; un'espressione a metà tra il pensieroso e l'esitante. Ogni volta che poso gli occhi sul tuo viso mi domando sempre a cosa stessi pensando, con quel dito verso il cielo. Sembravi in procinto di alzarti, di dire qualcosa, come se ti fosse venuta un'idea e quel dito era come la lampadina di Archimede. Porto quel tuo sorriso dentro al cuore. In tutti questi anni, passati a volerci bene, a discutere, ad avere da ridire, a sentirci in qualche modo estranei e poi ad amarci ancora, a cercare di mettere ordine nel disordine totale e globale che imperversa come una tempesta di ignoranza in tutto il nostro piccolo mondo di neopagani, sento di aver perduto tantissimo tempo e tanti momenti che potevano essere occasioni per dirti che eri speciale per me. Ma il rimpianto, come un timpano sordo che suona scordato in una camera vuota, attutisce la nostra capacità di essere consapevoli che non possiamo fisicamente, né emotivamente, essere ovunque allo stesso momento. Anche se lo vorremmo. Mi manchi tanto, piccola. Mi manchi tantissimo. E ci sono dei momenti in cui, quando mi occupo di tante piccole faccende quotidiane che fanno parte del vivere, mi torni alla mente come un lampo e io quasi allungo la mano per chiamarti, per mandarti un messaggio, solo per sentire come stai; ma è solo un momento di irrealtà e di fermo immagine. Come un immemore rimango per un istante bloccato nel tempo, per poi sorridere mestamente e ricordarmi che non posso più farlo. O quanto meno non puoi più leggerli. Così, in un modo che può sembrare stupido, magari, mando un sms a qualcuno che non sento da un po', solo per sapere come sta, come se la passa. In questo mondo, aneliamo all'unione in una continua ricerca, ma alla fine come nasciamo divisi rimaniamo divisi.
    Tra le ultime cose che ci siamo detti, l'otto di gennaio, fu il fatto che avevi propositi per i prossimi mesi. Volevi riuscire a camminare col tripode entro giugno, sistemare i tuoi quaderni e imparare a suonare la chitarra. Io ti dissi che ne avevi un quarto. Ricordo che la tua risposta fu: ???????. E io ti dissi che era di tenerti libera per i primi di maggio. Non mi hai mai chiesto per che cosa dovevi tenerti libera, ma ti fidasti di me al cento per cento. Non ho mai avuto modo di dirti perché, però. Questa è una cosa che mi fa male. Ma dopotutto fa parte del gioco, no? Ho esitato a dirtelo perché volevo fosse ufficiale... ed ho esitato troppo e non hai potuto saperlo prima che la dea ti reclamasse. È andata così e non possiamo farci assolutamente nulla. Ma ho quell'amaro nel cuore quando ci penso; quell'amaro che non se ne va, perché avrei dato qualsiasi cosa perché tu potessi esserci. Qualsiasi cosa.
  • Ho rimuginato a lungo. Molto a lungo. A lunghissimo a dire il vero. E non mi sembra nemmeno il caso di stare qui ad annoiarvi oltre con le migliaia di elucubrazioni mentali che ho fatto. Anche perché alcune di esse coinvolgevano anche situazioni che non sono proprio condivisibili in modo del tutto pubblico. Ma alla fine, beh... come dire, ho chiesto alla mia ragazza se le andava di sposarmi. E lei.. beh, non ci credereste (non volevo crederci nemmeno io) ma lei ha detto di sì. Mi ero fatto dei gran film sul modo, sul come e su tutto il resto. Troppe commedie romantiche alla Harry ti presento Sally, eh Danny? (Ti amo quando hai freddo e fuori ci sono 30 gradi. Ti amo quando ci metti un'ora a ordinare un sandwich. Amo la ruga che ti viene qui quando mi guardi come se fossi pazzo. Mi piace che dopo una giornata passata con te sento ancora il tuo profumo sui miei golf, e sono felice che tu sia l'ultima persona con cui chiacchiero prima di addormentarmi la sera. E non è perché mi sento solo, e non è perché è la notte di capodanno. Sono venuto stasera perché quando ti accorgi che vuoi passare il resto della vita con qualcuno, vuoi che il resto della vita cominci il più presto possibile!). Alla fine però mi è venuto fuori un po' così... come una barzelletta. Avrei voluto che fosse romantico, preciso, in ordine e invece... e invece non è stato così. Ma, come dice sempre lei: è stato nostro. È stato a modo nostro. E noi non siamo precisi, in ordine e il nostro romanticismo, quanto meno il mio, è del tipo fuori dal comune. Oh, beh, non ho preteso che mi dicesse sì subito, lì, in mezzo alla strada. Le ho detto di pensarci bene, che avrei aspettato il tempo necessario. Non è mica una decisione da prendere alla leggera. Passato qualche giorno però lei mi ha detto che ci aveva pensato e che era sì. Così abbiamo deciso la data e il luogo e ci siamo rivolti ad una persona speciale che ci ha permesso di forgiare i nostri anelli da noi e di farlo durante un rituale magico.
    A celebrare il matrimonio sono stati i ragazzi del nostro gruppo. È stato così che ci siamo trovati il 3 di maggio a Bologna, in quel giorno così piovoso, a celebrare un handfasting con tante persone che sono venute da Berlino, da Roma, da Genova, da Milano, da Bologna, da Mestre, da Verona, da Vicenza, da Padova, da Londra, da Napoli, da Parigi, da Torino, da Varese, da Trieste... e non mi ricordo più da dove e ci siamo trovati tutti lì. Tutti quanti. E c'erano quasi tutti. Ok, ok non potevano esserci tutti quanti, ovvio. Come tutti vorrebbero avere buon gusto e senso dell'umorismo ma è matematicamente impossibile che sia così. Tuttavia erano un bel po'. Hanno aspettato, con impazienza, che fosse tutto pronto. E cazzo se eravamo in ritardo. Ma alla fine la cerimonia è cominciata, ed è finita anche troppo presto.
    Io per tradizione non ho visto la donna che stavo per sposare fino all'ultimo. Ero di spalle, davanti all'altare, quando ha girato intorno al cerchio per unirsi a me. Quando l'ho vista... sono rimasto senza parole. Dire che era bellissima è sminuire la cosa. Era radiosa. Io a confronto mi sentivo goffo, spelacchiato e vecchio. Avvolto com'ero in una tunica bellissima e cucita a mano dalla mia futura suocera, con il mio cordone, il corno e i doni per i sacerdoti legati al fianco. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso; non riuscivo a credere di essere davvero lì, in quel momento, con lei. Dietro di me mia madre piangeva. Mio figlio teneva una tridacna con dentro i nostri anelli. E beh, la musica che avevo scelto come citazione: "I Do I Do I Do" degli Abba non partì al momento giusto causa problemi tecnici, ma in quel momento non me ne fregò proprio niente. Come non mi importò più del fatto che le candele potevano dare fuoco all'intero edificio, che avevamo chiesto per settimane, facendo offerte, che quando ci saremmo sposati non piovesse (e infatti piovve fino al mattino ma quando ci sposammo splendeva il sole - per la serie la magia non funziona - ma non potemmo sposarci nel luogo che avevamo scelto). In quel momento c'era solo lei e c'ero io. Il resto era come le patatine con un hamburger di soia. Non credo di essere mai stato così emozionato nella mia vita, a parte quando ho tenuto in braccio mio figlio per la prima volta. Ad un tratto il sacerdote ha chiesto se c'era qualcuno che avesse qualcosa da dire a riguardo della nostra intenzione di legare le nostre mani e l'unico commento che si è alzato è stato: "ERA ORA!". Quando ci siamo scambiati le promesse mi sono mancate le parole e ho incespicato. Poi avevo l'anello al dito e la tenevo per mano, mentre tutti ci soffiavano addosso le bolle di sapone che avevano sosituito il riso. Fu una bellissima festa, con le persone che amavamo e che volevamo vicine. Ovviamente, beh, mancava qualcuno, ma credo che, come le fu possibile, riuscè ad esserci anche lei.
    È stata una cerimonia indimenticabile. Tanto che credo che lo rifaremo. In un modo in cui potremo godercela in modo diverso, senza la tensione e la corsa e la fretta. Tanto, come dico sempre, la figata di essere neopagani è che possiamo sposarci una volta all'anno!
  • Ho finalmente rimangiato il cazzo di Winner Taco. Era uno dei miei gelati preferiti e l'avevano tolto dal mercato. Stronzi. Stronzi tutti quanti. Con tutti i gelati del cazzo che potevano eliminare e di cui nessuno avrebbe sentito la mancanza, tipo i ventisettemila tipi di Magnum o il Cremino (il Cremino, cazzo) hanno scelto proprio il Winner Taco. Ho passato notti insonni sognando di mangiarlo, rigirandomi nel letto e svegliandomi in un bagno di sudore. Ma alla fine ho saputo che c'è stata una coalizione di fedelissimi che hanno spinto una campagna sui social per far capire alla Algida quanto è stato grosso il loro errore. E quelli hanno capito e pensato bene di reintrodurlo. Ed è stato un bene che sia andata così, perché ci sono persone che sono disposte ad atti di tale portata, per ottenere alcune cose, che in confronto Rick Grimes è Enrico Papi.
  • Ho assistito all'assemblea sull'UCN perché mi fossero chiari tutti i dubbi sul progetto. Con me c'era una ragazza che rappresentava la nostra congrega e un membro dello staff a rappresentare il Reef. Abbiamo assistito a tutto ciò che è stato detto, ho ascoltato attentamente tutto e ho capito che per ora io non voglio prendere una parte attiva né pro, né contro. Ci tengo a dire che parlo a nome mio, non del Reef. La mia opinione può non essere condivisa da tutti i membri dello staff.
  • Poco prima di partire per la prima volta verso il Regno Unito a trovare alcuni amici, sono sceso in metropolitana dopo aver lasciato l'auto dal meccanico. Mentre attendevo l'arrivo del convoglio, mi sono trovato davanti ad una pubblicità che mostrava il mezzobusto inferiore di un uomo, pertanto dall'avambraccio in giù, che camminava nella neve. Lo slogan recitava: "Quando è stata l'ultima volta che hai fatto qualcosa per la prima volta?". Un tempo mi sarebbero balenate alla mente un sacco di cose che desideravo fare ma che continuavo a rimandare, ma quella volta ho sorriso. Già. Perché sarebbe stato il giorno dopo. Al che, prima di salire sul treno gli ho fatto un gestaccio e gli ho detto: "Tiè, pubblicità di merda! Col cazzo che mi fai sentire malinconico! Io domani vado a Londra per la prima volta!"
  • E così ho preso un aereo insieme a quella che era ancora solo la mia ragazza e sono stato a Londra, ospite da amici che si erano trasferiti lì. Ho assaggiato la colazione inglese che, anche se ho chiesto vegetariana mi è arrivata con il sanguinaccio, ho comprato dei Gingerbread Man per mio figlio sentendomi dire dalla panettiera: "Enjoy your gingerbread man!", mi sono fatto su e giù da tutte le metropolitane e ho visitato Camden Street, mangiato in posti tipici e visto le cose più strane, ho bevuto caffé da Starbuck's e visitato un negozio della Earls Grey, ho visitato tre librerie esoteriche, il Treadwell's Bookshop dove ho visto in bacheca la prima edizione di High Magic's Aid e la leggendaria Atlantis Bookshop, dove ho comprato una statua di Chernunnos. Là, al 49/A di Museum Street, Doreen Valiente, Gerald Gardner e i più grandi esponenti di occulstimo del secolo scorso si davano appuntamento per discutere. Tra questi anche Aleister Crowley. Ho anche viaggiato sui famosi autobus a due piani e visitato la china town londinese. Londra è bellissima, vasta come mai noi italiani possiamo immaginare, piena di negozi che vendono cose così strane che non si capisce come potrebbero mai sopravvivere al di fuori di lì, ma è anche dannatamante piena di italiani. Siamo ovunque, ragazzi e mi sono reso davvero conto di come sia facile apparire odiosi agli occhi stranieri. Mi sono vergognato, davvero, della mia etnia. Quelli che ho incontrato mi sono apparsi chiassosi, maleducati, irrispettosi, fuori luogo. Quando li incontravo per la strada non volevo sentirmi parte di loro; mi sembravano una marmaglia priva di controllo. È stato davvero frustrante e orrendo rendermi conto di tutto questo.
  • Sono stato in vacanza in Francia questa estate. Per la prima volta anche lì. Ho visitato alcuni posti della Provenza, dove ahimé, la lavanda era già stata raccolta, ma ho visto Avignone, Orange, Salon de Provence, Aix de Provence, Arles e Nimes dove c'erano rovine romane. In particolare a Nimes c'era il tempio di Diana. Fuori c'era una stupenda fontana con cigni dove l'acqua riempiva il bacino con i porticati delle vecchie terme dove nuotavano pesci rossi grossi come tonni. Sono stato nella casa di Nostradamus (delusione INFINITA), ho visto i tori pascolare liberi e ho mangiato la paella valenciana, ho visitato la Camargue e ho notato come non mi siano piaciute un sacco di cose. I posti sono bellissimi e degni di nota ma il cibo è pessimo e costa anche un sacco, inoltre le persone mi sono apparse molto poco cortesi. Ma forse, come sempre, è l'effetto dell'essere italiani. Sono giunto alla conclusione che quando andiamo all'estero dovremmo portarci la schiscietta.
  • Ho visitato il tempio di Diana a Nimes. Un posto incredibile ma tenuto malissimo. C'è una pessima abitudine francese, oltre a quella di mettere il prosciutto e l'anguria nell'insalata e la salsa barbeque nella pasta, ed è quella di non portare alcun rispetto per i monumenti. Siano essi di origine cristiana o pagana. Ho visto le mura deturpate di santuari, chiese e templi. Dentro c'era ancora una certa energia. Insieme con mia moglie abbiamo quindi lasciato un'offerta votiva per onorare il luogo e la divinità.
  • Mi sono fatto un nuovo tatuaggio. L'esperienza nella Caverna dei Gatti in Irlanda è stata decisamente forte e appena uscito ho capito che desideravo tatuarmi. Ho impiegato un po' in effetti ma alla fine ho trovato un tatuatore e gli ho portato il disegno. Ora il simbolo della Morrigan mi onora il braccio destro. E sono pronto per il terzo...
  • Ho scoperto che Scott Cunningham, durante la stesura dell'Enciclopedia delle Piante Magiche, deve essersi fatto di qualcosa di strano, dato che afferma che "i semi di felce rendono invisibili". Seeeee, Scotty, e poi ci sono le marmotte che chiudono la cioccolata...
  • Ho assaggiato il cazzo di Quorn. Proteine dei funghi. E ovviamente ho constatato, ancora una volta, come sia facile che con una situazione si verifichi anche l'altra: tanto più che una cosa è buonissima, utile, intelligente, innovativa allora, in Italia è impossibile trovarla.
  • Ho ricevuto la terza iniziazione. Un rito bellissimo e impegnativo. Ci sono stati un paio di momenti in cui ero quasi commosso, ma alla fine l'ho superata e ha portato con sé molta bellezza.
  • Ho sposato una coppia di cari amici in un rito unico nel suo genere, insieme con un Ovate del circolo druidico e uno sciamano di tradizione andina. Abbiamo scritto il rito assieme e siamo riusciti a combinare diverse tradizioni per farlo funzionare al meglio. È stata un'esperienza che mi ha insegnato e che mi ha arricchito moltissimo. Al matrimonio ho rivisto persone che non vedevo da un po' e conosciuto anche qualcuno che non avevo mai avuto la fortuna di vedere di persona. La festa è stata bellissima, il tempo magico e l'ambientazione unica. E poi io, che sono un romantico, mi sono commosso un sacco a sposare due cari amici come loro. Rivedere il modo in cui si guardavano negli occhi durante le promesse, mentre legavo le loro mani, mi ha fatto rivivere il momento in cui ero io a farmi legare le mani con mia moglie. Immagino che per loro, vedere noi legare le mani sia stato una sorta di anticipazione. Sono certo di una cosa: è stato un grandissimo onore e un immenso privilegio. Amatevi come sapete, non come dovete.
  • Ho tenuto tra le braccia la piccola Lucrezia, figlia di Aradia. Era così leggera, piccola... bellissima, con i suoi pugnetti, che mi ha fatto tornare indietro di nove anni. Darle da mangiare mi ha riportato con un balzo ai primi tempi, quando Morgan era neonato. A Bologna, quando Aradia è venuta con lei, ho visto Morgan portarla a passeggio e mi ha ispirato una tenerezza incredibile. Cresci con calma, piccola, non avere fretta.
  • Ho scioperato davanti alla sede della mia azienda, e con me c'erano altri cinquanta colleghi. Al momento ci sembrava che stare sul piede di guerra fosse funzionale ad ottenere dei risultati ma alla fine... come spesso accade, le cose sono finite nel dimenticatoio e siamo finiti a rimbrottare alla macchinetta del caffé. Spero vivamente che ci sia un ritorno di fiamma.
  • Ho favorito Morgan nel vincere un premio di un concorso di disegni indetto dalla Bracco. E alla fine ce l'ha fatta con il suo disegno delle Pringles intitolato: "Il mal di pancia". Era felicissimo di aver vinto.
  • Ho assistito alla sua prima partita di rugby. Si è scelto una squadra vincente. Era un torneo con sette squadre e alla fine hanno piallato uno dopo l'altro tutti gli avversari. E quella è stata solo la prima delle vittorie. Praticamente ogni volta che giocano vincono. Non voglio immaginare come si sentano le altre squadre. O forse, diciamocelo, lo so benissimo come si sentono le altre squadre. Quando io giocavo a calcio (sì purtroppo) eravamo dei perdenti: calcolavamo i punti sui pareggi.
  • Ho partecipato ancora alla battaglia di Gondor in veste di Uru-Kai. Io e Morgan ci siamo di nuovo scontrati in campo aperto. Questa volta, però, mi sono riservato un martello a due mani ed una spada e ho lottato furiosamente. Abbiamo, ovviamente, preso tante di quelle botte che mi basteranno almeno fino all'anno prossimo. Gli elfi portavano degli scudi di legno e delle spade che facevano un male cane e che non mancavano mai di picchiarti addosso con una cattiveria tutta infantile. Sono vivo per miracolo... ma come tutti i supercattivi che si rispettino anche io ho giurato vendetta con il mignolo all'angolo della bocca e un gatto sulle gambe. Non è finita qui. Col cazzo che è finita.
  • Tornando a casa dal lavoro, a maggio, ho trovato un passerotto bloccato sul mio balcone, che ha una rete atta ad impedire ai miei gatti di uscire e che serve anche come mini-difesa per ingressi estranei (fisici). Non ho la minima idea di come abbia fatto ad entrare perché non c'era alcuna parte lesa nella rete. Appena ho aperto la finestra ovviamente Polpetta è arrivata subito, dato che non aspettava altro. Fortunatamente nei miei gatti è più forte l'ascendente dello stomaco che dell'istinto di caccia, perciò li ho chiusi fuori sull'altro balcone a mangiare mentre io cercavo di liberare il piccolo uccellino. Dopo svariati tentativi sono riuscito a prenderlo in mano e posizionarlo sul davanzale oltre la rete, attraverso una fessura che ho aperto apposta, dove è volato via su un ramo e si è fermato lì per almeno mezz'ora, immobile, forse per riprendersi dallo shock. Alla fine non l'ho più visto, quindi suppongo che si sia ripreso, fortunatamente. È stato qualcosa che mi ha molto colpito perché entrare oltre la rete che ho messo è pressoché impossibile e non ho la minima idea di come ci sia riuscito
    Da buon pagano ho cercato il simbolismo del passero. Che sia mai che ci lasciamo sfuggire qualcosa!
  • Sono tornato al Basilico per un campo pagano a Lughnasadh. Ho conosciuto persone interessantissime e ho passato dei momenti veramente intensi e degni di nota. Ha piovuto, ovviamente, ma c'era da aspettarselo con l'estate del cazzo che ha fatto. Ho avuto però modo di rivedere persone che non vedevo da tanti anni e riabbracciarle mi ha aiutato a mettere ordine in alcune situazioni. Ho cucinato tantissimo e mi sono divertito un sacco. Inoltre ho provato a suonare il didgeridoo senza successo, ho fumato una canna così forte che sono quasi collassato sull'amaca per quasi tre ore, ho giocato a Talisman per la prima volta e ho fatto scherzi crudeli alle persone, nascondendomi nel sottoscala e intimando con voce baritonale a chi passava che potevo vederli. Spero vivamente che sia possibile rifare. Mi è piaciuto tornare a quell'esperienza in tenda, nel buio del bosco, con il baluginio del fuoco. E proprio mentre la sera ci trovavamo sui tronchi, seduti a raccontarci cose, a cantar canzoni, mi sei tornata in mente, come tanti anni prima, sempre lì, davanti a quel fuoco, all'ombra della sua luce. Ti avevo detto che ci saremmo rivisti là. Aspettami ancora un po', ora. Cercherò di non tardare. Quando il tempo arriverà ci rivedremo di nuovo.
  • Ho riletto IT per la terza volta.
  • Dopo un anno ho cambiato di nuovo sede, e di nuovo lavoro. Sono stato spostato in Mediobanca per un'attività della durata di tre settimane e li ho incontrato per la prima volta il concetto di Business Continuity. Mi hanno fatto istituire oltre settanta pc nell'eventualità in cui nella sede principale dovesse, per qualche motivo, rendersi necessario evacuare. In questo modo i dipendenti potranno spostarsi di sede e continuare a lavorare. Insomma un sistema da pazzi. L'ambiente era molto rigido nella sede centrale, dietro la Scala di Milano. Ma in pausa pranzo ero sempre alla Libreria Esoterica o mi godevo le modelle che passeggiavano per la Galleria Vittorio Emanuele, le turiste che pestavano i coglioni del toro (ormai inesistenti - quando ero bambino erano ancora visibili), i piccioni che davano da mangiare il mais ai passanti sul sagrato del Duomo. Non era male. Alla fine però sono tornato in magazzino, dove mi trovo ancora adesso tranne che per alcune pause in Sky, ad inseguire utenti su per gli otto piani a ferro di cavallo della sede. E qui si sta veramente bene.
  • Ad un certo punto una ragazza del mio gruppo mi ha raccontato della "SFIDA DEI 100 GIORNI". Si trattava di fatto di un impegno secondo il quale, per 100 giorni, si doveva scattare una foto di un momento felice e la si postava su un social. Io, che non ho social e che non potevo postare foto non avendo uno smartphone, ho deciso comunque di partecipare, mettendo per iscritto, ogni giorno, un evento che mi ha fatto sentire felice. L'ho cominciata e sono stato tra i pochi, a quanto ho capito, che l'ha portata avanti fino alla fine: per 100 giorni consecutivi, senza saltarne nemmeno uno, ho tenuto traccia dei miei momenti positivi. Anche solo un momento in cui mi sono sentito felice. Credo che sia stata un'esperienza davvero incredibile. Mi ha insegnato, innanzitutto, la forza del vedere le cose in modo positivo. Mi ricordo di un giorno in cui ho aperto il conto on line e ho visto che ero quasi in rosso. Normalmente avrei vissuto la cosa in modo negativo, mentre quella volta scrissi sulla mia lista: "Anche questo mese sono solo riuscito a sfiorare il rosso in banca". È vero che tendiamo a dimenticare i momenti belli delle nostre giornate per focalizzarci su quelli brutti. Non sono solo fandonie filosofiche, tantriche e tutto il resto. Non credo che sia una questione di forza delle esperienze, bensè di incapacità di mantenere un equilibrio mnemonico di ciò che ci capita. Questa esperienza mi ha aiutato a ripristinare, quanto meno un po', questo equilibrio e mi ha fatto apprezzare la mia vita in modo diverso e più completo.
  • Ho adottato Patata, una micia che è venuta qui a farmi visita al magazzino per qualche tempo. Le ho comprato delle pappe e l'ho nutrita e coccolata, al punto che mi veniva a cercare fin dentro il laboratorio, sfidando le persone e i rumori delle macchine, per chiamarmi. Cosa ci faccio io alle gattine eh??
  • Ho riconsacrato la Cabotina di ritorno dalla Francia.
  • Ho comprato nuove statuette di divinità di Thot, Chernunnos, Atena, Hermes ed Hera.
  • Dopo vent'anni ho finalmente visto la serie completa dei Cavalieri dello Zodiaco quando combattono contro Arles. Ed è stata una figata.
  • Ho appreso nuovi modi per favorire l'evoluzione delle entità.
  • Ho scovato per caso un vecchio video sul telefono e ho rivisto una vecchia amica come se fosse ancora qui con me.
  • Ho visto crescere le mie piantine di Oestara per la prima volta. Ogni anno il vasetto mi si rovesciava, mi cadeva, si spaccava, le piantine non crescevano... forse questa volta l'intento è stato formulato meglio.
  • Ho sconfitto quel figlio di mignotta di Garrosh Malogrido. Già. E quando verrà il momento sarò in prima linea. Sì perché la Legione di Ferro sta arrivando per marciare su Azeroth ancora una volta. Ma mi troveranno pronto. Oh sì E falcerò le loro fila come grano maturo. Impalerò le loro teste fuori dai bastioni della mia fortezza, una a fianco all'altra; a monito e memoria. Berrò vino d'annata dai loro crani, darò le loro carni in pasto ai loro figli, darò loro la caccia fino alla fine del tempo e del mondo. Del loro come del mio. Non avrò alcuna pietà. Li schiaccierò come insetti. Quando arriverò io tremeranno dalla paura, dal primo all'ultimo. All'udire del mio nome si inzacchereranno i gambali delle loro evacuazioni. E io non avrò alcuna pietà. Anche quando mi guarderanno imploranti, sanguinanti, con le mani atte a trattenere i loro sordidi visceri dentro il ventre dilaniato io non darò loro tregua. Li osserverò morire lentamente, ad uno ad uno. E poi danzerò sulle loro carcasse fumanti.
    Sì. Warlords of Draenor sta per uscire. E io, in effetti, sono un po' impaziente. Ma solo un pochino.
  • Ho organizzato una festa di compleanno memorabile per Momo con tanto di caccia alle stelle.
  • Ho fatto ciò che dovevo. Ho spaccato ciò che dovevo spaccare, bruciato ciò che dovevo bruciare e dentro, ho sentito che qualcosa andava in frantumi, come uno dei cocci che appendevamo agli alberi, pieni di dolci, per colpirli con i bastoni. Solo che dentro, questa volta, non c'erano caramelle, ma ossa. E quando alla fine, dopo averlo bastonato ripetutamente, si è aperto con un rumore sordo, il contenuto è crollato al suolo in una nuvola di polvere, disegnando in modo scomposto un messaggio del tutto chiaro, come fossero astragali. Non avrei voluto guardare. C'era una parte dentro di me che mi diceva che non era bene che io guardassi perché le risposte le sapevo già e non aveva senso. Ma io non ho discosto lo sguardo e ho guardato. E ho pianto perché mi sono sentito come quella volta, quando avevo nove anni, in cui ho preso la metropolitana senza aspettare mia mamma e sono andato nella direzione sbagliata e mi sono perduto. Ricordo che sono sceso dal convoglio e sono salito sulla scala mobile. Avevo la testa leggera e mi sembrava lontana dalle gambe, dal corpo. Dentro la marea si stava alzando e io ho cominciato a piangere perché non sapevo dove fossi e cosa avrei dovuto o potuto fare. Ero a solo 500 metri da casa ma era come se fossi sulla Luna. Una giovane donna mi si avvicinò e gentilmente mi accompagnò al mezzanino dell'ATM dove il controllore chiamò sull'interfono il nome di mia madre, che nel frattempo mi stava cercando ad ogni fermata. Tempo cinque minuti e fu lì con me. Ma io ricordo bene quella sensazione. E fu la stessa che ho provato questa volta. Solo che non avevo più nove anni. Ne avevo 36.
  • Di ritorno dal lavoro ho incontrato un vecchio amico che non vedevo da tanti anni. Ho parlato con lui della mia vita, della sua e alla fine ci siamo riscambiati i numeri. Ma sono passati mesi... e ancora non ci siamo rivisti. Alcune promesse... che strano effetto che fanno. Se non le pronunci sei un villano. Ma poi non lo sei se non riesci a mantenerle.
  • Ho accettato di scrivere un articolo sul punto di vista di un eclettico nei riguardi della festa di Samhain. Se tutto va bene e se le associazioni che se ne occupano riusciranno a racimolare i soldi in donazioni, andrà a far parte di un libro sulle vere origini di Samhain, ad opera di autori vari. In un primo momento mi è parso strano dover raccontare come si celebra da un punto di vista eclettico perché di fatto, per sua natura, non esiste un punto di vista eclettico ma ne esistono molti. Alla fine quindi ho preferito parlare di come vivo io questa festa. Non so se vedremo mai il risultato, ma ho fatto del mio meglio.
  • Ho ricevuto un sms da Gabriella Simoni. Sì, la giornalista di Italia 1 che cercò in ogni modo di intervistarmi qualche anno fa per Italia 1 Live. Ad un primo momento temetti che si fosse rigettata alla carica, dato che era sempre in questo periodo che ci aveva provato la prima volta, ma alla fine ho visto che stava solo mettendo ordine nella rubrica e voleva sapere chi ero. Se devo essere onesto sono stato tentato di risponderle: Sono l'ultimo di una razza in estinzione. L'ultimo superstite di un pianeta morente. Sono venuto a rapire tutte le donne, a violentare tutti gli uomini e a imparare il twist!. Però non so se avrebbe capito la citazione. Beep Beep Danny!
  • Ho assistito allo spettacolo annuale di mia nipote a teatro. Questa volta il soggetto era un Amleto revisitato. Lei è sempre più brava. Ha talento. Davvero. E si sta facendo dannatamente grande.
  • Ho regalato a mio fratello una maglietta per il suo compleanno. Sopra sono elencate le dieci regole per uscire con sua figlia. Regole FERREE. La più divertente credo sia: QUALSIASI cosa tu fai a lei, io la faccio a te. Mi ha fatto morire.
  • Ho visto Franco Battiato dal vivo. Concerto memorabile.
  • Ho celebrato un Lughnasadh con il solo gruppo di studio ed è stato magico.
  • Ho contribuito, nel mio piccolo, ad aiutare chi era rimasto indietro.
  • Ho bruciato reliquie del passato.
  • Ho buttato via un sacco di vecchi estratti conto, di multe, e ho regalato via un po' di libri. Alcuni ad una biblioteca pagana, altri a chi desiderava averli.
  • Ho trovato alcuni vecchi film revival che non vedevo da tempo immemorabile.
  • Mentre ero in Francia ho saputo di Robin Williams. La notizia mi ha colpito non poco. Era uno dei miei attori preferiti in assoluto. Non sono stato però sorpreso di sapere che si è tolto la vita. Spesso le persone che hanno un forte lato di spirito e che sprizzano vitalità da tutti i pori hanno anche un incredibile lato oscuro. Per quanta alta sia una montagna, tanto che può solleticare le nuvole, altrettanto profondo è l'abisso che esiste ai suoi piedi, tanto che può giungere fin nelle viscere buie e insondabili della terra. Io, dentro, lo so che tutti prima o poi devono morire. Anche i membri dei Kiss seguiranno Eric Carr e, per quanto ci sembrerà strano, anche Mick Jagger prima o poi dovrà seguire Brian Jones, esattamente come Paul, che doveva essere morto ai tempi di Abbey Road, probabilmente vede da lontano Ringo, George e John che lo salutano con la mano. Tuttavia mi rendo conto di quanto l'irreale senso di invincibilità che alcune persone portano con sé abbia ancora un certo ascendente su di me.
  • Ho riallacciato con due persone con cui avevo interrotto i rapporti alcuni anni fa. Ho voluto andare avanti.
  • Nel corso di questo anno, ho pensato spesso al concetto di "momento". Alle volte in cui attendiamo "il momento giusto", alle volte in cui pensiamo "che sia il momento", a quando sentiamo che qualcosa "dura solo un momento", a quando invece "il momento è dilatato nel tempo". Prima di chiedere la mano di mia moglie alla sua legittima proprietaria, ossia lei stessa, sono rimasto schiavo di questo concetto per giorni e giorni. Quando ormai ero sicuro della mia scelta ho atteso comunque che arrivasse un fatidico "momento giusto". Come dicevo prima, questo momento non è mai arrivato semplicemente perché io attendevo qualcosa che non esisteva nella concezione umana. Perché Bonanza, in Radiofreccia dice giusto: la vita non è perfetta. Le vite nei film sono perfette. Belle o brutte, ma perfette. Nelle vite nei film non ci sono tempi morti. La vita è piena di tempi morti. Nei film sai sempre come va a finire. Nella vita non lo sai mai. Io aspettavo di poter avere la situazione da film. Lo so, sono un romantico del cazzo. Ma poi ho realizzato che quella situazione non poteva arrivare e se avessi atteso troppo a chiederle di sposarmi sarebbe potuto succedere qualcosa, qualsiasi cosa, e il momento sarebbe passato. E io avrei perso la mia occasione di cercare di rendere felice la persona che amo e perché no, essere felice con lei. E certo, non serviva mica sposarsi per farlo, ma sentivo che ero maturo per chiederglielo.
    Una volta, tanti anni fa, entrai in una classe, era una terza media, per salutare la mia vecchia professoressa di italiano. Quando fui davanti ai ragazzi lei mi chiese di dir loro qualcosa, di passare la mia esperienza della vita a quella nuova generazione tutta in evoluzione. Avevo appena lasciato la mia band e tutto mi sembrava assieme caustico e floreale. Al che io dissi solo: "Posso solo dirvi qualcosa che sentirete spesso nella vita. Ma alla fine la novità è la cosa più vecchia del mondo. Non lasciate mai nulla di intentato. Non lasciate nessun progetto nel cassetto. Non rimandate mai un abbraccio o un bacio per un momento migliore. Non lasciate che nessuno, nemmeno le vostre divinità, vi dicano mai chi dovete essere. Non permettete al mondo di determinare chi siete. Quando credete che qualcosa sia la cosa giusta da fare, consultatevi con qualcuno che ne sa di più e poi con qualcuno che non ne sa un cazzo. E dopo fate ancora come credete che sia giusto".
    Il momento, quell'attimo catartico che c'è e che non c'è... passa. Cazzo, sì. Porca schifa se passa. Passa in un istante. E il più delle volte passa nel tempo che si impiega a riflettere, a rimandare, a pensare che ci sarà un'altra occasione. Può darsi che ci sarà. Ma può darsi che no. Ho atteso il momento giusto per dire ad un'amica che mi sposavo e non ho fatto in tempo a dirglielo. Ho rimandato per andare a trovarla e non ho fatto in tempo a salutarla. La dea l'ha reclamata a sé prima di quanto abbia impiegato io a decidermi. E tutte le scuse idiote che avevo di scorta, nel mio enorme magazzino delle scuse, potevano anche avere senso in quel momento: i soldi, il tempo, la gestione di Morgan. Ma la realtà era un'altra. E io, dentro lo sapevo fin troppo bene quale fosse: io non sono andato da lei e non le ho detto che mi sarei sposato perché avevo paura di pensare che non ne avrei avuto il tempo in seguito, che non avrei avuto un'altra occasione. Ma mi sbagliavo. Mi sbagliavo quasi quanto chi negli States pensava che la guerra in Viet Nam sarebbe finita subito e che l'America avrebbe vinto. Pertanto ora, quando penso al "Momento", e parlo di quello con la M maiuscola, come ho fatto in questo anno in particolare, mi dico che spesso l'etica, la morale, la finta saggezza spicciola, il bisogno della certezza del futuro ci frenano e basta. Ci nascondono la verità delle cose: ossia che noi abbiamo paura, spesso, di agire quando sentiamo che è giusto farlo. Perché non vogliamo pensare che potremmo non avere un'altra occasione. Perché non vogliamo pensare che potrebbero non arrivare tempi migliori. Il nostro bisogno di vedere le cose in modo evolutivamente migliorativo ci fa stare bene. E noi abbiamo un santo cazzo di bisogno di stare bene. Noi dobbiamo andare avanti. Noi dobbiamo guardare al futuro con speranza. Ma dobbiamo anche mettere equilibrio in questo: se ogni giorno fosse migliore del precedente, come ogni uomo si augura, il giorno migliore della vita di un uomo sarebbe, infine, quello della sua morte.
    Un tempo, quando non ero in grado di avere una relazione stabile, quando andavo a donare il sangue all'Avis e la dottoressa, con quel sorriso complice e divertito mi disse: "Capisco che lei non riesca a stare fermo, ma se non ha una relazione stabile con una persona per almeno tre mesi, per quanto le sia grata, è inutile che venga qui a cercare di donare il sangue", una persona ormai lontana, su un vecchio divano smangiato dalle unghie dei gatti e dalle tarme che non voleva buttare perché apparteneva a sua nonna, mentre beveva una tazza di tisana, mi domandò se riempiendo la mia vita di così tante vicissitudini non corressi il rischio di renderla, infine, un mancato evento. Oh, beh... io ero troppo giovane, troppo stupido, troppo ignorante del mondo e della vita per capire l'ampiezza del raggio di quel concetto. Adesso, però, con qualche manciata di anni in più sulle spalle, a ben pensarci, mi rimembra una ballata dell'Ulster che ci lesse la maestra elementare nel lontano 1986 e che io ascoltai con la testa appoggiata sul banco, come mi piaceva rimanere quando mi venivano raccontate le storie. Chi cavalca così tardi per la notte e il vento?. Mi sconvolse nel mio piccolo perché parlava di un padre che cavalcava con il figlioletto nella foresta di notte e il piccolo venne ammaliato dal Re degli Elfi, che cercava di convincerlo ad unirsi a lui nel regno fatato. Per quanto il figlio cercasse di far capire al padre che cosa stava accadendo, l'uomo non volle vedere, continuando a cercare di convincere se stesso e lui che ciò che vedeva il bambino erano solo immagini nell'oscurità o ciò che sentiva fosse solo il vento tra i rami. Quando si accorse che si stava sbagliando però era troppo tardi: il figlio era ormai morto, rapito dal Re degli Elfi. Così, quando mi posero quella domanda, in quel soggiorno saturo dell'odore di resina, ricordo che mi parve scomoda. Come sempre capitava quando non volevo rispondere, tentennai e mi alzai, bazzecolai vicino all'altare di Yemanjà disseminato di conchiglie e stelle marine e, alla fine, credo che risposi più per cortesia e per assecondare il discorso che per reale capacità di mettere ordine dentro e trovare una conferma. Ovviamente risposi che no, non lo era. Ma fu solo un placebo mentale. Un placebo per la MIA mente. Lei sorseggiò la sua tisana lentamente. La tazza fumava e il vapore le appannava le piccole lenti che aveva indosso per correggere la presbiopia. Mi guardò da sopra quegli occhiali e io vidi in quello sguardo che la foglia se la stava masticando da un bel pezzo. Conosceva il suo sapore a menadito, il retrogusto amaro della celluloide, la consistenza lievemente collosa, la ruvidezza della nervatura. Chi volevo prendere in giro? Tuttavia non disse nulla. Semplicemente rimase urbanamente in ascolto delle futili impalcature di parole con cui mi riempivo la bocca. Come sosteneva Ford Prefect in un primo momento: le bocche degli esseri umani devono rimanere in continuo esercizio a parlare per evitare di rimanere inceppate. Ma dopo avere osservato e riflettuto per alcuni mesi, Ford aveva abbandonato questa sua teoria per un'altra. Aveva pensato che se gli esseri umani non si esercitavano in continuazione ad aprire e chiudere la bocca, correvano il rischio di cominciare a far lavorare il cervello.
    Quanta saggezza spicciola in un singolo romanzo così demenziale, vero? E noi che ce la andiamo a cercare dai filosofi greci che cercarono di spiegare il perché che si cela dietro alla ricerca dell'ovvietà sul perché esiste un'ovvietà nel funzionamento delle cose. E alla fine, morivano avvelenati, bruciati vivi, ricoperti di sterco e sbranati dai cani, trucidati, lasciando dietro di sé concetti che non ci è mai concesso di capire interamente se non interpretandoli con metri che non sono più adatti di quelli che useremmo noi per giudicare la società delle forme di vita delle barriere coralline. Eppure, nella sua semplicità, Epicuro non si domandava quale fosse il concetto legato alla morte stessa in quanto atto di morire, ma la paura della morte come fine dell'esistenza. Al punto che questa emozione arriva a turbarci in tumultuosi pensieri impedendoci di raggiungere una pace e una serenità che sarebbero sovrane del buon vivere. "Abìtuati a pensare che nulla è per noi la morte, poiché ogni bene e ogni male è nella sensazione, e la morte è privazione di questa. Per cui la retta conoscenza che niente è per noi la morte rende gioiosa la mortalità della vita; non aggiungendo infinito tempo, ma togliendo il desiderio dell'immortalità. Niente c'è infatti di temibile nella vita per chi è veramente convinto che niente di temibile c'è nel non vivere più. Perciò stolto è chi dice di temere la morte non perché quando c'è sia dolorosa ma perché addolora l'attenderla; ciò che, infatti, presente non ci turba, stoltamente ci addolora quando è atteso. Il più terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte noi non siamo più. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c'è, e i morti non sono più. Ma i più, nei confronti della morte, ora la fuggono come il più grande dei mali, ora come cessazione dei mali della vita la cercano. Il saggio invece né rifiuta la vita né teme la morte; perché né è contrario alla vita, né reputa un male il non vivere. E come dei cibi non cerca certo i più abbondanti, ma i migliori, così del tempo non il più durevole, ma il più dolce si gode. Chi esorta il giovane a viver bene e il vecchio a ben morire è stolto, non solo per quel che di dolce c'è nella vita, ma perché uno solo è l'esercizio a ben vivere e ben morire".
    Dove sono finiti i giorni? Andati, svaniti, scomparsi. Vissuti, celebrati, goduti. E i fiori? Dove sono finiti i fiori? Appassiti, calpestati, marciti. Seminati, sbocciati, raccolti. Ma noi siamo ancora qui. E un giorno andremo e altri verranno e poi torneremo.
  • Per questo il mio momento, adesso e domani, sarà il passare dal velo, fuori dal blu e dentro al nero.