The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Etimologia delle Rune

 

 

 

Etimologia delle Rune


A cura di ddrwydd

 

FEHU

FEHU deriva dall'antica radice proto Indo-Europea peku- col significato di bestiame, che era il patrimonio dei popoli antichi, e quindi il valore di peku- fu immediatamente associato alla ricchezza che scaturiva dalla proprietà degli armenti.
È evidente l'alternanza consonantica dal grado forte a quello aspirato della p in f e della k in h.
Da peku- derivano molte parole in molte lingue, antiche e moderne collegate al bestiame ed alla ricchezza, vediamone alcune.
In latino troviamo pecus, che non è propriamente solo la pecora o il gregge, ma più in generale il bestiame, e quindi in presenza di un pecus equinum, noi saremmo di fronte ad una mandria di cavalli. E per il fatto che gli animali erano anticamente considerati come riferimento economico nelle transazioni commerciali, si può facilmente intuire il significato intrinseco di pecunia.
In inglese troviamo fee, che è la somma da pagare, e da qui a feud il passo è molto breve, perché il feudo non è altro che un possedimento, una proprietà.
In tedesco l'assonanza di fehu con vieh (bestiame) è evidente, e da qui possiamo tornare in Italia con i Longobardi che ci regalarono il fio (quello da pagare, arcaicamente parlando), nel senso di tributo, di traslazione di ciò che uno possiede nelle mani di un altro. Molto interessante è il termine pistoiese "feudino" (con due accezioni: persona furba e/o persona che veste con estrema ricercatezza) che deriva proprio dal longobardo "fehu" (sempre col significato di bestiame). In entrambi i casi il termine pistoiese sottintende comunque un riferimento alla ricchezza (in un caso ricchezza d'ingegno e nell'altro possibilità economica di potere vestire in maniera ricercata), e ciò è di grande aiuto nel ricostruire l'etimologia del termine: fino a tempi recenti il bestiame era, come detto, la ricchezza più importante e tale significato è passato anche nell'espressione "pagare il fio" e nel composto, ormai desueto, di metfio (come "dono del fidanzato alla fidanzata che viene consegnato il giorno delle nozze - il fio della meta, cioè delle nozze"). Troviamo traccia di metfio addirittura nell'Addizione di Liutprando all'Editto di Rotari (712) "...Illa vero, si ad alium maritum ambolaverit, et ipse puerolus eam habere noluerit, non ei possit vir suus, qui eam tollit, pleniter metfio dare, sicut ad aliam puellam, sed tantumodo mediaetatem, sicut ad viduam mulierem...."

URUZ

URUZ è generata da una radice ur- decisamente germanica per indicare qualcosa di di primordiale, originale, e vedremo poi come queste parole si intérsechino con la stessa ur- primitiva, ed in varie lingue.
Uruz è, in pratica, l'uro, il toro primordiale, in inglese auroch.
Ur si ritrova con vari gradi di apofonia vocalica in terminologie che possono essere ricollegate a qualcosa di primigenio, di originale, come origine, ed originale, appunto (con il suffisso -geno per indicare la generazione).
Il latino orior (nascere, venire alla luce) è quindi da annoverare tra i più importanti esempi della mutazione della vocale iniziale, e non dimentichiamo che da orior nasce anche l'oriente, tanto per restare in qualcosa di divino che nasce. Il divino di Ur è facilmente riscontrabile in Urano (col suffisso derivativo -ano, presente in moltissime lingue del Vecchio Continente). Urano è quindi quello che viene dall'origine, come Vulcano è quello che viene dal fuoco, Giano e Diana vengono dalla luce, e proseguiamo con le provenienze come italiano, romano, africano ecc., oppure umano, urbano, isolano e così via.
Tornando alla Germania dei giorni nostri, possiamo trovare la nostra Ur in ursprache che è il linguaggio originale, ma anche in parole meno auliche e più alcoliche come la Pilsner Urquell (la fonte originale di Pils).
Spostandoci di poco, ci trasferiamo in Svizzera dove troviamo il Cantone di Uri, uno dei primi della Confederazione Elvetica, e scommetto che avrete già intuito che lo stemma riporta un bel toro.
Geograficamente parlando non dobbiamo poi dimenticare l'antichissima città di Ur in Mesopotamia, forse storicamente ben più importante, in quanto si tratta una delle prime città di cui si abbia memoria. Essa è citata nella Bibbia, ad esempio in Genesi, 11:28 Haran morì alla presenza di Terah suo padre, nel suo paese nativo, in Ur dei Caldei.
Secondo la tradizione, inoltre, Abramo nacque proprio ad Ur.
E sempre nella Bibbia è citato Uri in Esodo 35:30 Mosè disse ai figli d'Israele: «Vedete, l'Eterno ha chiamato per nome Betsaleel, figlio di Uri, figlio di Hur, della tribú di Giuda. Uri è tutt'oggi un nome comune, vedi Uri Geller.
È poi molto suggestivo il fatto che dall'altra parte del mondo (in Australia) esista un luogo sacro agli aborigeni e che venga da questi chiamato Uluru - la roccia primordiale.
Nell'antica Grecia troviamo interessanti variazioni con la radice ar- che ci porta all'arkhe, cioè all'inizio, e quindi alle parole col prefisso arche- o col suffisso -archia che indicano la condizione di essere il primo, di primeggiare, come in archetipo o nella monarchia, e, se proprio vogliamo, anche arcangelo.
Vale la pena di soffermarsi in conclusione sull'Uroboro, che secondo taluni è la traslazione dal greco ουροβóρος. Questa è, però, una parola che non trovo nel dizionario di greco (almeno nel mio Rocci non esiste) e quindi la supposizione che voglia dire "mangiatore della propria coda" può perlomeno essere messa in dubbio dal fatto che anche in greco la coda è di genere femminile, e quindi dovrebbe essere stato "Uraboro". Il serpente che simboleggia la natura ciclica dell'Universo è invece, secondo me, il divoratore primordiale, proprio per la sua natura di origine come ci viene presentato da Platone nel dialogo Timeo.
All'essere vivente che doveva contenere in sé tutti i viventi conveniva una forma che contenesse in sé tutte quante le forme. Perciò lo arrotondò a forma di sfera, ugualmente distante in ogni punto dal centro alle sue estremità, in un'orbita circolare, che è fra tutte le forme la più perfetta e la più simile a se stessa, avendo pensato che il simile fosse di gran lunga più bello del dissimile. Lisciò con cura tutt'intorno la sua superficie esterna per molte ragioni. Infatti non aveva nessun bisogno di occhi, dal momento che all'esterno non era rimasto nulla da vedere, né d'orecchi, poiché non vi era nulla da udire: e intorno non vi era aria che chiedesse di essere respirata, e neppure aveva bisogno di un qualche organo per ricevere in sé il nutrimento, né per espellere i residui. Nulla infatti poteva lasciare andare via, e nulla gli si aggiungeva da nessuna parte - d'altronde al di fuori non vi era niente -, ma il mondo è stato generato ad arte per cui procura da solo a se stesso il nutrimento mediante la sua corruzione, e tutto agisce e patisce da sé e per sé: il suo ordinatore ritenne infatti che esso sarebbe stato migliore se fosse bastato a se stesso che se avesse avuto bisogno di altri. Quanto alle mani, che non gli sarebbero servite per prendere o lasciare qualcosa, il dio non ha ritenuto di dovergliele aggiungere inutilmente, né i piedi, né quanto in genere viene utilizzato per camminare. Gli ha invece assegnato un movimento che si adatta al suo corpo, e cioè quello fra i sette che riguarda maggiormente l'intelligenza e il pensiero. Perciò facendo girare intorno nello stesso modo, nella stesso punto e in se stesso, lo fece muovere di un moto circolare, gli tolse tutti e sei i movimenti e lo realizzò in modo che fosse privo degli errori di quelli. E non avendo bisogno di piedi per questa rotazione, lo generò senza gambe e senza piedi.

THURISAZ

L'etimologia di THURISAZ è da riferirsi ad un'antica voce onomatopeica *(s)tene-, che indica il rumore del tuono, quindi qualcosa di grande, immenso ed allo stesso tempo che lascia attoniti. È la stessa radice da cui provengono il thunder inglese, il tonare latino, ma anche il Thor nordico e soprattutto il norreno Thurse, il gigante del gelo con cui usualmente questa Runa viene identificata.
Partendo da queste parole si possono ritrovare tracce della radice originale nelle espressioni italiane che hanno attinenza con tuono, mentre in inglese possiamo citare una parola quotidiana come Thursday. Italiano ed inglese si intersecano poi con le parole stun e stordire che hanno un significato analogo.
Il grafema di questa Runa sopravvive ai giorni nostri nell'alfabeto islandese con la lettera Þ nota anche come thorn o þorn che ha più o meno il suono del th inglese.
È curiosa poi l'evoluzione della trascrizione dello stesso fonema in lingua inglese. Questo segno era presente in antichi scritti medievali, ma quando fu inventata la stampa, non si pensò a fabbricare tipi di questa lettera, e quando i primi stampatori inglesi cominciarono a produrre testi nella loro lingua, si pensò di sostituire il il Þ thorn con la y che noi chiamiamo ipsilon. La parola the venne trascritta ye nell'edizione originale della Bibbia di Re Giacomo. Tutt'oggi ci sono insegne di antichi locali inglesi che incominciano con "Ye olde..." proprio per rimarcare l'aspetto tradizionale del locale. La comunissima parola you era anticamente scritta e pronunciata thou, il che la rende simile al nostro tu.
L'incipit dell'antica ballata Iudas in inglese antico può servire da esempio:
Hit wes upon a Scere þors dai þat vre louerd aros
Ful milde were þe wordes he spec to Iudas.
Iudas þu most to Iurselem vre mete for to bugge
Thritti platen of seluer þu bere vp othi rugge.
Þu comest fer iþe brode stret, fer iþe brode strete
Summe of þin cunesmen þer þu meist i-mete.

Accadde un Giovedì Santo che Nostro Signore s'alzò
Dolcissime parole egli rivolse a Giuda:
Giuda, vai a Gerusalemme e compraci da mangiare
Trenta monete d'argento ti porterai sulle spalle.
Vai per la strada larga, vai per la strada larga
Qualcuno della tua gente vi potresti incontrare.

ANSUZ

La derivazione di ANSUZ è relativamente semplice perché esiste una forma proto Indo-Europea ansu- con il significato proprio di spirito, essere sovrumano e divino. Da qui è facile capire perché gli Asi vivessero nell'Asaland, e la capitale di questo regno fosse Asgard (le grafie sono spesso differenti a seconda del metodo di trascrizione, quindi potrete trovare anche Asaheim o Ásaheimr per il regno, Ásgarðr o Ásgarður per la la capitale e Æsir per gli Dei). Sono queste tutte forme derivate dalla semplificazione norrena del termine originario in as- e nella sua apofonia os- per indicare qualcosa di divino (da notare che As/Oss sono altri nomi con i quali questa Runa viene identificata). L'Asaland sarà quindi la terra degli Dei e l'Asgard la residenza degli stessi Asi. Non starò qui a ricordare che land è la terra e gard ha la stessa radice del britannico garden, il giardino, cioè qualcosa che racchiude (da gher-).
Ai giorni nostri, il nome di persona Oscar ha il significato di lancia divina, infatti esso proviene dall'antico nordico Osgar, dove il gar era l'asta da combattimento (niente a che vedere con il gard di cui sopra), mentre, per analogia, potrete facilmente intuire che Osvaldo è il potere divino, mentre, in ambito anglosassone, il cognome relativamente comune Osmond è la protezione divina. Nulla a che vedere, invece, tra questa Runa ed il nostro Ossian, che va invece riferito al leggendario bardo Oisin, letteralmente piccolo cerbiatto.

RAIDHO

Per RAIDHO troviamo facilmente la radice nel proto Indo-Europeo (PIE) reidh- in origine cavalcare, e poi, per estensione, montare su un un mezzo e andare.
Curiosamente questa voce non ha avuto un grosso seguito in ambito latino, dove si privilegiava il mezzo prima che l'azione, e quindi per i Romani cavalcare corrispondeva ad equitare, da equus, cavallo, ovviamente.
Invece nel Nord Europa l'espressione ha avuto molti derivati ed in molte epoche differenti (cf. Ant. Norreno riða, Ant. Frione. rida, Med. Oland. riden, Ger. reiten) per arrivare al moderno inglese to ride che mantiene lo stesso significato originario del PIE reidh.
Da qui basta spostarsi di poco per trovare in Ant.Irl. riadaim "io viaggio," ed in Gallico reda "carro".
Nell'inglese moderno troviamo poi ulteriore derivazione in raid e road, parole che non abbisognano di spiegazioni.
È da sottolineare il fatto che l'inglese road ed il francese route siano collegati fra loro solo semanticamente, in quanto quest'ultima parola proviene dal Latino rupta (via) cioè "(strada) aperta con la forza".

KAUNAZ

KAUNAZ è una Runa che, etimologicamente parlando, presenta numerosi dubbi, e sulla quale non mi sento in grado di fornire una spiegazione inequivocabile.
Vediamo innanzitutto il nome di questa potente Runa, che molti identificano con la Torcia: sono molte le traslitterazioni ed i nomi con cui viene chiamata, e già questo non favorisce molto il lavoro di ricerca: Kenaz, Cen, Kaunaz, Kan, Kano, Kaunan, Kaun.
Ci sono due filoni da tenere sicuramente presenti: quello anglo-sassone e quello norreno e islandese. Nel primo caso il significato è propriamente torcia, perché questo voleva dire Cen:
Cen byþ cwicera gehwam, cuþ on fyre
blac ond beorhtlic, byrneþ oftust
ðær hi æþelingas inne restaþ.

La torcia è conosciuta ad ogni uomo vivente
per la sua fiamma pallida e luminosa;
essa brucia sempre dentro dove i principi si siedono.

Però può essere anche probabile che il poema anglo-sassone delle Rune dìa questo nome "cen" pur in considerazione del fatto che il nome originale non fosse stato capito o correttamente riportato. Nel secondo caso abbiamo un significato connesso ad infezione, visto che in islandese kaun è proprio la purulenza, purtroppo ordinaria in epoche in cui l'igiene personale era quasi sconosciuta. La cosa non è in opposizione alla prima ipotesi, visto che un ascesso nasce all'interno di un corpo con una scintilla che poi infiamma tutto intorno.
Quindi anche qui un aspetto del fuoco, sebbene distruttore e dissolutore.
Lo vediamo anche nel poema norvegese delle Rune:
Kaun er barna bolvan;
bol gørver nán folvan.
L'ulcera è mortale per i bambini;
la morte rende un corpo pallido

In ogni caso abbiamo un fuoco "controllato", e una runa che attraverso terre e secoli infiamma e brucia. E la sua radice brilla da migliaia di anni, specie vogliamo ricollegarci all'antico PIE kand- cioè brillare, che poi passa al greco kaiho ed arriva a noi tramite il latino in innumerevoli termini tra loro correlati, quali ad esempio candela, accendere, incendio, incandescente, incenso, candore.

GEBO

Per GEBO dobbiamo sicuramente riferirci ad antiche voci PIE ghabh-, ghebh- e simili, che indicano sostanzialmente il passaggio di qualche cosa da qualcuno ad un altro.
Da questo presupposto possiamo intuire che, in dipendenza dalla controparte, il significato può assumere il significato di dare o ricevere, e addirittura interessare l'oggetto stesso dello scambio. Ecco quindi spiegato il motivo grafico di questa Runa che interseca due linee in croce, che scambia ed equilibra le parti.
La derivazione più evidente e conosciuta dell'antica radice la troviamo sicuramente nell'inglese: give "dare", con ciò che ne consegue, come gift "dono". Nel vocabolario, to give occupa effettivamente numerose colonne, da solo e con i propri composti.
In italiano si trova solo una parola ormai poco usata: gabella e i suoi derivati.
La gabella è infatti una tassa che si deve dare, e in quanto tale, una delle gabelle da pagare è il dazio.
A questo punto la cosa si fa interessante, perché in realtà l'italiano non è andato a prendersi la gabella dal nord, ma più probabilmente dagli Arabi, che avevano al-qabàlah, una sorta di tassa, da qabal "ricevere", prendere, esigere. Ci vuole poco sforzo di immaginazione per arrivare alla Cabala ebraica, perché essa è la Tradizione, in quanto dottrina ricevuta. Anche la tradizione italiana ha un chiaro significato di scambio, in quanto deriva dal latino tradere, che sta per consegnare: il tradito è colui che viene consegnato (al nemico).
Si evidenzia quindi una certa relazione tra קַבָּלָה (comunemente traslitterata come Kabbalah, ma anche come Cabala, Kabbala, Qabalah), e la nostra Runa. Tutto ciò porta ad un significato certamente più ampio di quel "dono" con il quale essa viene frequentemente identificata.

WUNJO

WUNJO è una di quelle Rune che lasciano letteralmente il segno, perché è grazie ad essa che abbiamo la W, che noi chiamiamo "vu doppia"; il fatto che il suo grafema runico sia completamente differente da quello del nostro alfabeto moderno non deve trarre in inganno, e poi vedremo perché.
La sua etimologia parte da antiche radici proto-indoeuropee, come d'altronde è avvenuto per molte altre Rune. Si può certamente prendere come riferimento il PIE wen- con il significato di desiderio, che si è poi trasferito nel germanico *wunj, da cui l'inglese antico wen o wynn, per questa Runa di piacere e gioia. Da chiarire sùbito come la gioia italiana e la joy inglese non abbiano alcun riferimento con il -jo di Wunjo, in quanto, in primo luogo, esse derivano dal gaudium latino ed in secondo luogo -jo è semplicemente una desinenza che, fra l'altro, sparisce del tutto in altre traslitterazioni conosciute come Wen e Wynn, appena citati, oppure Wenne e Wulthuz.
Abbiamo scritto di wen- come di archetipo linguistico per desiderio, e questo valore non si è certamente perso nel tempo, specie se consideriamo che uno dei più rappresentativi esempi di desiderio è sicuramente la Dea dell'Amore, Venere. Sebbene l'assimilazione al culto di Afrodite sia piuttosto antica, restano evidenti le tracce di uno sforzo degli uomini per accattivarsi la benevolenza del dio, cioè di ottenere la venia, il favore divino. L'uso dapprima religioso del termine (in origine venus era un termine astratto e neutro) si estese poi ad altri atteggiamenti volti ad ottenere compiacenza e favori, come nella sfera sessuale, e di qui, almeno secondo Robert Schilling, la probabile personificazione della seduzione e del desiderio con la Venus divenuta allora Dea (cfr. Georges Dumezil, La religione romana arcaica, Rizzoli, Milano, 1977).
Troviamo quindi una venerazione che sta a rappresentare la domanda di una grazia agli dei, onorata con la riverenza che potremmo cogliere nella persona che supplica la venia per il fallo commesso. Semanticamente si potrebbe concludere dunque che la venerazione sta a metà fra l'adorazione e la riverenza, ma non vorrei divagare troppo, quindi, per concludere con le parole neolatine, sgombriamo il campo da facili equivoci e diciamo che altre parole simili foneticamente non hanno invece nessi etimologici diretti con la venia, e qui parliamo di voci come venale, vendere e venatorio, più i loro annessi e connessi.

Nel frattempo, in parte del Nord Europa, la nostra Wunjo/Wen/Wynn, analogamente al Þ thorn/Thurisaz è diventata una vera e propria lettera dell'alfabeto, e viene scritta come una specie di P, e più precisamente Ƿ ƿ (maiuscolo e minuscolo). Si può tranquillamente presumere che il fonèma sia rimasto sostanzialmente inalterato nel tempo, rispetto alla nostra W. La grafia di Wen era invece troppo equivocabile con la la P latina, ed allora si pensò di rappresentarla con il dìgrafo della "doppia u" (la denominazione più corretta), segno questo che si è affermato nel tempo per ragioni pratiche di leggibilità.

HAGALAZ

HAGALAZ è il sasso scagliato dal cielo, Hagalaz è la grandine, la Runa della Tempesta, la furia degli elementi che porta al cambiamento ed al rinnovamento dopo aver fatto tabula rasa. Attualmente Hagalaz sopravvive ancora col medesimo significato originale in inglese nella parola hail, la quale, in una delle due accezioni principali, vuol dire appunto grandine, e nel tedesco con hagel. Ad essa si è arrivati attraverso l'antico inglese hægl o hagol dall'antico Germanico Occidentale haglaz (cfr. Alto Tedesco hagal, Norreno Antico hagl).
Anche per questa Runa troviamo inequivocabili tracce del suo passaggio in varie culture occidentali, come i sassolini che Hänsel e Gretel si lasciavano dietro per ritrovare la strada. Questo paragone non è ovviamente buttato lì a caso, perché andiamo subito a trovare un'antica radice PIE *kaghlo- con il significato di ciottolo, sassolino levigato appunto, senza contare che il Pokorny riporta anche *aghl- per nube tempestosa. Ci vuole poco sforzo di immaginazione per vedere questa grandine che un nero cielo ci scaglia con violenza.
Tornando ai nostri ciottoli, possiamo rapidamente trasferirci in Grecia per trovare il καχλεξ, traslitterabile in kakhlex, con significato inalterato.
Nessun mutamento di significato nemmeno se ci trasferiamo nel latino calculus, anche se assistiamo ad una lieve metatesi della parola.
In italiano l'antico calcolo è rimasto dolorosamente solo nelle reni, perché il significato moderno più immediato è quello di operazione matematica. Nessuna sorpresa in questo, visto che anticamente ci si serviva di sassolini e pietruzze per fare quelli che oggi chiamiamo appunto calcoli, come ci insegnavano alle elementari, mostrando anche il pallottoliere che è poi l'evoluzione tecnologica dei "calculi" latini.
Il calcare, inteso come roccia sedimentaria, fu uno dei primi materiali edilizi che l'uomo conobbe, e da esso si ottenne la calce che tuttora è adoperata nelle opere murarie in alternativa al cemento per ottenere la malta; tanto per ribadire quanto esso fosse considerato il sasso, la "pietra" per eccellenza.
E di sassi, o di forme ad assimilabili all'antico ciottolo, ne troviamo anche nel corpo umano; e dove, se non nel calcagno? Per estensione del significato della calx (sì, in latino era al femminile) a tutto il piede, in italiano abbiamo ora il calcio che è comunemente il colpo dato con il piede, più propriamente detto pedata. Curiosamente questo tipo di calcio non si è trasferito in altre lingue neolatine, come il francese o lo spagnolo, e tantomeno nei paesi anglofoni dove abbiamo il kick (la pedata vera e propria) e dove inventarono il football (il gioco del calcio).
Non vorrei dilungarmi troppo con questo calcio che semanticamente ha poco a che vedere con la nostra Runa, che ha invece un significato piuttosto chiaro, ma vorrei concludere con una piccola curiosità: per i latini, dire che si arrivava alla calce, ad calcem pervenire, voleva dire tagliare il traguardo perché era con essa che si segnava la fine della corsa.
Per vie traverse, e con una certa libertà di interpretazione, abbiamo anche qui la fine di un ciclo e l'inizio di qualcos'altro, come Hagalaz indica.

NAUTHIZ

A prima vista NAUTHIZ mi dava pochi spunti di riflessione, in quanto non andavo oltre il filone Germanico, da cui sicuramente questa Runa prende il nome.
Dai principali vocabolari in mio possesso si apprende che esistono un Antico Inglese nied (più precisamente Sassone Occidentale), e un ned (sempre in ambito anglosassone) col significato di "necessità, bisogno"; e col medesimo concetto troviamo un proto-Germanico *nauthis (cfr. Antico Norreno nauðr, Antico Frisone ned, medio Olandese nood, Germanico not, Gotico nauþs - sempre analoghi all'inglese need cioè bisogno, necessità).
Evito di riportare ulteriori voci simili di tradizioni comunque legate al Nord Europa. A differenza delle altre Rune non riuscivo ad andare oltre il Basso Medio Evo, ed avevo già comunicato questa mia impressione ad un'altra persona che studia le Rune. Allora, stavo rileggendo la mail che le avevo mandato, e mi sono accorto di una coincidenza veramente indicativa. Sul video del mio computer era possibile visualizzare tre lati di un triangolo equilatero che univano le apofonie di Nauthiz; nella mia lettera erano infatti disposte perfettamente a triangolo NA in GiovanNA, NE di RuNE e NO in NOn (che avevo scritto nella mail senza preordinazione). Sarà stato un caso, ma ho deciso di allontanarmi un po' dai vocabolari e seguire un po' l'istinto ed il segnale che avevo ricevuto.
Sono tornato indietro di qualche decina di secoli e mi sono concentrato sulla radice PIE ne- che si può considerare la madre di tutte le negazioni. Da essa troviamo no, nihil, nulla, niente, negare, e in inglese troviamo degli analoghi nothing, never, none, not, ma anche naughty che mi ha colpito per l'assonanza quasi perfetta con la nostra Runa e col suo significato originale.
Infatti, se attualmente i suoi significati sono da collocare tra l'impertinente, il cattivo e l'indecente, bisogna altresì obiettare che queste accezioni sono successive al 1500, e che si tratta di interpretazioni del primitivo "colui che ha bisogno di tutto perché e vuoto, colui che è bisognoso". Fu quindi una mancanza di principi morali ad indirizzare il naughty moderno alla disobbedienza salace.
Sono quindi tornato sui miei dizionari e partendo dalla mia conclusione ho comunque trovato la conferma che effettivamente naughty è collegato alla radice ne-. Un senso di vuoto e di negazione collega dunque questa Runa al bisogno ed alla necessità che essa rappresenta.

ISA

Anche per ISA la collocazione in ambito germanico è relativamente semplice ed evidente. La connessione semantica e linguistica con ice (ghiaccio) è talmente chiara che non ha bisogno di spiegazioni. E c'è anche nel vocabolario italiano una parola straniera, ma comunemente accettata, che deriva da ice: iceberg, la montagna di ghiaccio, appunto. Come per Nauthiz abbiamo un florilegio di espressioni nord-europee che si assomigliano fra loro: si va dal proto-Germanico *isa- all'Antico Inglese is, poi Antico Norreno iss, Antico Frisone is, Olandese ijs e Tedesco Eis. Non si riesce ad andare un po' più indietro.
Anche stavolta ho chiesto una aiuto alla mia fervida immaginazione e quindi le osservazioni successive per questa Runa devono essere considerate mie elucubrazioni personali, anche se sfogliando i dizionari si trovano le prove evidenti di quanto scrivo.
Stavolta ho semplicemente cercato di immaginare il ghiaccio con gli occhi di uno scandinavo di mille anni fa.
Ci sono molti tipi di ghiaccio: quello delle superfici dei laghi, quello della neve fredda che non si riesce a scavare, quello dei blocchi che galleggiano nel mare invernale e anche quello che pende instabile da qualsiasi cornice esposta. Lame ghiacciate e splendenti, stalattiti luccicanti che sembrano spade...
Il ferro, la lama, linea sottile che scende dall'alto, vibra e fende...
A questo punto mi sono concentrato sul ferro, l'iron, e ho trovato subito quello che cercavo per confortare il mio vago indizio: iron era una di quelle parole che hanno subito il rotacismo, cioè quella modificazione fonetica che trasforma in [r] un altro fonema. Il fenomeno è effettivamente documentato in alcune lingue germaniche antiche. Insomma, mi sono ritrovato in un mondo di is e eis, vedi Antico Inglese isærn (col successivo rotacismo della -s-), dal proto-Germanico *isarnan, l'Antico Norreno isarn, e via discorrendo, fino ad arrivare ad un Celtico *isarnon da un PIE *eis- con il significato di "forte".
Questa è dunque la mia conclusione: ghiaccio e ferro potrebbero avere una relazione linguistica in ambito germanico, partendo da una originaria radice *eis- che si è mantenuta costante per ice e che ha subito un rotacismo per iron.
Lame delle spade e stalattiti di ghiaccio hanno la stessa forma della nostra Runa, immutata anche nel nostro alfabeto con la lettera "i".
Non so se tutto questo sia veritiero e dimostrabile, ma a me piace pensare sia così, ovviamente sino a prova contraria.

JERA

Con JERA ritroviamo una Runa che ha un'origine etimologica relativamente facile da identificare con una radice PIE che in questo caso è *yer-/*yor-; e già nell'antica lingua proto-indoeuropea da cui si pensa abbiano avuto origine la maggior parte dei dialetti e lingue occidentali troviamo subito un significato di "ciclo annuale" o "stagione".
Il glifo di Jera, con il suo andamento quasi a spirale, è quindi certamente attinente con il suo contenuto simbolico di periodo annuale.
Troviamo analoghe forme verbali in tutte le le lingue ed in ogni epoca, in cui la radice originaria *yer-/*yor- si diffuse mantenendo comunque il valore di "anno", o "stagione", o "periodo determinato". Si va dall'Avestano yare all'inglese year, passando in mezzo a un proto-Germanico *jæram-, a un Gotico jer, e poi un Antico Frisone ger, l'Olandese jaar e il Tedesco Jahr, sempre col medesimo significato di "anno".
Prendendo la strada greca troviamo un significato maggiormente legato a singoli periodi ciclici, più che a un riferimento univoco all'anno a cui accennavamo sopra. Quindi la ώρα - hora sarà anche solo una parte dell'anno, cioè una stagione, un intervallo limitato di tempo, e anche solo una parte del giorno: ed ecco la nostra "ora", che abbiamo ricevuto in eredità con la mediazione dei Latini, i quali con la loro hora indicavano ovviamente una delle parti in cui il giorno veniva appunto diviso, senza dimenticare che a Roma si indicava con hornus ciò che aveva durata annuale.
In italiano c'è comunque la parola "oroscopo" che rimane legata ad una visione di un ciclo periodico quale era l'antica ώρα greca, ma che non ha nulla a che vedere con la nostra ora, ovviamente. E ancora meno c'è qualcosa da spartire con l'oracolo, che è invece colui che tiene la oratio, cioè il discorso, da orare.

EIHWAZ

Da un punto di vista etimologico EIHWAZ riserva molte sorprese. E questo non tanto per la sua probabile radice PIE *aiw- (forza vitale, vita, vita eterna e quindi eternità) con la sua variante *yeu- (da cui l'inglese yew - albero del tasso che è il primo significato della Runa, giùntoci così attraverso il filtro delle varie lingue germaniche che hanno preceduto l'inglese moderno). Andremo a scoprire invece numerosi derivati delle radici originarie che mettono quindi Eihwaz in relazione a concetti e cose che a prima vista sembrano molto distanti.
Cominciamo col dire che, per quanto riguarda l'italiano, il tasso ci è giunto direttamente dal nome latino taxus che ha seguito un percorso filologico del tutto differente dal yew inglese, e per questo preferisco non affrontarlo. Non mi dilungherei quindi sul nostro tasso, se non per sottolineare il fatto che il passaggio di una parola da una lingua all'altra senza soluzione di continuità implica il riconoscimento della solidità e del radicamento di questa parola nella tradizione.
In numerose tradizioni il tasso ha assunto anche il nome di "albero della morte", per via della tossicità delle sue foglie e dei semi. Proprio per questo motivo veniva usato in tempi antichi specialmente negli spiazzi davanti le chiese non solo come pianta ornamentale, ma anche per scoraggiare i contadini dal far pascolar nelle vicinanze gli animali.
Diversa però è la descrizione del tasso che viene fatta nei Poemi Runici
. Ad esempio, troviamo nel poema norvegese delle Rune:
Ýr er vetrgrønstr viða;
vænt er, er brennr, at sviða.

Il tasso è il più verde degli alberi d'inverno;
non crèpita quando brucia.
Mentre nel poema runico anglosassone troviamo che:
Eoh byþ utan unsmeþe treow,
heard hrusan fæst, hyrde fyres,
wyrtrumun underwreþyd, wyn on eþle.

Il tasso è un albero con una corteccia ruvida;
forte e saldo nella terra, sostenuto dalle sue radici, un guardiano di
splendore e una gioia sulla propria terra.
Qui il significato di morte è sconosciuto, per assumere invece connotazioni molto più analoghe al significato delle radici PIE *aiw- e *yeu- che citavamo all'inizio.
Ripartendo allora da *aiw- arriviamo al Latino aevum cui sono da ricollegarsi molte voci che hanno relazione con "età" ed "epoca", come, ad es. evo, coevo, longevo, medievale. Anche l'inglese ever ha seguito la stessa strada, ma non Eva, che ci arriva dall'ebraico Hawwah e che poco c'entra con Eihwaz.
Aggiungendo un suffisso, avremo *aiwo-t-erno-, per condurci all' eterno, eternità, sempiterno, anche questi filtrati da un Latino che in questo caso è aeternus. Con un altro suffisso avremo invece *aiw-en- che ci porterà agli Eoni, ere temporali che a me potrebbero anche ricordare Crowley, e non a caso, perché il Liber AL vel Legis gli fu dato da una entità che viene ricordata, guarda caso, Aiwass.
Concluderei con una rapida scorsa ai derivati della variante *yeu- da cui otteniamo il Latino iuvenis con i suoi "giovanili" junior, juventus digradando poi verso l'inglese young.

PERTHO

Pertho credo sia una Runa su cui nessuno studioso possa attualmente dire qualcosa di definitivo.
Si ritiene sia apparsa attorno al 400 dell'era moderna, ma non è chiaro da dove provenga, e non ha successivamente lasciato tracce né nelle lingue nordiche né in altri idiomi. Ad essa sono stati inoltre associati molti significati che, se ad una prima vista possono sembrare disparati, hanno un filo di mistero che li unisce, un mistero che va svelato con Pertho, appunto
Posso quindi solo fare congetture, partendo da pochi elementi attendibili.
Innanzitutto la provenienza: si pensa che Pertho sia da collegare all'espressione usata nella lingua parlata dall'antico popolo dei Pitti per definire genericamente un "boschetto". Da qui il toponimo Perth che è presente in quasi tutte le nazioni di lingua anglosassone. Se in Australia abbiamo la città più popolosa con questo nome, in Scozia abbiamo invece una località in una zona già occupata da cacciatori del neolitico o giù di lì, e ininterrottamente poi abitata.
C'è poi da considerare una serie di innegabili relazioni con Berkana (Berchta, Birch). Foneticamente abbiamo lo stesso timbro consonantico iniziale con labiale (forte in Pertho e debole in Berchta) e la stessa vocale tonica, la "e". Semanticamente, se il "boschetto" è un gruppo di alberi, la birch - betulla - un albero lo è di sicuro. Graficamente pare proprio che sia l'apertura di Berkana a generare il glifo di Pertho .
Un invitante abbraccio di Betulla.
Non ci sono di grande aiuto nemmeno i Poemi Runici: Pertho esiste solo nel poema runico anglosassone:
Peorð byþ symble plega and hlehter
wlancum [on middum], ðar wigan sittaþ
on beorsele bliþe ætsomne.

Peorth è una fonte di ricostruzione e di inganno al grande,
dove i guerrieri siedono gioiosamente insieme nel salone del banchetto.
Molto misterioso, no? sembra il tavolo della sala attorno al quale i guerrieri si ritrovano, giocano a dadi, bevendo e raccontando le loro storie. Un tavolo di legno, uno spiazzo dove celebrare una riunione, dove fare qualcosa dall'esito imprevedibile.
Come una specie di "boschetto dell'iniziazione", per ricollegare ed unire significati conosciuti di questa Runa.

Bibliografia:

The American Heritage® Dictionary of the English Language
Online Etymology Ditionary
Lista dgli etimi di Pokorny della University of Texas di Austin
Nordic Magic Healing
Runes, Alphabet of Mistery
Sopravvivenze della lingua e della cultura longobarda nel Pistoiese e nell'Alto Reno
Lezioni di Linguistica di Giovanni Flechia
Dizionario Etimologico Online
Il Timeo di Platone
The Rune Poems