The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Hestia la Saggia

Hestia la Saggia


Tra le sei divinità Olimpiche di prima generazione, Estia è la più anziana. Figlia dei titani Crono e Rhea e sorella di maggiore di Demetra, Era, Ade, Poseidone e Zeus, fu la prima ad essere ingoiata dal padre che credeva, in questo modo, di scongiurare la profezia che lo avrebbe visto come spodestato da uno dei suo figli e, di conseguenza, fu l'ultima ad essere rigurgitata una volta che, su consiglio di Temi, Zeus, camuffato da coppiere reale e infiltratosi alla corte del padre, fece bere a Crono una bevanda contenente delle erbe emetiche.

Estia era una dea molto bella ma nonostante fosse stata corteggiata e richiesta in moglie sia da Apollo che da Poseidone e secondo Omero resistette anche alle lusinghe di Afrodite, scelse di rimanere per sempre vergine e Zeus, grato per questa sua decisione, probabilmente riuscendo in questo modo anche ad evitare un possibile pretendente al trono, le assicurò la prima vittima di ogni sacrificio pubblico. La decisione di rimanere vergine e pura la omise anche da gran parte della mitologia che interessò gli Olimpi dal momento che per lo più, come ben sappiamo, si trattava di vicende amorose, tradimenti e ripicche. Questa sua capacità di rimanere al di fuori o al di sopra di tutte le situazioni più "basse" la relegò, infine, ad un ruolo secondario quando con l'invasione ellenica, intorno al quarto secolo a.C., Dioniso venne annoverato tra i Dodici, sbilanciando così l'equilibrio maschile e femminile che fino a quel momento era rimasto saldo tra le mura del pantheon celeste greco, come ci fa notare Robert Graves nel suo I Miti Greci: Questo è un mito importante con molte varianti. La religione olimpica fu un compromesso tra il culto matriarcale pre-ellenico e il culto patriarcale ellenico; la famiglia divina comprendeva, all'inizio, sei dei e sei dee. Si mantenne un equilibrio instabile di forze finché Atena nacque dalla testa di Zeus e Dioniso, nato dalla sua coscia, prese il posto di Estia al concilio degli dei; in seguito fu assicurata la preponderanza maschile in ogni concilio degli dei, una situazione che si riflette sulla terra, e ci si poteva opporre con successo alle antiche prerogative delle dee. Il mito che fu scelto per spiegare questa sua sorta di degradazione fu il fatto che, proprio per la sua indole, Estia decise di abbandonare l'Olimpo per non essere costretta ad assistere agli intrighi e alle falsità delle altre divinità e di andare a vivere insieme agli uomini, dove il suo ruolo era determinante. dato che era la patrona del focolare domestico ed era onorata principalmente dalle donne, il cui ruolo, nella civiltà ellenica, era confinato tra le mura domestiche. Estia pertanto sapeva benissimo che ovunque si fosse recata, in città come in campagna, sarebbe stata la benvenuta.

Questo suo ruolo la tenne anche separata da tutte le guerre e le dispute che interessarono gli Olimpi nel corso del tempo, a partire dalla Titanomachia, ma anche nella Gigantomachia, quando, insieme a Demetra, decise di rimanere in disparte mentre gli altri dei insieme ad Eracle infuriavano nella battaglia. Riconobbe in Zeus il ruolo di Padre Celeste e non intervenne nemmeno a favore di Era quando quest'ultima, insieme ad Apollo e Poseidone, cercò di soverchiare il potere del Signore Celeste per finire punita in modo esemplare: inchiodata alla volta celeste con incudini appese ai piedi.

Simbolo di Estia era il cerchio: simbolo greco di perfezione assoluta. La difficoltà in cui incorse Ipazia di Alessandria per capacitarsi della spiegazione di quelle che chiamava stelle erranti, che poi erano i pianeti del sistema solare, era proprio lo scontro con la legge aristotelica del movimento celeste, secondo cui la terra girava intorno al Sole seguendo un moto circolare e creava così delle enormi eccentricità che non permettevano un computo corretto, oltre al fenomeno dell'afelio e del perielio quando la nostra stella le appariva più piccola e più grande; e fu per questo che nel contesto astronomico di costume si abbandonò il sistema eliocentrico per uno geocentrico. Ipazia, poco prima di morire per mano della setta cristiana di fanatici noti come parabolani, intuì come il movimento della terra fosse in realtà ellittico e come il Sole occupasse solo uno dei due fuochi. Dopo la sua morte nel 370 e la perdita irrimediabile di documenti di elevazione tecnologica e scientifica, si dovette attendere lo sviluppo del pensiero di Keplero nel 1608 per tornare a quella conoscenza. Era difficile pertanto, per i greci, separarsi dal concetto perfetto del cerchio, una forza che rimase viva appunto fino al diciassettesimo secolo. E questo simbolo era il modo che più spesso veniva usato per rappresentare Estia, come se il pudore e il distacco dagli intendimenti terreni la mantenessero sempre fine a se stessa, quindi priva di un inizio e di una fine e pertanto inaccessibile e legata alla perfezione del movimento celeste. In più occasioni mostrò questi sentimenti di modestia e di distacco da comportamenti ritenuti sconvenienti, come quando Efesto intrappolò Afrodite ed Ares nel talamo matrimoniale e portò al pubblico ludibrio l'infame tradimento perpetrato alle sue spalle e lei, mostrando un delicato senso del pudore, non accorse a canzonare la coppia nuda come invece fecero gli altri dei.

Estia non era solo la dea del focolare domestico, ma anche di quello che veniva tenuto acceso nei luoghi pubblici, rivestendo così un ruolo apotropaico in cui il cerchio trova una manifestazione pressoché suprema. Fu proprio il profondo senso di benevolenza che mostrava ad indurre moltissime persone che vedevano in lei il simbolismo della spiritualità suprema ad onorarla proprio grazie alla sua capacità di resistere a qualsiasi lusinga amorosa senza provare alcuno sdegno ma bastando a se stessa e mantenendo così un rapporto totum ad unum con la sua integrità morale. In aggiunta a questo Estia mostrava un puro senso di carità, mitezza ed onestà che superavano qualsiasi altra divinità olimpica. Per chi conosce e studia i miti greci non è difficile affermare con una certa sicurezza che non esiste divinità, al di fuori di lei, che si sia astenuta da sentimenti di vendetta nei confronti di ninfe e mortali per irrispettosità o ripicche divine. Quanto meno per quello che ci è noto.

Estia era vergine per molti motivi, uno di questi rappresentava l'inviolabilità dell'ospitalità. In un episodio narrato da Ovidio nei Fasti, troviamo come durante un banchetto in cui parteciparono gli dei, quando ormai tutti si erano addormentati ubriachi, Priapo, il dio della fertilità dall'enorme fallo, figlio di Afrodite e di Dioniso, tentò di prenderla contro il suo volere mentre dormiva. Un asino, assistendo a quella scena, cominciò a ragliare violentemente svegliandola e lei, vedendo cosa Priapo si accingeva a fare, urlò svegliando anche gli altri dei che lo costrinsero ad allontanarsi. Questo mito richiama a carattere aneddotico proprio il concetto della sacralità che ha l'ospitalità: ossia non abusare delle donne che si accolgono in casa, dato che l'asino stesso, che rappresenta la lussuria, condannò il gesto di Priapo. Lo stesso dio, in seguito, pretese che gli furono sacrificati asini a memoria di quell'evento. Sia i supplici che gli ospiti godevano della protezione del focolare di Estia: trattarli male implicava incorrere nelle sue ire.

Oltre ad essere una divinità legata al focolare, inteso come centro della casa, ad Estia era attribuita anche l'arte della costruzione delle case stesse, quindi la struttura dell'ambiente domestico che, in tutta la Grecia, anche a Sparta, girava intorno sempre al fuoco centrale. Era quindi il fulcro della casa, il suo cuore pulsante, la felicità e la sicurezza che oggi si può rapportare alla cucina: il luogo dove le cose si trasformano grazie proprio al fuoco. Dalla sua immagine trasuda però un concetto ancora più arcaico, ossia il fatto che il fuoco centrale non dovesse mai spegnersi e che la riconduce ad aspetti molto più antichi, risalenti ad un concetto primordiale e neolitico di distinzione tra i luoghi civili e i luoghi selvaggi, distinti da un concetto di protezione stessa che forniva il fuoco e che quindi segnava un centro radiale di uno spazio sacro, rappresentato dalla casa e dove la dea era rappresentata da un braciere stesso dove sotto la cenere il fuoco rimaneva sempre caldo e grazie al quale poteva rimanere acceso al centro della casa senza fare fumo o fiamme. E questo fuoco, simbolo di Estia, potrebbe quindi condurci ad un tempo più impervio, sondando con le radici in un passato in cui alla donna, in assenza dell'uomo magari in giro a caccia, era affidato il supremo compito di far sì che questa fiamma non si estinguesse mai; prendersene cura implicava quindi preservare la propria vita, sia dal punto di vista del calore irradiato e funzionale alla vita stessa, sia dal punto di vista della protezione che dava nei luoghi selvaggi contro gli animali feroci. Ma il fuoco di Estia, rapportato al focolare domestico, rappresenta anche il passo supremo dell'umanità: la scoperta del fuoco, dei cibi cotti, del calore e della difesa che distingue un essere umano da un qualsiasi altro animale. E tutto questo era affidato alle donne. La verginità, quindi, era anche simbolo del non doversi staccare dal ruolo di preservatrice del fuoco sacro nemmeno per prendersi cura dei figli, ma sposando e appartenendo ad una spiritualità, ad un concetto, ad una divinità, e rimanendo staccata, pertanto, da tutto il resto.

Lo stesso braciere, rappresentato poi dal cerchio, era un simbolo diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo come il luogo dove ci si radunava per discutere. A Delfi era noto come omphalos, che significa ombelico. L'ombelico del mondo. Robert Graves, a riguardo, nei Miti Greci ci fa notare: Su questo sacro oggetto di culto, scampato alla distruzione del tempio, sta scritto il nome della Madre Terra; è alto trenta centimetri e lungo quaranta, cioè ha press'a poco la grandezza e la forma di un braciere che possa riscaldare una stanza piuttosto vasta. Nell'epoca classica la Pizia era assistita da un sacerdote che la faceva cadere in trance bruciando grani d'orzo, canapa e alloro su una lampada a olio in un ambiente chiuso, e poi interpretava ciò che essa diceva. Ma è probabile che l _ orzo, la canapa e l'alloro fossero un tempo bruciati sul braciere, il che era un sistema più semplice e più efficace per ottenere fumi narcotici. A Creta e nei santuari micenei furono rinvenuti dei piccoli attizzatoi triangolari a forma di foglia, di pietra o di argilla (e risultò che alcuni di essi erano stati esposti a un forte calore), che pare venissero usati per attizzare il sacro fuoco. Il braciere veniva a volte posto su un tavolo di argilla rotondo, a tre gambe, dipinto di rosso, di bianco e di nero, i colori della Luna; tavoli del genere furono ritrovati nel Peloponneso, a Creta e a Delo, e uno di essi, proveniente dalla tomba di Zafer Papua a Cnosso, reggeva ancora il braciere..

Estia, quindi, rappresenta probabilmente la Grande Dea. Non per nulla vedere una delle poche rappresentazioni umane di Estia non può non ricondurci alla Madonna cristiana: il velo, l'immagine di santità, la veste sempre pudica. Ed infatti il nome originale greco di Estia, inizia con la H, quindi Hestia, e come lei Hera, Hermes, Hecate ed Hesperos, e il suo ruolo è richiamare la hieros, la santità. Quindi Santa Estia. Questa lettera spesso veniva storpiata in V ha portato ai nomi latini delle stesse: Vesta e Venere.

Nel mito romano, come abbiamo appena visto, Estia prende il nome latino di Vesta, mantenendo sempre il simbolismo del fuoco sacro e della verginità. A presiedere al culto vi era un ordine sacerdotale composto da sole fanciulle, chiamate Vestali, il cui compito principale era quello di mantenere sempre acceso il sacro fuoco contenuto nel tempio dedicato alla dea e di produrre la mola salsa per le feste. Queste sacerdotesse, come la dea, dovevano rimanere assolutamente vergini. Il culto fu istituito dallo stesso Romolo, o secondo alcuni da Numa Pompilio, e risale alla fondazione stessa di Roma, rendendo a tutti gli effetti questa dea come una delle più antiche dell'Impero. La prima vestale pare fosse stata Rea Silvia, la madre stessa di Romolo, che portò questo culto da Alba Longa, la sua città natale, dove era diffuso.

Le Vestali erano in numero preciso che crebbe nel corso degli anni soprattutto grazie a Tito Livio, che le aumentò da tre a sei, e venivano sorteggiate in un gruppo di venti bambine tra i sei e i dieci anni di stirpe patrizia. Una volta entrate in servizio nel tempio di Vesta per ordine del Pontefix vi restavano per trent'anni divisi in tre fasce di dieci anni in ciascuno nei quali passavano da novizie a sacerdotesse ed infine a insegnanti delle novizie. Allo scadere del periodo concordato si potevano ritenere sciolte dal vincolo di servizio e verginità e potevano scegliere di lasciare il tempio e sposarsi. Durante il lungo servizio al tempio, le vestali e godevano di privilegi incredibili tra le donne romane: potevano fare testamento, testimoniare senza giuramento, erano mantenute a spese statali e non sottostavano ad alcuna patria potestà. Nel ruolo di sacerdotesse, nel caso si fossero trovate ad incontrare un condannato a morte, avevano diritto di chiederne la grazia. In tutto questo non c'era alcunché di magnanimo in realtà, dato che l'unico motivo per cui lo chiedevano era la propria purezza ed integrità. Chiedendo la sospensione della pena in questo modo compensavano la sventura che le avrebbe contaminate incontrando un criminale. Quando morivano, inoltre, potevano chiedere di essere sepolte entro il pomerio, ossia all'interno del confini della città, diversamente dagli altri cittadini romani, a dimostrazione che la loro sacralità sopravviveva anche alla morte.

Ad equilibrio di questi enormi vantaggi però, c'era la sorte che toccava a chi tra loro osava lasciare che il fuoco sacro si spegnesse o che osasse violare il proprio voto di verginità durante il tempo di servizio all'ordine. Queste colpe erano imperdonabili e implicavano la morte, ma dato che nessun uomo poteva toccarle, dato che erano sacre alla dea, la Vestale nefasta veniva frustata, vestita di abiti funebri e portata al Campus sceleratus mediante la lettiga chiusa che si usava per trasportare i morti, dove veniva murata viva sul Quirinale con una lampada e una piccolissima quantità di provviste tra cui acqua, olio, pane e latte e veniva totalmente dimenticata. Questo appare chiaramente come un sacrificio cruento per placare il cruccio divino più che una punizione ad una sacerdotessa che viola un voto di castità.

Alle Vestali spettava anche il compito di preparare la mola salsa. Si trattava di una focaccia di farina di farro salata che veniva poi usata per molti tra i riti dei culti romani. Il suo uso era di due tipi: o eucaristico o funzionale al cospargimento del corpo degli animali destinati al sacrificio cruento. Il termine immolare deriva appunto dall'atto di cospargere con la mola salsa.

Nel 380, con il diffondersi del Cristianesimo nell'Impero Romano e con l'editto di Tessalonica, Teodosio I cominciò la distruzione sistematica dei culti pagani e nel 391 il sacro fuoco di Vesta venne estinto e l'ordine chiuso. L'ultima Vestale aveva nome Celia Concordia. Zosimo, nella Storia nuova, racconta: Serena (nipote di Teodosio ndr), disprezzando i riti pagani, volle visitare il tempio della Gran Madre e, non appena vide che la statua di Rea portava una collana degna del divino rispetto, gliela tolse e se la mise. Una vecchia, una delle ultime vestali, la accusò di empietà, ma lei la insultò e la fece scacciare dal suo seguito. Allora la vecchia lanciò contro Serena, suo marito e i loro figli tutte le maledizioni che il suo gesto meritava. Serena, però, non le fece alcun caso e uscì dal tempio ostentando l'ornamento. Ma questa maledizione, anche se Serena la ignorò, finì per realizzarsi, dato che nel 407, in seguito ad alcune scelte politiche e strategiche poco scaltre da parte del marito Stilicone, magister militum dell'Impero dopo la morte di Teodosio, le difese sul Reno cedettero consentendo l'invasione in Gallia di popolazioni barbariche, e nel 408 a causa di questo una congiura lo portò alla morte; un destino che colpì anche Serena che venne condannata a morte con il figlio Eucherio, mentre Alarico assediava la città con i suoi visigoti.

Come abbiamo visto nell'episodio narratoci dallo storico bizantino Zosimo, Celia Concordia assiste ad una profanazione del tempio di Rea e maledice la patrizia Serena. Come mai Rea e non Estia? La risposta a questo è proprio il concetto che abbiamo visto prima e che si riprende nell'Inno Orfico a Estia che recita:

Madre degli déi immortali onorata dagli déi, nutrice di tutti,

vieni qui, dea regolatrice, signora, alle preghiere a te rivolte,

avendo aggiogato i leoni uccisori di tori al carro veloce nella corsa,

tu che tieni lo scettro del cielo glorioso, santa, dai molti nomi,

tu che hai il trono al centro del cosmo, per cui tu stessa

possiedi la terra fornendo ai mortali dolci alimenti.

Da te è stata generata la stirpe degli immortali e dei mortali,

da te sono dominati i fiumi e sempre tutto il mare,

sei detta Estia; te chiamano datrice di felicità,

poiché ai mortali elargisci in dono beni d'ogni specie, 

vieni al rito, o signora, tu che ti rallegri dei timpani,

che tutto domi, Frigia, salvatrice, sposa di Crono,  

figlia di Cielo, antica nutrice di vita, amante della follia:

vieni gioiosa, rallegrandoti delle azioni pie. 

Qui, come vediamo, Era ed Estia vengono trattate come una stessa divinità. Questo potrebbe far pensare ad una distinzione seguente tra la divinità delle creature selvagge e della terra quale è Rhea a tre divinità distinte: Hera, Hestia e Demetra, che però raccolgono tutte e tre un principio comune alla stessa madre che le ha generate. Questo punto di vista degli Inni Orfici ci fa riflettere sul fatto che siamo noi studiosi che ci preoccupiamo delle genealogie e delle tempistiche degli eventi mitici che si susseguono, ma che in realtà in un concetto di inno e di invocazione ad una divinità quello che conta è l'aspetto divino della stessa. Il tempo, di cui Estia è figlia, dato che è Crono, non ha alcuna importanza perché è sia il principio che la fine: è il cerchio. E come prendiamo in considerazione nella cosmologia wiccan che un dio possa essere figlio di se stesso perché passa in diverse fasi di nascita, fecondazione e morte per poi rinascere dalla madre che diventerà sua moglie, ecco che Rhea ed Estia possono essere chiamate nello stesso Inno, così come chiamavano Artemide-Ilizia quando si invocava il suo potere da levatrice.

È difficile trovare un corrispettivo paritario ad Estia in altri Pantheon se si desidera mantenere il concetto virgineo della dea, ma è chiaro che la dea Brigid sia la migliore candidata per richiamare il potere del focolare e della saggezza corrispettivi della dea greca. La prima cosa importante da capire su Brigid è che è una dea triplice, che quindi conserva un aspetto di vergine, madre e saggia che, in qualche modo, si ritrova nel mito e nelle diverse implicazioni di Estia, basti pensare al sopracitato aspetto di Rhea che condivide con Demetra ed Hera. Era figlia di Dagda e della Morrigan e deteneva il potere su tre arti: la metallurgia, la poesia e la guarigione e i suoi tre simboli erano comunque tre fuochi: ispirazione, forgia e focolare. Veniva rappresentata con i capelli rossi fiammeggianti e spesso in mano un fuoco.

Brigit era forse la dea più venerata in tutto il mondo celtico e prendeva nomi diversi a seconda del luogo dove veniva onorato il suo culto. In Irlanda era nota anche come Brigid o Brid, mentre in Britannia era Brigantia o Brigantis, in Scozia era Bride o Brìghde, in Gallia era Brigandu o Berecyntia, mentre in Galles era Ffraid. Il suo culto era attivo anche in Svizzera, dove era nota come Brigindo. La stessa città italiana che ora ha nome Brescia in origine si chiamava Brixia, ed era in onore a questa dea. Brigit è arrivata anche ad appartenere al pantheon della santeria, divenendo Maman Brigitte. Il suo culto era così profondamente sentito che fu cristianizzata in Santa Brigida di Kildare, una monaca di esistenza dubbia che favorì la cristianizzazione dell'Irlanda e che ha "ereditato" tutti i pozzi sacri alla dea, nonché il suo simbolo: la croce di Brigit, un talismano apotropaico ottenuto con l'intreccio di fili di paglia e che riporta al simbolismo della ruota solare con quattro raggi.

Il mito di Brigit è molto vasto e diversificato nel mondo celtico ma alcuni punti rimanevano fermi: veniva sempre onorata con l'accensione di fuochi e con canti. Il suo essere patrona delle tre supreme arti del mondo celtico, i tre fuochi: metallurgia, che la rendeva protettrice dei fabbri, ispirazione, che la rendeva protettrice dei poeti e dei bardi, e il focolare, che la rendeva protettrice dei guaritori erano i tre punti fermi della cultura celtica dalla Gallia alla Scozia, dalla Britannia all'Irlanda e al Galles. Brigit era il fuoco che teneva viva la tradizione, il fuoco che non si estingueva mai. Era la dea conservatrice per antonomasia, anche per il suo ruolo come patrona dei bardi, che erano a tutti gli effetti coloro che avevano il compito di tramandare i canti e le gesta dei popoli, dato che nel mondo celtico non era uso scrivere. Il suo nome stesso deriva da breo, che significa appunto fuoco, e il suo culto era seguito in particolar modo dalle donne e portava rinnovamento, purificazione e guarigione. Ma a Brigit oltre al fuoco, come abbiamo visto, erano sacre anche le fonti, dove le persone si recavano per trovare sollievo per diversi tipi di problemi fisici e che ancora adesso punteggiano la terra di Irlanda. Nel ciclo di Re Artù, il suo ruolo di protettrice dei fabbri la rese, secondo alcuni, la Dama del Lago, Viviana, la madre di Lancillotto, che forgiò Excalibur la spada invincibile.

Il termine "Bride", sposa, deriverebbe dal nome di questa dea e dal culto ad essa dedicato come signora della fertilità, dato che la festività a lei dedicata, Imbolc, si festeggiava nei primi giorni di febbraio, quando la neve ancora riveste il mondo di un sudario gelido. Lei era quindi il calore della vita, il fuoco che scioglieva i rigori dell'inverno. Il culto casalingo, a cui partecipavano solo le donne, consisteva nella sua rappresentazione come una bambola dai capelli rossi vestita di un abito bianco come la neve e la preparazione di un cesto di vimini che rappresentava il letto dove si stendeva a riposare in modo che il mondo, in questo caso il suo giaciglio, si ammorbidisse dalla rigidità del ghiaccio invernale grazie al suo fuoco inestinguibile. Sul cuore della bambola veniva appoggiato un cristallo trasparente o bianco a segno della sua immensa purezza e al suo fianco veniva poggiata una bacchetta intagliata in forma fallica, perché Brigit era anche una dea madre, oltre ad essere sorella di Oghma, ed ebbe tre figli, e fu grazie a questo che ebbe un ruolo determinante nel conciliare una pace duratura tra le diverse popolazioni dell'Irlanda

Brigit divenne moglie di Bres, il re Irlandese. Il loro matrimonio pronosticava anche una pacificazione, dato che giungevano da tribù diverse, belligeranti e soprattutto in conflitto tra loro; purtroppo però non fu così. Stava infatti per cominciare una grande battaglia tra le famiglie dei due coniugi, dalla cui unione come abbiamo visto erano nati tre figli: Brian, Luchar ed Ruandan, che divennero tutti guerrieri di grande fama.

Fu proprio il figlio maggiore di Brigit, Brian, usando le conoscenze nella metallurgia che aveva appreso dalla madre, che scagliò il primo colpo che scatenò la battaglia, uccidendo il fabbro dell'esercito avversario. Mentre il guerriero cadeva al suolo, cercò di colpirlo nuovamente prima che morisse ma Ruandan, il fratello, rimase ucciso nella lotta. Il dolore per la perdita di suo figlio e per l'odio viscerale e ininterrotto che scorreva tra le due famiglie fu immenso per la Dea. Si dice che le sue lamentazioni furono così alte che vennero udite anche al di fuori del territorio irlandese e furono così struggenti che entrambe le fazioni in guerra lasciarono il campo di battaglia e forgiarono una nuova alleanza. Fu proprio questo evento che caratterizzò in seguito Brigit come dea della pace e dell'unione e si dice inoltre che fosse proprio lei la prima ad aver innalzato un lamento funebre e le fu attribuita anche l'invenzione del fischio, che usava per evocare gli amici al suo fianco. Fu proprio l'amore e il rispetto per questa dea che portò all'unità dei celti quando si sparsero in tutta Europa. Nonostante le loro immense differenze e la frammentazione tribale che li determinava e che poi li ha anche portati allo sbando e alla sconfitta per opera dei romani, erano tutti d'accordo sulla bontà e la compassione che questa dea portava con sé.

Uno dei racconti più popolari che riguardano Brigit coinvolge due lebbrosi che si trovarono nei pressi del pozzo a lei sacro a Kildare e che chiesero di essere guariti. La dea disse loro che avrebbero dovuto lavarsi vicendevolmente con l'acqua sacra e miracolosa finché la loro pelle non fosse tornata sana. Così fecero, ma dopo che il primo fu guarito, questi provò una forte repulsione per l'altro e si rifiutò di toccarlo per lavarlo. La dea si infuriò moltissimo e, come era capace di guarire, invertì il processo e la pelle del neo guarito si ulcerò nuovamente per la lebbra. Poi gentilmente prese il suo mantello e lo avvolse intorno all'altro lebbroso, benedicendolo con la guarigione immediata.

Come abbiamo visto poco sopra, moltissime sono le fonti e i pozzi irlandesi dedicati alla dea Brigit. Simbolicamente infatti l'acqua era vista come un portale per l'altro mondo e come una sorgente di saggezza e guarigione. C'è un interessante simbolismo legato a Brigit e al pozzo che è richiamato ovunque nel mondo: quello del desiderio. Si dice infatti che la dea avesse un particolare riguardo e ricompensasse coloro che le facevano offerte. È da questo che deriva il tuttora vivo costume di gettare monete nelle fontane e nei pozzi esprimendo un desiderio.

Secondo il mito Brigit, presso il suo santuario più sacro, insegnò agli uomini la raccolta delle erbe e le loro proprietà medicamentose; insegnò loro come prendersi cura e allevare il bestiame e come forgiare utensili con il ferro. Come dea della maternità era la patrona dei bambini e anche dell'arte dell'ostetricia, quindi era la protettrice delle partorienti, rivelando ancora il suo aspetto di dea madre. Il santuario, situato nei pressi di Kildare, sorgeva vicino ad un'antichissima quercia che era considerata sacra dai druidi, i sacerdoti celti. Era un luogo talmente sacro che a nessuno era concesso avvicinarsi portando con sé armi. Si ritiene che in questo santuario ci fosse anche un collegio di sacerdotesse che erano tenute a mantenere il loro servizio alla dea per trent'anni, prima di essere libere di andarsene e sposarsi. Nel santuario il trentennale servizio era diviso in tre decadi. Durante la prima le sacerdotesse venivano addestrate al sacerdozio, durante la seconda si prendevano cura dei pozzi, i boschetti e le colline sacre alla dea, e nell'ultima invece erano tenute ad insegnare alle nuove arrivate. Un’ulteriore similitudine, questa, che ci riconduce al culto di Vesta. Diciannove erano le sacerdotesse assegnate alla cura della sacra fiamma perpetua in onore a Brigit, contro le sei Vestali. Ognuna di esse doveva tenere il fuoco vivo per un giorno. Al ventesimo giorno la dea stessa si sarebbe preoccupata di mantenere il fuoco alto e splendente.

Come abbiamo visto Brigit era anche la dea irlandese della poesia ed era nota per la sua peculiare benevolenza nei confronti dei poeti, dei musicisti e degli studenti. Fu proprio questo a renderla nota come la "musa della poesia". Anche quando venne cristianizzata in S. Brigida, il monastero a lei dedicato e sorto sopra il sacro santuario portò avanti la sua tradizione e divenne così uno dei più grandi centri europei dell'educazione e della cultura. Infatti fu fondamentale nel preservare la maggior parte delle conoscenze e della letteratura antiche lungo l'arco del medio evo. Proprio quindi come Imbolc, la festa a lei dedicata che spezza il rigore invernale dando la prima avvisaglia dell'ingiungere della primavera, Brigit ci insegna l'importante lezione di non trascurare ciò che è il nostro passato, coltivando però la speranza riguardo al nostro futuro. Ella è definibile come il ponte, fatto di creatività e ispirazione, che ci permette mantenere un collegamento portante con ciò che siamo stati, che siamo e che saremo.

Il principio della conoscenza, dell'elevazione, dell'evoluzione spirituale, sociale e tecnologica che va di pari passo con la scoperta del fuoco, il suo trasporto, il suo mantenimento e la sua riproduzione segna le tappe fondamentali dell'umanità. Ed è lì che Estia, Brigit e Vesta trovano il suo posto, così come Agnis, il dio del fuoco etrusco. Le similitudini che troviamo nel culto e nei doveri portati avanti dalle virginee Vestali e quello di Brigit può essere determinato da un sincretismo legato ad invasioni barbariche dell'Italia o all'invasione romana della Britannia, ma comunque sia la somiglianza che le accomuna è indiscutibile.

La saggezza del fuoco che non si deve estinguere è diventata, nel tempo, il significato stesso del concetto neopagano, così come le vestali detenevano il compito supremo di non lasciare che il sacro simbolo della dea si estinguesse, così come i druidi sulla collina di Rathcroghan accendevano il fuoco sacro che poi, in tizzoni, portavano ad ogni tribù celtica in Irlanda, così che tutti potessero attingere dalla stessa singola fiamma, portandola nel proprio focolare e così come le donne si prendevano cura del focolare come fulcro spirituale del loro mondo, il simbolismo della dea Vesta e del suo fuoco sacro grazie all'iniziativa di un'associazione culturale veneta è divenuto, nel mondo attuale, il significato stesso della nostra unione come pagani del nuovo millennio, della nuova era, mediante l'istituzione di un Giorno Pagano della Memoria, che si festeggia dal 2006 in coincidenza con la data di spegnimento del sacro fuoco di Vesta per ordine di Teodosio I Imperatore il 24 febbraio 391.

L'insegnamento di Estia è così grande e vasto che non sempre può essere compreso tutto assieme perché è qualcosa che, proprio come la dea, non ha bisogno di una rappresentazione fisica, in quanto è privo di un inizio e di una fine e ci parla di continuità, di somma spiritualità, di dedicazione ad un intento per perseguirlo sopra ogni altra cosa. È con il suo rifiuto della sessualità promiscua in un Olimpo popolato da un pantheon decisamente libertino, con il senso di contegno, di controllo di sé e con la capacità di mantenere un carattere mite, caritatevole e benevolente nei confronti di chiunque si rivolgesse a lei anche solo entrando nel suo tempio circolare, ed anche quando questo tempio era solo il confine della casa e il focolare domestico, promettendo protezione e rispetto a chiunque senza distinzione in un mondo di dei e dee dove mostrare una minima irrispettosità o preferire una divinità ad un'altra poteva far incorrere in maledizioni mostruose, Estia ci parla nel linguaggio semplice e diretto di una madre e di una saggia che rimane elevata sopra gli esseri umani nonostante scelga di vivere con loro; e lo fa perché li comprende per quello che sono e lo fa anche attraverso il simbolo del cerchio che la rappresenta e che richiama il braciere a lei sacro e, per noi neopagani, anche lo stesso concetto wiccan di pratica teurgica dove ogni astante è ad equa distanza da chiunque altro e dove nessuno prevale su nessun altro.