The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

NORRENI - La Disfatta Dei Nibelunghi

La Disfatta Dei Nibelunghi

Morto Sigfrido, entrano in scena gli illegittimi detentori del suo tesoro, i due fratelli Hógni e Gunnar, principi dei Nibelunghi, destinati a pagar caro il loro delitto. Questo episodio, narrato anche nella seconda parte del Nibelungenlied, seppure privo dei particolari raccapriccianti presenti nell'arcaica versione nordica, è il trait d'union con un altro ciclo di leggende dove Gudhrun, unica superstite, sposa il re Ionakr, innescando così un'ulteriore serie di vendette e di avventure.

La melanconica atmosfera dei giorni di lutto solenne proclamati in onore di Sigfrido rischiava di travolgere in un precoce declino la sua giovane vedova. Gudhrun, infatti, non aveva ancora conosciuto i primi devastanti segni della vecchiaia: il suo volto era fresco e poteva ispirare ancora teneri sentimenti. E in mezzo alla tristezza generale ci fu chi seppe apprezzare il suo fascino discreto. Era giunto alla corte dei Nibelunghi il valoroso re Atli anch'egli colpito da un lutto familiare, l'inspiegabile suicidio della sorella Brunilde. Il condottiero, famoso per la sua crudeltà e spietatezza, seppe trovare le parole giuste per lenire il dolore della giovane vedova di Sigfrido, legandola a sé con delle promesse di matrimonio. Seppure leggermente contrariati, Hógni e Gunnar diedero il loro consenso alle nozze: Gudhrun partì con Atli, per ricominciare una nuova vita in un nuovo regno. Ma Atli, il quale aveva sentito delle voci sul tesoro trafugato dai Nibelunghi, aveva ben altri progetti: sognava la sfavillante massa aurea, i preziosi gioielli su cui erano incastonate gemme di dimensioni eccezionali. Senza farle mai sospettare nulla, iniziò a parlare con Gudhrun di una possibile visita dei suoi fratelli nel loro regno: ormai gli anni erano passati, avevano avuto due figli, eppure non avevano rivisto Gunnar ed Hogni. Giorno dopo giorno, con diabolica maestria, Atli invitava Gudhrun a mandare messaggeri ai suoi fratelli per organizzare una grandiosa festa in loro onore. Intanto, nel regno dei Nibelunghi crescevano i dubbi: c'era chi, nelle pressanti richieste di Gudhrun, vedeva una trappola per impadronirsi del tesoro e perciò sconsigliava la visita; altri dicevano che, rifiutando, avrebbero fornito ad Atli un pretesto, un casus belli per invadere il loro regno; altri ancora, fiduciosi, sostenevano che non c'era nulla da temere. Inoltre, Gunnar ed Uogni erano dilaniati dal sospetto che la sorella avesse scoperto i tragici retroscena della morte di Sigfrido. Dopo lunghe discussioni, i Nibelunghi accettarono l'invito. I due fratelli, però, presero delle precauzioni: innanzitutto, seppellirono il tesoro in un punto del fiume Reno che essi solo conoscevano e, preparandosi ad ogni evenienza, scelsero i migliori guerrieri del regno e, armatili fino ai denti, si fecero scortare. Molti presagi sinistri accompagnarono il viaggio dei Nibelunghi e più di una volta i cavalieri della corte tentarono di dissuaderli, ricordando analoghe profezie che si erano udite da tempo: si parlava di una imminente disfatta del loro popolo, di un'immane sciagura che li avrebbe travolti. Ma, ormai decisi a non venir meno alla loro parola, Gunnar ed Hógni diedero ordine di avanzare. Il corteo dei Nibelunghi, appena varcati i confini del regno di Atli, fu circondato dalle schiere nemiche: migliaia di terribili guerrieri, vere belve umane temute dagli eserciti di tutto il Nord. A nulla valsero i loro tentativi di difesa: in breve tempo vennero sconfitti e, a causa delle crudeltà degli aggressori, si trattò di un massacro in cui perirono tutti i cavalieri della corte dei Nibelunghi. Solo Gunnar ed Hógni scamparono a quell'eccidio, ma conobbero l'umiliazione della prigionia: in catene furono condotti nella reggia di Atli. Qui, secondo una tecnica ben collaudata, vennero separati e, dopo aver subito atroci torture, Ounnar ricevette la visita di Atli. Il re gli confermò le sue supposizioni: voleva il tesoro, solo così, aggiunse, avrebbe avuto salva la vita. Gunnar, sorprendendo il suo carceriere, gli rispose che era disposto a rivelare il posto dove era nascosto l'oro, ma prima dovevano portargli il cuore del fratello. Di lì a poco, con una macabra efficienza, il cuore ancora palpitante di Hdgni fu deposto ai suoi piedi: solo allora Gunnar svelò le ragioni di quella sua crudele richiesta. In quel modo, infatti, era sicuro che il tesoro non sarebbe caduto nelle mani di Atli: egli infatti non avrebbe mai parlato, e nessuno, oltre a loro due, conosceva il punto preciso del Reno dove era stata sprofondata la massa aurea. Ormai fuori di sé per aver provocato inutilmente una strage, Atli fece gettare Gunnar nella fossa dei serpenti. E fu qui che avvenne un prodigio eccezionale: all'improvviso, materializzatasi dal nulla, apparve un'arpa. Gunnar aveva le mani legate, ma, altro prodigio, riusci a suonare lo strumento con le dita dei piedi. La melodia soave e accattivante, paralizzò i rettili, facendoli addormentare. Sembrava proprio che una potenza oscura proteggesse il fratello di Gudhrun. Ma dopo qualche tempo, una vipera si destò dal provvidenziale letargo e, con sinuose movenze, iniziò ad avvicinarsi al ventre di Gunnar. La serpe, come era prevedibile, lo morse, ma lo fece con tale energia che riuscì a penetrare con la testa, nelle viscere dei prigioniero: la vipera strisciò fino al fegato di Gunnar, divorandolo con ingordigia. Il principe conobbe la più crudele delle morti. Nessuno poté mettere le mani sul tesoro dei Nibelunghi, chiamato da allora in poi «l'oro dei Reno». Gudhrun, nel frattempo, aveva appreso della strage del suo popolo e covava una vendetta pari alla crudeltà di Atli. Mettendo da parte il suo amore materno, uccise i due figlioletti avuti da lui e, rivolgendosi ad un fabbro di sua fiducia, fece montare i crani dei due fanciulli su delle basi d'argento e d'oro, ricavandone due macabre coppe. La sera stessa quando Atli organizzò il banchetto funebre in onore di Gunnar ed Hógni, come se nulla fosse successo, la regina riempì personalmente d'idromele le coppe-cranio e le porse al re che, ignaro, bevve con avidità. Il liquido, che era stato addizionato con sostanze stupefacenti, fece crollare Atii in uno stato di ebetudine stuporosa, inibendogli qualsiasi possibile reazione. Fu a quel punto che Gudhrun lo apostrofò con dure parole, ingiuriandolo gravemente e, in un crescendo di indignazione, gli confessò l'orrendo crimine di cui si era macchiata per vendicarsi e gli raccontò dei crani. Infine, vedendo che Atli intontito dalle droghe nemmeno l'ascoltava, l'uccise e subito dopo appiccò il fuoco alla sala, facendo perire in un rogo gigantesco quasi tutta la corte. Stremata per aver assistito a tanta distruzione e morte, Gudhrun si recò fino al fiordo: voleva por fine a quei suoi tristi giorni, così funestati dal sangue dei suoi cari. E si tuffò nelle acque limacciose. Straordinariamente, i frutti gelidi del mare del Nord non travolsero la sventurata regina, ma trascinarono il suo corpo stanco fin sulle lontane spiagge della terra del re lonakr. Per un altro oscuro disegno del destino accadde che la giovane naufraga fosse soccorsa proprio dal re che, di fronte al viso sfatto di Oudhrun, provò un naturale sentimento di compassione, trasformatosi però immediatamente in amore. E cosi, per la terza volta nella sua vita, Gudhrun conobbe i fasti di una reggia: sposò lonakr. Oudhrun visse un lungo periodo di tranquillità, allietato dalla nascita di tre figli: Sorli, Hamdhir e Erpr. E, cosa che la riempiva di gioia, i tre ragazzi avevano i capelli neri come corvi: una caratteristica dei Nibelunghi. Inoltre, era riuscita a riavere, non si sa come, la figlia avuta con Sigfrido, la bellissima Svanhild. Un giorno, il potente re lermunrekkr sentì parlare della leggiadra beltà di Svanhild: dicevano che era la donna più affascinante del mondo, la signora incontrastata della perfezione delle forme e della grazia inuliebre. Allora lórmunrekkr mandò, in qualità di ambasciatore delle sue offerte di matrimonio, suo figlio, il giovane Randver nel regno di lonakr. Ma visto lo splendore dei tratti di Svanhild, il figlio del re dimenticò la missione paterna e, seguendo i suoi desideri, chiese la mano della fanciulla per sé. Qualcuno però riferì la cosa a lórmunrekkr che, risentito per la sfrontatezza del figlio, lo richiamò a corte. Qui, senza alcuna pietà, lo fece rinchiudere nelle prigioni del regno. Il principe, dalla sua prigionia, mandò al padre uno strano regalo: un falco, uno splendido esemplare, ma privo di penne. Il re capì il messaggio e le ingiurie celate nell'innocuo pennuto: come il falco, nobile uccello, privo di penne, non poteva volare, così lui, decrepito e reso impotente dall'età, non avrebbe mai potuto coitare con la bella Svanhild. Ma c'era di più: nell'antico simbolismo, il falco spennato equivaleva all'amante derubato e, con quel regalo, il giovane confessava di aver già goduto i piaceri della principessa «rubandoli», per l'appunto, al padre: l'«amante tradito». Il re, colpito a morte nell'onore, fece impiccare suo figlio e preparò un'orrenda morte per la principessa che gli aveva preferito Randver. Poco dopo, infatti, fece catturare Svanhild e la condannò alla pena destinata alle adultere: morire calpestata dagli zoccoli dei cavalli. Quando Gudhrun vide il cadavere martoriato della figlia avuta dal suo primo, e forse unico, amore, rivisse le tragiche fasi della sua esistenza: le sciagure che, senza un attimo di tregua, continuavano ad abbattersi su di lei. Ed ancora una volta fu costretta a tramare una vendetta: forgiò delle corazze e degli elmi tanto robusti che nessuna spada avrebbe mai potuto scalfirli e li diede ai figli, inviandoli nel regno di lormunrekkr per uccidere il re: Sorli e Hamdhir dovevano mozzargli le mani, mentre Erpr doveva decapitarlo. I tre partirono subito, ma durante il viaggio Sorli e Hamdhir iniziarono a prendere in giro Erpr: non capivano quale era il suo compito, visto che loro due erano più che sufficienti per eliminare il re. E, una parola dopo l'altra, la tensione crebbe fino a quando i tre fratelli litigarono furiosainente: Erpr venne sopraffatto e mori sotto i colpi dei fratelli. I due attentatori giunsero di notte nel palazzo di lormunrekkr e lo sorpresero nel sonno. Eseguendo gli ordini materni, Sorli e Hamdhir gli tagliarono le mani ed i piedi, ma, nonostante il dolore, il re trovò il fiato per chiamare la sua guardia personale. I colpi dei guerrieri reali non avevano alcun effetto sulle armature dei figli di Gudhrun. Ormai immerso in un lago di sangue, il re gridò di colpirli con delle pietre e, afferrati dei massi, le muscolose guardie abbatterono i due. Solo in quell'attimo Sorli e Hamdhir compresero l'enorme sbaglio che avevano fatto quando avevano ucciso Erpr. Ma evidentemente era stato il destino a guidare le loro mani fratricide, affinché la maledizione che perseguitava i Nibelunghi compisse l'ultimo suo atto: da "ora, infatti, la schiatta dei principi «neri come corvi» scomparve dalla faccia della terra.