Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
Archetipi Divini
sezione a cura di Bardo
Introduzione: Le Divinità dentro di noi
È esperienza comune di tutti notare, nel momento in cui un gruppo di individui si aggrega, il tipo di alchimie e di posizioni che i diversi membri assumono all'interno di quella micro-comunità. Ci sono personalità che emergono, per prendere le redini del comando e a guidare compattamente il gruppo, altri che invece vanno a occupare ruoli diversi, chi si pone “alla destra del capo” e ne fa il vice, chi si occupa di lavori manuali, chi predilige l'intelletto, chi espleta una funzione comunicativa, chi lavora su un piano più emozionale, chi si prende cura dei membri della comunità, chi esercita un ruolo esteriore, chi si oppone alle forze coese e statiche creando cambiamento, chi invece si uniforma alle direttive e muta a seconda delle situazioni. Qualsiasi nucleo umano, qualunque sia il suo scopo – ludico, amicale, lavorativo, di sopravvivenza – si stratifica, e la stratificazione avviene secondo un sottile gioco di forze che istintivamente, come un impulso, guidano ciascuno a inserirsi in un ranking naturale, dove la “figura” appropriata si manifesta spontaneamente e anzi guida le azioni della persona in cui sorge, operando armonicamente con le altre.
Più nel particolare, sarà capitato certamente a tanti di osservare il diverso istinto che si attiva nelle donne di fronte a un bambino piccolo: alcune sentono sorgere spontaneamente l'impulso di proteggerlo e curarlo, altre non possono fare a meno di sentirlo come una scocciatura, arrivando a carezzare l'idea di strangolarlo quando piange e si lamenta, altre sentono persino paura di tenerlo in braccio o di fare qualcosa di inadeguato, tenendosi a distanza. Sono impulsi molto diversi, che possono anche coesistere nella stessa donna, o emergere in momenti diversi. Come anche l'istinto che può attivarsi negli uomini di fronte, ad esempio, al compiersi di un torto: ci sono persone che non possono fare a meno di intervenire per ristabilire il giusto ordine, chi fa finta di non vedere, chi addirittura si defila per non subire lo stesso trattamento, chi istintivamente ricorre alla violenza, chi esercita la conoscenza di regole e leggi per neutralizzare il dissesto, chi d'altra parte ci scherza su per scacciare il senso di disagio che prova. Anche questi sono impulsi che coesistono, e che possono manifestarsi alternativamente – seppure alcuni di questi possiamo riconoscerli come “preferenziali”, poiché tendono ad attivarsi naturalmente, con più frequenza.
I ruoli, la coscienza, le motivazioni, gli istinti, sono tutti fattori che appartengono a determinate “immagini interiori”, denominate Archetipi (dal greco ὰρχέτῦπος, “modello originario”). Jung definì l'Archetipo come un modello di comportamento istintuale contenuto nell'inconscio collettivo (ossia nella memoria universale condivisa dagli esseri umani, quell'insieme di esperienze condivise e comportamenti appresi che poi compongono l'evoluzione della specie). Gli Archetipi si trovano ovunque: sono espressione della Creazione intera, dell'umana specie e del suo bagaglio evolutivo, sono insieme nati con l'essere umano e al contempo l'hanno generato. L'Archetipo è tanto terreno quanto sottile, è un'impronta energetica concreta che si manifesta sul piano materiale attraverso forme, pulsioni e desideri. In quanto tale, preesistente all'uomo e al contempo nato con esso, immaginerete bene che l'espressione più pura degli Archetipi possiamo ritrovarla nelle figure che l'uomo ha ritenuto governanti sul Creato – cioè le figure divine: i numerosi Dèi dei pantheon politeisti, creatori della razza umana e al contempo estremamente umani nelle loro manifestazioni e atteggiamenti. Particolarmente vero, questo, per il pantheon greco-romano, che sarà quello di cui ci avvarremo per comprendere meglio gli Archetipi: gli Dèi dei nostri antenati sono quelli che si sono nutriti della terra in cui viviamo, che hanno lasciato la loro impronta nei secoli, travestendosi da Santi e Madonne ma sempre vivi nella memoria inconscia collettiva. In quanto tali ci appartengono a livello profondo, indipendentemente dal sistema religioso o pantheon di riferimento che abbiamo scelto.
Comprendere più a fondo gli Archetipi e la loro influenza su di noi è la chiave primaria per prendere in mano la nostra evoluzione personale: queste figure interiori sono estremamente potenti, immaginate che ciascuna porta con sé tutto il vissuto umano accumulato sino a oggi, gli istinti, gli impulsi e gli atti di miliardi di esseri viventi prima di noi. In quanto tali, gli Archetipi se non controllati tendono ad “agirci”, a muoverci secondo dei modelli comportamentali prestabiliti, virtuosi da una parte, ma viziosi anche, ed estremamente limitati e limitanti nella loro manifestazione. Ciascuno di noi possiede in potenza tutti gli Archetipi dentro di sé: possiamo evolverci in tutte le direzioni, possiamo essere chiunque potenzialmente; ma inevitabilmente prendiamo una direzione, via via sempre più specifica, influenzata da ambiente, genitori, dalle attitudini naturali, finanche dalla conformazione del nostro corpo. Alcuni Archetipi col tempo prendono il sopravvento sugli altri, spesso finendo per insediarsi completamente mettendo a tacere tutto il resto. È allora che, consci o meno, smettiamo di crescere e diventiamo uno stereotipo, un guscio vuoto, una forma in cui la sostanza è addormentata. Quando davanti a talune problematiche vi viene da rispondere “io sono fatto così, non posso farci nulla”, pensateci bene a fondo; valutate se davvero siete voi quelli lì, se non potete essere altrimenti: scoprirete che l'infinito delle opzioni è sempre a vostra disposizione. Altresì, comprendere gli Archetipi e riconoscere quelli che ci corrispondono ci aiuta a dare una direzione ideale alla nostra esistenza: scegliere il giusto percorso di studi, il lavoro che ci può davvero rendere appagati e che si sposa con le nostre attitudini naturali, il tipo di partner con cui è più agevole costruire un rapporto di coppia, il ruolo che ci è congeniale ricoprire nella società. E, a un livello di dimestichezza più alto, aiutare gli altri a comprendere loro stessi e fare altrettanto.
Gli Archetipi sono suddivisibili in maschili e femminili, ma tale classificazione, come vedremo, è soltanto parziale in quanto gli Archetipi femminili si ritrovano anche negli uomini e quelli maschili altrettanto nelle donne. Jung parlava di Animus e Anima a riguardo: l'Animus è la componente maschile inconscia presente nella donna, mentre l'Anima è la componente femminile inconscia presente nell'uomo; si tratta del “volto oscuro” della Luna, quello non illuminato, ma comunque presente nella rotonda completezza dell'individuo. Da qui è facile comprendere come tale distinzione sia solo sommaria (tuttavia, vedremo tra poco, la classificazione delle figure archetipiche all'interno delle due categorie è assai diversa). Una persona è quindi governata da un Archetipo che potremmo definire “princeps”, dominante, più un Archetipo “ombra” (Animus o Anima, a seconda che la persona sia donna o uomo). Esiste poi un terzo Archetipo, che completa la triade di ciascuno, che è di supporto, di completamento; spesso incarna l'aspetto fisico della persona, se il princeps non l'ha già fatto, ma può anche completare degli aspetti emotivo/caratteriali.
Entriamo qui in un altro affascinante ambito: Archetipi e studio medico-olistico della persona. Può essere intuitivo il rapporto tra energia archetipica e psicologia, meno forse il rapporto con il corpo e la sua conformazione. Se riflettiamo però, possiamo trovare logica la tesi per cui l'anima, risiedendo nel corpo, lo influenza, e a sua volta il corpo con la sua statica materica influenza l'anima che lo vivifica. È un rapporto scambievole, simbiotico quello tra universo sottile e universo tangibile, che ben rispecchia l'influenza archetipica: la forma del corpo propedeutica alla sostanza (anima), e viceversa. Gli studi di fisiognomica intrapresi già nel 1500, rozzamente e in modo parziale, produssero però alcune intuizioni in cui troviamo un germe genuino.
Porto un esempio molto semplice per capire la correlazione tra spirito-mente-corpo (e quindi anche malattia). Prendiamo un tipo classificato dalla medicina omeopatica come “Nervoso”: il nervosismo e l'irascibilità (tratto caratteriale) sono i derivati di una conformazione fisica del sistema nervoso centrale e periferico particolarmente sviluppata, quindi sensibile. Il soggetto in questione risulta molto facile e aperto agli stimoli, quindi con una facoltà mentale sviluppata ma sottoposta facilmente a stress. La conformazione fisica del soggetto è magra, con pelle sottile e fragile, pallida (questo perché i ricettori nervosi, per essere molto reattivi, si devono trovare “a fior di pelle”: un soggetto rubicondo difficilmente presenta le caratteristiche adeguate per un sistema nervoso iperattivo). Una delle patologie in cui facilmente incorre tale soggetto è la congestione epatica: l'eccesso di adrenalina in circolo legata all'iperstimolazione viene scaricata e metabolizzata dal fegato, che si trova facilmente sotto stress (e se unito a un regime alimentare troppo grasso o insalubre rischia di andare in forte deficit). Di conseguenza, la pelle dal colorito pallido e giallastro appunto, tipica dei soggetti fegatosi. La particolare attitudine all'esaurimento del Nervoso, unita alla debolezza fisica e alla pelle fragile, lo porta a condurre un tipo di vita sedentaria, ritirata, asociale, in cui le altre persone sono tenute a distanza.
Questo esempio (semplificato all'osso) può aiutare a capire meglio come i tre piani fisico-mentale-emotivo siano intimamente connessi, e come da un'analisi integrata di essi sia possibile definire non solo determinate tipologie di appartenenza, ma anche piani di evoluzione clinica e possibili quadri patologici. Tutto questo, perfettamente inserito e descritto dalla cornice archetipica.
Andiamo quindi più a fondo, ad esplorare le due macro-categorie di Archetipi maschili e femminili, per poi affrontarli nei prossimi capitoli singolarmente in tutti i loro aspetti.
Archetipi Maschili
Utilizzeremo di base il pantheon greco come riferimento, per diversi motivi: principalmente per non creare erronei parallelismi con il sistema zodiacale e planetario (vedremo in separata sede come il sistema planetario-zodiacale sia archetipicamente squilibrato), ma anche in quanto le figure divine greche sono più antiche, originarie rispetto al pantheon romano, che molto ha assimilato dal primo. Alcune eccezioni le faremo, tuttavia, ricorrendo al nominativo italico per quelle figure che invece i Romani hanno archetipicamente evoluto, arricchendole di spessore.
Gli Dèì maschili cosiddetti “Olimpi”, residenti sull'omonimo monte, erano sette: Zeus, Poseidone, Apollo, Ermes, Ares, Efesto, e Dioniso (che prese il posto di Estia in tarda età ellenica, spostando l'ago della bilancia in favore del patriarcato e delle figure maschili). Ad essi ne vanno aggiunti due: Ade, il sovrano del Regno Oscuro (che porta il suo stesso nome), che non risiede sull'Olimpo in quanto residente appunto nell'Oltremondo, e Saturno (il greco Cronos), il padre dei padri, sovrano del tempo, non presente sull'Olimpo in quanto mitologicamente ucciso da Zeus suo figlio.
Osservando le figure archetipiche maschili ci accorgiamo subito di una cosa: li possiamo ordinare in linea retta (e non a caso, in quanto la linea è simbolicamente attinente al maschile, dove invece il cerchio riporta alla simbologia femminile) e gerarchicamente: Anziani, Padri e Figli.
Nella categoria degli Anziani troviamo Saturno, il vecchio saggio senza tempo, che si trova in qualche modo ad inizio e fine della retta, potremmo quasi dire che Saturno “è” la linea (molti studi archetipici non lo riportano tra i modelli principali, ma la sua influenza e presenza è innegabile e non giustifica la sua assenza).
Nella categoria dei Padri troviamo Zeus, Poseidone e Ade, i tre fratelli che si spartirono il regno dei cieli e delle terre emerse, il regno sottomarino e il regno oscuro. Da un punto di vista psicologico, i tre regni rappresentano nell'ordine la mente conscia, l'inconscio e il subconscio (o inconscio profondo, quello raggiungibile solo oniricamente).
La categoria dei Figli necessita di una partizione, in quanto presenta degli Archetipi molto diversi a seconda che si tratti di Figli Rifiutati, cioè rinnegati dalla figura genitoriale paterna (e qui troviamo Efesto, che nelle versioni del mito più accreditate nacque da Era soltanto, senza l'apporto di Zeus, e fu scaraventato giù dall'Olimpo perché brutto e storpio, e Ares, apertamente detestato da Zeus – nonché, anch'egli, in alcune versioni del mito partorito dalla sola Era senza l'apporto paterno), oppure di Figli Prediletti, amati e accettati dal padre (e qui troviamo Apollo ed Ermes). Rimane fuori della catalogazione un figlio “ambiguo”, Dioniso, che potremmo denominare Figlio Riscattato in quanto il suo mito (di cui esistono numerose versioni) è tutto incentrato sul viaggio nel mondo degli uomini, la morte e la resurrezione con l'ascensione tra gli Dèi immortali. Dioniso è la scheggia impazzita tra gli Archetipi maschili, in quanto è l'unico che porta in sé un'immagine circolare, mutevole, anziché retta e invariata come gli altri; non a caso Dioniso presenta forti tratti femminili, e la sua mitologia è costellata di donne, grande importanza esse racchiudono nel suo percorso ciclico.
I miti archetipici maschili ci parlano dell'evoluzione del patriarcato: il pantheon greco non è l'unico in cui si ritrova il topos della lotta tra padre e figlio, figure paterne che disconoscono il loro seme e figli che per ascendere al trono devono spodestare/uccidere colui che li ha generati. A ben vedere, anche Freud lo aveva riconosciuto in quello che ha chiamato “complesso edipico”, e che sembra essere uno dei driver principali che guida l'evoluzione dei figli maschi. La guerra, la lotta per il potere e il riconoscimento sono i cardini fondamentali alla base del mito dell'uomo. Il patriarcato ha da sempre riconosciuto la logica e la razionalità come modelli vincenti, rinnegando e relegando le emozioni e l'istintualità in una sfera esclusivamente femminile. Ne consegue che gli Archetipi maschili guidati da forti impulsi emotivi ed istintuali sono visti come perdenti e “declassati”: Poseidone e Ade, i “Padri non Celesti”, che si subordinarono al modello vincente di Zeus, e i Figli Rifiutati (non a caso, poiché diversi da Zeus) Ares, impulsivo e sanguigno, ed Efesto, introverso e legato all'attività manuale anziché all'intelletto. Il grande lavoro che occorre fare sugli Archetipi maschili è di emancipazione dall'imposizione patriarcale, di reintegrazione delle virtù di cui sono portatori e armonizzazione dei lati yin e yang: alcuni Dèi devono essere liberati, altri devono essere ridimensionati affinché ogni Archetipo possa trovare il giusto spazio dentro di noi, scevro da critica e giudizio.
Archetipi Femminili
Se la linea retta ben descrive la disposizione degli Archetipi maschili, è il cerchio con la sua rotondità senza spigoli che meglio descrive la disposizione di quelli Femminili.
Le Dee annoverate nel Dodekatheon sono cinque: Afrodite, Era, Demetra, Artemide e Atena. A queste, per completare la rosa degli Archetipi, vanno aggiunte Estia, a cui restituiamo l'antico posto tra gli Olimpi, e Persefone, che come Ade dimora nel Regno Oscuro. C'è poi un altro Archetipo, che chiamiamo Terra, che necessita di essere annoverato tra gli Archetipi Femminili ma che come Dioniso rappresenta una scheggia impazzita: come lui sfugge dalla catalogazione, presenta tratti fortemente maschili. È un tipo profondamente tellurico: non vi è nulla di celeste in Terra, in quanto tale essa non descrive alcun Dio, ma al contrario incarna la materia – l'Essere Umano. Le altre Dee, possiamo come preannunciato disporle in cerchio. Se immaginiamo la figura geometrica tracciata in terra (quindi su Terra, l'Archetipo che possiamo considerare alla base di tutto), ci è possibile collocarne una parte all'interno del circolo, una parte all'esterno, e un'altra sul perimetro, a rappresentare la linea stessa (come è accaduto per Saturno). Le distinguiamo quindi in tre categorie: Indipendenti, Dipendenti e Centriche. La divisione ha un senso, in quanto – diversamente dall'universo maschile, che si auto-percepisce verticalmente, secondo gerarchia e potere personale – l'universo femminile percepisce se stesso sulla base delle relazioni, quindi orizzontalmente e in modo circolare (esistono studi molto interessanti, tra l'altro, secondo i quali il campo percettivo maschile si estende in lunghezza, in direzione avanti/indietro, mentre quello femminile si espande lateralmente, a destra e sinistra: rientra perfettamente nel modus operandi psicologico delle due tipologie).
Le Dee Indipendenti sono quelle che nella classicità erano denominate Dee Vergini, poiché mai toccate da un uomo. E infatti, si tratta di Dee che si centrano su loro stesse, sono autosufficienti; nei miti a loro afferenti non v'è traccia di amore, sentimenti, attaccamento o sofferenza: diversamente, le troviamo spesso a imbattersi in prove di forza o d'intelletto, sfide, punizioni, o semplicemente in episodi autoreferenziali. Si pongono spesso in conflitto con il sistema patriarcale, poiché sono donne che frequentano gli ambienti maschili: particolarmente vero per Artemide, la cacciatrice, ma anche per Atena, la stratega militare armata di lancia, scudo e armatura; Estia, in quanto auto-centrata e distaccata, risulta neutrale agli influssi dominatori maschili (mettendo quindi automaticamente in discussione il ruolo dell'uomo). Saremmo portati a pensare che questa loro posizione indipendente le renda emancipate, pur tuttavia il conflitto con il sistema dominante non è altro che una riaffermazione dello stesso: Artemide deve continuamente combattere contro l'uomo per dimostrare che vale altrettanto; Atena pone il suo intelletto e le sue doti al servizio dei guerrieri, degli Eroi umani – sempre uomini; Estia, come rappresentazione del focolare domestico, è relegata in casa, circoscritta, sicché il suo fuoco è dominato e non consiste in alcun pericolo. Sono Dee che, incastrate nella rete del patriarcato, finiscono per essere “dipendenti dalla loro indipendenza”. La loro sfida consiste nel riprendere contatto con la dimensione femminile accogliente, con la relazione e i sentimenti.
Le Dee Dipendenti sono di tutt'altro genere: se le Dee Vergini sono paragonabili a una forza centripeta, che tende verso il centro, queste Dee sono decisamente centrifughe, tendono a fuggire dal loro Sé, dal loro centro, cercandolo in qualcun altro. Possiamo posizionarle idealmente fuori del cerchio che abbiamo disegnato, poiché la loro identità è sempre definita in relazione a un altro individuo esterno a loro. Nei miti che le rappresentano sono spesso vittime di ingiustizie, violenza, rapimenti, soprusi. Rientrano in questa categoria Era, la Sposa Celeste, che riesce a “sentirsi” in quanto moglie di Zeus, di un uomo che eleva il suo status tramite le nozze; Demetra, Madre delle Messi, che percepisce se stessa in quanto genitrice di un figlio/figlia che le appartiene; e infine Persefone, nella sua ambivalente veste di fanciulla (Kore) e Regina dell'Ade, un Archetipo estremamente ricettivo e malleabile, capace di trasformarsi completamente ma al contempo fortemente influenzabile e inerme, come appunto una bambina. Sono Dee che esercitano la propria funzione all'interno del sistema patriarcale ponendosi al servizio di esso e perpetrando quelli che sono i ruoli tradizionali della donna: in quanto tali, la loro sfida consiste nel ritrovare se stesse, il loro centro che tendono a dimenticare.
L'ultima Dea, Afrodite, è colei che rappresenta la categoria Centrica. Se le Dee Indipendenti si concentrano su se stesse, le Dee Dipendenti sugli altri, Afrodite né l'uno né l'altro: lei si centra sulla relazione. La Dea della bellezza e dell'amore nei miti che la descrivono non è mai stata schiava dell'oggetto amato, né ha mai rifuggito i sentimenti: lei ERA il sentimento. In quanto tale, era l'unica veramente libera, capace di amare profondamente ma rimanere sempre fedele a se stessa, il perfetto equilibrio tra fuori e dentro il cerchio: il perimetro, cioè il cerchio stesso. Indipendente come una Vergine, ma in rapporto come una Dea Dipendente. Afrodite è anche descritta come Dea Alchemica, in quanto il suo potere esercita cambiamento, trasformazione: la relazione profonda che riesce ad instaurare è foriera di evoluzione, ben descritta da una crisalide che si schiude per dar vita a una farfalla. Tutto ciò che è toccato dall'Amore si trasforma. Il desiderio di unione, di fusione, di conoscere ed essere conosciuti che coinvolge la sfera fisica, emotiva e spirituale: Afrodite è tutto questo. Ed è proprio questo suo gran potere il suo limite. Troppo pericolosa per la stabilità del patriarcato, è stata relegata e marchiata con la lettera scarlatta: tutto ciò che attiene alla sensualità, al sesso, all'erotismo, è stato bollato nel tempo come tabù; il fascino e la capacità seduttiva della donna come armi diaboliche, sinonimo di perdizione, il pretesto di innumerevoli roghi. Oggi Afrodite è marchiata come prostituta, come malata, come sbagliata. Tutto questo per soffocare il suo grande potere, che è l'unico in grado di salvarci da quello che la società oggi sta diventando. La sfida di Afrodite – la sfida di tutte le donne, ma anche degli uomini – è forse la più ardua in assoluto: riscoprirsi, e manifestarsi pienamente, senza paura delle conseguenze. In una parola: Amare.
La psicologa neo-junghiana Jean Shinoda Bolen ha descritto con un'immagine assai calzante il coacervo di Archetipi che abita dentro di noi: lo ha paragonato al Concilio degli Dèi. Sono tutti assisi ai propri posti attorno a un ipotetico tavolo e parlano uno sull'altro, ciascuno esprimendo la propria posizione, nel pieno caos; a tratti qualcuno grida più forte degli altri, prendendo potere e guidando le nostre azioni. Se non siamo noi a ergerci coscientemente ad arbitri di questo consesso e dare la parola al Dio o alla Dea che necessita di esprimersi in un dato momento, rimaniamo schiavi del nostro Archetipo princeps, quello che nel nostro concilio ha imparato a fare la voce più grossa e a prendere la parola; con il tempo, esso si radicherà e svilupperà in noi tutte le sue caratteristiche, finendo per eccesso alla degenerazione, trasformandoci in uno stereotipo, un guscio vuoto in cui il nostro vero Sé è addormentato, vittima di un potere più grande ormai insediatosi. Per evitare questa metamorfosi, occorre imparare a familiarizzare e a dare la parola anche a quegli Archetipi che non ci piacciono, ci spaventano o che sentiamo non appartenenti a noi stessi: ciascun Archetipo è portatore di qualità positive, è capace di insegnarci qualcosa e completare il nostro mosaico personale. Sta a noi decidere di coltivarlo, imparando a conoscerlo e facendolo entrare nel nostro quotidiano.
Per la bibliografia dell'intera sezione si consideri:
Léon Vannier, La Tipologia Omeopatica e le sue Applicazioni – Prototipi e Metatipi, i Temperamenti, Edizioni Red!, 1983, Como.
Jean S. Bolen, Le Dee dentro la Donna – Una nuova psicologia femminile, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1991, Roma.
Jean S. Bolen, Gli Dei dentro l'Uomo – Una nuova psicologia maschile, Astrolabio - Ubaldini Editore, 1994, Roma.
Carl Gustav Jung, Gli archetipi dell'inconscio collettivo, Bollati Boringhieri Editore, 1977, Torino.
Rüdiger Dahlke, Medicina e autoguarigione per la donna, Edizioni Mediterranee, Roma.
Elisabeth Haich, Iniziazione: Memorie di un'Egizia, Edizioni Amrita, 1992, Torino.
Corrado Bornoroni, Biotipologia, la scienza dell'individualità umana; Casa Editrice Ambrosiana
Corrado Bornoroni, Manuale di farmacologia omeopatica; Casa Editrice Ambrosiana
Roberto Assagioli, I Tipi Umani; Edizioni Istituto di Psicosintesi - Firenze