Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
AD ARTÈMIDE
La Dea canto ch’è vaga di strepiti, Artèmide, pura
vergine, ch’ama i cervi colpire, dall’aurëo strale,
vaga di frecce, sorella d’Apollo dall’aurea spada,
che sovra i monti ombrosi, sui picchi battuti dal vento,
l’arco suo, tutto d’oro, lanciandosi a caccia, protende,
e le saette avventa dogliose: ne treman le cime
dei monti eccelse, tutta risuona la cupa foresta,
all’urlo delle fiere, con rombi tremendi, la terra
inorridisce e il mare pescoso. Con cuore gagliardo
ella si aggira qua e là, delle fiere le stirpi distrugge.
Quando è poi stanca di fiere scovate, di frecce lanciate,
rallenta, paga omai la sua brama, la corda dell’arco,
e nella casa grande si reca del caro fratello,
di Febo Apollo, fra la gente di Delfi opulenta,
dove carole belle di Càriti e Ninfe compone.
Appende quivi l’arco ricurvo e le frecce, le membra
cinge di vesti belle, conduce, precede le danze.
E l’immortale voce dispiegano quelle, e Latona
Salve, figliuola di Giove, di Lato dal fulgido crine.
Io mi ricorderò d’esaltarti in un canto novello.