The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Chakra III: Manipura - Il Plesso Solare

CHAKRA III: MANIPURA – IL PLESSO SOLARE

 

GLI ASPETTI DI MANIPURA

Situato nella regione dell’arteria celiaca, dietro lo stomaco e sotto il diaframma, Manipura è definito come il terzo tra i sette chakra maggiori ed è responsabile di varie funzioni, tra cui il principio di volontà, la gestione della rabbia, la trasformazione e l’individualità. Il terzo chakra procede nel suo sviluppo tra i diciotto mesi e i quattro anni: periodo in cui un essere umano delinea la propria identità, cominciando a vedere sé stesso come un individuo separato dalla madre, dalla quale comincia a non dover dipendere più per il nutrimento diretto e per la propria sopravvivenza.

Pertanto, se durante l’evoluzione del primo chakra abbiamo creato delle basi e in quella del secondo abbiamo cominciato a determinare il nostro primo, accennato movimento nel mondo delle emozioni, con il terzo entriamo in contatto con una sfera più complessa, che è il nostro concetto di individualità. Non siamo più parte integrante del nostro genitore, ma procediamo nello sviluppo della nostra volontà. Manipura è il passaggio, quindi, dall’Acqua al Fuoco, ossia da uno stato fluido ad uno energetico. È il chakra della trasformazione, della volontà e del potere, in tutte le molteplici forme in cui questo termine può essere interpretato: sia nella paura di ottenerlo, sia nel bisogno di averlo, sia nella capacità o meno di saperlo gestire.

La parola Manipura in lingua sanscrita significa “Gemma Luminosa”, ma significa anche “centro delle gemme” o “molte gemme”. In Tibet questo chakra è noto come Manipadma, che significa “Loto ingioiellato”, e deve questo nome alla sua natura ardente che lo lega moltissimo al sole, motivo per cui il plesso solare si chiama in questo modo.

Nella sua formazione completa, Manipura esprime la volontà e il potere. Il concetto stesso di potere si manifesta nel bisogno di avere la possibilità, quindi poter fare o non fare; essere o non essere qualcosa o qualcuno, anche solo noi stessi. Questo potere è insito nella nostra stessa volontà di poterlo essere e realizzare. A differenza del primo e del secondo chakra, che esprimevano dei bisogni primari, il terzo chakra esprime un concetto più astratto, legato proprio alla formazione, alla facoltà di plasmare della massa informe, ma potenzialmente onnipotente, in qualcosa di definito.

L’essere umano da sempre ha insito in sé stesso il potere di distruggere o di costruire e lo fa in continuazione, in un’altalena tra il gioco del rispetto e dell’irrispetto, della vita e della morte, in un continuo mescolarsi di due maree contrapposte. Manipura è il centro che equilibra le nostre due maree, coadiuvandole con la volontà. Se direzioniamo la volontà verso un certo obbiettivo, noi possiamo focalizzarlo e facilitarne il raggiungimento. Il terzo chakra si può definire il centro che manifesta il nostro carisma. Se Manipura non si sviluppa in modo corretto, diventiamo facilmente vittime di manipolazioni e non ci sappiamo impuntare, far rispettare, non sappiamo mettere grinta in ciò che facciamo e quindi difendere quelle che sono le nostre idee, i nostri spazi, le nostre virtù.

Al contrario di Svadhishthana, che è un centro emotivo legato alla madre, Manipura è un centro legato al padre, al potere esecutivo, all’aspetto maschile di saper vedere un obbiettivo e di lottare per raggiungerlo: sia esso la conquista dello spazio, sia esso un biscotto in un vaso in cima alla credenza. Se correttamente sviluppato, questo dualismo di creazione/distruzione può portare a una buona evoluzione; se invece lasciato a sé stesso, privo di esempi, il rischio che si corre è che tenda a manifestarsi seguendo la corrente che possiamo vedere nel mondo attuale, ossia non quello del potere coniugato, ma quello del potere esercitato: sulle creature, le persone, i popoli più deboli. Il potere si manifesta sempre in un concetto di dualità, che può esprimersi in conflittualità o in collaborazione per il raggiungimento di un obbiettivo. Interiormente la nostra crescita da infante a persona adulta ci mette, prima o poi, di fronte alla necessità di confrontarci con una lotta interiore, che ci impone di avere un predominio su quelli che sono i nostri punti deboli, le nostre parti inferiori, da parte delle nostre parti superiori. Vincere questa lotta ci permette di sentirci potenti, alternativamente ci sentiamo impotenti. Nella fase della crescita nella nostra società ci viene imposto di far leva sulla mente per dominare, controllare la materia, esercitare quindi il potere su di essa, perché averne il controllo significa dimostrare il nostro potere. Ci sono certamente contesti e situazioni in cui si rende necessario affrontare e vincere questa battaglia, ma spesso, troppo spesso, ci ritroviamo a combattere per non essere vinti, opprimere per non essere oppressi, distruggere per non essere distrutti, o farlo per primi per il timore, non sempre fondato, che prima o poi avverrà.

La grande sfida di Manipura è infatti quella di saper gestire ed incanalare il nostro potere, la nostra energia e, nella sua dualità, capire come creare sinergia e combinazione e non lotta e separazione. Quello che raccogliamo da Muladhara, fatto di istinti primari, e che nascondiamo in Svadhishthana, costituito di ombre e paure, se trasformato e canalizzato qui può essere tradotto in volontà e forza, carattere e manifestazione creativa; se invece lasciamo che l’istinto, storpiato in ombra, arrivi verso Manipura in modo grezzo, si trasformerà in rabbia distruttiva, sete di potere, dispotismo e violenza.

Come ci fa notare Anodea Judith nel suo Il Libro dei Chakra: “La discesa della coscienza rende possibile trasformare gli impulsi istintuali in attività volontaria, coscienza, che dà forma e direzione attraverso la comprensione quando incontra e media la corrente ascendente della liberazione. Quando la corrente ascendente e quella discendente si incontrano, l'energia pura della forza viene concentrata sull'attività. Solo attraverso questa combinazione ci rendiamo conto che il vero scopo della forza è la trasformazione.”

Quando, quindi, questo chakra non trova pieno sviluppo e manifestazione, ci ritroviamo in una mancanza di volontà, che si traduce nell’incapacità di essere autonomi, di saper prendere decisioni, di poter difendere le proprie opinioni in modo equilibrato, ma solo facendo leva sulla propria emotività instabile, esattamente come fanno i bambini che se non riescono ad esprimere il loro disagio scoppiano a piangere nella frustrazione. Questa mancanza di autorità e di energia si traduce anche in un’incapacità di poter portare a termine dei progetti, di concludere i propri obbiettivi se non spronati o guidati da qualcuno, il più delle volte perché la mancanza di autostima ci rende incapaci di riconoscere il nostro valore e di far sì che possa essere un punto di slancio per ottenere dei risultati di cui possiamo essere felici.

Manipura è il chakra legato all’elemento fuoco. Il fuoco è sempre stato l’elemento del potere e della volontà. Quando abbiamo una volontà solida e ci sentiamo sicuri di noi stessi gonfiamo il petto e teniamo la schiena dritta, pertanto questo chakra rappresenta la nostra capacità di ergerci e mostrare la nostra forza, esattamente come il pavone che allarga la coda a raggiera per mostrare le piume cosparse di una moltitudine di occhi o il gufo che allarga le ali per apparire più grande e minaccioso. Come tale è il chakra che è associato al pancreas, alla cistifellea, al fegato, allo stomaco e a tutto l’apparato digestivo proprio per la sua capacità e funzione di trasformare, di smontare gli alimenti per tradurli in energia utile e consumabile dal nostro corpo. La ghiandola endocrina associata a Manipura è proprio il pancreas, che è la ghiandola più voluminosa dell’intero corpo umano ed è formato da una parte esocrina e una endocrina. La sua principale funzione è quella di produrre succo pancreatico (prodotto dalla parte esocrina), insulina e glucagone (entrambi prodotti dalla parte endocrina). Il succo pancreatico ha la funzione di digerire alcune sostanze nell’intestino tenue, mentre l'insulina ed il glucagone hanno come principale funzione quella di controllare la concentrazione di glucosio nel sangue.

In quanto legato al fuoco, Manipura è il chakra che rappresenta l’immagine che noi abbiamo di noi stessi, ossia la nostra autostima e che si riflette specularmente anche su Vishuddha, ossia il quinto chakra, quando dobbiamo affrontare discorsi pubblici, quando dobbiamo esprimerci a parole e mostrare chi sappiamo e chi vogliamo essere. È infatti determinante, nel corso dello sviluppo, decidere chi vogliamo essere tanto quanto lo è sapere chi siamo, perché se non focalizziamo quello che è il nostro potere e che è limitato, tendiamo a disperderlo in vie che non ci soddisfano e che quindi non permettono al nostro potenziale di manifestarsi. E più manteniamo ineducato questo chakra, tanto più continuerà a disperdere energia e ad addormentare la nostra volontà, la nostra forza, rendendo sempre più faticoso il risveglio.


IL DIRITTO DI MANIPURA

Come il diritto di Muladhara è quello di esistere e quello di Svadhishthana di provare piacere e di percepire, quello di Manipura è agire e avere un’individualità. Quando siamo privati di questo diritto ci ritroviamo incapaci di riconoscere noi stessi, di sapere chi siamo e quindi cosa vogliamo. Tendiamo a essere eternamente indecisi e siamo capaci di mantenere le redini della nostra volontà solo se poniamo dei paletti rigidissimi, dispotici, che riflettono ciò che, in sostanza, abbiamo dovuto vivere nel periodo di sviluppo del chakra stesso. Diventiamo quindi incapaci di gestire un imprevisto, entriamo in difficoltà di fronte all’improvvisazione, alla manifestazione creativa non per forza direzionata a uno scopo. In questo modo possiamo scaricare la responsabilità della nostra decisione verso un “potere più grande” che sia la legge, un libro che dice che si fa così, o la necessità che qualcosa sia fatta in modo ordinato e preciso a discapito del fatto che sia personale o che abbia in qualche modo un’identità.

Manipura rappresenta il bisogno umano di essere sé stessi, di poter essere individui unici e bellissimi e capaci di trasformarsi senza dover seguire delle regole preordinate. Se siamo stati privati di questa possibilità diventiamo intransigenti, dominati da regole così rigide da bloccare ogni tipo di passione e siamo posseduti da quella che è definita “sindrome del controllo”, in cui non riusciamo ad avere fiducia degli altri e abbiamo bisogno di controllare che tutto segua l’ordine mentale che noi abbiamo stabilito e che tendiamo ad imporre ad altre persone.

Quando Manipura non è sviluppato completamente, fa perdere il contatto con quello che è l’essenza di qualcosa, soffermando tutta l’attenzione sull’apparenza di quel qualcosa. Avendo vissuto la forzata privazione dell’individualità, costituita dal non poter essere chi siamo (e questo per svariati motivi), tendiamo a vivere l’esteriorità come il giudizio fondamentale per non mostrare la nostra interiorità chiaramente ferita. Pertanto se tutto ciò che è esterno appare bello, le persone non avranno bisogno di sollevare il coperchio per vedere se anche l’interno è bello quanto l’esterno. Il problema è che, tendendo a preoccuparci più di ciò che sembra, di ciò che potrebbero dire gli altri, di come potrebbe apparire esternamente, tendiamo ad alimentare quello che è il demone del terzo chakra, ossia la vergogna, che vedremo nel paragrafo relativo.

Il bisogno di essere sé stessi si esprime in moltissime forme. Manipura ci fa capire che noi siamo ciò che vogliamo essere e che, ogni volta che ci appoggiamo all’esterno di noi per giustificare le nostre azioni, i nostri comportamenti o i nostri pensieri, non facciamo altro che lasciare che un pezzo di noi vada perduto.

Se da una parte noi aneliamo alla libertà di scegliere, che è quindi la libertà di poterci definire, dall’altra, spesso, vediamo nell’obbedienza un metodo comodo per poter evitare di dover prendere posizioni, di dover giudicare da soli cosa fare e doversi, di contro, sentire giudicati da altre persone.

Andando in Germania e avendo a che fare con i tedeschi, mi sono ritrovato di fronte ad alcune situazioni incredibilmente anacronistiche. Come potevano quelle persone così gentili, disponibili e civili essere eredi diretti di coloro che avevano compiuto uno dei genocidi più terribili e sanguinosi che la nostra civiltà ha conosciuto? Eppure è inevitabile pensare che molte tra le persone che ho conosciuto e con cui ho avuto a che fare sono nipoti di soldati che hanno commesso crimini di guerra. Ovviamente il popolo tedesco non ha molta voglia di affrontare l’argomento della Seconda Guerra Mondiale e, per questioni civili, è poco sensibile ricordare loro ciò le gesta dei loro padri, ma qualunque soldato, se interrogato di fronte a ciò che ha fatto in tempo di guerra, risponderà sempre: “Obbedivamo a degli ordini”; la stessa risposta che darebbe Paul Tibbets, il pilota dell’Enola Gay che ha guidato il B-29 sul Giappone per sganciare sopra Hiroshima una delle due bombe nucleari che misero fine al conflitto.

Ogni volta che ci troviamo di fronte a una questione che impone una presa di posizione, specialmente se questa va contro al costume sociale di chi ci circonda, siamo costretti ad affrontare un pericolo, che nel caso della Germania nazista era rappresentato dalla decisione di non iscriversi al partito o, come molti coraggiosi hanno fatto, nascondere degli ebrei e aiutarli a fuggire. O come fece Stanislav Petrov, tenente colonnello dell'Armata Rossa durante la guerra fredda, che il 23 settembre 1983 identificò un falso allarme missilistico e, contravvenendo al codice che gli avrebbe ingiunto di informarne i superiori e rispondere al presunto attacco, sventò lo scoppio di un conflitto nucleare che avrebbe probabilmente assunto dimensioni mondiali. Se Stanislav avesse solo “obbedito agli ordini”, la nostra vita, attualmente, sarebbe molto diversa.

Quando la nostra volontà viene schiacciata e spezzata, allora il nostro terzo chakra si affloscia e noi ci abbandoniamo al potere superiore, cercando dentro di noi qualsiasi giustificazione possa essere valida per non provare, dentro, il profondo senso di vergogna che alternativamente ci assalirebbe.

L’obbedienza ci solleva quindi dalla responsabilità. Come i soldati nazisti che sparavano agli ebrei nei campi di concentramento e come i soldati americani che hanno sganciato la bomba atomica sul Giappone, noi stiamo obbedendo a degli ordini, stiamo facendo il nostro lavoro, stiamo agendo come ci hanno detto di agire. Se c’è qualcosa di sbagliato in modo intrinseco, civile, umano, che sia palese o meno, non è colpa nostra: è colpa di chi ha dato l’ordine. Quando questo avviene noi lasciamo che Manipura si annienti, che la sua voce taccia: smettiamo di ascoltarlo; non è colpa nostra, noi facciamo solo ciò che ci dicono di fare.

Come ci fa notare Anodea Judith, la risposta non è però da ricercare nell’individualismo sfrenato, alla sola ricerca della propria soddisfazione, perché in questo caso lasceremmo che Manipura domini incontrastato; diventeremmo quegli stessi oppressori da cui vorremmo rifuggire e diventeremmo totalmente insensibili a chi ci circonda, preoccupati solamente di ciò che ci riguarda. Così negheremmo la più grande rete sociale di cui facciamo parte e arriveremmo a isolarci e a sentirci più soli. La risposta è come sempre nell’equilibrio: non dimenticare chi siamo e chi vogliamo essere e non rifuggire dalle nostre responsabilità e dai nostri errori, oltre che dalle scelte che abbiamo compiuto e che si sono rivelate sbagliate. Insomma, come diceva Albus Silente: “Non sono le nostre capacità che dimostrano chi siamo davvero, sono le nostre scelte”.


L’IDENTITÀ DI MANIPURA     

L’identità di Manipura è legata all’ego e si esprime, nella maggioranza dei casi, attraverso l’esperienza dell’autonomia individuale. Quando emergiamo dai chakra inferiori, lo facciamo attraverso concetti solidi. Questo è l’ultimo chakra di evoluzione personale che ci aiuta a determinare chi siamo, e quindi ciò che vogliamo. Pertanto, se nel primo e secondo chakra passiamo lunghe fasi di fusione e separazione, nel terzo noi sviluppiamo la nostra autonomia ed emergiamo come individui consapevoli. Solo grazie a questa consapevolezza noi possiamo affrontare la sfida dei centri superiori, in cui dovremo esternare ciò che siamo, passare dall’individualità all’universalità: cominciamo a non poter centrare sempre tutto su noi stessi, ma anche su chi ci circonda. Il terzo chakra ci permette però di sviluppare la nostra coscienza personale.

Quando Freud, per primo, delineò i termini della psicanalisi, divise la mente umana in tre diversi aspetti: l’Es, che incarna il nostro lato istintuale, represso e ombra; il Super Io, che rappresenta la coscienza che controlla questi impulsi primordiali; l’Io, che invece serve da mediatore tra questi due opposti. Dal momento che il primo chakra esprime l’interiorità e il secondo l’esteriorità, il terzo si manifesta come un ponte tra questi due, o meglio la fusione e metamorfosi dell’unione di queste due energie. Jung, che elaborò il pensiero di Freud, ci parla di quello che è il processo di “individuazione”, che manifesta il risveglio della persona da un mondo limitato e con confini decisamente precisi all’esplorazione di qualcosa di più vasto, legato al piano dell’inconscio personale e collettivo per recuperare la propria ombra, il proprio lato maschile e femminile (animus e anima) e integrare dentro di sé gli aspetti mitici e archetipici non ancora sviluppati.

L’individuazione è un processo legato a Manipura, che denota un distacco dal concetto di famiglia come “creatura unica”. Fino a quando questo chakra non è sviluppato, infatti, il bambino si sente tutt’uno con la madre, come un’estensione di lei. Comincia a muoversi e ad esplorare con lo sviluppo del secondo chakra, ma sempre attraverso la sicurezza dei confini del mondo limitato dai genitori.

Con il terzo chakra avviene il distacco e quindi lo sviluppo dell’individualità, che è l’identità di Manipura. “È nello stato di individuazione del terzo chakra che superiamo la nostra inerzia psichica, le abitudini inconsce e i termini in cui permettiamo agli altri di definirci. È qui che fuggiamo dai genitori interiorizzati, dai pari e dalla cultura e iniziamo a definire noi stessi. Essere unici significa osare, rischiare la disapprovazione per l'integrità della nostra verità personale. L'individuazione è lo schiudersi del nostro destino unico, lo schiudersi dell'anima. Non possiamo cambiare il mondo se non abbiamo ancora compiuto l'individuazione dal modo in cui il mondo si aspetta di vederci. Non possiamo veramente reclamare il nostro potere senza la volontà di compiere l'individuazione”, asserisce Anodea Judith. Quando questo non avviene, non si definisce quella che è la nostra individualità e ci troviamo ad affrontare solo le scelte più semplici, o addirittura a non affrontarle nemmeno, lasciando che gli eventi giochino a nostro favore o a nostro sfavore, in modo che ci trascinino, senza saperci opporre, non sapendo che fare perché nessuno ci dice cosa dobbiamo fare.

Ho conosciuto persone che fanno di questo bisogno una reale dipendenza e si basano spesso sulla divinazione. Non affrontano una sola giornata senza consultare la propria astrologa o la propria cartomante, al punto da non riuscire a compiere alcun passo senza che qualcuno garantisca loro ciò che avverrà. E spesso si tratta di eventi che magari non si verificheranno nemmeno o che sono circostanziali e interpretabili. A loro però basta sapere, avere la certezza di non incorrere nell’ignoto.

Manipura trova la sua affermazione, quindi, attraverso il concetto di affermazione di sé. La sua identità si sviluppa attraverso la possibilità di sviluppare delle capacità e di affrontare le conseguenze delle nostre scelte, oltre che di poter agire e definire chi siamo. Se un bambino non viene stimolato a scegliere, a decidere, a crescere attraverso e grazie ai propri punti forti, tenderà, crescendo, a sentirsi costantemente insicuro e, di contro, a non riuscire mai ad essere felice di ciò che fa.

Questa problematica si presenta preponderante in situazioni famigliari in cui esistono delle autorità molto forti, pressoché dittatoriali. Siamo di fronte, quindi, a genitori che mantengono i figli in un terrore costante della punizione, spesso eccessiva, per i loro errori, o che pretendono da loro più di quanto siano in grado di fare, che li caricano di responsabilità troppo grandi per la loro età, che non permettono loro di esprimere i propri desideri, le proprie volontà, ma che opprimono la loro crescita facendo le scelte per loro, imponendo loro gli studi, i gusti musicali, la religione, le compagnie e arrivando anche a scegliere per loro il partito giusto con cui sposarsi.

La cinematografia è punteggiata da esempi che hanno messo anche in parodia questi concetti, con film come “Quel Mostro di Suocera” o “Ti Presento i Miei”, in cui, sia da parte maschile che femminile, vediamo due genitori (Jane Fonda e Robert De Niro) che opprimono i figli nelle loro scelte arrivando a perdere di vista la loro felicità per soddisfare il proprio ego.

Qui, in Italia, questo fenomeno si verifica spesso e si manifesta in figli cresciuti senza spina dorsale, che non sono in grado di comportarsi da adulti, che sono incapaci di avere delle responsabilità o che a quarant’anni vivono ancora con i genitori perché hanno il terrore di dover agire senza una guida. Questa paura deriva dall’incapacità delle madri di lasciar andare i figli, di lasciare che qualche altra donna possa “portarseli via” o di padri che non vogliono che nessun uomo possa avere rapporti con la loro figlia e che la vedono sempre troppo piccola per qualsiasi cosa. In questo modo distruggono il loro terzo chakra e impediscono a questi figli e figlie di diventare adulti, uomini donne, e di poter così trovare un posto nel mondo che sia davvero loro.

I traumi che possono influire e creare situazioni negative legate al terzo chakra sono in genere di natura oppressiva, volte a piegare e distruggere la volontà delle persone. Una di queste è di sicuro l’eccessiva autorità, determinata in modo diretto o indiretto, sopra cui, dall’inizio, si vede la supremazia di un Dio distante e assenteista, a cui però abbiamo imparato a rispondere attraverso diversi ministri del culto, a cui abbiamo imparato a confessare anche i segreti più inverecondi per chiedere perdono, magari anche per qualcosa per cui non ci sentiamo in alcun modo colpevoli.

L’autorità è quindi uno strumento di potere che, se abusato, conduce a profondi traumi, ma nonostante ciò è qualcosa di cui abbiamo bisogno. Perché nella nostra vita ci sia spazio per noi stessi abbiamo bisogno che si formi qualcosa che Robert Bly, in Iron John, definisce il “Re interno”, quella voce interiore che faccia da guida, che ci ricordi che dobbiamo studiare per superare l’esame, che dobbiamo andare a dormire quando siamo stanchi, che ci dica che abbiamo mangiato abbastanza e che non ci conduca all’eccesso. “Quando avevamo uno o due anni il Re interno, probabilmente, era vivo e vigoroso. Sapevamo spesso quello che volevamo e lo facevamo capire a noi stessi e agli altri. Naturalmente ci sono famiglie che non si curano di quello che vogliono i bambini.

Per la maggior parte di noi il nostro Re è stato ucciso assai presto. Quando i guerrieri interni non sono forti abbastanza da proteggere il re – e a due o tre anni come potrebbe essere? – il Re muore”

Un’ulteriore fonte di traumi è l’eccesso di responsabilità. Quando ci sentiamo addosso tutto il peso del mondo e sentiamo la necessità di essere eccelsi per essere all’altezza delle aspettative che noi sentiamo troppo alte per quello che siamo in grado di gestire, ogni volta che cadremo, sentiremo di precipitare e di non essere in grado di rialzarci di nuovo, perché la paura di fallire ci farà sentire ancora più inutili. Questo avviene anche quando non vengono riconosciute le nostre capacità e non ci viene insegnato a far leva sui nostri punti forti per affrontare le difficoltà, ma veniamo sempre posti di fronte a situazioni per le quali non abbiamo l’esperienza e le abilità adatte per poterle superare.

La grande espressione di questo secolo è l’eccesso di stimoli, soprattutto visivi e uditivi. I bambini vedono cose che non sono in grado di capire, assimilare e gestire, e questo flusso continuo di informazioni li fa sentire inadeguati e sviluppa in loro la costante sensazione di non poter essere mai pronti per fare nulla. La difficoltà ulteriore è che quando questi bambini divengono a loro volta genitori non vogliono prendersi la responsabilità di crescere i propri figli, con il risultato di abbandonarli di fronte alla televisione o su internet, senza alcuna guida, alla totale mercé di informazioni che nessuno può tradurre per loro. Anche all’eccesso opposto abbiamo però una grande fonte di traumi: crescere i figli nella costante paura che non siano al sicuro, infondendo dentro loro il terrore del mondo esterno, si traduce in incapacità di crescere e diventare adulti.

Si tratta sempre di traumi da prigionia, sia psicologica che fisica. Quando veniamo privati della nostra individualità il nostro terzo chakra si perde e noi non sappiamo più chi siamo. Nei campi di concentramento avveniva proprio questo, allo scopo di distruggere ogni sentimento di ribellione non solo attraverso la paura, ma attraverso l’umiliazione e la privazione. I prigionieri venivano per prima cosa privati del loro nome, che veniva sostituito da un numero, unico mezzo con il quale ci si riferiva a loro. Non avendo un nome non potevano avere un’identità e senza un’identità venivano privati anche di uno scopo, pertanto della libertà.

L’identità di Manipura viene distrutta anche e soprattutto quando la volontà viene spezzata; questa azione non avviene, spesso, per crudeltà, ma in modo inconscio. Spesso i genitori non incoraggiano i figli a prendere decisioni autonome, non è loro concesso di esprimere sentimenti od obiezioni e non vengono ascoltati se lo fanno. Ad esempio capita che quando venga richiesta una spiegazione per un rifiuto ci si senta rispondere “perché lo dico io”, “perché è così” o “perché no”. Non sono i limiti ad essere sbagliati o a creare difficoltà, ma giustificare una risposta negativa permette di capire meglio il mondo e con essi questi stessi confini. Confini che sono necessari per creare una sicurezza: se non ci fossero, i figli si farebbero male e non avrebbero una guida, si sentirebbero totalmente spaesati e abbandonati a sé stessi. Per evitare questi rapporti conflittuali è necessario lasciare che emerga un’identità separata e che l’individuazione di cui parlava Jung cominci a verificarsi. Alternativamente si crescerà con l’incapacità di avere una direzione nella propria vita.

In una società antiquata il bambino buono è quello che non parla, che sta sempre seduto al proprio posto, che non è mai indiscreto, che non fa domande e che non piange mai. E se un bambino si comporta così viene premiato. Ma questi comportamenti non sono infantili: sono disumani. Un bambino ha diritto di essere indiscreto, di fare domande, di essere triste, agitato o iperattivo e di parlare in continuazione: perché sono i suoi modi di esprimere la sua individualità. Premiare la castrazione di questi diritti significa manipolare la loro emotività. Quello che si ottiene è un automa: qualcuno che agisce senza sentimenti, che non è capace di provare entusiasmo e che non è per nulla in grado di comprendere, apprezzare e gestire il proprio potere. Abbiamo di fronte quindi qualcuno di facilmente manipolabile e controllabile, che non sa esprimere sé stesso perché non sa cosa sia sé stesso e, non appena viene dotato di una piccola dose di potere, la usa per distruggere e per manipolare gli altri, perché è questo l’unico modo che conosce per usarlo o perché, nel timore che altri lo facciano, preferisce agire in aggressività.

IL DEMONE DI MANIPURA

Il Demone di Manipura è la Vergogna. La vergogna è la manifestazione di un profondo senso di inadeguatezza che spesso viene insinuato dentro di noi sin da bambini e che, se non viene smontato ed elaborato, porta le persone a divenire superficiali. Tendiamo a vergognarci di ciò che siamo, pertanto lo nascondiamo. Ci vergogniamo di ciò che ci piace, che ci caratterizza, delle nostre preferenze sessuali, dei nostri gusti, di ciò che pensiamo, e lo facciamo perché siamo più preoccupati di ciò che le persone pensano di noi che di ciò che siamo noi, in maniera definitiva.

Anodea Judith nel suo Il Libro dei Chakra esprime questo concetto così: “Ci vergogniamo di noi stessi e dunque dei nostri istinti base che, a questo punto, devono essere tenuti sotto controllo dalla mente. In tal modo, le personalità legate dalla vergogna si sentono bloccate e possono cadere in modelli di ripetizione e dipendenza compulsiva.

Quando la corrente ascendente liberatoria si blocca al terzo chakra, la corrente discendente manifestante della coscienza aumenta. La mente domina la scena, impegnando l'energia biologica in modelli di controllo accettati, creando l'espressione legato dalla vergogna. Le persone legate dalla vergogna ascoltano di più i loro pensieri che i loro istinti, soprattutto le voci interiori che ripetono loro incessantemente quanto siano inferiori e privi di valore. La spontaneità viene limitata dall'analisi e dal controllo interni e l'energia è gelata dalla volontà.

Dal momento che gli istinti naturali non possono mai essere repressi del tutto, erompono periodicamente in forme ombra, che non fanno che aumentare il senso di vergogna e inadeguatezza. Quando ci comportiamo male, perdiamo il controllo, andiamo in pezzi e sperimentiamo delle cadute nel nostro vigile autocontrollo, la vergogna si fa più profonda.”

Per non cadere nella vergogna, quello che facciamo è idealizzare noi stessi o il mondo che ci circonda, senza riuscire a mitigare e a passare il nostro sguardo attraverso il filtro dell’umanità. In questo modo giustifichiamo il nostro ego instabile distruggendo gli altri, esercitando quindi il potere e martirizzando sempre di più noi stessi. Oppure ci abbandoniamo a ciò che siamo andando oltre ogni limite, per poi sprofondare, a fasi alterne, in momenti di totale disillusione, in cui cerchiamo un aiuto in modo disperato senza però richiederlo, ma pretendendo che questo ci venga dato.

Quando ho lavorato in situazioni legate alla psicomagia, spesso e volentieri mi sono ritrovato di fronte a un forte concetto di “non riconoscimento” di ciò che siamo, sia nel nostro ruolo umano e sociale, sia nel nostro essere individui. Gran parte di questi traumi deriva da manipolazioni di origine genitoriale. Sto parlando di casi in cui non veniamo riconosciuti per l’età che abbiamo o siamo costretti a vivere situazioni che sono al di fuori delle nostre responsabilità, come ad esempio doverci occupare di persone anziane o di fratelli o sorelle più piccoli, o a dover sopperire a un lutto, o ancora vivendo violenze psicologiche che non siamo preparati ad affrontare e che ci pongono di fronte ad un baratro che sappiamo di non poter saltare e per il quale non ci è stato fornito alcuno strumento utile per capire come superarlo. In casi come questi, la nostra individualità viene spezzata, schiacciata, e non siamo in grado di costruire una sicurezza interna nel periodo in cui abbiamo bisogno di gratificazione.

Mi è capitato di incontrare un esempio calzante con una ragazza che aveva un fratello che, per malattia, era morto in giovane età, prima ancora che lei venisse al mondo. Crescendo, ogni volta che si ritrovava a chiedere di lui ai suoi genitori, o quando di sentiva triste per la sua sorte, si sentiva rispondere che era una persona meravigliosa, ma non aveva senso che lo piangesse dal momento che non lo aveva mai conosciuto. Ovviamente lei soffriva di questa ingiustizia. Parlando con lei a riguardo mi sono ritrovato a osservare che se era davvero una persona meravigliosa come dicevano, lei aveva il diritto di essere triste per non aver avuto l’opportunità di conoscerlo. I suoi genitori, invece, non facevano altro che metterla a confronto con questo fratello, ponendola in una situazione davvero difficile in cui, per garantirsi l’amore che aveva diritto di ricevere, doveva vivere costantemente all’ombra di un defunto.

Spesso, una situazione analoga si verifica quando i genitori hanno più figli e preferiscono o favoriscono uno a discapito dell’altro, mettendo uno dei due in costante situazione di disagio e di sfida, creando così una competitività tra i due fratelli che, in molti casi, può sfociare in totale intolleranza. Lo svantaggiato si ritrova così a dover agire come se non fosse sé stesso, a fare tutto ciò che può per assomigliare al fratello preferito, perché lo vede come l’unico modo per avere l’amore e l’approvazione dei genitori. Questa costante impresa fallimentare alla conquista del cuore di qualcuno non fa che nutrire il senso di inadeguatezza che dona potere al demone della vergogna.

L’eccessiva autocritica, inoltre, deriva anche da una mancanza totale di lode dei successi di una persona, che non si vede mai gratificata per ciò in cui è riuscita bene. Con la scusa di essere spronata a fare di più e meglio, in realtà viene logorata perché qualsiasi cosa faccia non è mai abbastanza, qualsiasi azione compia sul lavoro, a scuola, nella vita, non va mai bene. Questo criticismo continuo, spesso comparato ad altri che hanno fatto di meglio, non permette lo sviluppo di una propria individualità. Manipura ci dice che ognuno di noi è unico nel suo genere e ha delle capacità che devono poter essere sviluppate. Non possiamo essere bravi a fare qualsiasi cosa, ma se siamo criticati in tutto ciò che facciamo tendiamo a smettere di credere di essere in grado di fare anche le cose più semplici. Einstein diceva: “Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido”.

Quando questo avviene in età di sviluppo, specialmente quando si è bambini, la tendenza è quella di convincerci che meritiamo questa violenza e questo abuso, sia emotivo che fisico. Ce lo meritiamo perché siamo cattivi e indegni di vero amore e giusta attenzione. Pertanto. se agiamo per quella che è la nostra età e ci viene detto che dobbiamo vergognarci o che siamo degli stupidi, sviluppiamo un profondo senso di inadeguatezza che ci fa irrigidire e ci rende freddi e irreprensibili. Non tollereremo alcun errore, pretenderemo sempre che le cose siano fatte a nostro modo perché è l’unico che ci va bene, ammesso che non siamo eccessivamente autocritici, perché altrimenti qualsiasi cosa che faremo non ci renderà mai comunque felici, dal momento che il nostro standard ottimale è in continuo allontanamento, e quando prenderemo un 8 avremmo voluto avere un 9.

John Bradshaw, nel suo eccellente libro Healing the Shame that Binds You, descrive il modo in cui il senso di vergogna non riconosciuto dei genitori viene trasmesso ai figli. Ad esempio, prendiamo la madre la cui unica realizzazione è il modo in cui si comportano i suoi figli. La sua vergogna viene trasferita al bambino ogni volta che questo fallisce il compito di essere all’altezza del suo bisogno di approvazione, e così lei si vergogna se i vestiti di suo figlio sono sporchi oppure se si comporta male a casa della nonna. Oppure il padre che ha abbandonato la scuola potrebbe tentare di redimersi attraverso la carriera universitaria di suo figlio, caricandolo oltremodo di vergogna se questi non ha una buona riuscita.

Anodea Judith continua: “Spesso la vergogna viene sperimentata come una spirale di energia che si avvolge verso l’interno nel ventre – una sensazione di affondamento, come se il chakra si avvolgesse a spirale all’indietro verso la colonna vertebrale invece che all’esterno verso la vita. L’ansia provoca effetti simili alla spirale della vergogna – temiamo che non saremo abbastanza bravi, che falliremo sicuramente o che verremo abbandonati.

La vergogna crea un blocco tra la mente e il corpo, che scinde la persona dal centro del sé. Poiché il terzo chakra ha un rapporto così profondo con lo sviluppo dell’ego, il senso di vergogna e il senso del sé si fondono. Il bambino non considera le sue azioni imperfette, ma considera sé stesso – il produttore di quelle azioni – fatalmente imperfetto. “Solo una persona imperfetta commetterebbe un errore del genere”, dice a sé stesso. Qualunque errore successivo (e la vita è sempre piena di errori) non fa che rafforzare questo convincimento di base. Infine il nucleo pieno di vergogna diventa una profezia che si autorealizza. Noi adeguiamo il nostro comportamento al concetto che abbiamo di noi stessi. Nel terrore di compiere degli errori, non osiamo avventurarci all’esterno e ci manteniamo piccoli e limitati, fornendoci giusto la causa per il nostro senso di inferiorità. Privi del convincimento di poter riuscire, fuggiamo senza nemmeno provare e naturalmente, fuggendo, proviamo a noi stessi che non potevamo riuscire”.            


TERZO CHAKRA BLOCCATO

Il terzo chakra è posizionato all’altezza dello sterno. Di fatto è un punto del corpo non particolarmente forte a livello fisico, essendo al di sotto della cassa toracica e il punto di accesso più facile al cuore, centro nevralgico di tutto il corpo. Eppure, anche se non ci sono ossa, è il punto che fa sì che la nostra spina dorsale stia ben dritta: ciò che permette che questo avvenga, insomma, è un mero atto di volontà. Una persona che ha Manipura disarmonico tende ad essere cocciuta, spesso incentrata su sé stessa al punto da voler manipolare la realtà pur di avere ragione sugli altri, ma nello stesso tempo si sente costantemente vittima incapace di reagire alle difficoltà, e tende quindi a lamentarsi e a compiangersi invece di agire. Questo chakra mantiene dentro sé blocchi di tipo emotivo, legati all’eccessivo autoritarismo che, in concomitanza con altri chakra deboli, possono portare al vittimismo, alla sottomissione e all’intransigenza, oppure ad eccessi di manie di controllo al punto da non essere in grado di lasciar libere le persone di agire e di rispettare i loro punti di vista, soprattutto se destabilizzano le certezze su cui si basa la loro fragile sicurezza.

Questo chakra è legato al concetto di potere e pertanto si delinea attraverso la crescita e la gestione dello stesso. Un blocco a Manipura può portare all’abuso nei confronti delle creature che riteniamo inferiori. E queste forme di abuso si generano con alta probabilità da abusi subiti, sia di natura sessuale, sia di natura psicologica, attraverso anche la violazione di diritti fondamentali o l’umiliazione. In quanto chakra legato all’Ego, la sua formazione è determinata, in età infantile, dalla capacità dei genitori di porre attenzione su ciò che i figli desiderano, rispettando quelli che sono i loro gusti e le loro preferenze, senza imporre con la forza della propria autorità dei punti di vista che non sono loro congeniali. Per favorire il corretto sviluppo di questo chakra è determinante, quindi, creare un equilibrio tra la possibilità di scegliere, ascoltando ciò che i figli hanno bisogno di dirci e lasciando che possano esprimere i loro pareri e le loro idee.

Manipura ci insegna che abbiamo bisogno di una guida, perché è la nostra guida interiore. E quando non l’abbiamo ci sentiamo disperati e perduti. Ma quello che spesso tendiamo a dimenticare è che avere una guida non significa avere qualcuno che ci dica cosa dobbiamo fare o quello che è giusto e quello che è sbagliato, ma qualcuno che ci aiuti a porci le domande che ci permettano di arrivare a delle conclusioni adatte, qualcuno che ci faccia riflettere su ciò che siamo, ciò che vorremmo essere e ciò che saremo.

Una persona con il terzo chakra bloccato vivrà la sua vita in modo passivo, incapace di reagire, e dentro coverà un rancore e una rabbia indicibili a cui non riesce a dare sfogo. Tendenzialmente sarà una persona che fatica ad arrabbiarsi, un aspetto che in larga misura può sembrare molto positivo, ma che nasconde una mancanza di grinta. La rabbia è energia che esplode. Diventa terribile se non direzionata, se soppressa, perché si trasforma in rancore, un malanimo che logorerà l’essere umano dall’interno. Ma se incanalata la rabbia diventa grinta, forza di reagire, di superare gli ostacoli, e quindi è potere pieno e consapevole che può essere utilizzato in modo utile e costruttivo.

Una persona con il terzo chakra in eccesso cercherà di risolvere le cose con la violenza, sia fisica che verbale. Agirà sempre prima di riflettere, riterrà di avere sempre ragione, sarà polemico e ridondante. Metterà sempre la sua esperienza prima di quella degli altri, considerando con meno valore ciò che le persone hanno da insegnargli di quello che ritiene di poter insegnare. Assuefatto dal potere che esercita sulle persone, proverà piacere a vederle in difficoltà, a dimostrar loro di essere superiore. Un ego in così enorme espansione idealizza sé stesso e schiaccia l’ombra verso il basso, comprimendola, soggiogandola, al punto tale da rifiutarla in modo completo, come se non esistesse.

Ciò che è bello è solo ciò che è perfetto e solo ciò che è perfetto può essere bello, pertanto noi dobbiamo essere perfetti per essere accettati. La società attuale, fatta di apparenza, è costruita esattamente su questo concetto: ciò che è importante è ciò che è esteticamente apprezzabile, non per forza utile. Per quanto ci sforziamo di riconoscere che è un’idiozia basarsi solo su questo trascurando il resto, a conti fatti siamo abituati a giudicare ciò che abbiamo di fronte prima sulla base di come lo vediamo e solo in un secondo tempo sulla base di cosa è. La nostra prima esperienza è di tipo visivo: se non abbiamo il tempo di entrare in profondità (cosa che non avviene spesso), manteniamo l’impressione visiva come l’unica valida, giudicando sulla base di quella. Manipura in eccesso, quindi, risponde a questa esigenza di non essere in alcun modo attaccabile e ci rende ipercritici per qualsiasi aspetto imperfetto che possiamo avere, dal momento che l’imperfezione è debolezza.

Manipura in carenza è un chakra in sofferenza. L’energia non è mai abbastanza e non ci sentiamo mai all’altezza di nulla. Il nostro ipercriticismo ci mette in condizioni di continua sfida, con la semplice differenza che non siamo mai in grado di soddisfare i requisiti per vincerla, pertanto ci diamo per vinti prima ancora di affrontarla. Una persona con il terzo chakra carente vive nella costante ricerca di un esempio da imitare, di qualcuno che idolatrare. Una volta trovata questa persona che possa fare da guida, lo idealizza e lo rende immortale: finché questo mito vivrà, lui avrà una via da seguire, qualcuno che possa imitare; questo gli permetterà di non dover prendere delle decisioni determinanti, di non avere delle responsabilità, di non essere costretto a sbagliare per poi dover tornare indietro e ripetere.

Le preoccupazioni sono problemi e i problemi richiedono soluzioni. Le soluzioni richiedono impegno e responsabilità e una persona che ha Manipura carente non sente di avere l’energia adatta a poter affrontare gli impegni, a doversi prendere delle responsabilità, a dover pagare le conseguenze delle sue scelte. Non volendo pagare preferisce non dover scegliere, così che, come i soldati che obbediscono agli ordini, se posto sotto giudizio ha sempre la carta del “ho solo fatto ciò che mi hanno detto di fare” per giustificarsi, per dire che non è stata una sua scelta e che quindi non era tenuto a riflettere per decidere se stava agendo in maniera corretta o sbagliata.

Viviamo in un mondo in cui le responsabilità sono difficili da prendere, in cui preferiamo trovare qualcuno da incolpare per evitare di sentirci legati. Questo è un aspetto molto maschile del tempo attuale. In risposta a un patriarcato violento e aggressivo, i figli maschi vengono cresciuti senza spina dorsale, così che non debbano diventare despoti come lo erano i nonni. Se in tempi antichi la mancanza era sul secondo chakra, quindi un bisogno di appropriarci di nuovo del nostro lato femminile, della nostra dolcezza, del piacere e delle emozioni, simbolo di debolezza e fragilità, adesso il problema è inverso e tendiamo a vivere in un limbo di fragilità non completamente realizzata e di mancanza di coraggio e forza, che ci rende incapaci di affrontare le sfide e l’ignoto, preferendo rimanere in situazioni facili da gestire e che non comportano eccessive difficoltà.

Essendo posizionato praticamente alla bocca dello stomaco, il blocco di questo chakra si manifesta in disturbi alimentari e di cattiva digestione come l’acidità di stomaco o il reflusso gastroesofageo. L’incapacità di saper metabolizzare ciò che è il mondo esterno, quindi di mediare tra istinto, bisogno e capacità di relazione, può portare a disturbi generali legati al pancreas, allo stomaco e al fegato, come celiachia, diabete, herpes.

Ulcera, gastrite, sindromi epatiche, ernia iatale e calcoli alla cistifellea sono fattori che si manifestano facilmente con un terzo chakra in disordine. Tutto ci rimanda a un’energia inespressa che tende, proprio come un buco nero, a rafforzare sempre di più la propria densità, tanto da rischiare di diventare un problema serio, costringendo il secondo chakra a un’assenza di emozioni, il quarto a una mancanza di connessione autentica e il quinto a una mancanza di comunicazione. Quello che è volontà rigida non è per forza volontà forte: a volte la castrazione di sé stessi è l’unica via di espressione per una disarmonia di questo tipo e l’ossessività del controllo ci pone direttamente sul piano del “non fare per non rischiare di fare male”.

A livello esterno, un terzo chakra in eccesso porta ad abusare del potere, dato che deve compensare un ego debole e una bassa autostima, arrivando a calpestare altri valori, come il rispetto e l’amore per sé stessi, la compassione, la pazienza o la comprensione. Pertanto altri aspetti legati alla disarmonia di Manipura sono l’ipertensione, gli stati di ansia e l’iperattività.

Un terzo chakra carente si manifesta in affaticamento cronico, stanchezza perenne, ipoglicemia, nonché sindromi immunodepressive e vari problemi di salute come candidosi, sindrome di Epstein Barr, sindrome di Lyme e mononucleosi. Dando fondo a tutte le nostre energie tendiamo a non essere in grado di avere autodisciplina, quindi di seguire una dieta, di fare attività fisica costante, di portare avanti un progetto fino al suo compimento; siamo dispersivi e irresponsabili, apatici, svogliati e rimandiamo fino all’ultimo i compiti che ci siamo imposti di portare a termine. Questa carenza ci porta ad avere una dipendenza da caffeina, nicotina e altri stimolanti, come anche droghe come cocaina e anfetamina.

Quando Manipura è in equilibrio, la persona è in grado di vivere pienamente le proprie emozioni e di esprimerle liberamente, ha sviluppato un’intelligenza emotiva degna di nota, i suoi movimenti sono aggraziati e non costretti, la sua capacità di esprimere e provare piacere è equilibrata ed è capace di imporsi e difendere le proprie opinioni o le cose che ama senza invadere o prevaricare gli altri. Una persona con Manipura in equilibrio è autonoma e ha la capacità di prendersi cura di sé stesso, non ha timore del cambiamento e conosce i propri limiti e quelli della società sapendo ben rispettarli per vivere in armonia con il resto del mondo.

 

MANIPURA A LIVELLO ESOTERICO

Manipura è di colore giallo intenso ed è legato all’elemento fuoco. È il nostro terzo gradino evolutivo nel risveglio della nostra coscienza superiore e ci mette in condizione, attraverso la nostra crescita, di far fronte alle difficoltà dovute alla rabbia e agli eccessi di energia, ma, soprattutto, di fare i conti con la seduzione del potere. È infatti il potere, sopra ogni altra cosa, il significato profondo di Manipura, che ci pone di fronte alla sfida dell’affrontare ciò che c’è in alto.

In antica Grecia esiste un mito molto simbolico che parla di Icaro, figlio del grande architetto ateniese Dedalo, e della schiava Naucrate. La leggenda narra di come Minosse, re di Creta, dopo che Dedalo ebbe ideato il labirinto atto ad imprigionare il mostruoso Minotauro, lo costrinse a non poter mai abbandonare l’isola, affinché non portasse i suoi segreti al di fuori di essa. Icaro, su idea del padre, costruì delle ali di cera ricoperte di piume con le quali, insieme al genitore, cercò di attraversare il mare per giungere in Sicilia. Durante il viaggio però, nonostante gli ammonimenti di Dedalo, Icaro, colto dall’ebbrezza del volo, si avvicinò troppo al sole, che sciolse la cera facendolo piombare tra i flutti, dove trovò la morte. Questo mito, come è ovvio, parla della superbia e dell’utopia umana, ma ci fa capire come l’ego sia la forza che ci spinga ad andare oltre i nostri limiti. Se però lasciato a briglia sciolta, può condurci alla distruzione e alla sconfitta.

Manipura è legato al plesso solare. Il termine plesso, in effetti, scientificamente è un’inesattezza, dal momento che i nervi relativi alla dodicesima vertebra non convergono in un punto comune, come invece capita con altri gangli. Tuttavia la sua posizione riveste un ruolo fondamentale in tutto il sistema corporeo, dal momento che, come abbiamo visto, si trova alla bocca dello stomaco e in cima all’addome, che è la parte del nostro organismo che si occupa di trasformare il cibo in energia, estraendola tramite l’ossidazione della materia organica. Allo stesso modo, nel sistema energetico pranico, anche se tutti i chakra sono punti di accentramento del Prana, è proprio Manipura che lo distribuisce dopo che gli atomi sono stati raccolti dal chakra splenico della milza.

Questo centro è la nostra fonte personale di realizzazione nell’universo, nonché la nostra riserva di energia, che trova la sua realizzazione grazie al potere della volontà. Come abbiamo già detto, il concetto di potere è qualcosa di più vasto della sola manifestazione attraverso l’azione e la reazione. Esprime in sostanza la verità di ciò che noi siamo in grado di fare e ciò che potremmo realizzare ed essere, in una totale armonia.

Imparare a gestire il nostro potenziale è la chiave primaria per la nostra stessa realizzazione, per il nostro crescere, maturare ed evolvere. Ma è fondamentale avere una forza di volontà adeguata a portare a termine i nostri propositi. Senza di quella non saremo mai capaci di autodeterminarci e rimarremo sempre in balia delle circostanze e delle influenze altrui.

Manipura, in sanscrito, può anche significare “la città del gioiello splendente”, in riferimento al luogo dove il nostro ego trova sede. Dal momento che è legato anche ai sogni e all’auto accettazione, essendo anche il luogo legato ai confini e al potere, secondo alcune dottrine esoteriche è attraverso questo chakra che viene proiettato il nostro cerchio, specialmente quando è legato alla difesa magica. Da notare, infatti, che la difesa magica è una branca della magia che impone, più di ogni altra, una presa di posizione precisa e netta, pertanto è abbastanza logico e consono pensare che sia Manipura a determinare il successo: è come tenere una spada tratta di fronte a noi, con la punta rivolta verso l’esterno, le mani giunte sul manico. Se la nostra spada trema, se la nostra volontà non è forte, la nostra difesa diventa traballante.

Naomi Ozaniec nel suo libro I Chakra, dice: “La realtà che viviamo, sia essa densa o sottile, è sostanzialmente frutto del modo in cui esprimiamo o reprimiamo la nostra volontà. La nostra autoaffermazione nel mondo che ci circonda è l’espressione diretta della nostra forza di volontà. Molti scrittori esoterici hanno interpretato la volontà umana come un riflesso degli attributi divini, del Potere Divino della Creazione. È stato grazie alla volontà umana se nel mondo ha avuto origine il concetto del bene e del male. Il libero arbitrio concede all’essere umano la facoltà di scegliere, di discriminare e di forgiare la sua stessa vita”.

In una scala evolutiva, vediamo come per la prima volta siamo liberi da ogni tipo di traccia del nostro passato ancestrale. Muladhara rappresentava il nostro istinto primordiale, il nostro bisogno primario di affermare quella che è la nostra esistenza. Svadhishthana rappresentava il nostro bisogno di provare piacere e di affermare la nostra realtà, attraverso il binomio paura e piacere. Ora, con Manipura ci stacchiamo e sviluppiamo una coscienza risvegliata, qualcosa che è definibile come il vero passo fondamentale che solleva l’uomo dagli altri animali. Satyananda lo ha definito appunto il luogo del “risveglio definitivo” perché, una volta raggiunto questo centro, Kundalini non ricade più verso i livelli inferiori.

Il risveglio di Manipura non è, quindi, un riappropriarci di ciò che è nostro, ma è scoprire qualcosa di nuovo: trasformarci come il bruco che diventa farfalla per imparare a volare, imboccare il sentiero luminoso verso quella che è davvero la “gemma splendente”, ossia la realtà spirituale. La sua associazione con il fuoco, infatti, non è solo simbolica, ma anche reale. Tra i quattro elementi naturali, il fuoco è l’unico a non esistere in natura, essendo un evento circoscritto. L’essere umano fa esperienza del fuoco attraverso l’evento stesso della sua manifestazione.

Mentre per i primi due chakra noi ci appropriamo ci ciò che siamo, con il terzo noi scopriamo qualcosa, ne facciamo esperienza in maniera esterna, esattamente come capitò agli homo herectus di quasi un milione e mezzo di anni fa: scoprirono il fuoco osservandone la manifestazione in natura; attraverso questo evento, nel corso degli anni, impararono a controllarlo. Il fuoco li condusse lontano dalle tenebre e fu il primo reale passo verso la civiltà, così come Manipura ci eleva dall’ombra di Svadhishthana.