Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
Lughnasadh 2015
Row row row your boat gently down the stream. Merrily Merrily Merrily Merrily life is but a dream.
Sai piccola, quando sei intorno ad un fuoco cantare è una cosa di costume comune. Un po' come mettere nuova legna quando vedi che la fiamma si sta abbassando. Non è mica per tenere sempre alta la temperatura, è per mantenere la concentrazione delle persone che sono sedute con te centrata ad uno spirito comune. Lascia che ti dica che ricordo bene: ogni cosa torna nei suoi tempi e nelle sue modalità. Un po' come i pesti rossi della Barilla: scompaiono dalla circolazione per un po', poi piano piano li vedi tornare in auge. Basta solo aspettare, insomma. Basta avere pazienza e costanza. Sederti, magari, o continuare a camminare. Un tempo credevo che ci fosse una cosa giusta da fare, ora penso che non sia così importante. Alla fine le cose tornano comunque, sia che ti muovi o che tu stia fermo. Basta che capisci se ti stai muovendo davvero o se sei fermo, o viceversa. E in fondo, davvero, che accadrebbe mai se un giorno o una notte un demone, furtivamente decidesse di strisciare nella più solitaria delle tue notti e ti dicesse che la vita come la viviamo e come l'abbiamo vissuta, dovremo riviverla ancora e ancora e ancora, per centinaia di migliaia di volte e in ognuna di essa non ci sarà mai nulla di nuovo? Ogni singolo dolore e ogni singolo piacere e ogni singolo pensiero e sospiro e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione.
Sai piccola, non ci voleva il vecchio Fred per farmi capire che prima di avvicinarti a qualcosa, prima di vivere un evento nella sua complessità e forma, prima di provare una sensazione, un'emozione, prima di essere compartecipe attivo e anche solo lateralmente consapevole di ciò che è il vivere, non puoi comprendere a pieno cosa essa significa. Ad ogni passo la strada si apre dinanzi a te come un fiore che sboccia e solo lentamente tu capisci che il sentiero che si snoda si approssima ad un cambiamento. Un tempo avrei retto meglio alcune cose, me ne rendo conto. Ora le polemiche e le lamentele mi annoiano da morire. Te lo ricordi, quelle volte quando stavamo ore al telefono a parlare di quanto non ci fosse stimolo? Quando mi guardo intorno vedo che c'è un sacco di gente che ha un sacco di motivi validi per essere infelice, pertanto ottimi motivi per lamentarsi. E che lo facciano, accidenti, va anche bene. Anche io mi lamento. Quello che non va altrettanto bene è che rompano le palle agli altri per renderli infelici come loro. E lo so che il meccanismo funziona così, cosa credi? Ma dopo essere caduto nelle botole con spuntoni per quella centinaia di volte, ho capito che posso saltare alcune trappole anche senza spendere troppi punti abilità. Forse, come dice Jep Gambardella, non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare.
Te l'ho raccontato, ne sono certo. Ci sono stati anni in cui Jemanjà ha reclamato qualcosa da me. A volte qualcosa di grosso, a volte qualcosa di più piccolo. A volte ho anche creduto che desiderasse la mia vita, la mia carne, il mio sangue; per nutrire pesci e granchi; per dissolvermi come sabbia tra le onde. Quest'anno ho ceduto a lei una parte di me senza che la reclamasse. Volevo, forse, placarla con un dono, con un'offerta; per disconoscere l'inconoscibile. Dopotutto che cosa ne è stato di quell'uomo che è partito, ora che il cammino fatto si allunga sempre più? Quell'uomo che è partito ciondolante, baldanzoso, tra il tronfio e il grottesco ed è arrivato saldo, disinvolto, ferito, guarito, ma sicuro di sé, per quanto sempre assetato. Lo hai conosciuto nella fase intermedia. Così l'ho lanciato, lontano, ha volteggiato in un lungo arco fino ad infrangere la superficie del mare. L'ho immaginato vedendolo oscillare, lento, ondeggiando mentre tagliava l'acqua fino alla sabbia del fondo. Ho immaginato una piccola triglia rossiccia che, spaventata, alzava un velo di sabbia per allontanarsi vedendolo arrivare. Rimarrà sepolto là finché lei lo desidererà. Poi magari verrà trovato e raccolto da qualcuno, fra qualche centinaio di anni, e venduto a cinquecento volte il suo valore. È questo il curioso destino di alcune cose.
Sai piccola, a volte guardando l'orizzonte, colmandomi delle discussioni e del piacere di disquisire con amici, come facevamo noi, mi ritrovo a domandarmi cosa significhi seguire un percorso spirituale in un momento di discesa sociale come quello attuale. Il mio cammino è mio e solo mio e sempre lo sarà, ma faccio parte di un gruppo di persone, di cittadini di una città e di una nazione e sono figlio della mia epoca, vivendo in questa. Posso anche accettare ciò che siamo e ciò che stiamo diventando, ma vedo comunque la difficoltà del ritorno ad un origine in due sensi distinti: tornare all'essenza per liberarci apparentemente del tessuto sovracostruito e sedimentato e tornare all'infanzia per fuggire dalla maturità e dalle difficoltà delle responsabilità. Quale via scegliere? Ma dopo aver scelto, siamo sicuri di aver avuto una scelta reale?
Non ho mai creduto che la paura fosse realmente un problema. Ho saltato il fuoco in più occasioni; l'ho affrontata in situazioni in cui temevo di perdere il senno. Eppure spesso mi rendo conto che c'è un humus di fondo che tende a far marcire le piante che decidiamo di far crescere nel giardino sociale in cui viviamo. Perché è così difficile? Ho sempre sostenuto che la società sia fatta delle persone che la compongono e che si muove secondo i desideri, le aspettative e le opinioni di queste persone. Credere in una via spirituale al punto da seguirla con costanza, precisione, determinazione, soprattutto con coerenza, tuttavia a volte non sembra abbastanza. La retrocessione intellettuale è enorme e quando cerchi di far notare alle persone che non solo non si pongono più domande, ma che quando le cercano lo fanno in modo superficiale, quando cerchi di far notar loro che la tendenza globale è quella di evitare di crescere, al punto da tornare a comportarsi come bambini, la reazione spesso è tipica infantile, a piena conferma di ciò che succede.
Questa vita va avanti miglio dopo miglio, passo dopo passo, spanna dopo spanna. Secondo il mio limitato punto di vista umano mi capita di vedere quelle che reputo ingiustizie. Mi capita di vedere grandissimi atti di amore, rispetto e amicizia. Talvolta mi sembra che la svolta sia dietro l'angolo, ma come quando stai accendendo il fuoco, ecco che il filo di fumo non significa per forza fiamma viva. Ma a volte può ingannarti, come la prima volta che andai al concerto dei Motorhead e suonarono Overkill come ultimo brano. Ogni volta che pareva che la canzone stesse per finire ecco che riprendeva. Nonostante ciò io vedo del bello in molte delle cose che capitano e, forse per stanchezza mentale, per scazzo intellettuale, per parossismo spirituale, mi sento spesso escluso da moltissime delle vicende che si intessono e si intrecciano intorno a me, al punto che quando scopro che qualcuno cerca di trascinarmi nel marasma sabbioso, prima di reagire con disappunto, provo una grande e curiosa sensazione di perplessità e sorpresa. Forse, sai piccola, è che tendiamo a dimenticarci volontariamente come Edgar Allan Poe ci avesse illustrato in modo diretto, crudo e terribile, la parafrasi della sopravvivenza nelle vicende di Gordon Pym. Basta solo soppiantare il desiderio inespresso di apparire con il puro istinto ad esistere ed ecco che tutto ci torna. Quando il protagonista racconta di quella nave fantasma che si affacciò alla loro imbarcazione alla deriva, mentre stavano morendo di fame, dove i morti si disfacevano sul ponte divorati dai corvi, e quando racconta di come lui continuò ad urlare e sbracciarsi nella loro direzione anche quando ormai si era ben accorto che nessuno di quegli uomini era più in grado di prestare loro soccorso in quanto ormai cadaveri, e quando ci racconta di come non potevano fare a meno di urlare ai morti, invocando aiuto e a lungo urlarono, e ad alta voce, nell'agonia del momento, perché quelle silenti immagini disgustose si fermassero per loro, non li abbandonassero, non volessero lasciarli diventare simili a loro, li accogliessero nella loro gentil compagnia, messo in paragone al nostro esistere attuale ci fa capire quanto tutto quello che ci siamo creati intorno sia solo un immenso castello pieno di stanze di colori diversi. E in queste stanze, come Prospero, ci abbandoniamo alle danze e agli eccessi più sfrenati, tutto per cercare di non ricordarci della pestilenza che si sparge al di fuori delle nostre mura. E come Prospero, nella forma di Vincent Price, mi sembra di reinterpretare quelle parole: "Lo sai come viene addestrato un falco? Gli viene impedito di vedere. Soffre pazientemente i capricci del suo dio finché la sua volontà non è piegata e finché non impara ad obbedire". Chi è il falco? Chi è il dio? Forse il falco è il nostro anelare all'unione e il dio invece è la nostra incapacità di costruire qualcosa senza vedere un nostro ruolo determinante nella sua ultima forma. O forse il falco è la nostra incapacità di andare oltre e il dio è il bisogno di sperarsi parte di qualcosa di grande. Ma credo invece che sia più semplice: il falco è la nostra capacità di crescere come parte di qualcosa di più grande e invece il dio è il nostro ego.
Eppure, sai piccola, io vedo il bello. Vedo l'amore immenso e incredibile per ciò che possiamo essere, che siamo e che potremmo diventare che emerge dalle paludi stagnanti come un albero che attende solo nutrimento e luce. Vedo l'ideale che riesce a farsi strada come un viticcio di edera, vedo la passione per le cose che si muove verso il cielo e affonda nella terra, affettando vene d'acqua come rasoi. Se solo le persone parlassero, mi dico sempre. Lo dicevo a te sei, sette anni fa, quando Facebook era ancora da età prescolare, quando ancora non erano stati fatti studi per dimostrare che i social ti rendono antisocial. E allora come adesso non è cambiata la sostanza del problema, è cambiata solo la forma in cui esso si pone dinanzi a noi. Esattamente come noi uomini siamo come viaggiatori che stanno seduti su una panca della stazione e osserviamo questi treni, le donne, che vanno e che vengono e rimaniamo sospesi nell'incomprensione della loro natura, della loro destinazione, affascinati dalla loro determinata costanza nel fermarsi per poco tempo per accertarsi se siamo o meno pronti a salire. "In carrozza!", grida il capotreno. Ad ogni fermata noi chiediamo di salire, ma solo ogni tanto, immersi nella contemplazione, ci viene concesso, e poi decidiamo davvero di volerlo fare. Ma anche quando siamo a bordo spesso non capiamo bene dove in realtà siamo diretti, o perché veniamo cacciati giù dal controllore a calci nel culo perché siamo privi di biglietto. Anche se ci nascondiamo nei cessi credendo di sfuggire, alla fine finiamo di nuovo alla stazione ad osservare i treni che passano. Non è curioso? Impiegare anni per capire che chiedere per favore, quanto meno, è il minimo perché il treno si fermi quel poco per consentirci di carpirne un poco la sua essenza. Non è immaturità questa?
Un tempo speravo, o forse mi illudevo, che la via spiritualità mi avrebbe favorito, elevato, permesso di capire meglio alcune cose per renderle in qualche modo mie. E magari è anche così; ma adesso, in una certa forma di frustrazione emorragica, mi rendo conto che la spiritualità non mi ha concesso la comprensione, ma mi ha elargito la consapevolezza di ciò che non riesco ancora a comprendere. Forse lo fa perché è destino che io impieghi del tempo, dell'immane fatica, perché affronti la salita immensa e infinita di migliaia di scalini con la fiducia che gli dei decideranno di aiutarmi. E solo salendo e faticando potrò raggiungere la comprensione. Parlando con le persone che mi sono vicine, facendo ondeggiare del vino nella mug che esalta il mio essere un mito per mio figlio, con il cuore accovacciato nell'attesa di un grande abbraccio, mi rendo ogni volta conto di quanto condividere ciò che proviamo sia più importante e necessario di condividere ciò che pensiamo. Piccola, non ridere, per favore, è un dilemma serio. Non c'è alcun sogno per cui non valga la pena lottare, non esistono desideri in cui non si debba sperare. Anche se la loro realizzazione comporta una cirrosi. Eppure la gente brucia più ponti di quanti ne costruisca, li fa in schegge con l'accetta, li fa saltare in aria con il tritolo. Non è funzionale all'autodistruzione lamentarsi del fuoco che brucia i ponti quanto non lo è all'autoconservazione o la ricostruzione bruciarli.
Sai piccola, sono tornato in quel posto, dopo tanti anni. L'acqua sembra sempre gelida. Mi sembra di sentire ancora l'odore dei fiori estivi che mi solletica le narici. Erano sparite molte cose, altre erano semplicemente cambiate o rimaste come sospese nel tempo, aleggianti come farfalle. Non bisogna lasciarsi fottere dalla malinconia, diceva Alfredo del cinematografo, che quando ha perduto la vista ha cominciato a vederci di più. Ma a volte è così dolce dondolarsi, lasciare che il vento smuova i capelli, i pensieri, ci aiuti a non faticare, ad abbandonarci e lasciare che la mente segua il cuore e il corpo si arrenda alle sensazioni di quel limbo di rilassamento che ci permette di mettere chiarezza. È in momenti come quelli che, in passato, ho provato quegli istanti di assoluta lucidità che per fortuna sono durati pochissimo. Allora ho capito che ciò che non possiamo controllare è, di base, la nostra ancora di salvezza. E questo proprio perché non possiamo esercitarne un controllo diretto, immediato e imperativo; finché ho scalini da salire e strade da percorrere allora ho dinanzi a me la possibilità di migliorare me stesso. E anche se a volte vorrei scriverlo sui muri del mondo, spargere questa risposta legandola ai semi di tarassaco, alla fine so che sarebbe solo controproducente.
Ho letto Nietsche e sono andato oltre. Ho letto Freud e Jung e sono andato oltre. Ho letto Platone e non sono mai andato oltre a Socrate. Allora mi sono chiesto se forse la gente non parla perché non apprezza le domande cui non può dare risposta. E la più grande fonte di riflessione sono proprio i quesiti. Ma quesiti portano quesiti, come il matrimonio è la più grande causa di divorzio. Vale la pena scazzare filosoficamente, dopotutto. Quanto meno quando parlo con dei cattolici, magari degli scout della FSE che mangiano una pizza indigeribile in una pizzeria di un paesino collinare, loro hanno dei motivi per non ricercare lo scazzo filosofico. O per cercarlo a modo loro.
Non credi anche tu che la gente sia triste perché non sa come o non vuole cercare di essere semplicemente felice del relativo? Aneliamo da sempre a trovare qualcosa ma dimentichiamo per strada ciò che vogliamo. Forse è tutto più semplice di come ci appare, forse è tutto più semplice di come vorremmo credere. Ma credere davvero che il Rasoio di Ockam sia una legge applicabile anche alle nostre percezioni è una verità un po' scomoda. Sarebbe come dover ammettere che si può evitare di litigare con qualcuno facendo commenti compromettenti e ambigui sui social semplicemente chiamando questa persona al telefono se abita troppo lontana per citofonare direttamente e discuterne in modo civile e maturo. Pluralitas non est ponenda sine necessitate, diceva Doctor Subtilis. E lo disse nel medioevo, cazzo. Era convinto che la terra fosse piatta perché gli era stato inculcato così, ma quanto meno aveva chiaro un concetto che ancora all'umanità non è chiaro nemmeno se abbiamo scoperto il Bosone di Higgs: ossia che ci sono due vie per arrivare a qualcosa: quella dritta e quella contorta. Apparentemente quella dritta è la più semplice, ma in realtà è quella più complessa da affrontare, proprio perché ti pone di fronte alla necessità di vedere le cose per come sono realmente. Torno a dire, piccola: se solo la gente parlasse di più.
Eppure io vivo nella speranza che la bella addormentata si svegli e capisca che sanguina per un motivo preciso, che il regno smetta di dormire, che esca urlando da quel castello e grida al mondo che è viva ma che aveva solo dimenticato che poteva semplicemente aprire gli occhi. Ma che lo faccia perché è tempo, o perché sappiamo tutti che è giusto, forse è chiedere troppo.
Forse.
Ciò non toglie che sia tempo, comunque.