The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Mabon 2008

Mabon 2008

Talvolta nel cambiamento rafforziamo noi stessi. Anche quando ci sembra di strisciare in un tubo scuro, come serpenti, talvolta facciamo fatica a pensare che il motivo per cui non vediamo niente non è perché è tutto buio innanzi a noi... ma solo perché procediamo ad occhi chiusi. E il peggio, vedete... non è capire che si hanno gli occhi chiusi... ma trovare il coraggio di aprirli.
Pensate, una volta ero al liceo Scientifico Parini... non a studiare, ma nel bar della scuola. Il mio batterista dell'epoca mi aveva appena costruito il regalo di compleanno: un'asta del microfono. Era uno che andava al risparmio per certe cose, ma apprezzai quel dono mille volte di più, proprio perché impiegò del tempo fisico a farmelo... con un'asta di uno scopettone, una colata di cemento per la base. Una cosa di fino. Ero lì perché mi aveva mandato un sms. La sua donna lo aveva lasciato ed era in crisi. Sorvolando sui motivi, che riguardano solo lui e lei, ricordo che lo chiamai. Aveva la voce rotta dalle lacrime e mi sentii spezzato per lui. Mi disse una cosa che mi porto dentro per sempre: "Ho mandato il messaggio a mia madre, ai miei amici e alla mia band. Voi siete stati i primi a chiamarmi e tu sei stato il primo della mia band. Questa cosa mi fa pensare".
Scappai da lui, la scuola era deserta. I lunghi corridoi erano colmi della luce bluastra della sera e le mie scarpe producevano schiaffi sulla pavimentazione. Lo trovai a pezzi, come mi aspettavo. Come era giusto che fosse, in fin dei conti. La sofferenza è direttamente proporzionale al pensiero e alla sua cognizione di causa negli eventi che ci capitano. Forse è per questo che Marge disse a Lisa: "Sei troppo intelligente per vivere felice", in quella mia adorata puntata dei Simpons. Ricordo che bevemmo qualcosa assieme e io rimasi colpito, mio malgrado, dallo sgretolarsi della sua granitica essenza, che per me era sempre stato un punto fermo. Lo vedevo sotto un altro aspetto e questo mi serviva. Molte cose si basano su punti di vista, nella vita. Ci abituiamo troppo presto, in termini universali, al comportamento e alle relazioni umane in quanto tali. Sono soggette comunque al decadere e mutare. Forse in misura diversa e anche maggiore del passare stesso delle stagioni. Siamo noi, che in fin dei conti ci aggrappiamo ad alcune cose, perché fatichiamo ad uscire da quello che è il nostro ristretto cerchio di affetti, sicurezze... cose che belle o brutte speri sempre che ci siano e quando le trovi... non puoi fare a meno di sentire come un'autostrada diritta e senza svincoli.
Ricordo che mi disse: "Non ne voglio parlare". Decretava così un po' tutto e io scrollai le spalle. Poco dopo aprì le dighe e cominciò a parlarmene, senza in fin dei conti rendersi conto che si stava contraddicendo. Non pianse. Era uno solido, che non voleva mostrarsi debole. In quel momento capii di essere come lui... ma col passare degli anni mi sono reso conto che le lacrime per la sofferenza non sono segno di debolezza, bensì di forza. È una di quelle cose che ti devono capitare affinché tu possa capire realmente il significato della loro esistenza e del perché ci fanno male o perché le affrontiamo in questo o quel modo. Devi trovartici, insomma. Devi guardare in faccia questa cosa e invitarla a farsi sotto, a menare il suo colpo più duro. Anche se ti fa paura... ed è lecito... devi trovare il coraggio di avere paura. So che usare ossimori non è sempre adatto ad esprimersi, non per niente il vecchio Umberto del Pendolo li ritiene un po' troppo sfruttati (lo lessi in un suo articolo apparso su Panorama), ma in questo momento è il modo migliore che trovo per dirlo.
Non ricordo che il cambiamento lo abbia rafforzato... sono passati anni, ma quel cambiamento lo ha spezzato dentro, a quanto potevo vedere. Non che fosse colpa sua, ma parte della sua razionalità andò un po' a farsi benedire. Fu così che poi ci separammo, come musicisti e ahimé, come amici. Io continuai a camminare sulla mia via e incontrai alcune cose... che nel corso del tempo mi hanno ferito in fondo... molto in fondo. E va bene, dico... ci sta. Fa parte di noi e non ne possiamo fare a meno. Credo che non lo vorrei nemmeno in modo diverso. I miei dolori mi hanno permesso di crescere. Dopotutto Francesco Messina, lo scultore, disse una cosa sacrosanta in un'intervista: "Dalla gioia non ho mai tratto insegnamento... dal dolore sì". Talvolta non so nemmeno io se il cambiamento mi ha rafforzato in passato, oppure no... alcuni cambiamenti sono così vicini al momento attuale che non posso ancora sapere se mi hanno rafforzato o meno. So che ci sono e che attuano un continuo distruggere e costruire dentro noi, e che facciamo fatica, talvolta, a stare al passo, a continuare a guardare cambiando la gradazione delle lenti per vedere. Ci adagiamo, come piccole piume di colomba che oscillano precipitando, e ogni volta che la marea ci sommerge, impedendoci di respirare, crediamo sempre che affogheremo. Non è forse così che poi si affoga veramente? Non sapere che basta alzare la testa sopra la superficie, mettersi seduti, alzarsi in piedi. Ci sono eventi che ti spezzano, certo, e altri che ti piegano. La differenza sta solo nel nostro saper resistere se è necessario. Perché a volte lottiamo e basta, solo perché sentiamo che dobbiamo, non perché è una cosa giusta da fare. E se solo potessimo guardare davvero, in pace e armonia, vedremmo che spesso vinciamo se non lottiamo, vinciamo lasciando che gli eventi facciano il loro corso, senza che ci si debba opporre per forza, credendo che sia necessario, inevitabile.
E io mi ricordo quel giorno, così lontano, in cui cominciai a scrivere quel romanzo che ho terminato solo qualche settimana fa. Una data vale l’altra, no? Gli eventi sono eventi, e capitano, ci massacrano, ci lapidano, con il loro esistere, come pioggia di pietre, grandine… come Hagalaz. Ma nella loro distruzione ecco che si rinasce, si vince, si cambia.
Io ricordo bene quando lo cominciai, anche perché ho questa abitudine del cazzo di mettere le date agli scritti, giusto per rendermi conto del passare degli anni. Tutto era diverso in quei giorni, e non sapevo nemmeno quali persone meravigliose avrei incontrato che mi avrebbero aiutato a diventare uomo. Non sapevo quanto avrei sofferto, ancora e ancora… e faceva tutto parte di quella grande entropia. Ero un uomo libero, sotto certi aspetti, ma come tale, schiavo… come sempre. Perché anche la libertà e il suo bisogno dentro noi in ultimo ti schiavizza. Ogni cosa ti schiavizza quando ne hai bisogno… anche il respirare, il dormire, il mangiare… e l’unica cosa che pensi che non ti dovrebbe schiavizzare mai, in ultimo diventa la più grande schiavitù che l’uomo deve sopportare: l’amore. Oh sì. E’ proprio così. Quando cominciai a scrivere quel romanzo non sapevo in realtà che cosa sarebbe cambiato, nel suo incedere e rotolare dentro me, pagina dopo pagina. Ma ora lo capisco, scrivendo queste righe, sentendo i pareri dei pochi che lo hanno letto. Lo capisco davvero. Sono cambiate così tante cose… e io sento ancora dentro me le sferzate delle coltellate, violente, inclementi, che sopraggiungono dal nulla, dal vuoto intorno a me, e io, nudo rituale, senza possibilità di ripararmi dai colpi che subisco, dovendo lasciare sempre una parte di me scoperta, indifesa, come la coperta troppo corta della realtà dell’”Attimo Fuggente”. Eppure tutto questo mi ha fatto crescere, o no? Non sono ancora qui, diverso, mutato, adulto, forse un pochino più sincero magari?… pulito... ecco… pulito, sì. E so qualche cosa in più su me stesso, scavando in fondo, arrivando a raschiare con le unghie, farle sanguinare… e sanguinare io, in fondo, dentro, come un’enorme voragine emorragica che vomita fuori ondate di fluidi e linfa. E io che credevo che la pietra non sanguinasse. E io che credevo che bastasse afferrarne i lembi e avvicinarli, dar loro due punti di sutura e attendere che tutto guarisse… come puoi farlo se non hai le dita, se sono solo moncherini stracciati dove spuntano le ossa? Distrutte, divorate… usate per scavare, verso l’uscita… o forse verso il basso, senza sapere che cazzo di direzione stai prendendo perché, come in una valanga, hai perduto il tuo stesso senso dell’orientamento corporeo.
Non abbiamo bisogno di cambiare a volte, ma il cambiamento giunge lo stesso… e ci rendiamo conto a nostre spese che non abbiamo alternative. Dobbiamo cambiare per forza, volente o nolente. A volte è come un vento, e spazza via tutto quanto… mi ricordo che una volta lo sentii paragonare a questo vento… e non era una cosa cattiva… ma una cosa neutrale, come gli dei, come un fenomeno naturale esso stesso. Quel colpo violento ai piatti della bilancia universale che ripristina l’equilibrio a forza in una situazione che ormai lo aveva perduto da tempo immemorabile. Credo lo lessi almeno sette anni fa. Era sull’epitaffio sito chiuso di Mandragora… quello su tiscali che visitavo quando la dea era una voce giovane dentro me, priva ancora di sostanza. Ricordo che c’era una musichetta in midi molto dolce, e una chiocciola, un topolino… immagini scelte con dovizia. E ricordo che questa misteriosa figura (che si diceva essere una donna, ma che capii da alcune parole essere in realtà un uomo) diceva esattamente questo: “A volte andiamo incontro serenamente a questi tagli, a volte ci opponiamo scioccamente, tenendo con noi situazioni morte che assurdamente ci ostiniamo a voler vedere ancora vive. Quando ciò succede, arriva qualcosa di più 'fortÈ a spazzare via tutto e a costringerti a guardare in tutte quelle cose che per paura non volevi vedere, o eri troppo pigro per poterlo fare.
C'è un tempo per tutto, esiste anche il tempo di ritirarsi, per conoscersi, fortificarsi, studiarsi. In tre anni, ci sono delle cose che ho dimenticato, e con cui sento forte la necessità e il bisogno di ritornare in contatto.
È arrivata un'aria che spazza via tutto ciò che è incancrenito, morto, e ho bisogno di fermarmi a riflettere, recuperare ciò che dovrei sapere, ma che ho lasciato coprire da veli di polvere, sottili e impalpabili.
Se questi veli non li togli, aumentano, e giorno dopo giorno dei nuovi si sono depositati su altri che non erano stati spazzati via quando occorreva farlo.
Quando questo lavoro di pulizia non lo fai da solo, è quest'aria che arriva e che ti obbliga a vedere in quello che non va come dovrebbe, e che alza e che fa volare via tutto ciò che non è ben ancorato nel terreno. Non è niente di cattivo quest'aria, è la sua natura, e arriva quando deve.”

Me lo sono trascritto quel testo, perché mi ha sempre colpito molto e mi ha fatto crescere mille volte di più degli argomenti che trattava sul suo sito. Capita così, a volte: bastano alcune parole e tutto ti si apre come un fiore in primavera. Forse, vedete… per tutta la nostra vita cerchiamo sempre di costruire un castello di sabbia in riva al mare, e speriamo sempre che la marea non salga, non lo distrugga, perché crediamo sempre che ricostruire quel castello di nuovo, anche se perde la magia di quello precedente, sia meno bello sia nel costruirlo che nel finirlo, che poi nel rimirarlo in un tramonto color ocra. E ne vediamo le differenze non come differenze… ma come difetti. Viviamo nella paura del non accettare quello che ingiunge, quello che arriva, per la paura inconscia che non ci piacerà o che non sapremo vivercelo in maniera bella e diversa, e così rimaniamo attaccati a ciò che è il passato, a ciò che è una strada sicura, nitida, precisa… ma dietro noi. E così, come diceva quell’antico adagio… ci crucciamo dei giorni e delle strade tenebrose dietro di noi ignorando le strade e i giorni ancora da vivere che ci sono innanzi. Non è forse così che ci capita? Andiamo in giro con una mano poggiata sugli occhi… ma senza essere ciechi; con questo nostro vivere come tali, però, rischiamo di mettere un piede in fallo e cadere in un dirupo, o peggio… rischiamo di perderci spettacoli meravigliosi, come i fiori di sicomoro che volteggiano nell’aria della sera, o una luna che in serata di esbat si spacca su un mare di sorrisi argentei, o anche solo il gentile scuoter delle foglie di un pesco accarezzato dal vento, o il sorriso dolcissimo di persone che ci sono a fianco e che muoiono solo dal desiderio di saperci felici… e noi li ignoriamo, senza cattiveria… perché troppo occupati a pensare a ciò che è vissuto, che è passato… e che in quanto tale non potrà più tornare. E soprattutto pensare allo spreco di queste cose, che in quanto tali, come diceva sempre quel vecchio adagio… possono solo essere vissute. E i giorni, sui giorni sui giorni… sono cose che si accumulano senza diminuire mai. Nella vita niente è concesso gratis, ma il prezzo da pagare per tutto ciò che ci capita è misurabile solo alla fine della strada.
Così ripenso a me stesso, al mio romanzo, a quella sposa che attendeva fuori dalla navata da sette anni, a cui ho concesso finalmente di entrare e scoprire che niente era mai cominciato, ed è per questo che il suo capo era lievemente chino… e ripenso a chi mi diceva che un giorno avrei capito e alle volte che scuotevo la testa dicendo che capivo già… e non sapevo invece di aver torto. Ripenso al mio vecchio amico, in quel bar della scuola, che piangeva come un bambino perché la donna che amava aveva preso una decisione che lui non riusciva a prendere, nonostante la sua forza e la sua determinazione. Ripenso a quella donna che piangeva nel giardino, quando ho chiuso la porta e me ne sono andato, e alle urla che da lì giungevano. Ripenso a quella cantina umida, buia e all’odore di muffa e a quella figura maledetta di cui ancora percepisco il fiato demoniaco, come artigli dentro me dopo vent’anni… e mi rendo conto che tutte queste cose passano, ma non vanno via mai. Non andranno via mai… né le mie né le vostre… diverse, terribili o curiose… ma non possiamo permettere loro di appesantirci il cuore al punto da non permetterci di togliere la mano dagli occhi e guardare, finalmente, questa bellissima aurora che spacca le nubi laggiù, ad est. Perché il sole, prima o poi… sorge sempre. Sempre. E la sua luce splende sempre su tutti noi. E noi non dobbiamo dimenticarlo mai.

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