The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Samhain 2016

Samhain 2016

"Sono io la Morte e porto Corona; io son di tutti voi Signora e Padrona. E così sono crudele, così forte sono e dura che non mi fermeranno le tue mura. Sono io la Morte e porto Corona; io son di tutti voi Signora e Padrona. E davanti alla mia falce capo tu dovrai chinare e dell'Oscura Morte al passo andare."
"Sei l'Ospite d'Onore del ballo che per te suoniamo, posa la falce e danza tondo a tondo. Giro di una danza e poi un altro ancora e tu del tempo non sei più Signora"
.

Non è stato facile. Se mai lo è, dopotutto. Con il passare degli anni, dicevano, si accettano con più fatica le separazioni, perché gli affetti sono qualcosa che si costruisce nel tempo e dal tempo stesso traggono forza e solidità. Ma, come tante cose, con quel gusto talvolta perverso che ha la vita, col passare degli anni le separazioni sono una di quelle cose che è sempre destinata ad aumentare. Insieme alle separazioni arrivano anche i cambiamenti, la necessità di accettare il mutare delle situazioni che sia in positivo che in negativo, portano con loro delle difficoltà. E ogni difficoltà è un passaggio; ogni passaggio un'iniziazione.
Ho vissuto i primi mesi di quest'anno, fino a Yule, dominato dalla paura. Ho affrontato il velo, l'anno scorso, portando con me un enorme peso di scelta. Shirley Manson, soavemente, canta quella canzone che io adoro e che dice so come ferire, so come uccidere, so cosa mostrare e cosa nascondere; so quando parlare e quando toccare, nessuno è mai morto volendo troppo. E cazzo, è così in linea con il modo in cui mi sentivo in quei giorni, che mi appaiono oscuri e ansiosi. Ed è stato un periodo lungo, difficile, definibile come mangiare le Big Fruit all'uva spina: all'inizio senti quel gusto aspro che ti dà quell'illusione di resistere imperterrito, sul fondo della lingua e di non finire mai e poi mai; e arrivi a pensare a volte che quel sapore durerà per sempre e che qualsiasi cosa tu mangerai nei giorni e nei mesi seguenti non potrà mai cambiare la sensazione di asprigno che hai in bocca e che accompagnerà ogni altro gusto, senza coprirlo, certo, ma rimanendo lì sul fondo, come una mano sulla spalla che ti ricorda che c'è, che non va via, che è sempre presente. Perché è anche un po' questa la sensazione che si prova quando la Morte ti entra in casa, subdola. E lo fa senza bussare, passando dal buco della serratura, dalle fessure delle imposte, filtrando da sotto la porta come una nebbia fredda e oscura. E quando arriva e capisci che non la puoi scacciare, non la puoi allontanare, non le puoi dire di andarsene, ma che ti ha giocato quel brutto scherzo di infilarsi dentro la porta dietro di te, proprio quando entravi distrattamente la sera, di ritorno dalle faccende quotidiane, e quando capisci anche che la speranza che sia solo di passaggio, che il suo desiderio sia solo ricordarti che esiste nel mondo è solo un'assurdità, perché quando arriva è perché è il momento, allora devi preparare un posto a tavola in più perchè si fermerà a cena; devi organizzarle un posto dove dormire perché non avrà intenzione di andarsene; quando tornerai a casa, ogni giorno, sarà lì, ad aspettarti. E dopo un po', con quell'assurda capacità che ha l'essere umano di rendere normale anche la più inconcepibile anormalità, comincerai a sperare che non se ne vada più e che abbia intenzione di fermarsi per lungo tempo, come Oscar Wilde a casa di Charles Dickens, che gli ispirò il viscido personaggio di Uriah Heep. Perché sai che il giorno in cui andrà via, sarà concomitante al motivo per cui è venuta a trovarti: non lo farà sola; si porterà via qualcuno. E allora speri di poterla trattenere con giochi di parole, inventandoti scuse per rimandare anche solo di quei cinque brevissimi minuti l'inevitabilità dell'ineluttabile. Tu che non volevi che entrasse in casa, ora non vuoi che vada via. Ancora cinque minuti, mamma. Solo cinque minuti. Cerchi di convincerla a prendere un altro sorso di quell'ottima grappa alle prugne giapponese e di accompagnarla con un altro di quegli ottimi dolcetti alla cannella. Solo uno dai, cosa vuoi che sia. Soltanto uno. Ma lei sa bene come funzionano queste cose. La clessidra poggiata sul tavolo segna inesorabile lo scorrere e non c'è nulla che la possa convincere a posare la falce, a togliere il mantello e appenderlo sull'attaccapanni. E così puoi solo abbassare il capo e andare al suo passo, in questa danza funebre a tondo a tondo, come nelle esequie a New Orleans.
Ma come tante cose, forse perché nascondono anche la voglia di vivere, di andare oltre, il bisogno di ridere, di innamorarsi di ciò che facciamo e vogliamo, di sapersi accidentalmente così come preordinatamente se stessi, a discapito di ogni differenza, di ogni impervia salita, di ogni arcigno giudizio, e così, nello stesso tempo, esattamente come le Big Fruit all'Uva Spina, alla fine l'apparenza del sapore aspro svanisce così come è arrivato e ne rimane solo come un fantasma, tanto diafano che ricordi solo che c'era perché hai consapevolezza della sua ombra che si trasforma in ricordo e lascia spazio al gusto zuccherino, dolce come un bacio sul naso prima di dormire, arrendevole come un abbraccio materno, intenso come una calda cioccolata invernale, bevuta sotto le coperte. Hanno questo gusto particolare i ricordi, come diceva Dylan Dog, sono la cosa più bella che abbiamo ma ci mettono tristezza. Ma non sempre, perché a volte ti fanno sorridere dentro, come un fiore che sboccia su un ramo. E sai che nella semplicità di alcune dinamiche, per quanto difficile da accettare, esiste un senso, uno schema; a volte possiamo vedere svariati motivi per ciò che ci capita, e sapere che questi motivi possono essere solo palliativi per giustificare l'inevitabile, sentirci meno soli e pensare di avere qualche possibilità in più di capire cosa ci succede quando ci succede.
Quando vidi quel bellissimo capolavoro che è e rimane Balla coi Lupi, mi ricordo di come Vento nei Capelli, parlando con Balla coi Lupi, gli confessava come avesse perduto un amico prima che lui arrivasse e che per questo motivo si sentiva defraudato dal Grande Spirito; ma poi era arrivato lui e così aveva capito che aveva perduto il suo amico perché ne doveva trovare un altro. Nella vita si verificano spesso eventi del tutto simili a questo, in cui ci disperiamo per ciò che perdiamo e nel lutto tendiamo a lasciar andare anche la nostra capacità di essere obbiettivi, di saper vedere la consequenzialità degli eventi, per quanto apparentemente imprevedibili (o in alcuni casi, deliberatamente ignorabili), e non riuscire a pensare alla gioia del futuro e di ciò che esso ci può riservare quando siamo presi dal dolore che, egoisticamente, tende a farci sentire soli al mondo.
Quando penso all'anno che ho trascorso, quindi, penso ad una Big Fruit all'uva spina, ossia quelle nella confezione color verde acido. Sapore aspro prima e dolce dopo. Forse perché è solo attraverso le difficoltà e le amarezze che possiamo apprezzare le dolcezze. E più le difficoltà sono impegnative, più i momenti di dolcezza saranno soavi e ci permetteranno, se non di dimenticare gli eventi spiacevoli, di far sì che il bruciore delle ferite che ci lasciano addosso diventi più sordo, più lontano e noi si possa cominciare a pensare ai ricordi dolci e belli e lasciarci cullare dal sorriso che ci porteranno alle labbra quando ci torneranno in mente. E magari saranno eventi apparentemente stupidi e inutili, che nella loro quotidianità, però, saranno quelli che più di ogni altro ci farà sentire malinconici. E quelle stesse cicatrici che in modi trasversi, scarlatte di sangue, sono venute a formarsi dalle scudisciate degli eventi che, nel tempo, si sono premurati di porci in condizione di ricordare, ora divengono delle ferite alte e fiere che non vorrei mai che scomparissero, affinché io possa vederle ogni giorno.
Perché il ricordo, come memoria, è latore di esperienze. E le esperienze sono la reale sostanza di cui siamo fatti: tessuto stesso del nostro esistere in un dato momento, in un dato luogo, come lo spaccato di un istante immobile e indelebile. Siamo ciò che siamo perché lo siamo; a volte indipendentemente da ciò che vorremmo. Ma anche questa è retorica, mi si potrebbe rimproverare, e non dialettica. Quando smetteranno di rimproverami per questo, allora lascerò anche io un gallo da sacrificare ad Esculapio.

  • Sono rinato urlando. E mentre passavo il velo, dopo una danza animalesca, dopo aver strisciato come un verme, ho sentito che portavo con me un enorme fardello; era qualcosa di cui non mi potevo ancora liberare. Non mi era concesso farlo. Dovevo resistere, dovevo respirare, prendere fiato, dovevo tenere duro. Dovevo dirmi costantemente che ciò che era sbagliato era giusto. Forse avrei dovuto passare il velo senza rabbia, ma non ne sono stato capace. L'ho portata con me, bruciante, delirante, a tratti cauterizzante. Me la sono sentita addosso, come se indossassi una veste di pelle umana dentro cui il mio corpo, scorticato, si muoveva guizzando, e anche solo sollevare un sopracciglio, trarre un respiro un po' più lungo, stringere una mano a pugno, sorridere, diveniva una prigione di dolore, perché tutto il mio corpo si tirava e si strappava. E sotto, sentivo quella rabbia acida, ribollente, che non trovava via di redenzione, come se avessi bevuto tazze di vetriolo. Sentivo il veleno negli occhi, nelle vene, nei sogni, nel cuore, nella stessa anima. Lo sentivo corrodermi lentamente dall'interno, aggredendo senza posa ogni centimetro quadrato di me. Coraggio e Codardia si intersecavano cone Ida e Pingala, a doppia elica da Muladhara a Sahasrara che, come un soffione disperdeva i suoi mille petali dappertutto, come polline avvelenato. E li sentivo a cascata sulle spalle, che mi scendevano lungo la spina dorsale, sulle braccia e sulle mani, tra le natiche, lungo le cosce e giù fino alle piante dei piedi. Una doccia di rabbia e frustrazione che non sembrava finire mai. E sentivo gridare dentro di me quei versi di Dylan Thomas che dicono: Non andartene docine in quella buona notte. I vecchi dovrebbero bruciare e delirare al serrarsi del giorno; infuria, infuria, contro il morire della luce. Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta, perché dalle loro parole non diramano fulmini, non se ne vanno docili in quella buona notte. I probi, con l'ultima onda, gridando quanto splendide le loro deboli gesta danzerebbero in una verde baia, s'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce. Gli impulsivi che il sole presero al volo e cantarono, troppo tardi imparando d'averne afflitto il cammino, non se ne vanno docili in quella buona notte. Gli austeri, prossimi alla morte, con cieca vista accorgendosi che occhi spenti potevano brillare come meteore e gioire, s'infuriano, s'infuriano contro il morire della luce. E tu, padre mio, là sulla triste altura maledicimi, benedicimi, ora, con le tue lacrime furiose, te ne prego. Non andartene docile in quella buona notte. Infuriati, infuriati contro il morire della luce.
    Non è stato facile lasciare che il corpo si chetasse, si ammorbidisse come una camicia di seta gettata a caso su un letto. Non è stato facile abbandonarsi. Ho dovuto lottare per arrendermi. E non è stata una lotta disperata, ma rabbiosa ed orgogliosa. Tuttavia, una volta che ho fatto il grande passo, oltre non ho trovato l'abisso. O almeno sotto i miei piedi, come Indiana Jones, ho trovato un ponte di pietra a sostenermi, affinché io non potessi precipitare, affinché potessi continuare il mio cammino, carponi, in lunghe ascese e discese, fino a quando giungerà anche per me il momento di stendermi, chiudere gli occhi e smettere di respirare.
  • È stata una ricerca lunga e dolorosa, costellata di difficoltà e delusioni, arrabbiature, indomiti pensieri di fallibilità, ma alla fine ha funzionato e noi abbiamo un posto che possiamo chiamare casa. E devo dire anche che è una vera figata, dove Morgan ha una sua stanza/tana, dove abbiamo un posto dedicato interamente alla spiritualità e dove lo spazio per i libri (al momento) non è un problema. I lavori sono stati un'Odissea infinita, dove Calipso e Circe erano rappresentate degnamente da operai incompetenti, da un direttore dei lavori disonesto e da un bisogno reale e tangibile di poter essere tranquilli, finalmente, e non doversi preoccupare di altro che di viversela. Alla fine però ce l'abbiamo fatta e ora abbiamo un nostro spazio, qualcosa che possiamo condividere e costruire assieme. E ok, manca ancora qualcosina, ma non ho mai pensato che sarebbe stato facile ed in discesa, ma come diceva quel film bellissimo: fa più bene che male.
  • Dopo cinque anni difficili, Morgan ha cominciato le medie. Ho tenuto il fiato sospeso per lunghi giorni, in attesa del responso. I vaticini lo davano vincente, ma io ho atteso, torcendomi le mani come mia madre quando tornavo tardi a casa, fino a quando ho avuto la certezza che era finito in classe con uno dei suoi migliori amici e che le nostre richieste erano state soddisfatte. L'anno è cominciato da un mese e mezzo ormai; ovviamente è pieno di compiti e si sta assestando, ma lo vedo impegnarsi, nonostante le difficoltà e questa cosa mi fa sentire orgoglioso. Il mio ricordo degli anni delle medie è ancora lì, curiosamente vicino, sin dai primi giorni, con tutto il suo odore di fiori estivi, con il sapore delle foglie bagnate, l'angoscia delle difficoltà della vita, come se non fossero passati ventisette anni da allora. Da una parte sento di sapere cosa sta per provare o cosa già prova lui a vivere questo periodo; dall'altra io so che sta vivendo dei momenti che io non ho vissuto e devo cercare di sgravarlo per quello che posso. Che io abbia la forza.
  • Finalmente sono stato in Foresta Nera, questa estate, durante un viaggio lungo la Baviera e parte della Germania del sud. Le vacanze per me sono sempre un mezzo dramma; vuoi perché non ho mai ben chiaro dove voglio andare e cosa fare; vuoi perché la preparazione del viaggio è una cosa che non amo per nulla e vuoi perché ho tante mete immaginarie che vorrei vedere da così tanto tempo che poi, ogni volta, quando me le trovo di fronte, mi rendo conto come la realtà riesca ad immiserire in modo incredibile ciò che nella mia mente era sconfinato. La Foresta Nera era una di queste mete. Desideravo vederla tantissimo, ma quando poi l'ho vista, per quanto l'abbia trovata bellissima, l'ho percepita come qualcosa che mi scivolava via sotto gli occhi, senza poterla apprezzare, come se avessi sentito solo la nota di testa di un profumo e non il suo cuore. E questo perché, in definitiva, era la mia percezione della Foresta Nera ad essere qualcosa di diverso. Io immaginavo di potermi addentrare nel bosco, di poter fare un giro sui sentieri tra i tronchi, calpestare il terreno, godermela con le mani oltre che con gli occhi. E invece la Schwarzwaldhochstraße, ossia per i non addetti alla germania: "Strada Panoramica della Foresta Nera", è una statale che si snoda da Baden Baden a Freudenstadt, dove puoi vedere bellissimi paesaggi densi di verde, colmi di sorbi che qui fatichiamo così tanto a trovare; ma sono paesaggi che puoi vedere solo da distanza, mentre nel mio immaginario infantile mi aspettavo di vivere il bosco, almeno un pochino e non di vederlo dall'alto. Perché era quello che mi chiamava: perdermi tra i tronchi, come immemore del tempo e dello spazio. E invece la sua oscurità era distante, quasi del tutto turistica, e sembrava come Michael Meyer che per un Halloween regalava davvero caramelle ai bambini.
    Degno di nota è stato il lago Mummelsee, che porta con sé un potere magico non indifferente. Come tante altre volte in tanti altri luoghi, avrei voluto avere il potere di far scomparire tutti quei turisti per godermelo in solitudine, per sentire il suo potere reale, per donare offerte agli spiriti guardiani. Ma ovviamente, lo riconosco, era un bisogno egoistico.
  • Ad ogni modo la vacanza in Germania è stata una sfida al mio vetegarianesimo: praticamente ho mangiato solo patate: fritte, in gnocchi, al forno, lessate e pizza e derivati. Tuttavia, per quanto il cibo non sia di sicuro il suo punto forte, ho assaggiato la famosa Schwarzwälder Kirschtorte, ossia la "Torta alle Ciliegie della Foresta Nera". Ora, per chi l'ha assaggiata è inutile ripetersi, ma per chi non ha ancora avuto il piacere, siamo di fronte ad una delizia senza precedenti, superata, finora, solo da Il Tiramisù, il dolce supremo fatto da una strega che ho l'onore di avere in congrega. Ora, quando vi immaginate un dolce alla panna e cioccolato, sono sicuro che vi immaginate qualcosa di buono, se non buonissimo. Beh, qualsiasi caratterstica il vostro deliberato punto di vista potrebbe ricreare, siete comunque lontani dalla verità della Schwarzwälder Kirschtorte. Io l'ho mangiata in un bar che dà su un lago, non ricordo dove fossi (mea culpa) e se fossi stato una donna avrei reagito come Sally Albright, con la semplice differenza che Meg Ryan, quando la interpretava, stava fingendo sia come attrice che come personaggio. Io non avrei finto. Per un cazzo. Quella torta è a rischio orgasmo. Non ci sono altre discussioni che si possono fare. Potevo descrivere l'esperienza di assaggiarla in modo poetico, inoltrandomi nella morbidezza, l'incredibile spettro di sapori coniugati tra loro, il profumo e anche solo l'apparenza maestosa vera e propria. Ma non avrei saputo descrivere abbastanza bene quanto è buona. Non in modo che fosse abbastanza chiaro: andare in Foresta Nera e non assaggiarla è commettere un reato contro l'umanità; la vostra umanità. Abbiate cura di voi stessi: gettate alle ortiche le scuse di diete, veganesimo o qualsiasi altra motivazione che potrebbe spingervi a rifiutare. Quando e se passerete dalla Foresta Nera fermatevi nel primo bar e chiedete di quella torta. Non farlo equivale a portarsi, fin nella tomba, il pensiero di non aver davvero assaggiato qualcosa di unico.
  • Dopo settimane a vivere con un'ombra sul capo il tempo è infine giunto. Non riesco a ricordare come io abbia infine deciso. Mi sembra tutto così chiaro eppure così nebuloso. La malattia di Salsi è degenerata sempre più e io ho cercato di curarlo come potevo, finché ho dovuto accompagnarlo al suo ultimo viaggio.
    Le ultime ore con lui sono state come spingere un macigno su per una collina. Acciambellato sul copriletto, squassato dalla febbre, con quel tumore che lo devastava sulla spalla l'ho coccolato, accarezzato, ho cercato di imprimere in me il ricordo dei tanti anni assieme, sapendo che quelli erano gli ultimi minuti che avrei condiviso con lui. Siamo stati compagni di viaggio e di avventure. Quando l'ho preso era terrorizzato da qualsiasi cosa, si nascondeva sempre sotto il letto. Dominato da una fame atavica dovuta, probabilmente, alle difficoltà in cui versava all'ENPA, abbiamo imparato ad amarci e a conoscerci. Quando è nato Morgan e l'ho portato a casa, Salsi è stato il primo ad andare a guardare nella culla per vedere cosa provocasse quei rumori. Ho immortalato quel momento senza sapere quanto legame si sarebbe creato tra loro nel tempo. Quando mi sono separato, Salsiccia, insieme a Polpetta, è venuto con me. Ricordo bene il momento in cui è entrato in casa la prima volta: aggrappato al calorifero con le zampe anteriori, miagolando come un disperato: terrorizzato da questo cambiamento che non poteva e non riusciva a capire; strappato dalla sua casa e dalle sue abitudini. Si rifugiò sotto il rivestimento del divano letto, uscendo solo per i bisogni e senza mangiare: solo un rigonfiamento di imbottitura. Gli mettevo i croccantini infilandoglieli dentro affinché potesse almeno nutrirsi.
    Poi nel tempo è uscito, si è abituato e ha sviluppato ancora di più un rapporto di profonda amicizia con Morgan. Dormiva sempre con lui e ogni volta che mio figlio giocava o faceva i compiti o mangiava Salsi era al suo fianco, acciambellato vicino a lui. Sono stati anni pieni di difficoltà, ma prenderlo in braccio, sentire il suo miagolio dolce, quando mi guardava con quegli occhi giallo verdi, è ora qualcosa che mi rendo conto di aver dato per scontato e non c'è giorno in cui non mi mancano queelle coccole.
    Sono stato per settimane indeciso. Da una parte sentivo che era giusto evitargli la sofferenza; dall'altra l'apparenza era che non soffrisse. Ma la verità è che non volevo lasciarlo andare. Il corvo è venuto a chiamarlo una volta, ed è stata un'esperienza che mi ha fatto capire quanto ancora io abbia da imparare, perché ho barattato quello che potevo per averlo qui con me ancora per qualche tempo e così ho chiesto ad un amico di guidarmi in un viaggio sciamanico dove avrei potuto incontrarlo, per chiedergli cosa riteneva giusto che io facessi; quale fosse il suo volere. Desiderava morire a casa, per via naturale o preferiva che io gli facilitassi il passaggio? Quando l'ho incontrato, su una spiaggia dove c'era un fuoco acceso e dove in lontananza si vedeva un'isola, lui è giunto a farmi intendere, ancora una volta, quanto io faticassi a comprendere. A lui non importava nulla, né di morire per vie naturali né per iniezione letale. Aveva fatto ciò che doveva e la scelta stava comunque, sempre e solo, a me. Ero io che mi preoccupavo di me stesso, del mio sentire, del mio punto di vista: dal suo non c'era differenza, perché la morte è morte e lui era preparato per questo. "Sei tu", mi disse, "che non sei pronto. E anzi mi sorprendo che una persona come te, che insegna e predica l'accettazione agli altri, fatichi così tanto a capire lo schema delle cose". Questa fu l'ultima cosa che mi disse, prima di girarsi e allontanarsi verso la foresta, come Richard Parker in Vita di Pi.
    Così ho deciso. Ogni cosa deve finire e Salsi doveva andare. Così, al limite della sua malattia, l'ho dovuto accompagnare alla morte. Non ero da solo ad affrontare quel momento, e sono grato per questo, ma anche se ci fosse stato un esercito con me io sarei comunque stato da solo con lui. Dentro sentivo freddo, un freddo glaciale, come se mi trovassi nudo a correre per le steppe siberiane ad inseguire caribù. E quel freddo erano gli aliti degli abissi della mia rabbia che sbadigliavano perché mi sono trovato nella situazione di dover uccidere uno dei miei più cari amici. L'ho portato dentro e quello è stato il momento più difficile. Il veterinario lo ha sedato e io ho assistito al suo smarrimento. Ho tenuto la sua testa tra le mani, fissandolo negli occhi, parlandogli, dicendogli che ero lì con lui e che non era da solo, che non lo avrei abbandonato. Ho visto il suo sguardo farsi offuscato, le pupille dilatarsi e sapevo che stava perdendo il contatto con la realtà mentre non si reggeva in piedi con le zampe posteriori e si chinava sul tavolo di acciaio. Sono stato costretto ad uscire e mi hanno chiamato per salutarlo. Era steso su un lato lato, immobile, con solo la pancia che si sollevava lentamente con il respiro: gli occhi spalancati anche se non vedeva. L'ho accarezzato ancora, parlandogli, dicendo che ci saremmo rivisti presto e augurandogli buon viaggio e ho spinto affinché anche Morgan lo salutasse. Sono state lacrime amare, condite di quel bisogno di pensare di aver fatto la cosa giusta; dal bisogno di vedere il punto di vista positivo: essere stato con lui fino alla fine, avergli fatto vivere una vita piena di amore e dignità. Ma nulla di tutto questo ha chetato il dolore, acido, dentro di me. Poi sono uscito e sono stato richiamato quando ormai se ne era andato. Sembrava dormisse ancora, solo che il respiro era fermo, il pelo bianco e grigio immobile. Tornare a casa con la portantina vuota è stata una delle cose più brutte che mi sono trovato a vivere nella mia vita. Avevo continuamente la sensazione che mi stesse seguendo, con la coda alzata a punto interrogativo, strusciandomisi contro le gambe e senza provare più alcun timore; dei suoni estranei del mondo, delle macchine che puzzavano di catrame, delle persone sporche e rumorose, di questa enorme pesantezza che la materia porta inevitabilmente con sé e di cui era libero, ormai.
    La prima notte è stata la più difficile. Ero abituato a sentire il suo caldo peso sui piedi, svegliarmi con lui tra le caviglie e adesso quello spazio vuoto sembrava urlare. Dentro, la rabbia per aver dovuto fare ciò che dovevo fare era sempre più bruciante. Misi la ricevuta del veterinario che recitava "eutanasia" nel BOS, dove ancora è adesso.
    Qualche giorno dopo mi chiamarono per ritirare le ceneri. Il ricordo sopravvive alla morte, recita l'epitaffio. In un sacchettino color porpora Salsi ora riposa. Per giorni e mesi l'ho sentito in casa, a volte un lieve miagolio, che ti sembra di aver sognato, fin quando vedi che anche Polpetta l'ha udito e ha alzato le orecchie e di corsa si è precipitata a vedere se il suo compagno fosse tornato da quel viaggio in macchina. Poi i sogni, in cui lo rivedevo stare bene mentre mi leccava le dita e la sensazione del suo peso sul corpo quando dormivo. A lungo andare le presenza si sono assottigliate, finché, nel transito a casa nuova Salsi non c'era più. Era andato. E ora porto con me quella cicatrice sulla coscia, lasciatami da lui quando si dibatteva mentre gli curavo la ferita sulla spalla. Per lunghi mesi è rimasta vivida, rossa, come se non volesse guarire più. Ha accennato ad attenuarsi solo più tardi.
    Questo Samhai, insieme agli altri, ti richiamerò a me, Salsi, al suono di sonagli e canti; sempre se avrai voglia di venire a riscuotere la tua parte di coccole arretrate. Ti voglio bene vecchio mio. Mi manchi tanto.
  • La sofferenza per la morte di Salsi, e con essa il lutto, è durata molto; così ho faticato ad accettare l'idea di prendere un nuovo micio; e quando infine ho deciso è stato per fare compagnia a Polpetta, che si sentiva decisamente sola e lo mostrava con un'incredibile entusiasmo quando tornavo a casa. È cominciata così la dura e delirante ricerca per trovare un gatto, attraverso svariate associazioni che, per gran parte del tempo non hanno fatto altro che scoraggiarci dall'adottare un nuovo animale; complici le scuse del fatto che Polpetta è anziana, che la casa potrebbe non essere a norma e una moltitudine di altre motivazioni. A tratti davano la seria impressione di pensare di essere i soli e unici ad amare gli animali dal momento che si prendono cura di loro con il volontariato. Ora, nulla da dire sull'instancabile lavoro dei volontari e delle associazioni, anzi, che Bast abbia grande considerazione di loro, ma quando delle persone che hanno già avuto gatti per anni chiedono di avere la possibilità di adottare un micio, farli sentire totalmente inadeguati non credo sia un buono sprono a dare una casa a quegli animali che vivono uno sopra l'altro. Anche perché dovrebbe anche essere uno degli obbiettivi delle associazioni cercare di far sì che sia possibile trovare delle famiglie per gli animali; famiglie che vogliano loro bene e che accettino di occuparsene a tempo pieno.
    Ad ogni modo, dopo una strenuante ricerca, fatta di delusioni e difficoltà, passando per situazioni anche al limite dell'assurdo, riusciamo ad adottare Biscotto, un micio nero terrorizzato da una sfilza di cose che, se elencate occuperebbero tutto l'editoriale e che abbiamo ribattezzato scherzosamete Panico, e che ha alle spalle una struggente storia di privazioni, violenze e soprusi che però non hanno intaccato la dolce mitezza del suo cuore. Con una (enorme) pazienza, anche da parte di Polpetta, che lo ha accettato dopo una settimana leccandolo amorevolmente sulla testa, siamo riusciti a portare Biscotto a casa con noi e a farlo sentire al sicuro; ormai sono quasi cinque mesi che fa parte della famiglia, nonostante abbia ancora delle abitudini da correggere. In questi cinque mesi siamo riusciti a tranquillizzarlo e adesso non fugge più quando cerchiamo di coccolarlo o viene lui stesso a cercare calore. Ovvio, gli estranei per lo più hanno la percezione di un lampo nero che attraversa l'ingresso quando entrano in casa, per poi dileguarsi tra le ombre come un ninja, ma per noi è esiste veramente e non è un fantasma. In nessun momento l'idea è stata quella di sostituire Salsi, ma da quando c'è lui, effettivamente, ha smesso di farsi sentire, come se in qualche modo avesse atteso che qualcuno andasse a riempire quell'enorme vuoto prima di sentirsi pronto ad andare. Lui è il mio Balla coi Lupi.
  • Quest'anno, dal punto di vista lavorativo è cominciato con un cliente che ho adorato. Per la prima volta avevo un ufficio completamente mio dove mi potevo gestire il lavoro in totale autonomia. Il lavoro mi piaceva e in più ero vicino al centro, per cui durante la pausa pranzo potevo andare a farmi un giro in Duomo, o alla Libreria Esoterica. È stato un periodo particolarmente bello a livello lavorativo. Peccato solo che come tutte le cose belle è finito presto. Di ritorno dalla Provincia di Milano sono andato a lavorare di nuovo in Fastweb, dove comunque i colleghi sono noti e dove sono stato bene. Il problema è sorto a fine estate, quando il progetto si è esaurito e io sono stato spostato su un cliente terribile. Al di là del lavoro che era su turni, delle attività davvero desolanti, la cosa peggiore era proprio il clima che si respirava là dentro, dove il Service Manager era un nazista che non sapeva far altro che urlare, umiliare e denigrare le persone sotto di lui. Il suo motto, nei riguardi dell'ufficio era questo: "Qui la gente fluisce, defluisce ma non influisce", ossia vieni, vai ma non devi osare permetterti di dire nulla o di prendere iniziative di sorta. La speranza di essere spostato per merito sfumò quasi subito, pertanto ho deciso di fare uso della magia; in un rituale che è durato due settimane ho chiesto di poter avere un posto di lavoro migliore, per il quale sono stato accontentato dopo circa due settimane: uno stagista che lavorava lì è stato assunto nella mia azienda e io sono stato svincolato per andare a lavorare in Cartasì, su un lavoro bancario di cui non so nulla, ma dove il clima è tutta un'altra cosa. Ovvio, ora sono in debito con un dio, ma queste cose le so sistemare con più rilassatezza che avere a che fare con un cretino.
  • Con Belladonna & Aconito stiamo compiendo il settimo anno di attività e quest'anno abbiamo preso alcune persone nuove (e anche qualcuno di vecchio che è tornato) che hanno portato una ventata di novità. Fra poco entreremo nell'ottavo anno e mi sembra così strano, perché sono davvero volati come fanno le farfalle quando si spostano da un fiore all'altro, come se salissero e scendessero delle scale invisibili.
  • Quest'anno, per la prima volta, abbiamo saltato la consacrazione alla Cabotina. Alcune cose si smette di farle perché è tempo, altre perché decidi che non ne hai più voglia, altre perché lasci che ci siano delle situazioni che sovrastino gli impegni presi. Questa ho smesso di farla perché dentro, in qualche, modo, sento che non ho più bisogno di portarla avanti: dopo sette anni consecutivi a svolgere lo stesso rito sono andato oltre e ho deciso di smettere di andare là.
  • Ho fatto una regressione alle vite passate. È stata una delle esperienze più traumatiche e intense che abbia mai vissuto. Non so se ho ricevuto o scoperto delle risposte a qualcuna delle domande che potevo avere, anche perché in effetti non ne avevo, ma so che mi ha cambiato dentro, profondamente, come se avesse punzecchiato un animale che si era assopito. In tutto il viaggio che ho fatto, disseminato di morte, dolore e sofferenza, ho riscoperto e ritrovato spesso il mio legame con gli déi e il mio rifiuto per la guerra. Ho avuto modo di percepire tra queste stesse mani un potere enorme, incredibile, e sentirmelo sfuggire dalle dita; come probabilmente mi sentirei se d'un tratto mi ritrovassi a dover tornare a portare i pannolini. Questa esperienza non è stata utile soltanto per vedere alcune cose che mi ricollegano ad un passato, ma anche per sbloccare, senza volerlo, qualcosa che era come "sedato" dentro di me. Ed è qualcosa che consiglio a tutti.
  • Proprio in concomitanza con la seduta di regressione, ho iniziato a svegliarmi con le mani bollenti e sognare di avere poteri taumaturgici. Sull'onda quindi dell'inizio del lavoro sottile e del percorso nell'aiuto di Salsiccia, durante la sua malattia, il mio percorso di strega si è evoluto, in questo anno, e si sta via via delineando nei contorni della guarigione. Con serietà ho così intrapreso la via della pranoterapia e della guarigione sottile in un modo più approfondito: prendendo tutto quello che ho imparato in questi anni e cominciando ad andare oltre, a vedere con i miei occhi e a seguire l'istinto, sapendo che non mi avrebbe tradito. Ho iniziato a lavorare sulle persone per aiutarle non solo riattivando i loro chakra e rimuovendo ferite karmiche o entità parassitarie, ma anche operando sui loro corpi sottili in modo diretto e ottenendo, finora, dei buoni risultati. Ho pertanto deciso che cercherò di seguire un corso di pranoterapia che mi aiuti a potenziare le mie capacità e riuscire, in questo modo, ad aiutare gli altri a procedere con l'evoluzione: quello che, dopotutto, ho chiesto agli dei di poter fare.
  • Anche quest'anno abbiamo fatto il campo di Lammas. È iniziato con un fuoco ed è finito a secchiate d'acqua, come è tradizione, pertanto si può dire che è andato tutto bene. Il cibo era buono, la compagnia superba, i tafani erano feroci, il fiume era gelido, le fiamme bollenti e la mia amaca era comoda. E devo dire che questa volta alla fine me la sono anche goduta. Il campo ha coinciso con un inizio di discesa, a livello energetico, che si protrae proprio da quei giorni e che è ancora attiva ora, in un forte picco. Il fatto è che ora che siamo nei pressi di Samhain c'è da aspettarselo, ma all'epoca e per i mesi seguenti la situazione è stata ben differente e questo calo era decisamente anomalo. Come ogni volta andare via da quel posto per ultimo, chiudere il cancello, staccare gas e luce e salire in macchina lascia sempre l'amaro in bocca; un po' per la speranza di tornarci l'anno prossimo a fare un altro campo; un po' per la paura che, per un motivo o per un altro, sarà l'ultima volta.
  • Morgan ha cominciato a seguire una dieta e perdere peso. Abbiamo cominciato a settembre e senza interruzioni, e anche con una certa assiduità. Nel mio immaginario pensavo onestamente che sarebbe stato molto peggio di così, ma in realtà lui è stato molto bravo e noi ci siamo adattati in modo abbastanza adeguato. Alla fine, verso giugno, abbiamo rivisto la nutrizionista e questa ci ha fatto i complimenti, perché la dieta ha dato ottimi frutti. Ovviamente abbiamo cambiato dieta per l'estate e ora dovremo cambiarla nuovamente. Ad ogni modo l'ho visto perdere altro peso e farsi dritto e alto. Ha preso quindici centimetri in questo anno. E noi si invecchia. Cazzo.
  • Ad un tratto ricevo una mail. Dubbia, in effetti. È stata mandata alla congrega e gruppo di studio ed è a nome di una persona che lavora per la TV e che cerca gruppi di spiritualità. Al che io, in un primo momento, rimango interdetto sul fatto che sia interessata ad entrare in B&A o a far andare noi in TV e le domando quale sia la sua intenzione. Si evince che è di Ciao Darwin e che è interessata a portarci alla nuova edizione come gruppo, dato che una puntata - credo di aprile - sarebbe stata incentrata proprio sulle vie spirituali. Io, che non ho il televisore da molti anni e che non ho idea di cosa sia questo programma, chiedo alle persone di Belladonna & Aconito cosa ne pensano e il risultato è ilarità totale. Ovviamente gli abbiamo detto no (altrimenti ci avreste visti in tv a mangiare insetti, a quanto mi hanno raccontato), ed il no è stato molto sentito. La cosa divertente è che non si perdano d'animo! E noi, dopotutto, abbiamo qualcos'altro di cui raccontare e su cui prenderci in giro.
  • Direi che questo è stato l'anno dei film dei supereroi. Specialmente Marvel. Posso dire di non essermene perso nemmeno uno, a parte Batman Vs Superman, ma questa è stata una scelta pietosa, perché sono fan del Cavaliere Oscuro. Nonostantre ciò ho apprezzato molto Torture Squad. Grande colonna sonora per un buon film. Deadpool divertentissimo, Dottor Strange eccezionale Apocalisse una figata (adoro Quicksilver) e Civil War decisamente godibile.
  • Quest'anno, per la prima volta, ho fatto una vacanza solo io e Morgan. Abbiamo affittato la tenuta dove avremmo svolto il campo di Lammas per una settimana e ce la siamo goduti da soli. Nel bosco, con il solo fuoco acceso, Morgan ha resistito in tenda cinque minuti da solo prima di venire a dormire con me. E io sono fierissimo che abbia resistito cinque minuti, perché per dormire da soli nel bosco di notte, con tutti i rumori degli animali notturni, i fruscii degli scoiattoli tra le foglie, i richiami dei caprioli, il frullare dei gufi e delle civette e la costante paura dei cinghiali, è qualcosa che terrorizza chiunque, anche gli adulti. E forse soprattutto loro. La vacanza è stata una figata: siamo stati benissimo assieme e ci siamo goduti il tempo divertendoci. Abbiamo fatto un giro a Parma a trovare alcuni amici, e Morgan ha superato brillantemente l'iniziazione alla birra, bevendosi da solo una media. Alla fine rideva come un ebete e io continuavo a prenderlo in giro dicendogli che era ubriaco. È stato importante, per me, prendermi del tempo per stare con lui senza nessun altro; dedicargli un'intera settimana di vacanza assieme. Tra le moltitudini di problematiche economiche che ho avuto negli ultimi sei anni le vacanze sono state qualcosa cui ho dovuto praticamente sempre rinunciare. Questa volta, nonostante gli intoppi iniziali, ho tenuto duro e alla fine ci siamo andati e ce le siamo godute.
    Il posto era decisamente selvaggio e abbandonato a se stesso, ma noi ci siamo arrabattati e abbiamo anche avuto modo di rispettare la sua dieta e di organizzarci le cene a lume di candela sotto il portico, con lui che scappava terrorizzato quando c'era qualche tafano. Ricorderò quei giorni con calore e dolcezza.
  • Quest'anno, nonostante non sia andato alla fiera dell'artigianato, ho comprato svariate statue di divinità, tra cui un bellissimo Asclepio, una deliziosa Persefone e una Ariadne che ho regalato a mia moglie, un immenso Poseidone, Ade, Demetra e ultimo, ma non meno importante: Zeus (che sono ancora in attesa che arrivi) e che mi servirà per ripagare il debito che ho con lui. Alla mia collezione mancano ancora alcuni pezzi che ho già individuato e che nel tempo prenderò: Atena, Ares, Efesto e Apollo. In Germania ho avuto modo di trovare una meravigliosa Hestia in resina bronzata e che desideravo tantissimo. Era in compagnia di altre bellissime statue, ma tra tutte ho scelto lei perché era la più bella e, soprattutto, quella che non avevo avuto ancora modo di trovare.
  • Mi è stato regalato un nuovo biotensor. È un pezzo unico, fatto a mano da un radiestesista. È di eccezionale fattura e funziona in modo incredibile. Per quanto anche il mio vecchio strumento fosse perfettamente in grado di fare il suo lavoro, questo nuovo è in formato più "comodo" e facile da trasporare, dal momento che è estensibile e chiuso è lungo circa una spanna. In questo modo, portarmelo in giro è decisamente diverso, dal momento che sta comodamente nella tasca interna della giacca. Dopo le vacanze c'è stato un momento di terribile panico che è durato per circa due settimane in cui non riuscivo più a trovarlo. Disperato mi sono rivolto ai padroni del luogo dove ho soggiornato nella vaga ipotesi che potessi averlo dimenticato là mentre mi aggiravo come uno spettro per la casa alla sua estenuante ricerca, ripassando ogni volta da luoghi dove avevo controllato una moltitudine di volte solo per tornare, scoraggiato, a scoprire che non c'era. Alla fine l'ultima opzione che mi era rimasta era quella reale. Per un non ben specificato motivo era rimasto nello zaino del portatile aziendale e pertanto era in ufficio. Non appena sono rientrato in sede ho avuto modo di ritrovarlo; con mio immenso sollievo.
  • Ho ripreso a giocare a Ogame per colmare lunghe giornate vuote. Questa volta la scalata al potere della Galassia ha funzionato meglio e posso dire di aver riscosso un certo successo, ma alla fine il mio animo di ricercatore che mi spinge e collezionare e cercare di fare tutto, ossia costruire tutte le navi e fare tutte le ricerche possibili, va in netto contrasto con l'animo ferino e predatore che si dovrebbe impegnare in quel gioco: ossia attaccare ferocemente i più deboli per rubare risorse. Ad adesso, dato che mi trovo su un cliente dove quel sito è bloccato, mi rendo conto di aver perso un po' la voglia di continuare a giocare. Non riesco ad essere dalla parte dei soprusi nemmeno quando fa parte delle regole del gioco. Come sto messo, ragazzi.
  • Ho inseguito Gul'dan ai vertici del tempo e dello spazio, anche su un altro mondo e alla fine di Warlords of Draenor, quando la Blizzard ha reso i nemici amici, lui è riuscito a sfuggirmi. Ora che la Legione Infuocata si è abbattuta di nuovo su Azeroth è giunto il momento di rincoccare le frecce, dar da mangiare al mio famiglio felino e gettarmi nella mischia sulle Isole Disperse, dilaniate dalla guerra tra Orda e Alleanza che rende tutto più difficile, ma soprattutto dalla caduta del Capo Guerra Vol'jin e di Re Varian; eventi che hanno inasprito il conflitto tra le due fazioni. La mia stima è che ci ritroveremo a combattere anche contro Lady Jaina, che ha abbandonato il Kirin Tor. Se conosco bene la Blizzard se non sarà questa volta, sarà nella 8.0. Staremo a vedere.
  • Ho finito la trilogia di Batman, ivi compresa Arkham Origins, ricominciandola dall'inizio. Capolavoro assoluto con un finale in Arkham Knight curioso e senza chiare spiegazioni. Ho vissuto l'ansia quando Batgirl si è sparata e ho realmente pensato che fosse morta per lunghe ore di gioco. Ottimo lavoro Rocksteady!
  • Mio papà è andato in ospedale per essere operato al cuore. Due volte. Sono stati lunghi momenti di ansia, in cui ho fatto offerte ad Asclepio perché lo aiutasse, qualsiasi fosse la sua via: passare o sopravvivere. E alla fine ce l'ha fatta e ne è uscito bene. Possiamo avere da ridire tantissimo con i nostri genitori; possiamo a volte arrivare a provare rabbia e rancore per loro, perché non ci capiscono, perché abbiamo la sensazione che nemmeno ci provino, perché hanno delle aspettative su di noi che è in nostro potere disilludere. Appena si avvicinano alla morte, anche solo sfiorata, tutte queste cose perdono di importanza e il nostro legame ancestrale, il potere viscerale del sangue richiama e la paura di perderli diventa deflagrante. Ma anche questa è passata e ho potuto riprendere a respirare.
  • Ho avuto una discussione durata molte mail in settimane con una persona che, senza interruzione, continuava a chiedermi un incantesimo per indurre la moglie a tornare con lui. Al di fuori del caso in se stesso che non era nulla di diverso da molte altre situazioni in cui mi trovo in modo periodico, e che è anche un po' la scommessa di praticare arti magiche in questa fase della crescita umana, fatta di adolescenze che durano trent'anni, quello che mi ha dato da riflettere è quanto le persone riescano a sentirsi sole e abbandonate e cosa siano disposte a sacrificare per ottenere un riscatto alla loro solitudine; quanto riescano a sentirsi giustificate in ogni azione, a quanto siano disposte a storpiare i concetti che sono loro cari, e che dovrebbero muoverli alle azioni che decidono di compiere (o che chiedano ad altri di compiere per loro), pur di realizzare i propri fini.
    Ora, la persona in questione era, evidentemente, qualcuno che non era abituato a sentirsi dire di no. Quando ha capito che da parte mia non c'era giustificazione che avrebbe retto per ottenere una risposta affermativa, ha deviato l'approccio su una consulenza su altri tipi di maghi e sulle loro pratiche per capire se, secondo la mia esperienza, erano affidabili o meno. Ho tenuto duro e alla fine ha mollato il colpo.
  • Ho terminato il ciclo di incontri di Janet e Gavin e ho preso l'attestato di frequenza. Sette incontri consecutivi sono duri, soprattutto all'ultimo. È stato un impegno difficile da prendersi che mi ha portato comunque della crescita, anche se non nella misura in cui mi sarei aspettato. Ho comunque apprezzato i loro insegnamenti, i loro punti di vista su alcune cose e soprattutto il tempo che hanno dedicato ad insegnare, ma c'era comunque qualcosa nel loro approccio che non mi ha convinto. In parte, chiaramente, è dovuto al fatto che in sette incontri, distrubuiti su tre anni il massimo che puoi fare è dare un'infarinatura agli argomenti, ma in parte, leggendo tutti i loro libri, mi sono trovato a riflettere su come, per molti aspetti, secondo me si siano trovati a fare qualcosa che non avevano voglia di fare. O che comunque in cui non credevano fermamente, in cui hanno smesso di credere in corso d'opera. Certo, non tutte le ciambelle riescono col bico, ma tutto questo, inutile dirlo, è andato a discapito di chi, come noi, ha scelto di seguire il loro corso.
  • Un martedì sera mi squilla il telefono. Numero sconosciuto. È Marcello, un chitarrista con cui ho suonato anni fa negli Exhide, praticamente l'ultima band di cui ho fatto parte. Mi dice che suona in un gruppo in cui il cantante è davvero penoso e che sta spingendo per cambiarlo. Mi chiede se mi va di imparare qualche pezzo. La prima esibizione utile è tipo fra un mese, perché licenziare il cantante è una cosa impegnativa. Al che me la prendo comoda, insomma. Se non che mi chiama il giorno dopo e mi dice che il cantante se ne è andato e che dobbiamo suonare sabato sera. Unica prova il giorno dopo. La band propone pezzi hard rock facilotti e conosciuti.
    Bene, mi dico, ce la posso fare.
    Riprendere in mano il microfono dopo cinque anni è dura, ma io sono più duro di lui e così vado alle prove, dove il bassista, ammalato, non si presenta. Sembra che io faccia una figura mediamente degna e sabato saliamo sul palco come Hammerloud. Un nome che è una stronzata universale. Il locale è davvero una merda: fighettissimo. Quando sono andato in bagno ho avuto quasi il vomito: niente scritte sui muri, nessuna porta che sbatteva al ritmo di chi ci stava copulando contro, ma, cosa che mi ha rattristato di più: c'erano le candele profumate. Io, in vent'anni non ho mai suonato in un locale che non puzzasse almeno un po' di piscio. È una caratteristica distintiva del Rock n Roll, cazzo.
    Ad ogni modo facciamo serata e io conosco il bassista direttamente sul palco. Così mi piace, cazzo: Rock n Cazzo Roll.
    Labbé mi passa anche dei brani che ha scritto e su uno di questi scrivo un testo chiamato Whirlwind, in cui parlo con la musica come se fosse una donna, ma anche il turbine della mia vita, che viene, spazza via tutto e stravolge ogni cosa per poi portarmi con sé o sparire lasciandomi in un posto desolato. Ed in effetti è un po' il modo in cui l'ho vissuta in questi anni: non sapere se ricominciare, se continuare: schiacciato dal bisogno di sfogare il tormento, ma disilluso dal mondo che ci sta dietro; continuamente richiamato dal passato ma consapevole che è nel presente che vivo; melanconico di tutto ciò che ho fatto, ma anche deciso, nel mio, a non voler ripetere esperienze già vissute. A ripensarci mi viene da sorridere perché non è la prima volta che scrivo sulla musica; ma ogni volta è diverso, e di sicuro perché sono diverso io. E nei ristoranti incontro musicisti con cui ho suonato e la domanda è sempre: "Suoni ancora?" e spesso la risposta è: "No, basta." Perché? mi domando spesso. Perché la musica è così importante per noi al punto da indurci a mettere ogni cosa in secondo piano, anche la donna che amiamo, eppure quando smettiamo perché sentiamo che è giusto, che è tempo, che abbiamo detto ciò che dovevamo dire, sentiamo comunque un rimpianto? E non è per la fama mancata, per quelle volte in cui alzi la mano con fare spiritato, annuendo mentre tutto il pubblico delira sotto di te come una massa schiumante di attesa. È per qualcosa d'altro; perché è quello che ho provato a tirar fuori il mio Sennhizer radio dalla borsa di pelle dopo tutti questi anni: è il sentirsi come il Ghost Rider con la sua moto; al posto giusto, indipendentemente da tutto quanto il resto.
  • Gli Hammerlound non durano molto; il batterista non è in grado, tecnicamente, di suonare i pezzi che stiamo suonando e a pochi giorni dalla seconda data io obbietto che forse è il caso davvero di non presentarsi. Al che la band di scioglie, ma io e Marcello, soprannominato Labbestia, decidiamo di continuare e così faccio leva sui miei vecchi contatti per trovare un bassista, mentre Labbé pensa al batterista. Mettiamo un annuncio e viene fuori un chitarrista che alla provino si aggiudica il posto. Nascono così i Wherewolves, una band che ha un nome, ha un logo, ha un significato, ma che sta ancora formandosi. Vedremo cosa ci riserva il futuro, comunque.
  • Ho deciso di partecipare alla manifestazione del 1000 musicisti. Ho recuperato il video della mia esibizione al saggio di canto in cui interpreto Giuda nel Jesus Christ Superstar. Ora devo solo caricarlo su youtube! Ho visto le immagini dell'ultimo evento ed è stata una figata pazzesca. La prossima volta voglio partecipare anche io, cazzo!
  • Dopo essermi trasferito ho messo in affitto la casa di via Rovani e in poco più di un mese l'agenzia ha trovato in inquilino. Mi fa un po' strano che ci sia qualcuno dentro quelle mura, che sono state un rifugio per me per lunghi anni, ma l'idea di vendere la casa era improponibile, dal momento che il prezzo degli immobili è precipitato e rischiavo di perderci molti soldi. La cosa più difficile, in effetti, è stato svuotarla. Sorvolando sul fatto della polvere e dello sporco che salta fuori quando sposti i mobili, è stato strano dover togliere i disegni di Morgan appesi al frigo, impacchettare le ceneri di Salsi, caricare tutto su un carrello per spostarmi a piedi, dal momento che casa nuova era così vicina che potevo anche andare a piedi.
    L'ultimo viaggio, con Polpetta sulla cima del carrello che miagolava come una disperata, è parso infinito, molto più di tutti i traslochi. Io spero veramente che questa volta sia l'ultima.
  • Ho rivisto i ragazzi dei Tygers e ho avuto modo di presentare Morgan e Cori a Craig, Jacopo e a Rob, vecchi amici di tour. Ho rivisto anche i Necrodeath e i Methedras, a memoria dei vecchi bagordi. In effetti Peso dei Necrodeath non mi ha riconosciuto subito, ma sono passati anni, insomma. Ci può stare.
  • Sono andato a vedere il film di Warcraft. Ora, ho vissuto con grandi timori per questo film, considerato il tempo in cui gioco a World of Warcraft, ma devo dire che il risultato è stato davvero una figata e io sono uscito soddisfatto. La sensazione che dava era davvero quella di essere nel mondo di Azeroth.
  • Con la fine delle scuole elementari ho finalmente avuto la meravigliosa opportunità di fare questi tre semplici passaggi: cliccare sul gruppo mamme su whatsapp, fare "abbandona questo gruppo" e poi elinare il log della chat. Una grande soddisfazione. Grandissima. Godibile ed insostituibile. Non ne potevo più di loro, onestamente. Di alcune più di altre, certo. Ma nel complesso stavo impazzendo. Ora che faccio parte del gruppo di classe delle medie le cose sembrano diverse; speriamo almeno. Speriamo...
  • Quest'anno ha segnato la morte di tre icone del Rock n Roll. La dipartita di David Bowie mi ha sconvolto, dal momento che l'ho sempre apprezzato come artista soprattutto per la sua coerenza nel non far parte di nessun genere musicale particolare, ma di aver inventato il Glam Rock. Poi c'è stato Prince. Non ho mai seguito questo artista come ho seguito Bowie, quindi la sua dipartita mi ha lasciato dispiaciuto, certo, ma non è mai stato una mia punta. Il colpo da maestro di quest'anno però è stato Lemmy. Ecco, perdere lui è stato davvero difficile. Ricordo i momenti che ho condiviso con lui, ad esempio quando diciassette o diciotto anni fa era all'Indian's Saloon e si aggirava con una birra da un litro nella mano e camminando tra i tavoli, prelevava dal piatto i panini delle persone e, guardandole con sorriso sornione, li addentava per poi rimetterglieli nel piatto e continuare il suo giro. E ricordo come i clienti andassero a lamentarsi dalla mia ex fidanzata, che all'epoca lavorava in quel locale, del fatto che Lemmy avesse mangiato il loro panino. Credo che il mondo del Rock n Roll non sarà più lo stesso senza di lui. E secondo me se la riderebbe alla grande a vederci qui. Tutti quelli che lo conoscevano dicono sempre che la cosa migliore per onorarlo è suonare Rock n Roll ad alto volume.
  • Ho aiutato molte persone a livello sottile. Ho notato che nell'ultimo periodo molti erano in seria difficoltà e io ho fatto ciò che potevo per aiutarle.
  • Insieme con Cori ho continuato a tenere i seminari all'Atelier Athena Noctua a Parma. Il ciclo sta per chiudersi e abbiamo avuto modo di vedere la crescita di chi ha cominciato dall'inizio con noi e ha continuato. È bellissimo vedere come capita che le persone apprendano, crescano e si pongano sempre più domande, sempre più questioni e riescano a trovare da soli le risposte, a volte, senza dare nulla per scontato, senza vivere degli insegnamenti di altri come se fossero i loro, ma cercando sempre qualcosa di nuovo da addentare. Ho sempre pensato che la conoscenza fosse per tutti, che il diritto di imparare fosse imprescindibile per l'essere umano, che è l'allievo che debba scegliere il maestro e che poi spetti al maestro determinare se e cosa insegnare. Nel tempo mi sono attenuto a questa filosofia, a volte con le unghie e con i denti, in un mondo di superficialità e di pretesa. Quando ho accettato di tenere questa serie di seminari, l'ho fatto seguendo ancora una volta questo punto di vista, sapendo, dentro me, che c'era qualcosa che potevo imparare da questa esperienza e che mettermi in gioco mi sarebbe stato utile, anche e soprattutto dopo aver ricevuto il terzo grado iniziatico. A distanza di un anno e mezzo dal primo seminario ho sentito e capito che a volte, per quanto possa apparire difficile conciliare il bisogno di onorare gli dei dentro e fuori di noi con il fatto che la spiritualità è qualcosa che non ha la medesima priorità per chiunque, valga sempre la pena mettere in discussione ogni cosa solo per cercare di fare un buon lavoro, dando valore a ciò che abbiamo appreso, esperito proprio passandolo ad altre persone che potranno, a loro volta, masticarlo, metabolizzarlo e insegnarlo ad altri.
    Si dice che Apollonio di Tiana si recò un giorno assieme al suo discepolo Damis a consultare l'oracolo di Delfi. Entrato nel tempio, dapprima la Pizia non accettò di profetizzare per loro, ma supplicata dal Sacerdote di Apollo, la donna si mise prima a tremare come preda di convulsioni, seduta sul tripode, e poi fargugliò delle parole apparentemente disconnesse. Apollonio desiderava sapere se il suo nome sarebbe mai stato ricordato e la Pizia gli rispose che sì, le sue gesta e i suoi insegnamenti saranno ricordati dai posteri, ma che soprattutto verrà ricordato per gli scandali e delle calunnie che saranno state collegate al suo nome. Apollonio non prese bene questa replica, ma di fatto, è quello che accadde. Ora, credo che, più o meno segretamente, passare alla storia sia un po' il sogno di chiunque abbia scritto, cantato, inventato, scoperto o compiuto in genere opere d'arte. Nell'insegnamento credo che questa cosa passi, ogni tanto, in sordina, perché in realtà l'insegnante raccoglieva la notorietà solo nei tempi antichi, quando scopriva o ideava teorie e lo faceva riflettendo o insegnando, discutendo nelle piazze e filosofeggiando con altri. Pertanto, ora, spesso di pensa al riconoscimento come fama e non come notorietà per i veri e propri meriti che si hanno nelle nostre gesta. Insegnando ho capito come invece il riconoscimento più grande non arrivi da chi pensi si ricorderà di te dopo che sarai morto, ma da chi, da vivo, apprende ciò che tu vuoi insegnare e lo applica, mostrandoti gratitudine sincera. Non c'è gloria più grande di questa.
  • Poco prima di trasferirmi è morto Umberto, ossia l'unica persona nel mio palazzo con cui, in sei anni, avevo legato. Mi è dispiaciuto moltissimo e mi sono messo in attesa, nel caso venisse a cercarmi per aiuto, ma non l'ho sentito. Ho dato disponibilità a Licia, sua moglie, per aiuto se dovesse averne bisogno, ed è stato un gesto davvero sincero e non mostrato solo per cordoglio. Umberto mi piaceva davvero: era schietto e sincero, nonché sempre disponibile. Per settimane non ho visto la moglie dopo il funerale; Licia si è trasferita dai figli. Ho avuto giusto tempo di incrociarla alle esequie, in cortile, per abbracciarla e farle le condoglianze e poi non l'ho più vista. Quando l'ho incrociata di nuovo era ancora tirata e abbiamo fatto due chiacchiere veloci, ma quando l'ho rivista qualche mese dopo stava bene ed era con un'amica. Era in ripresa. La morte mi era passata vicino di nuovo; senza bussare questa volta.
  • È stato un anno strano, e tirando le somme posso dire che l'insegnamento di quest'anno è il rinnovamento e la guarigione, conseguito attraverso un principio di accettazione di ciò che siamo e desideriamo diventare. Il problema che vedo è non capire il principio e pretendere la guarigione o arrivare all'accettazione ma rifiutare il rinnovamento. Una persona può credere in quello che vuole, ovviamente, e nessuno al mondo ritengo sia davvero in grado di condividere a pieno il credo di qualcun altro; forse è anche per questo che nel tempo si sono create le dottrine, così da istruire chi non aveva chiaro in cosa volesse credere. Ma la cosa che mi lascia sempre perplesso è il come alcune persone non riescano ad avere, dentro, una chiarezza su cosa sia amare davvero qualcuno e tendano a nascondere i propri bisogno dietro la necessità di apparire in un modo accettabile ai più. Amare qualcuno non è facile. Cazzo se non lo è. E soprattutto perché non è annullarsi per quella persona o pretendere lo stesso da lei. È difficile proprio perché è un moto di equilibrio tra queste due vie estreme. Capire chi siamo, significa anche capire fin dove siamo disposti a spingerci per ottenere ciò che pensiamo di volere. E quanto ci sentiamo autorizzati a fare nel nome delle somme giustificazioni a questo bisogno.
    Il concetto di guarigione è stato così tanto dissacrato da così tanta gente, nel corso del tempo che la tendenza, attualmente, è quella voler guarire dai processi stessi messi in moto dalla guarigione, perché li si rifiuta, perché si pensa che sopravvivere sia la suprema delle leggi naturali e che si debba essere disposti a fare qualsiasi cosa. E infatti siamo costellati da film di futuri distopici, post apocalittici in cui persone muioiono per risorgere per tornare a mangiare altre persone che risorgono per mangiare altre persone, in un ciclo continuo, e in cui quel lato "ombra" che è l'ES dell'essere umano, condannato e imprigionato, viene tratto allo scoperto con aggressività. E quello che ci fa paura in questi film è che sono dannatamente reali. Ma nonostante ciò, noi vediamo nel processo di purificazione e rinnovamento come qualcosa di terribile, di nefasto, una notte dei cristalli a livello globale, in cui siamo strappati dalle nostre case per affrontare qualcosa di terribile che conosciamo bene, ma che non vogliamo affrontare. La violenza è violenza, sempre. In qualsiasi modo possiamo vederla. Sopravvivere è una necessita della vita, a qualsiasi costo, ma non dimentichiamoci che per chi vive in funzione di più vite incastrate le une nelle altre come anelli di una catena, la morte non è per nulla il fallimento della guarigione, ma solo un passaggio attraverso le diverse fasi della stessa. Se c'è quindi qualcosa che ho imparato nel corso di quest'anno è che aiutare a morire chi non ha la forza di sopravvivere, non è solo un gesto di grande amore e di grande compassione, ma anche di grande rispetto della vita e dello scorrere della natura. Pertanto Guarigione è anche nello scoprire quali sono i limiti di ciò che siano disposti ad accettare. Finché ne siamo in grado, quanto meno.
  • Ed infine, anche questa sera, passerò il velo e rinascerò.