Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
Eris la Disprezzata
Eris, nel mito greco, era la dea della discordia. Il suo nome in greco antico è Ἔρις e significa letteralmente "conflitto". Come spesso capita, anche per Eris è possibile risalire ad incerti natali. Prettamente due, in effetti. Il primo è avvalorato da Esiodo, che la segnala come figlia partenogenica della Notte, pertanto sorella di Thanatos, la personificazione della morte, Hypnos, il sonno, Ker, la morte violenta, Momo, il biasimo, Nemesi, la vendetta, Apate, l'inganno, Stix, l'odio, Geras, la vecchiaia, Oizys, la miseria, Moros, il destino avverso, delle Moire, le divinità destinate ai destini umani, e delle Esperidi, le ninfe che facevano la guardia ai giardini dai pomi d'oro. Come lui anche Igino, anche se questo autore sostiene che sia stata generata con l'unione della madre con Erebo. La seconda visione è quella avvalorata da Ovidio, che la vede come sorella di Ares, a cui spesso si accompagna, pertanto figlia di Era, avuta tuttavia per partenogenesi "toccando un certo fiore", mentre secondo Omero ella nacque dalla dea del matrimonio, ma come il fratello fu una figlia legittima di Zeus.
Eris è sempre vista come una dea spietata, dominata dall'ardente desiderio di conflitto e portata a spingere gli uomini proprio verso la guerra e lo spargimento di sangue. In questo è del tutto simile al fratello Ares, che godeva della guerra immergendosi in essa in modo completo, senza prendere reali parti nelle dispute. Alla fine di ogni battaglia, si narra che Eris si aggirasse sul campo disseminato di cadaveri, traendo piacere dalla morte.
Omero e Virgilio parlano di lei nelle loro opere. Il grande poeta la nomina come: "La Signora del Dolore: una piccola cosa, all'inizio, che cresce fino ad avanzare a grandi falcate sulla terra, con la testa che giunge a colpire i cieli, seminando odio fra gli uomini e acuendone le sofferenze". Virgilio nell'Eneide la descrive mentre è innanzi all'ingresso dell'Ade: "la pazza Discordia coi capelli di vipere cinti con bende sanguinanti". Entrambi mettono il punto sulla sua capacità di ingigantire le proprie dimensioni. Allo stesso modo Esopo nelle sue Favole narra di un episodio particolare: “Eracle camminava per una strada stretta. Avendo visto a terra una cosa somigliante a una mela, tentava di schiacciarla. Come s’accorse che era diventata il doppio, ancor più pesantemente la pestava e la batteva con la clava. Ma l’oggetto, gonfiatosi di volume, finì per ostruire la strada. Ed egli, gettata via la clava, restò lì stupefatto. Allora però, essendogli apparsa Atena, gli disse: “Fermati, fratello: questo è lo spirito della contesa e del litigio; se lo si lascia indisturbato, esso resta qual era da principio; se invece lo si combatte, si gonfia in questo modo”. Anche Quinto Smirneo nei Posthomerica, i poemi che riprendono la guerra di Troia dove Omero la lasciò in sospeso, ci fa un ritratto di questa dea: "Mentre Eris cresce a dismisura, la terra trema sotto i suoi piedi, la sua lancia ferisce il cielo, dalla sua bocca si sprigionano fiamme spaventose, mentre la sua voce tonante accende gli animi degli uomini".
Eris, tuttavia, nonostante queste brevi comparse, è nota in particolare per un episodio di cui fu fautrice e che mise in moto una serie di eventi che costituiscono l'humus del mito eroico, il poema epico per eccellenza, ma in cui, ad ogni modo, non compare: l'Iliade di Omero.
La vicenda è narrata da vari autori, tra cui Diodoro Siculo e Igino. In più occasioni ho toccato questi eventi negli articoli precedenti. Ad ogni modo si dice che Prometeo, che tra le altre cose era anche un indovino (o secondo alcune versioni perché informato da Gea o secondo altri furono le Moire a predire questo evento), fosse a conoscenza di un misterioso segreto profetico che avrebbe potuto mettere in scacco il regno di Zeus. Come abbiamo visto nell'articolo a lui dedicato, diede molto filo da torcere al Padre celeste, che infine ebbe la sua vendetta incatenando il titano ad una rupe. La profezia di cui era a conoscenza prevedeva che, come suo padre e suo nonno prima di lui, anche Zeus avrebbe avuto un figlio che lo avrebbe spodestato. La madre che avrebbe partorito questo figlio era la nereide Teti, figlia di Doride, a sua volta figlia di Oceano e Temi, e di Nereo, a sua volta discendente di Ponto e Gaia. Diododo Siculo sostiene che fosse la più bella ninfa che fosse mai esistita. Della nereide Teti si erano invaghiti sia Zeus che Poseidone. Tuttavia, il padre celeste, non appena giunto a conoscenza del vaticinio che la interessava, cedette il passo al fratello il quale, però, rinunciò a sua volta. Ma Zeus, di cui Teti aveva rifiutato le profferte amorose per rispetto alla madrina Era, promise che non avrebbe mai sposato un immortale. Pertanto, su suggerimento di Temi, Zeus la diede in sposa al nobile Peleo, principe tessalo di Ftia, figlio di Eaco, re dei Mirmidoni e nipote del padre degli dei stesso, allevato dal centauro Chirone, nonché eroe temprato che partecipò a molte imprese come le Argonautiche e la caccia del cinghiale Calidonio.
Chirone sapeva bene però che Teti, in quanto immortale, non sarebbe stata felice della scelta impostale, quindi favorì Peleo nella conquista della sua sposa. Gli suggerì di nascondersi dietro un cespuglio di mirto su un'isola tessala dove la dea si fermava spesso a riposare. Il principe di Ftia fece come gli fu ordinato e, appena la nereide si mostrò, dopo aver cavalcato nuda un delfino, le saltò addosso e cercò di prenderla con la forza. Teti resistette strenuamente, cambiando più volte forma, ma in ultimo si abbandonò al suo destino e cedette all'abbraccio di Peleo.
Il matrimonio, forse per comparare al torto inflittole, dato che la nereide si vedeva già sposa di uno dei due Olimpi più importanti, fu assolutamente sontuoso. Alle nozze, che si tennero sul monte Pelio, proprio dinanzi alla grotta dove dimorava il centauro Chirone, furono invitati tutti gli olimpi seduti sui loro scranni (per quanto Catullo nel suo inno ci faccia intendere che Artemide e Apollo decisero di non partecipare) ma anche le Muse e le Moire, che cantarono inni, oltre che gli stessi centauri, portatori delle torce e profetizzando fortuna agli sposi. Ganimede, il coppiere, versava vino e le cinquanta nereidi si cimentarono in una complessa danza a spirale. Secondo alcuni furono invitati anche i titani. I regali che furono elargiti ai due sposi furono altrettanto incredibili. Efesto, Atena e Chirone costruirono una lancia di cui il dio fabbro aveva forgiato la punta, la dea dei mestieri aveva levigato l'asta e il centauro aveva tagliato il ramo di frassino. Gli dei invece donarono un'armatura d'oro, mentre Poseidone donò Balio e Xanto, due cavalli immortali. Afrodite elargì un abito di superba fattura, Era un mantello e le Ore procurarono il cibo per il banchetto. La coperta nuziale, come ci narra Catullo nello stupendo inno noto come Carme 64, era intessuta di ricami dorati e narrava la storia di Arianna e Teseo: "Ma appena le desiderate luci nel tempo definito apparvero, tutta la Tessaglia assedia la casa folla, la reggia si riempie di schiera festante: Portano doni con sé, in volto annunciano gioia. Sciro si svuota, lasciano la ptiotica Tempe, i palazzi di Crannone e le mura di Larissa, si uniscono a Farsalo, assediano le case di Farsalo. Nessuno coltiva le campagne, ai giovenchi i colli s'ammorbidiscono, la umile vite non è pulita dai curvi falcetti, il toro non smuove la zolla col vomere chino, la falce dei tagliatori non sfoltisce l'ombra dell'albero, la squallida ruggine si posa sui deserti aratri. Ma il suo palazzo, ovunque si estende la ricca reggia, splende di luccicante oro ed argento. Brilla l'avorio sui troni, rilucono le tazza della mensa, tutta la casa gioisce di regale splendida ricchezza. Ma il letto matrimoniale della dea è posto in mezzo ai palazzi, lo copre cesellato di dente indiano la porpora tinta di roseo colore di murice. Questa veste dipinta dalle figure di uomini antichi rivela con arte meravigliosa le virtù degli eroi".
Come fa notare Fabia Zanasi nell'articolo Traditrice dei parenti e abbandonata dall'uomo amato. Arianna: una donna preda delle passioni, alla ricerca della propria identità: "Il capolavoro effigiato è la coperta che abbellisce il letto nuziale dei due novelli sposi: una storia d'amore infelice diventa pertanto la cornice d'arredamento di un talamo destinato a suggellare il rito della perfetta felicità coniugale, non senza un intento etico, in quanto l'unione di Teseo e Arianna si configura invece come irregolare rispetto alle norme sociali, che esigono il pieno ossequio delle tradizioni e della volontà dei parenti". Per quanto, quindi, con il pensiero attuale, lo troveremmo assolutamente fuori luogo e anche di cattivo gusto, questo dono mette il punto sul rispetto e l'onore che si portava ai parenti e ai padri, quindi di conseguenza anche ai mariti, nel pieno rispetto della visione patriarcale del matrimonio da un punto di vista greco antico.
Queste nozze, in sostanza, avevano tutte le premesse per essere felici. Ma Zeus, forse con l'intento di scongiurare ogni possibile eventualità di infelicità, si premurò di non far pervenire ad Eris l'invito. Non appena la dea venne informata da Eros della sua esclusione dai festeggiamenti, si infuriò moltissimo e meditò vendetta. Si dice che inizialmente pensò di scatenare una nuova titanomachia, ma infine placò la sua istintività e ordì un piano molto più machiavellico e di lenta realizzazione. Prese una delle mele d'oro dal giardino delle sorelle Esperidi e la lanciò, facendola rotolare proprio ai piedi degli dei, dichiarando che era destinata alla più bella tra le convitate, lasciando astutamente che fossero loro a compiere il resto del lavoro. Atena, Era e Afrodite, chiamate in questo modo in causa, cominciarono subito ad azzuffarsi per decidere chi tra loro avrebbe avuto diritto a possedere il pomo d'oro. Fu così che in principio fu incaricato Zeus di scegliere, ma, sapendo benissimo che prendendo una decisione avrebbe scatenato una baruffa di natura olimpica, il padre degli dei decretò che sarebbe stato un mortale che aveva mostrato un'indubbia probità in situazioni di contesa a svolgere il ruolo di giudice. Fu pertanto scelto Paride, inconsapevole principe troiano figlio di Priamo ed Ecuba, in esilio sin dalla nascita proprio a causa di una profezia che lo avrebbe visto come distruttore della sua stessa città. Le vicende che si snodano oltre questo evento procedono verso la scelta di Paride di incoronare Afrodite come vincitrice con la promessa di avere in sposa la donna più bella del mondo, Elena di Sparta, e il conseguente ratto che portò, infine, alla guerra di Troia narrataci da Omero nell'Iliade.
Ciò che portò alla guerra di Ilio, tuttavia, non viene studiato come mito "classico", e questo, apparentemente, può sembrare un ulteriore scherno che viene fatto a questa dea; come rifiutata e non invitata a partecipare al matrimonio di Peleo e Teti, così Eris rimase anche fuori da quello che, forse, è il poema più importante di tutta la mitologia. Tuttavia il disprezzo che si porta a questa dea, come vedremo, rischia di essere del tutto arbitrario. Non solo: Esiodo ci fa notare che possiede anche un aspetto decisamente diverso, quello della competizione. Spinge infatti gli uomini a superare i propri limiti e a raggiungere traguardi sempre migliori, senza lasciarsi quindi confinare dalla pigrizia del non fare o dallo sconforto del non riuscire. Ma vediamo come la sua natura sia molto più antica di quella che la vede come figlia di Era. Ella infatti dimostra sempre di avere libero accesso agli affari divini, seminando zizzanie dove riesce, riuscendo, in maniera silenziosa, a raggirare i dettami imposti da Zeus. È pertanto del tutto una dea primigena. Accompagnata da Deimos e Phobos, la paura e il terrore, come rappresentati sullo scudo di Eracle e da tutta la coorte di fratelli e sorelle, figlie e figli della Notte, Eris possiede, in realtà, un aspetto terrificante che ci è possibile trovare in tutte le dee infernali. Ella è madre dei kakodaimones, gli stessi spiriti che vennero chiusi nel vaso affidato a Pandora e che vennero liberati nel mondo, e in quanto tale gode di una libertà di azione che la rende unica. Viene inviata da Zeus sul campo di battaglia di Ilio per animare i combattenti, affianca Tifone durante la battaglia che interessò il Padre degli dei, che dalla sua parte aveva Nike, la vittoria alata che accompagna sempre Atena, e la si vede inviata da Era per punire Politecno e Aedona che si erano vantati di avere una storia d'amore più grande di quella che lei aveva con Zeus.
Del suo lato terrificante da Mater Orribilis rimane ben poco. Spogliata di tutto il concetto distruttivo è rimasta come una semplice dea scontenta e piagnucolosa che trae compiacimento nel creare la disarmonia. Per quanto ci possa apparire come spiacevole essa è palesemente una visione del tutto bonaria e sminuente di chi favorisce, in prima linea, lo scontro, per chi getta il seme del conflitto e della compartecipazione ad esso.
Al contrario di molte altre divinità olimpiche, e quindi in parte smentendo la genealogia che vede Eris come figlia di Zeus ed Era (o anche della sola dea del matrimonio), Eris incarna un aspetto molto meno trascendente, a ricordare un tempo mirabile e lontano in cui i popoli, vivendo più a stretto contatto con la natura, trovavano in essa delle manifestazioni pure e semplici, prive del concetto più complesso ed umano che caratterizza invece gran parte degli dei di stirpe più recente. Insomma quelle che possono essere viste come allegorie naturali; aspetti non strettamente umani ma che, anzi, ci rendono schiavi della nostra natura animale. Il conflitto si genera infatti ovunque ed è insito negli istinti di qualsiasi specie, da quelle meno a quelle più evolute. Tuttavia, alla base del conflitto, che non si genera pressoché mai senza cause interpretabili come interne od esterne, c'è quasi sempre un concetto di preservazione e di sopravvivenza; aspetti che non sono direttamente collegabili ad Eris, ma ad un altro dio che gli sarebbe oltremodo opposto. Così come Eros rappresenta l'amore e il desiderio, il moto centripeto universale che spinge gli opposti gli uni verso gli altri, creando così una crescita, Eris mostra invece un moto centrifugo opposto, portato al disfacimento. A dimostrazione di questa affermazione, nonché della sua antica primigenia, nelle opere che ci sono giunte, per lo più sui pinakes, i vasi di ceramica, è rappresentata con ampie ali nere, in perfetto contrasto con Eros, che invece aveva ampie ali bianche.
Se, come abbiamo visto, questa personificazione allegorica è incarnata in un aspetto puramente antropomorfizzato, sia nel modus operandi che nella stessa rappresentazione (Eris si comporta in modo del tutto umano prendendosi una vendetta quando esclusa - un animale escluso da un branco avrebbe lottato o si sarebbe allontanato rischiando la morte), in realtà cela un nucleo del tutto naturale che gli antichi avevano riconosciuto: il conflitto generato per la difesa di un bisogno, che sia uno spazio, un diritto, un potere che coinvolge ed unisce, da moto centrifugo a centripeto, tutti quelli che si sentono chiamati in causa. La tendenza sminuente di vedere Eris come una "cugina scomoda" è in realtà assolutamente ipocrita. Il conflitto, da che mondo è mondo, impone una crescita e, perché no, anche una fusione di forze per affrontarlo. Per trovare un esempio nella vita di tutti i giorni, basta vedere quando, proprio a richiamare il suo aspetto competitivo, i tifosi di diverse squadre che normalmente si prenderebbero a sassate sugli spalti si ritrovano tutti uniti sotto un'unica bandiera una volta ogni quattro anni, perché la sfida e la competizione li rende compartecipi, avendo un avversario unico che li rende uniti.
In una visione più ampia, che è quella poi che si ricerca nello studio mitografico, è pertanto necessario, nonché possibile, trovare dei cardini opposti su cui l'intera struttura del mito si colloca. Prendendo sempre il poema di Ilio ad esempio, vediamo come la crescita stessa della storia viaggi tra due opposti in apparente contrasto tra loro, come due energie che, in opposizione, invece di scontrarsi mimano una danza di salita e di discesa composta da diversi archi di forze ora conflittuali ora coese. Queste due forze, ancora una volta, sono velatamente rappresentate da Eris ed Eros. Si parte da quest'ultimo che benedice un matrimonio, quindi un'unione, per passare al moto discendente di Eris che trasforma l'energia dell'unione in separazione con una competizione. Appena dopo svoltasi, si trasforma di nuovo in unione, dato che Paride ed Elena vengono dominati dall'amore, per poi discendere ancora verso il conflitto, prima quando le dee giurano vendetta, ma parallela alla coesione, dato che si alleano nei propositi, e poi discesa nuovamente quando Menelao dichiara guerra a Troia. Poi di nuovo unione quando, per onore e rispetto di patti stipulati precedentemente, Agamennone, Odisseo, Diomede, Achille e molti altri eroi achei rispondono alla chiamata del re di Sparta e il fraterno e famigliare abbraccio di difesa che si stringe intorno a Paride come principe riconosciuto e riaccolto. E poi di nuovo il conflitto quando gli dei scendono in campo chi da una parte chi dall'altra, ma nello stesso tempo l'unione, dato che Afrodite, Apollo, Artemide e Ares parteggiano per i troiani, mentre Atena, Efesto, Poseidone ed Era si schierano invece dalla parte degli achei e le loro scelte sono dettate dal loro passato e dalle loro vicende precedenti. In questo contesto, quindi, è abbastanza identificabile il moto ascendente e discendente che, come un contrappunto, soddisfa i bisogni dettati dalla vita stessa su chi la vive.
Nonostante ci appaia come confinata ad essere terribile, odiosa, spaventosa, tanto che il fratellastro/amante Ares la sceglie come custode del suo sacro tempio in Tracia, Eris, per quanto rappresentata come infida, non è immune alle frecce di Eros o alle malie di Afrodite, come accade invece con Estia, che sopra tutti ha mantenuto sempre la sua integrità. Esiodo ci narra infatti che partorì molti figli. Nella Teogonia li sentiamo elencati così: E l'odiosa Contesa generò il cruccioso Travaglio, l'Oblivione, la Fame, di lagrime aspersi i Dolori, le Zuffe, gli Omicidi, le Guerre, le Stragi di genti, le menzognere Contese, le False Parole, i Contrasti, e l'Ingiustizia e l'Ate, che son l'una all'altra parente, il Giuramento, che spesso cordoglio alle genti mortali reca, quand'uno giura, ma fede al suo giuro non serba. Come principio universale di conflitto, contesa, discordia lei è immensamente presente in ogni faccenda umana, non è completamente soggetta ai dettami di Zeus e appare ora qui, ora là. Eris è assolutamente radicale, presente sin dal principio e destinata ad accompagnare le vicende umane e divine fino alla fine dei tempi.
Ho deciso di nominare disprezzata questa dea proprio per il significato genuino e reale che si cela in questa parola, ossia il fatto di privare qualcosa o qualcuno dei pregi e delle qualità intrinseche che possiede. Questa scelta non solo rispecchia un atteggiamento del tutto umano che tende a cercare di nascondere i fratelli scomodi, di infilare la polvere sotto il tappeto, credendo così di poter migliorare il proprio status presente e futuro semplicemente ignorando i lati che ci rendono, in qualche modo, l'equilibrio di opposti che siamo, ma anche un paradossale ed inconsapevole cedere allo stesso sentimento che si cerca di negare, perché il disprezzo porta al conflitto, sotto tutte le forme. Anche il disprezzo del conflitto stesso. È proprio comprendendo e accettando le diverse nature di cui siamo parte che - coese e antitetiche - ci rendono integri, che possiamo elevarci. Bandire Eris dal banchetto di nozze, quindi disconoscerla, non è servito ad altro scopo che a quello di scatenare una guerra. A ragione del fatto che è proprio dal conflitto che spesso ha la possibilità di generarsi la coesione.
Seguendo questo aspetto apparentemente caotico, nel 1957 Greg Hill, scrittore di fantascienza distopica, scrisse il Principia Discordia, quello che sarebbe diventato in seguito il testo fondamentale del Discordianesimo, una pseudo religione satirica basata sul caos come visione del mondo in perfetto contrasto con le diffuse religioni mondiali che, da principio e in forme diverse, si basano sulla ricerca dell'ordine e dell'armonia, nel piccolo come nel grande.
Il Discordianesimo, che basa i suoi principi sull'incoerenza delle forze in gioco come forma di culto e sulla disarmonia come forma di manifestazione spirituale, vede come forza principale la stessa dea Eris che in questo caso è vista più come una dea del caos nella sua accezione più dogmatica e in contrasto con il principio dell'ordine universale tanto caro, in effetti, alle popolazioni mediterranee. Nel Principia Discordia possiamo leggerne una definizione abbozzata secondo cui Il Principio Aneristico è quello dell'ordine apparente, il Principio Eristico è quello del disordine apparente. Sia l'ordine che il disordine sono concetti artificiali e divisioni fatte dall'uomo del puro chaos, che è un livello più in profondità del livello che opera distinzioni.
Con il nostro apparato crea concetti chiamato "mente" guardiamo alla realtà con le idee in merito alla realtà che la cultura ci dà. Le idee in merito alla realtà sono erroneamente etichettate come "realtà" e le persone non illuminate restano sempre perplesse per il fatto che le altre persone, specialmente le altre culture, vedono la "realtà" diversamente. Sono solo le idee in merito alla realtà che differiscono.
La Realtà Vera (con la V maiuscola) si trova ad un livello più profondo del nostro livello concettuale.
Guardiamo al mondo attraverso finestre su cui sono state applicate delle griglie (concetti). Diverse filosofie usano diverse griglie. Una cultura è un gruppo di persone. Due finestre con griglie piuttosto simili. Attraverso una finestra vediamo chaos, e lo colleghiamo ai punti della nostra griglia, e quindi lo comprendiamo. L'ordine è la griglia. Questo è il Principio Aneristico. La filosofia occidentale è tradizionalmente basata con il contrastare una griglia con un'altra, e modificando le griglie con la speranza di trovarne una perfetta che raggruppi tutta la Realtà e che, di conseguenza (dicono le menti illuminate occidentali), sia vero.
Tutto ciò è illusorio, è ciò che noi Erisiani chiamiamo illusione aneristica. Alcune griglie possono essere più utili delle altre, più belle delle altre, più piacevoli delle altre, ma nessuna sarà più Vera delle altre.
Il disordine è semplicemente informazione non correlata visto attraverso una griglia particolare. Ma "correlazione", come "noncorrelazione", sono un concetto. Il maschio, come la femmina, è un'idea in merito al sesso. Dire che la maschilità è l'assenza della femminilità, o viceversa, è una questione di definizione ed è metafisicamente arbitrario. Il concetto artificiale di non relazione è l'illusione eristica.
Il punto è che la verità (con la v minuscola) è una questione di definizione relativa alla griglia che si sta usando al momento, e che la Verità (con la V maiuscola), la realtà metafisica, è totalmente indipendente dalla griglia di turno. Prendete una griglia, e una parte di chaos apparirà ordinato, un'altra disordinato. Prendete un'altra griglia, e lo stesso chaos apparirà ordinato e disordinato in maniera diversa.
Se da un principio abbiamo un concetto di disordine associato al conflitto, dall'altra abbiamo un concetto di ordine associato alla coesione. Ma entrambi questi punti di vista sono aleatori, assolutamente anarchici nonché del tutto illusori tanto quanto l'essere umano li vede come degli assoluti, proprio perché strettamente legati l'uno all'altro come punti di fuoco di un'ellisse. Il punto di scisma per definire ciò che è l'uno e ciò che è l'altro è, di fatto, il punto di partenza. Secondo questa logica, il concetto esplicato da Bertrand Russell nella sua allegoria della teiera troverebbe un senso applicativo anche al di fuori della spiritualità e delle religioni organizzate.
Il veicolo dell'insegnamento nel mito, come ben possiamo immaginare, si situa nell'angolo oscuro destinato all'allegoria stessa. E dico oscuro perché, in qualche modo e spesso a seconda della religione di cui si parla, a volte è visto come un gemello scomodo e storpio di cui riconosciamo il passaggio nel mito ma di cui non percepiamo interamente i contorni. Nel mito, e del resto anche nelle favole che, per un motivo o per un altro, non diventano vere e proprie strutture religiose ma rimangono a costituire l'humus della comprensione umana della vita e del mondo, questo simbolismo iconico è spesso celato sotto forma di una morale non del tutto preordinata, ma riflettente, spesso, alcuni punti cardine che richiamano ora i dogmi, ora i consigli su come affrontare le difficoltà della vita. Ciò che ora è, quindi, osservabile ed identificabile con metodi psicanalitici, in tempi antichi era invece traducibile nel tessuto stesso del mito e celato nel suo aspetto eziologico.
Se, tuttavia, nei miti come nelle favole, grazie appunto all'allegoria, vediamo un'immensa opera poetica ed eroica che ci descrive l'animo umano nelle sue sfaccettature, per quanto orribili e bellissime ci possano apparire, nella psicanalisi vediamo invece tutto il bagaglio costruttivo e distruttivo di cui l'essere umano è capace smembrato e denudato di ogni possibile circuizione ed insegnamento. Le parabole che, anche nel mito cristiano, indirizzano i fedeli, attraverso l'allegoria, verso la propria interiorizzazione del percorso spirituale che seguono, se spogliate di ogni poesia divengono semplicemente aspetti e richiami della nostra vita e delle nostre difficoltà che, per quanto dirette, non ci sono di più facile comprensione. Pertanto le onoriamo quando ci appaiono pure ed elevate e le disconosciamo quando ci appaiono invece impure e vili. Ma sia le une che le altre sono parte di noi.
Nell'opera rock Jesus Christ Superstar, un Giuda Iscariota iconicamente redento e giustificato urla agli spettatori una frase proprio nella canzone di apertura: "Se strappassi via il mito dall'uomo, vedresti dove presto ci ritroveremo". Nella triste vicenda riguardante Eris, il mito dalla dea è stato strappato assieme alla poesia che l'accompagnava e a lei è stato disconosciuto il reale significato, relegandola ad una dea disonorata, se non da presunti folli che basano il suo culto su testi antitetici nella forma stessa in cui sono scritti e che, apparentemente, cercano un significato nel continuo ribaltare le situazioni ora da una parte ora dall'altra. Ma tutto questo, come ripeto, è solo apparente e fa parte, ancora una volta, del disprezzare ciò che ci sembra brutto, disarmonico e difficile da comprendere. Un gesto, questo, che rispecchia la tremenda immaturità umana che crede di poter, ancora una volta, sbarazzarsi con disarmante facilità di ciò che, pur appartenendogli in modo intrinseco, risulta scomodo e poco nobile.
Ma la verità, probabilmente, è che questa epoca, sopra ogni altra, appartiene proprio a questa dea. Anche e forse proprio a causa della beffa e del disprezzo che le abbiamo mostrato, relegandola ad una storpiata e denaturata parodia del suo immenso potere che, proprio perché così grande e temuto, era accettato e personificato con tanta dovizia nei tempi passati. Ora invece, nonostante solo un folle avrebbe l'ardire di negare che anneghiamo nel conflitto, nel dissidio, nel caos, nella discordia, seppur sminuendola e deprezzandola e disconoscendola, non siamo comunque in grado di comprendere o ascoltare il messaggio che gli antichi invece avevano molto più chiaro di noi. Ne siamo dominati ma continuiamo a cercare di evitare di colpire quella mela, esattamente come Eracle, ancora e ancora, credendo di poterle vibrare un colpo così forte da dissolverla, ma ignorando (a volte deliberatamente) che ad ogni colpo che le infliggiamo, essa diviene sempre più grande.
Eris, come molte altre divinità, viene tacciata di malignità, di creare scompiglio e pertanto ritenuta "indesiderabile". Un termine che troviamo anche nello stesso Loki della mitologia norrena, il quale più volte, come abbiamo visto in articoli precedenti, si è distinto per cercare di sovvertire il costume sociale e pertanto ritenuto, tra gli Aesir, alla stregua di un portatore di sventura, tanto che nell'Edda Poetica lo si vedrà come scatenatore del Ragnarok, dove tutti gli dei troveranno, infine, la morte nella battaglia finale.
Questo istinto di degradare un aspetto oscuro di tutto rispetto ai fini dei principi escatologici dei miti stessi in un aspetto distruttivo e spregevole punteggia la storia delle religioni a partire dagli albori stessi dell'umanità. E questo perché, come ci sovviene ad un'acuta analisi dei miti, l'uomo non serve, non prega e non ama Dio in quanto emanazione spirituale, ma lo teme e lo supplica affinché lo scopo della sua vita sulla terra gli sia rivelato e i suoi bisogni primari siano soddisfatti, e, quando questo accade, che lo siano i secondari e così via, che gli venga concessa nel modo più celere e indolore possibile e lo implora di concedergli una realizzazione del futuro anche oltre il proprio trapasso. In ogni poema o mito genesico abbiamo un dio o una serie di dei che creano gli uomini in modi diversi e, soprattutto nei miti creazionisti di origine semitica, nei testi sacri viene citato che l'essere umano viene plasmato "ad immagine e somiglianza di Dio". Secondo questo punto di vista l'essere umano cerca di realizzare se stesso come un essere del tutto simile ad una divinità che riconosce, però, come infallibile e sommo di bontà, disconoscendo in lui tutta la sfera di emozioni negative che però caratterizza i mortali sin dal principio del tempo e che confina invece in un sottoposto inferiore, in uno spazio preciso che incarna tutto ciò che di spregevole e vizioso si può immaginare.
Così come Eris fu estromessa dal matrimonio di Peleo e Teti senza alcun successo, se non quello di far sì che proprio a causa di questa scelta la sua presenza fosse ancora più preponderante, così l'assolutismo preordinato che si denota nel bisogno di classificare con confini precisi ciò che è bene da ciò che è male porta, in ogni istanza, al medesimo fallimento, nelle stesse tempistiche e nelle stesse modalità. E la verità è che noi, dentro, onoriamo Eris ogni volta in cui siamo elettrizzati dalla sfida, dalla contesa. Ogni volta che partecipiamo ad una competizione, ogni volta che, anche da bambini, partecipiamo a giochi di gruppo o a qualsiasi genere di sport, lei è lì ad infiammare entrambe le parti in causa. Non troviamo nulla di strano, di male, di orrendo a svolgere una gara di ballo, una competizione sportiva, a sfidare un amico in una partita a carte. Anzi, le consideriamo pratiche del tutto aggregative. Ma non appena pensiamo a litigi, disarmonie, discussioni, guerre, ci incupiamo subito e preferiamo, come sempre, trovare qualcosa da incolpare, a cui addossare le sensazioni spiacevoli che tutto questo, per sua natura, ci fa sorgere dentro. Ma tendiamo a dimenticare che è grazie a qualcosa per cui e contro cui lottare che l'essere umano trova lo stimolo di unire le proprie forze e affrontare le difficoltà. E, grazie ad esse, crescere e diventare più forte.