Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
Gea l'Antica
Nel contesto femminile della mitologia è interessante notare come sia possibile tirare delle linee dritte nelle diverse generazioni di divini, al cui centro è quasi sempre da annoverare il posto d'onore a Gea. Questa dea riveste un ruolo particolare in quanto, al contrario di altre divinità spesso tende a riapparire nei miti, partorendo figli non voluti ma avuti per caso, come nel caso di Erittonio, le Erinni, le ninfe e i giganti. Gea riporta con sé alcuni aspetti talmente antichi da risultare impossibile abbandonarli, nel contesto greco, nemmeno lungo uno sviluppo e un'evoluzione del mito stesso della genealogia divina.
Nel mito pelasgico della creazione, Gea non nacque: emerse direttamente dalle tenebre del Caos e poi generò Urano, il Cielo e Ponto, "il flutto". Proprio come capita con altre dee primgenie, ebbe unioni con i suoi stessi figli e fratelli, da cui generò altrettante generazioni divine. Ella era infatti la Terra come Urano era il Cielo e Ponto il Mare, una triade di fusione e creazione suprema. Dall'unione che ebbe con Ponto, Gea generò divinità titanidi marine: Nereo, Taumante, Forcide, Ceto ed Euribia, mentre da Urano ebbe svariati figli: i tre Ciclopi monocoli Bronte, Sterope ed Arge e i tre Ecatonchiri centimani Cotto, Briareo e Gige, oltre che la generazione titanide composta dai sei titani Oceano, Ceo, Iperione, Crio, Giapeto e Crono e dalle sette titanesse: Tethys, Rea, Temi, Mnemosyne, Febe, Dione e Tia. Tuttavia, spesso, la generazione di questa dea aveva sembianze mostruose e fu, forse, per questo motivo, quanto meno secondo Esiodo, che Urano impedì ai figli di venire al mondo, costringendo la consorte a continui amplessi senza permetterle di portarli allo scoperto, ma relegandoli nelle tenebre del Tartaro, così in profondità nelle viscere della terra che un'incudine di ferro lasciata cadere al suo interno impiegava nove giorni per toccare il fondo.
C'è tuttavia da prendere in considerazione un aspetto importante: Gea era patrona della profezia, che nel culto ellenico era legata ai serpenti, che le erano sacri e nei quali trovava la sua manifestazione suprema. Fu proprio grazie a questa sua peculiarità che profetizzò ad Urano che sarebbe stato spodestato da uno dei suoi stessi figli. Forse è proprio in questo che è da ricercare il motivo per tanta crudeltà da parte del padre: temendo il realizzarsi del vaticinio, decise di mantenerli prigionieri.
Questo concetto del generare mostri, comunque, rimane legato ad un aspetto molto antico e più panteistico del divino, dentro cui questa dea si colloca in maniera più consona che quelle che la seguirono, del tutto trascendenti e antropomorfe.
Ad ogni modo, distrutta e umiliata dal comportamento che il marito aveva con i figli da lei concepiti, Gea prima costruì una falce prendendo il metallo dal centro del mondo e poi chiese alla sua progenie, prigioniera nel suo ventre, chi tra loro si sarebbe alzato contro il padre. A rispondere al richiamo fu il più giovane: Crono. Dopo aver atteso che Urano, come ogni sera, si stendesse di nuovo sulla madre per giacere con lei, il giovane dio gli afferrò i genitali con la mano sinistra e, con il falcetto datogli dalla madre li recise, scagliandoli negli oceani. Lo sperma che fuoriuscì dal pene tagliato del dio dei cieli quando toccò i flutti generò dalla spuma del mare la dea Afrodite, mentre il sangue, gocciolando sulla terra, fecondò ancora una volta Gea, che ebbe così le tre Erinni della vendetta Aletto, Megera e Tisifone, i dodici Giganti e le Ninfe Melie che, in seguito, si presero cura del piccolo Zeus.
Tuttavia il regno di Crono non si rivelò essere diverso da quello del padre. Presa in sposa la sorella Rhea, il figlio divenne un tiranno esattamente come colui che aveva spodestato. Fu così che Gea predisse di nuovo la caduta del successore di Urano, nuovamente per mano di uno dei suoi figli, e di nuovo il terrore che ciò si avverasse portò Crono a drastiche misure: divorò la sua progenie appena nacque. Sconvolta da ciò che avveniva, ma incapace di reagire, quando Rhea partorì Zeus, il più piccolo dei sei, diede al marito una pietra al posto del neonato ed affidò alla stessa Gea la custodia del neonato affinché lo portasse al sicuro nella grotta Dittea a Litto, in Creta.
Forse speranzosa che il nuovo sovrano portasse ordine là dove non era avvenuto, Gea affidò il piccolo alle cure delle ninfe Melie e ai Cureti, un popolo semidivino in fuga dall'Eubea devoto appunto a lei. Questi, picchiando le armi sugli scudi, nascosero le urla di Zeus dalla ricerca estenuante di Crono.
Una volta che Zeus crebbe e spodestò il padre, fu la stessa Gea che gli suggerì un modo per porre fine al conflitto della Titanomachia che si protraeva da dieci anni. Gli consigliò quindi di liberare i figli di Urano ancora prigionieri nel Tartaro per garantirsi la vittoria: i Ciclopi e gli Ecatonchiri Centimani. E così fece Zeus, acquisendo in questo modo degli alleati valorosi che combatterono al suo fianco contro i fratelli che li avevano tenuti prigionieri.
Ma nemmeno questa volta il regno che sorse grazie al suo intervento portò l'ordine che Gea desiderava. Zeus si rivelò essere un sovrano giusto e non un tiranno come Crono ed Urano, ma era comunque un dio legato al cielo. Pertanto, dopo che questi ebbe bandito i titani nel Tartaro e dopo aver lasciato che gli Ecatonchiri facessero loro buona guardia, la dea della Terra si infuriò e scatenò contro gli dei i dodici Giganti, nati dal sangue di Urano in seguito all'evirazione. Questi presero d'assedio l'Olimpo, forti del fatto che, secondo una profezia rilasciata da Era, non potevano trovare la morte se non per mano di un mortale e solo dopo che questi avesse trovato e mangiato una misteriosa erba. Troviamo come questa allegoria mitologica ci permetta, in realtà, di chiarire un punto importante nel culto della dea Madre, cui era sacro il serpente e i cui stessi figli, come i Giganti, Tifone, Pitone e Delfine avevano tratti da rettile. Il braccio di ferro continuo che la dea aveva con Urano e poi con Zeus, passando per Crono, ricorda prettamente lo scontro tra la cultura matriarcale e quella patriarcale. Non per nulla, come ci fa notare Robert Graves nel suo I Miti Greci: "I Giganti non sono esseri di carne e ossa, ma spiriti nati dalla Terra, come provano le loro spire di serpente, e possono essere vinti soltanto da chi possiede un'erba magica".
Sconfitti i Giganti, Gea si unì con il fratello Tartaro e partorì così un mostro terrificante e immenso: un drago che sputava fuoco e che scagliò contro gli Olimpi e che era talmente terrificante che li indusse tutti alla fuga in Egitto sotto forma di animali. Tutti tranne Atena, la quale sottolineò il suo estremo disappunto a Zeus e lo indusse quindi a tornare e combattere. La lotta fu tremenda e alla fine vide vittorioso il Padre degli dei, che confinò Tifone sotto la Sicilia dove tuttora fa eruttare l'Etna.
In quanto dea antichissima, Gea conserva dentro di sé l'antico retaggio matriarcale che, come dicevamo, in linea retta è stato trasmesso alle diverse generazioni, quindi a Rhea e di seguito a Era e in parte Demetra ed infine ad Artemide. In particolare questo retaggio è legato al concetto della profezia e del legame con la saggezza e i serpenti. Era infatti nota come "Dea Serpente" e alcuni dei suoi stessi figli, come Tifone o Delfine, erano appunto dei draghi dalle sembianze serpentiformi, come anche Cercope ed Erittonio.
Ma perché il serpente? Gea, come ben sappiamo, era la dea della terra. Al contrario di Demetra che era colei che faceva crescere i frutti, questa dea era invece l'aspetto propriamente animico della terra stessa. Non per nulla come leggiamo nel mito del Ratto di Persefone, Demetra acconsentì a che crescesse il grano e Gea lo fece crescere. Ora, come sappiamo il serpente è un animale a sangue freddo, e di notte, quando la temperatura scende, ha l'abitudine di rifugiarsi in luoghi angusti e bui, che possono essere le radici di un albero o un buco stesso nella terra. Ovviamente questo peculiare comportamento, unito alla capacità del serpente di mutare pelle, ha creato un forte legame con la terra, che mette e dismette le differenti vesti a seconda del periodo dell'anno. Chi più del serpente, che viveva a stretto contatto con lei, facendo la tana nelle viscere stesse della terra, estendendosi verso il cielo arrampicandosi sugli alberi, poteva essere oracolo della stessa dea per conoscere quando era giusto seminare, innalzare olocausti, raccogliere, lasciar riposare?
Nel mito greco questa dea ci sovviene madre indefessa di innumerevoli figli e spesso vendicativa e protettiva nei loro confronti. Dopo la sconfitta del più giovane della sua progenie, Gea dovette sopportare un ultimo evento che le strappò, infine, anche ciò che le rimaneva di sacro: la profezia. Da notare è infatti che tutti gli oracoli che avevano profetizzato, tra le altre cose, la nascita di Atena, la caduta di Urano e di Crono e la vittoria della Gigantomachia grazie all'uso di un'erba misteriosa, erano legati al culto della dea Gea. Quando Era scagliò il terribile drago serpente Pitone sulle tracce della gravida Leto, con l'intento di impedirle di partorire i gemelli Artemide e Apollo, in quanto ennesima testimonianza del tradimento di Zeus, non solo dimostrò di aver ereditato parte del potere per via matrilineare, ma mise in moto una concausa che portò, infine, alla privazione dell'unico aspetto e margine di potere che ancora le dee tenevano strettamente legato alle donne: il potere del vaticinio.
Non appena Leto, dopo un lunghissimo travaglio e con l'aiuto della figlia, ebbe messo al mondo il dio del Sole, questi chiese immediatamente arco e frecce e si mise sulle tracce di Pitone, intenzionato ad ucciderlo. Per quanto questa mossa ci appaia come una pura vendetta nei confronti di un torto subito dalla madre, in realtà ad un esame più attento si rivela essere uno stratagemma per giustificare il seguente appropriarsi dell'oracolo di Delfi sacro alla dea della terra.
Durante la battaglia che seguì alla caccia, Apollo ferì il drago-serpente, figlio di Gea, direttamente nella sua tana, sul monte Parnaso. Il mostro fuggì nascondendosi presso l'oracolo della madre, a Delfi, nota con questo nome per via della compagna di Pitone: Delfinia. Convinto di essere al sicuro, venne però inseguito dal figlio di Leto fin all'interno del crepaccio, da cui scaturivano i fumi sulfurei, e proprio lì venne ucciso, violando così un luogo sacro. Irata per l'affronto subito, Gea cercò ed ottenne una punizione da Zeus, il quale prima ordinò al figlio di purificarsi a Tempe e poi, in onore del caduto, istituì i giochi pitici. Ma Apollo disobbedì e si recò invece ad Egialia insieme alla sorella, dove ricevette la purificazione. Di ritorno, riuscì a convincere il dio Pan a rivelargli i segreti della divinazione geomantica attraverso gli astragali e con quelli prese così possesso dell'oracolo (a volte rappresentato come un tripode, come nella vicenda che interessa la disputa con Eracle) e costrinse la sacerdotessa di Gea a servirlo chiamandola "Pizia", che letteralmente significa "Pitonessa". Pito era esattamente il nome che si usava per riferirsi all'Oracolo, il cui significato ha radice in pūthō, che in greco significa "marcire" e che è la medesima etimologia di "putrefazione"; dopotutto i fumi sulfurei che facevano impazzire le pecore e che inducevano la trance grazie a cui la Pizia oracolava giungevano dal centro della terra e avevano un odore di marcio, da cui il nome stesso. Gea viene quindi defraudata del serpente, simbolo ctonio di saggezza, trasformazione e profezia. Questo evento, chiaramente olimpico, è un altro punto che segna il potere del patriarcato che spoglia il matriarcato delle sue caratteristiche originarie, per quanto ci sarebbe da dire che il ruolo di Pizia è sempre e solo rimasto legato a sacerdotesse e mai a sacerdoti, per quanto devote ad Apollo.
Interessante è notare che tra i vari figli che Gea ebbe in modi più disparati, quasi tutti sono legati alla madre nell'ambito del suo stesso culto e in gran parte hanno sembianze mostruose o solo in parte umane. Come ci fa notare Robert Graves: "In questo mito le tre Erinni, o Furie, che nascono dal sangue di Urano, sono la triplice dea stessa; vale a dire che, durante il sacrificio del re, destinato a fecondare i frutti e i campi, di grano, le sacerdotesse della dea indossavano minacciose maschere di Gorgoni per spaventare e scacciare i visitatori profani. I genitali del re venivano gettati in mare perché i pesci diventassero più prolifici. Secondo i mitografi, le Erinni avrebbero dovuto ammonire Zeus a non evirare Crono con la stessa falce; ma in origine il loro compito fu di vendicare soltanto le ingiurie fatte alla madre o a un supplice che invocasse la protezione della dea Terra, e non le ingiurie fatte al padre".
Ora c'è da prendere in considerazione anche la nascita di Erittonio. Secondo il mito era figlio di Efesto e di Gea, avuto però in modo peculiare dal momento che nacque a causa di un inganno. Questo evento accadde durante la guerra di Troia, narrata da Omero nell'Iliade. Per scendere in campo contro Ares, Atena non voleva chiedere le armi in prestito al padre che aveva mostrato intenzione di neutralità nel conflitto, così chiese ad Efesto di aiutarla e lui acconsentì chiedendole di essere ripagato "in amore". Poiché la dea non aveva compreso cosa intendesse, quando si recò a ritirare l'armatura che aveva commissionato, Efesto le saltò addosso e cercò di violentarla. Questo comportamento, è da notare, non era assolutamente tipico del dio della fucina; egli infatti era vittima di un raggiro. Poseidone l'aveva informato dell'ingiungere della dea, sottolineando che fosse per giacere con lui con il benestare di Zeus. Atena si scostò in tempo ed Efesto le eiaculò sulla coscia, appena sopra il ginocchio e, dopo essersi ripulita disgustata con della lana, la dea gettò via il rotolo che finì vicino ad Atene, fecondando Gea. Per nulla intenzionata ad avere un figlio che Atena non voleva, quando il piccolo nacque lei rifiutò di dargli un'educazione ed Atena lo allevò dandogli il nome di Erittonio. Per evitare che subisse la derisione di Poseidone, che era riuscito, almeno in parte, nell'intento di umiliarla, lo nascose in un cesto e lo affidò ad Aglauro, la figlia di Cecrope, re di Atene. Questo evento è rappresentato in una pittura su un stamnos attico a figure rosse datato quarto secolo a.C. In questo contesto Gea viene rappresentata come emergente dalla terra mentre porge il piccolo alla dea della giustizia. Anche Erittonio, come Cecrope prima di lui, ereditò l'aspetto semi-serpentiforme della madre.
Come dicevamo, questa dea crea una linea che la collega a Rhea, a Era e in seguito ad Artemide. Si tratta in un certo senso di un "passaggio di testimone" che potrebbe essere riportato indietro fino ai culti delle proto-madri preistoriche rappresentate spesso come femmine primordiali con parti del corpo accentuate. Un esempio lo troviamo nella Venere di Willendorf, ritrovata in Austria e risalente al 22.000 a.C. Quello, quindi che poi trova ad essere suddiviso in culti politeisti, in Gea lo ritroviamo sotto un punto di vista più animista. Rhea, sua figlia, raccolse il suo dominio sulle creature selvagge, Demetra raccolse il concetto della semina e, in quanto il seme è destinato a morire nel sacrifico per dare un frutto, si slegò anche il concetto legato alla morte e la rinascita dell'agricoltura con Persefone; Era raccolse invece l'aspetto legato al matrimonio, Artemide al concetto legato alla caccia e Ilizia al parto. Quello quindi che queste dee, in singolarità, portavano con sé nel dominio ad esse assegnato, Gea lo racchiudeva tutto assieme dentro di sé in quanto era colei che dava e colei che accoglieva. Era la vita e la morte e lei stessa aveva generato il cielo in quanto Urano.
Nella rappresentazione cretese, la troviamo rappresentata come Potnia Theron mentre indossa un vestito con la gonna a balze, i seni scoperti e con le braccia alzate tiene stretti due serpenti, mentre sul capo sta posato un gatto. Ed è proprio questo aspetto che riserva a questa dea un concetto più ampio, perché lega il culto più arcaico con il più recente in quanto porta con sé il concetto di nutrimento assieme con quello divoratore, e quello di salvezza assieme con quello di morte e distruzione. Le tracce dell'evoluzione di questa dea si trovano anche nei figli maschi che raccolsero, in parte, l'eredità dei suoi aspetti, ed in particolare mi riferisco a Dioniso, legato ad Ariadne in quanto dea lunare del labirinto che richiama ancora la sua stessa madre, degradata a divenire una mortale: Semele. Il legame che troviamo tra la dea cretese e il labirinto è stretto non solo per il richiamo al serpente, ma anche alle viscere stesse della terra dentro cui è possibile trovare mostri semiumani e divoratori di uomini e che attendono di essere sconfitti. Ed è proprio una fanciulla, Ariadne, ad aiutare l'eroe, Teseo, a vincere il suo stesso potere, svelando quindi il mistero supremo. Ma Teseo abbandona la dea che viene salvata da Dioniso, che più di altri deteneva il potere delle creature selvagge e che viene iniziato ai misteri di Cibele, la Rhea tracia, ancora l'erede del potere arcaico di Gea.
Ma quale potere poteva essere passato? Troviamo come sia possibile suddividere la cultura greca in tre differenti fasi, che sono poi segnate dalla catarsi divina narrata nella Teogonia esiodea. La prima di queste fasi possiamo definirla una sorta di connubio tra il panteismo e l'animismo, e l'ultimo erede sarebbe, per honoris causa lo stesso Erittonio, rifiutato dalla madre ed allevato da Atena. Il suo stesso nome infatti deriverebbe da eris che significa "contesa" e chthónios, che significa "della terra", in quanto, come Cecrope, nato dalla terra stessa. Il culto di questa fase, come abbiamo visto, è strettamente legato alla terra stessa e la vede come una madre che elargisce. Una Da Meter, sostanzialmente, da cui poi ci giunge il nome stesso di Demetra. Tuttavia, con la stesura dei primi poemi troviamo come questo culto venga relegato ad un punto di vista secondario. Dopotutto Gea partorisce figli di cui rimane gravida senza volerlo solo perché sangue o sperma cadono sul suolo. A questo si contrappone il regno titanide, dominato dal terrore e dal dominio e infine all'ingiungere della ragione del potere dell'ordine di Zeus. Il potere, quindi è la contraddizione contrapposta all'ordine che il regno celeste ha portato e contro cui Gea si è sempre scagliata. Non per nulla prima genera Urano, poi, violentata da suo marito investe il figlio Crono del potere di liberarla dal giogo, ma quando i Titani rigettano i suoi stessi figli nel Tartaro dove erano prigionieri prima, favorisce Zeus portandolo al sicuro e poi profetizzandogli il modo in cui liberarsi del padre, ma una volta che questi, seguendo i suoi consigli, vince la guerra, gli scaglia addosso i Giganti e il drago Tifone, per poi favorire Dioniso, portatore di un mondo più caotico e chthónios, quindi più affine alla terra e alle creature selvagge. Nella forma di Rhea fa rinsavire il dio dalla follia e lo inizia ai suoi misteri. Forse riconosce in lui, ancora una volta, il possibile erede del trono celeste, come ci veniva narrato nei miti orfici.
Gea era nota anche come Gaia. Da un punto di vista newager, soprattutto, in modo pseudo animista spesso ci si riferisce a lei come allo spirito stesso della Terra, quindi del pianeta su cui viviamo. Questo concetto si discosta dalla visione di questa divinità e prende un aspetto meno politeista, nonostante tragga la sua origine nel culto matriarcale pre-ellenico, mentre Gea è riconducibile più ad un ponte tra una divinità trascendente e immanente, in quanto è manifestazione della terra (ad esempio i suoi figli, intrappolati nel suo ventre, erano prigionieri nel Tartaro, o lei fu fecondata solo perché il sangue di Urano gocciolò sulla terra o un batuffolo di lana sporco dello sperma di Efesto toccò il suolo). In realtà, come abbiamo visto, il suo ruolo di Potnia Theron, custode delle creature selvagge, venne prima raccolto da Rhea e poi da Artemide e si trova traccia di questo anche nel mito di Orione, il gigante cacciatore figlio di Poseidone e di Euriale, che venne ucciso da uno scorpione, secondo alcuni inviato da Gea per punirlo perché si era vantato di poter uccidere qualsiasi creatura sulla terra e secondo alcuni da Artemide perché nonostante avesse rifiutato le sua proposte amorose (il che sarebbe contrario alla sua natura di vergine) si era invaghito delle Pleiadi.
Alla luce di tutto ciò, non è facile trovare un corrispettivo europeo da affiancare a questa dea. C'è però un esempio molto vicino che possiamo trovare nella cultura Inca, quindi delle popolazioni dell'altipiano andino: Pacha Mama. Il nome di questa dea, in lingua quechua, significa letteralmente Madre Tutto. Nonostante la diffusione del cristianesimo, il culto di questa divinità è ancora attivo e diffuso tra tutte le popolazioni che si riconoscono nella cultura andina. Il suo ruolo è quello di essere una madre terra dispensatrice di fertilità, patrona del potere dell'agricoltura e della vita ma anche di mantenere un forte aspetto distruttivo legato ai terremoti. Come notiamo, Pacha Mama richiama decisamente un concetto panteistico del divino, contrario ad una visione più trascendente, strettamente legata all'evoluzione del culto greco che portò alla nascita della concezione del Monte Olimpo come dimora degli dei. Lei non è solo la signora dei monti, delle foreste, dei campi, dei fiumi, dei terremoti, delle valli e delle colline, ma è fisicamente, pertanto immanentemente, tutte queste cose e tutto ciò è la manifestazione del suo spirito divino.
Il mito vuole che Pacha Mama fosse sposata, come spesso capita nelle tradizioni che vedono una divina madre primigenia, con suo fratello, Pacha Kamaq, ossia il dio creatore del cielo, il cui nome significa letteralmente "colui che creò la terra". Pare che questo dio volesse la supremazia sugli dei, pertanto fu bandito in fondo al mare, o morì in modo misterioso, lasciando la sorella vedova e con due figli gemelli, maschio e femmina. Assieme con i due bambini, la dea si mise a seguire un punto di luce in lontananza che, dopo varie peripezie, li portò in una grotta dove incontrarono un uomo: Wakon, il quale con una scusa allontanò i due figli e poi, dopo aver tentato di sedurre la madre senza successo, la uccise e la fece a pezzi e cucinandola. Quando questi tornarono alla caverna, notando la sua assenza, chiesero informazioni all'uomo, il quale li raggirò assicurando loro che sarebbe tornata presto e poi offrì loro da mangiare la carne della madre. Ovviamente ciò non avvenne e dopo alcuni giorni, per pietà nei loro confronti, l'uccello Huaychau, che aveva la peculiarità di annunciare l'ingiungere dell'aurora, li ragguardò su ciò che era capitato veramente. Pertanto i due figli di Pacha Mama legarono i capelli di Wakon ad un macigno mentre questi dormiva e poi si diedero alla macchia.
Fu così che incontrarono la volpe Anas, che li nascose nella sua tana mentre Wakon, che si era ormai liberato, si era messo sulle loro tracce. Quando l'uomo incontrò la volpe, questa lo raggirò astutamente inducendolo a salire sulla cima di una montagna affinché potesse trovarli chiamandoli imitando la voce di Pacha Mama. Wakon fece come la volpe gli suggerì ma nella fretta cadde in un burrone, morendo sul colpo.
I gemelli rimasero con la volpe che si prese cura di loro nutrendoli con il suo sangue finché un giorno, mentre erano addormentati, la bambina sognò di lanciare il suo cappello in aria vedendolo rimanere sospeso e quando si svegliò si rese conto che c'era una corda che era come aggrappata al cielo. Curiosi si arrampirarono e sulla cima trovarono il padre, Pacha Kamaq, che li prese con sé e li rese la Luna e il Sole, mentre Pacha Mama rimase sotto di loro, sotto forma della terra.
Ancora adesso questa dea è vista da un punto di vista prettamente animista, considerandola come la madre terra insultata, stuprata e avvelenata dall'attitudine dell'uomo contemporaneo. Lo stesso cantante spagnolo Manu Chao, in una canzone presente su uno dei suoi album intitolata Por el Suelo dedica a questa dea una sorta di preghiera che a tratti ha toni colpevoli: "Sulla terra c’é un’amica che nessuno si ferma a guardare. Sulla terra c’é una mammina che muore per il poco rispetto. Pacha Mama ti vedo tanto triste. Pacha Mama mi metto a piangere."
Come vediamo, anche Pacha Mama è associata alla terra e ha come sposo un fratello legato al cielo. Una similitudine che troviamo anche nel mito egizio, dove però Geb, la terra è vista come un uomo e Nuit, il cielo, è vista come una donna. Questa duplicità è dovuta, spesso, alla visione del mondo come se fosse un uovo, come due mezze sfere poggiate l'una sopra l'altra. Nel culto egizio, infatti, si rappresenta la dea celeste, con il corpo cosparso di stelle, come una donna posizionata ad arco sopra Geb, la terra, che vi sta steso al di sotto.
Ritroviamo la nascita o creazione del mondo da un uovo in molte culture. Nonché, come sempre, il ruolo del serpente che si avvolge con le sue spire sul mondo, a volte depositando, a volte covando questo uovo, a volte finendo fatto a pezzi dall'eroe che con esso ha modo di mettere ordine nel mondo. È interessante notare quindi come il ruolo del serpente, del drago, del mostro marino, denoti sempre, in qualche modo, un legame con l'antichità, spesso risalente fino al principio stesso del mondo. Questa coincisione si attua anche nel legame che il serpente mantiene vivo con quella che è la religione precedente all'avvento del cristianesimo o, comunque, legato ad un concetto di caos, distruzione e rivoluzione dello status divino degli dei.
In Egitto Ra deve uccidere il serpente Apopi, portatore del caos, mentre nel nord europa il grande serpente Jörmungandr, che con le sue spire avvolge Midgard, scatenato per il Ragnarok insieme con Loki, Fenrir e Hel, verrà ucciso da Thor che però non sopravviverà al suo veleno per più di nove passi. Ancora troviamo come il grande drago Tiamat fosse stato ucciso dall'eroe babilonese Marduk. Ma la stessa Tiamat era in realtà una dea madre serpente, dato che il suo nome, in lingua accadica deriva da Ti, che significa Vita e Ama, che è il termine con cui ci si riferisce alla Madre. Con il corpo stesso di questa dea drago, l'eroe babilonese creò il mondo.
Questa stessa visione di Marduk che uccide il serpente è poi quella che ha portato all'arcangelo Michele che, indossando un'armatura trafigge il serpente, che poi sarebbe il diavolo della Genesi. Ma siamo davvero sicuri che il serpente tentatore nella Genesi sia davvero il demonio? In effetti no, dato che nella bibbia ci si riferisce ad esso come ad un animale astuto ma per nulla malvagio, e creato comunque da Dio. Ma cerchiamo di capire meglio questo aspetto per fare chiarezza sul ruolo che la dea serpente prese e prende ancora adesso. Nella Genesi Adamo ed Eva sono nel paradiso terrestre, creati da Dio che dà loro pressoché il dominio incontrastato entro i suoi confini, tanto che Adamo dà nomi agli animali e dal punto di vista esoterico, quindi anche ebraico, significa averne il potere. Così facendo dà un nome anche al serpente, creato da Dio come gli altri. L'unico vincolo è quello di non mangiare dal frutto dell'albero della conoscenza perché, a suo dire, ne rimarrebbero uccisi. Il serpente, astuto, tenta Eva spiegandole che mangiandone distingueranno il bene dal male e che Dio non vuole che loro lo facciano perché diverranno simili a lui. Eva lo mangia e lo dà da mangiare ad Adamo e in quel momento scoprono di essere nudi, pertanto indossano foglie di fico. Dio, che dovrebbe essere onnisciente, chiama Adamo per sapere dove fosse e lo trova nascosto in un cespuglio perché si vergogna di essere nudo e in quel modo suo padre scopre cosa hanno fatto e li punisce.
Ora, in quale forma Dio punisce Adamo ed Eva? Rendendoli adulti. I due non hanno avuto figli prima di essere banditi dall'Eden, prima quindi di scoprire la sessualità. E il frutto rappresenta proprio il concetto mestruale. Una mela tagliata dal lungo, quindi normalmente, all'interno mostra una vagina. E la stessa cosa avviene se si apre un fico (con le cui foglie si sono coperti), e di conseguenza anche con il melograno (simbolo molto simile per spiegare la stessa cosa utilizzato nel mito greco di Kore che diventa Persefone). Il serpente, pertanto, rappresenta il concetto della saggezza della madre che inizia la figlia al mistero mestruale della sessualità anche nell'ebraismo, lasciando traccia di sé anche nel libro sacro tuttora usato per condannarla. Egli è il simbolo di unione tra il cielo e la terra, sia per il concetto di metamorfosi e di riposo nelle sue viscere ma anche del suo arrampicarsi sugli alberi verso il cielo o quello di ingoiare animali vivi per rigettarne solo le ossa. Pertanto l'ebraismo e il cristianesimo, nel tentativo di distruggere l'iconografia, la credibilità e il potere stesso del culto della dea madre serpente, cominciò con il mostrare come fosse superiore creando miti e rappresentazioni di arcangeli, madonne e in seguito cavalieri che uccidevano, schiacciavano sotto il piede o scacciavano draghi nel nome del loro dio.
Ma in realtà, infine, il culto e il messaggio della madre serpente rimase, imperterrito, ripresentandosi sotto varie forme. Ancora adesso nella psicologia analitica legata ai sogni, il serpente è portatore di saggezza, di consiglio e di trasformazione. Inoltre la stessa Kundalini della tradizione indiana che Jung legò al concetto della libido come energia cosmico-divina è parte integrante delle tradizioni yogiche e tantriche.
Come il serpente mangia e rigetta dopo aver digerito, così la Dea Madre dà la vita e la toglie in un ciclo continuo perfettamente rappresentato dal serpente che si mangia la coda, l'ouroboros, come ci fa notare l'egiziano Orapollo nel quarto secolo d.C., nella sua opera più importante, gli Hieroglyphica: Quando vogliono scrivere il Mondo, pingono un Serpente che divora la sua coda, figurato di varie squame, per le quali figurano le Stelle del Mondo. Certamente questo animale è molto grave per la grandezza, si come la terra, è anchora sdruccioloso, perilche è simile all’acqua: e muta ogn’ anno insieme con la vecchiezza la pelle. Per la qual cosa il tempo faccendo ogn’ anno mutamento nel mondo, diviene giovane. Ma perché adopra il suo corpo per il cibo, questo significa tutte le cose, le quali per divina providenza son generate nel Mondo, dovere ritornare in quel medesimo.