Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
Inno ad Ishtar
Prima traduzione italiana a cura di Griphius
Tratto da Some Sumerian-Babylonian hymns of the Berlin collection. Trascribed and interpreted with collation of the original tablets, from the text published by George Reisner, ed. M. I. Hussey, Chicago 1907.
Io sono Ishtar, la sola ed unica, quella a cui nessuno può paragonarsi.
Io sono la Dea maestra di grandi e piccoli,
quella che depone e feconda,
quella che sradica e distrugge.
Io sono la sola a risplendere nei cieli,
la sola dal momento che muore il giorno.
Dall’alba al tramonto, io sono colei che è in prima linea nella battaglia.
Io sono colei che prende posto in battaglia,
quando monta l’attesa.
Io sono colei che quando infuria la battaglia
rappresenta il vigore, il coraggio eroico
delle armi.
Io sono colei che sostiene la battaglia
dalle retrovie, quando la forza d’urto
del nemico prevale.
Io sono la donna che ti inebria
e ti porta nell’alto dei cieli.
Io sono colei che ti conforta
accanto al vino,
quando ti siedi.
La donna devota al marito io sono,
quella che ti dona la calma quando sei in collera.
La donna rispettosa delle regole e convenzioni sono.
Io sono l’amante cortese
nell’intimità della sua casa.
Io sono la pietra preziosa,
la punta di una daga
che penetra nelle carni.
Io sono colei che a notte,
nel cielo, riempie di luce il firmamento.
Colei che genera il timore e l’inquietudine
della notte, sono.
Colei che richiama dagli abissi
i pesci alla superficie.
Dov’è la mia parola perentoria e chiara?
In una rete a larghe maglie stesa sui campi.
In una rete a strette maglie tirata su dai campi,
sì che nessun uccello voli via.
La mia parola attraversa il mare
ed il mare ne è spaventato.
La mia parola attraversa laghi ed acquitrini;
penetra la corrente dell’Eufrate e ne diventa
essa stessa corrente.
Sono colei che dà parola alle prostitute
nei templi, quella che fa parlare il fango.
Io da sempre, sono la maestra e la Dea di Ekur
ancor prima di Bel.