The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Pan il Selvaggio

 

Pan il Selvaggio
 

Tra tutte le divinità greche Pan riveste un ruolo particolare, e a buona ragione. Non solo conserva dentro sé ancora un forte aspetto ctonio e selvaggio, risalente ad un periodo antecedente alla completa antropomorfizzazione degli dei olimpici, ma è anche l'unico dio che, in un dato momento della storia mitografica, morì, come ci narra Plutarco nel suo De Defectu Oraculorum. Per quanto Robert Graves, nel suo I Miti Greci ci dia un’interpretazione differente.
Il nome Pan, per quanto appaia derivare dal sostantivo greco che significa "tutto", in realtà trova la sua etimologia in paein, che significa "pascolare", in riferimento, sopra ogni altra cosa, al suo ruolo di dio pastore legato alle greggi e alle campagne. Tuttavia, Robert Graves ci fa notare come "II nome di Pan, che di solito si fa derivare da paein «pascolare», sta per il «demone» o l'«uomo eretto», presente nei culti arcadi di fertilità che erano assai simili alle operazioni magiche dell'Europa nord-occidentale. Codesto uomo, vestito con pelli di capra, era l'amante eletto delle Menadi durante le loro orge sulle vette delle montagne e presto o tardi pagava con la morte questo suo privilegio". La sua antichità però non è solo riconducibile al suo aspetto semiumano, ma è riconosciuta anche in alcuni miti, come quello orfico, dove si dice che fu allevato insieme con Zeus bevendo il latte della capra Amaltea. Sempre secondo la mitologia orfica sarebbe associato a Phanes, il protogonos nato dall'uovo cosmico e assimilato ad Eros.
Pan è sempre stato rappresentato in forma semiumana, con la parte inferiore del corpo a forma caprina ricoperta di pelo. Spesso anche la testa era munita di corna e a volte aveva il capo interamente animale. Era ritenuto un dio sessuale e selvaggio, spesso rappresentato, in linea con Priapo, dotato di un fallo di enormi dimensioni, a richiamare il suo ruolo fertilitario. Questa stessa condizione lo lega ad uno dei suoi proposti genitori, ossia Ermes. Nell'Inno Omerico a Pan, vediamo come il dio ramingo decise di pascolare gli armenti di un mortale non ben specificato, e che lo fece per giacere con la ninfa quercina Driope, la bella fanciulla dai riccioli d'oro, che gli diede come figlio questo bambino zoomorfo. La madre, appena lo ebbe partorito, scappò via senza nutrirlo, spaventata dalla sua bruttezza. Il padre, invece, con immensa dolcezza, lo raccolse in una pelle di lepre e lo portò sull'Olimpo affinché divertisse gli dei. Il piccolo prese il nome "Pan", dice Omero, perché fece divertire "tutti gli dei". Una volta lì, entrò nelle grazie di Dioniso, con il quale ebbe una naturale affinità. Non è insolito infatti vedere rappresentazioni del dio del vino accompagnato dal piccolo Pan.
Secondo Apollodoro egli era anzi figlio di Zeus e di Calliope e pertanto fratello di Arcade, mentre secondo Cicerone, nel suo La Natura degli Dei, era figlio di Penelope, regina di Itaca e moglie di Odisseo, avuto quando si diede a tutti i proci, i pretendenti che aveva mentre il marito era prigioniero di Calipso; non appena fu nato lo coprì con una pelle di ariete. Questa teoria lo renderebbe però un dio nato da una mortale. Secondo Graves ci sarebbe una spiegazione antropologica e cultuale per questa versione del mito, in quanto si riteneva che Pan fosse nato dallo stesso Ermes che giacque con Penelope. "Poiché Ermete era il nume che risiedeva nella pietra fallica attorno alla quale si svolgevano le orge, i pastori descrissero il loro dio Pan come figlio di Ermete e di un picchio, l'uccello che, battendo col becco sui tronchi, si credeva annunciasse le benefiche piogge in estate. La leggenda che Ermete generasse Pan in Enide si spiega da sé, benché in origine le Menadi usassero ricorrere ad altre sostanze inebrianti che non il vino; e il nome di un'altra delle supposte madri di Pan, Penelope («con una rete sulla faccia») lascia supporre che le Menadi si dipingessero il volto prima di iniziare le orge, e se lo dipingevano probabilmente a strisce colorate, simili a quelle della penelope, un’anatra selvatica. Plutarco dice che le Menadi che uccisero Orfeo erano state tatuate, in punizione, dai loro mariti e una Menade con gambe e braccia tatuate secondo il disegno di una rete appare su un vaso conservato al British Museum. Ermete che si reca da Penelope sotto forma di ariete (l'ariete-demonio che ha nella stregoneria dell'Europa nord-occidentale la stessa importanza della capra-strega), la leggenda che Penelope stessa fosse stata fecondata da tutti i suoi pretendenti o che Pan si accoppiasse con tutte le Menadi, si riferiscono al carattere promiscuo delle veglie in onore della dea dell'abete, Piti o Elata. I montanari arcadici erano i più primitivi della Grecia e i loro vicini, più civili, li disprezzavano".
Secondo il mito orfico, però, che come spesso abbiamo constatato si rivela essere più genuino e meno adulterato, Pan risulta cresciuto con Zeus, avendo bevuto dalla stessa mammella da cui si nutrì, da infante, il padre degli dei. Questo lo rende quindi il suo fratellastro, né suo figlio né suo nipote. Ma chi sarebbero i genitori? Potevano forse essere Rea e Crono? A questa domanda non esiste una risposta certa. Ciò nonostante nel mito orfico della creazione, riportatoci dall'ultimo filosofo neoplatonico, il bizantino Damascio, nella sua opera principale, il Damascii philosophi platonici quaestione de primis principiis, l'autore nomina il Protogonos, ossia il "nato prima", riferendosi ora a Zeus ora a Pan. Questi due dei, quindi, avrebbero in comune qualcosa di più del solo aver condiviso le mammelle di Amaltea.
La genealogia certa di questo dio tuttavia ad ora ci rimane oscura. È anzi considerabile la presenza nella mitologia di due o più dei che portarono il nome di Pan. Eschilo ne identificava ad esempio uno figlio di Zeus e fratello di Arcade e uno invece figlio di Crono. Ma anche i nomi stessi, composti, con cui veniva chiamato riportavano a suoi diversi aspetti. Spesso questi riportavano alle sue generalità, così da distinguerlo. Era Titanopan il figlio di Crono, Ermopan il figlio di Ermes, Diopan il figlio di Zeus o Egipan il Pan caprino generico, quando non si voleva specificare chi fosse il genitore o di chi si stesse parlando.
Le sue sembianze, soprattutto l'aspetto animalesco e la presenza delle corna, riconducono fortemente ad un concetto silvano di cui Pan comunque rispecchia molto chiaramente i punti cardine, primo fra tutti il fatto che non risiede sull'Olimpo, ma che predilige invece i pascoli dell'Arcadia, dove il suo culto era molto diffuso. Nonostante il suo aspetto poco piacevole era un dio assolutamente benevolo, pigro e di buon carattere, che si conquistò ben presto il benestare di tutti gli olimpi. Si diceva che avesse la peculiare capacità di lanciare un grido talmente terrificante che atterriva chiunque lo udisse, inducendolo alla fuga preda del "timor panico".
Quando giunse il momento, non si tirò indietro dal lottare apertamente, scacciando i titani con il suo urlo e in seguito prendendo parte alla lotta contro Tifone. Quando il mostruoso drago attaccò, al contrario degli altri dei che, prese sembianze animali, fuggirono in Egitto, Pan tramutò solo la parte inferiore del corpo in un pesce e si nascose in un fiume. Ritornò in campo dopo che Zeus fu sconfitto e nascosto in una grotta. Assieme con Ermes si infiltrò nell'antro e, scacciata la guardiana serpentiforme Delfine con una delle sua grida, permise al dio viaggiatore di impossessarsi dei tendini di Zeus nascosti in una sacca di pelle d'orso, concedendo così la possibilità al Padre degli dei di tornare a combattere e di sconfiggere il suo avversario.
In Arcadia Pan era invocato per assicurarsi una caccia proficua, ma si dice anche che fosse amante del riposo e chiunque lo disturbasse fuggisse terrorizzato dal suo urlo agghiacciante.
Nelle Metamorfosi di Ovidio notiamo come si vantasse di aver giaciuto con tutte le menadi di Dioniso mentre queste erano sotto i fumi dell'acool. Tuttavia non sempre le sue vicende amorose furono facili. Il suo aspetto mostruoso spesso induceva le ninfe di cui si invaghiva a fuggire da lui, come accadde con Siringa che, trovando rifugio presso le sorelle, venne trasformata in una canna e nascosta in un canneto. In questo modo il dio non fu più in grado di distinguere il soggetto delle sue attenzioni, però, notando come il vento, passando tra le canne, producesse un suono melodioso, decise di tagliare alcune di esse a misura diversa per produrre così uno strumento musicale che prese il nome della ninfa. Da quel momento venne sempre rappresentato con in mano una Siringa o per l'appunto "flauto di Pan", nell'atto di suonarla, e questo fu uno degli aspetti che si richiamarono in molte rappresentazioni di satiri seguenti. Pan ebbe alcune vicende amorose, ad esempio con la ninfa Eco (prima della vicenda che vide interessato il vanesio Narciso), che non lo disdegnò e gli diede due figlie: Iambe e Iunce. La prima ebbe di nuovo un ruolo nella vicenda legata a Dioniso e anche a Demetra. Nel mito orfico infatti la si ritiene madre di Iacco, che poi sarebbe ancora il dio del vino, e la dea del grano la incontrerà alla corte della regina eleusina Metanira, mentre cerca di farla ridere. Iunce invece, come ci giunge dalla Nemea IV di Pindaro, somministrò un potente afrodisiaco (per non ben specificati motivi) a Zeus, inducendolo a giacere con Io. Era, gelosa, si vendicò di lei tramutandola in un uccello: il torcicollo (Jynx torquilla), invocata proprio per contrastare i malefici d'amore e legata al culto oracolare di Ecate, come vedremo nell'articolo a lei dedicato.
Tra tutte le sue amanti fu però la dea lunare Selene, ancora una volta legata a Dioniso, quella che Pan preferì sopra ogni altra. Per giacere con lei ricorse ad uno stratagemma, ossia mascherò le sue zampe caprine con un velo bianco, riuscendo così a sedurla, come ci ricorda anche Virgilio nelle Georgiche: "Se ti interessa anzitutto la lana, stiano lontano selve spinose, lappe e calcitrape; rifuggi foraggi grassi e per di più scegli greggi bianche dal vello morbido.
Respingi però, anche se fosse puramente bianco, quel montone che avesse già solo la lingua nera sotto il palato, affinché non offuschi con chiazze scure i velli dei nascituri, e cercane un altro nello stazzo ben fornito. Così, se bisogna crederlo, Pan, dio dell'Arcadia, con il niveo dono della lana ti ingannò, o Luna, invitandoti nel profondo dei boschi, e tu non resistetti al tentatore".
Pan, come dicevamo all'inizio dell'articolo, pare essere stato l'unico dio che trovò, in effetti, una morte sotto il regno di Tiberio. Questo evento viene narrato da Plutarco nel De Defectu Oraculorum dove si legge: "Epiterse, mio concittadino, raccontò che una volta, navigando verso l'Italia, si era imbarcato su una nave che trasportava merci e molti passeggeri: di sera, quando già si trovavano presso le isole Echinadi, il vento cadde di colpo, e la nave, trasportata dalla corrente, giunse nei pressi di Paxo; la maggior parte dei passeggeri era sveglia, e molti, terminata la cena, stavano ancora bevendo; all’improvviso si sentì una voce dall’isola di Paxo, come di uno che chiamasse a gran voce Tamo, tanto che restarono sbalorditi. Questo Tamo era un pilota egiziano, ma a molti dei passeggeri non era noto per nome. Per due volte, dunque, chiamato dalla voce, lui stette zitto, ma alla terza rispose al chiamante; e quello, alzando il tono di voce, disse: “Quando sarai a Palode, annuncia che il grande Pan è morto”. Al sentire queste parole, Epiterse diceva che tutti restarono sbalorditi. Quando dunque arrivò a Palode, Tamo, gridò verso la terra, come aveva sentito : “Il grande Pan è morto”. Ed egli non aveva quasi finito, che si levò un gran gemito, non di una persona sola, ma di molte, piene di stupore. E siccome molti uomini erano presenti al prodigio, ben presto la sua fama si sparse per Roma". Questo evento, tuttavia, potrebbe celare in realtà un madornale errore di interpretazione che ha così creato un falso mitologico. Come ci fa notare Robert Graves: "L'egiziano Tamo (Tamus) a quanto pare cadde in un equivoco, e udendo il lamento Thamuz pan-megas tethneke («il grande Tammuz è morto») capì invece «Tamo, il grande Pan è morto». Plutarco, sacerdote a Delfi durante la seconda metà del primo secolo avanti Cristo, credette a questa storia e la pubblicò; tuttavia, quando Pausania fece il suo viaggio in Grecia, circa un secolo dopo, scoprì che i santuari, gli altari e le grotte sacre di Pan erano ancora molto frequentati". In effetti non esistono miti che parlano della morte di Pan, di come sia avvenuta e di chi, eventualmente, potrebbe averlo ucciso, inoltre, la frase: "Thamous, Pan ho megas tethneke", ossia "Tamo, il grande Pan è morto" è decisamente simile a "Thamuz pan-megas tethneke". Considerando che, come ci narra Plutarco, egli la udì mentre navigava e ha atteso di sentirla tre volte prima di rispondere, può essere che fosse stata interpretata male. Tammuz, infatti, è il dio agreste babilonese che ogni anno muore e rinasce per favorire la rinascita della vegetazione, scambiando il suo posto con Ishtar. Era infatti parte del rituale annuale piangere il defunto Tammuz (divenuto poi l'Adone greco) quando giungeva il momento della sua discesa e annunciarne la dipartita da questo mondo, così come ne sarebbe stata annunciata la rinascita.
La forte assonanza che troviamo con Dioniso lega Pan anche a Zeus. Come abbiamo visto precedentemente, nel De Principiis di Damascio viene descritta una versione del mito orfico della creazione, dove antecedentemente al moto non esisteva nulla che potesse essere descritto. Da notare è che questo filosofo, come ci fa notare anche Francesco Adorno nel suo La filosofia Antica, è alla ricerca di un principio primo di ogni cosa, e lo ipotizza esprimibile in nessun modo, bensì En to Pan, ossia tutto in uno e uno in tutto. Ritenendo quindi il divino come privo di confini e pertanto non misurabile o comprensibile, egli ritenne che prima ancora del principio ci fosse solo ciò che ci era inconoscibile, pertanto nel De Principiis nomina le fasi della creazione solo dal principio, dove vi era solo acqua e materia. E dalla condensazione della materia si formò la terra. Dall'unione, quindi, di terra e acqua si generò un serpente alato e tricefalo, con una testa di leone, di toro e con il terzo volto di un dio e che portava il nome di Chronos, il tempo, pertanto non poteva invecchiare. Con Chronos si congiunse Ananke, la necessità, e ritenuta del tutto simile ad Adrastea, la stessa ninfa che si occupò di Zeus e che "con le braccia aperte raggiunge il limiti del cosmo". Chronos, il serpente, diviene padre dell'umido Etere, dell'illimitato Chaos e del nebbioso Erebo e in essi genera un uovo da cui nasce un'entità ermafrodita, dalle ali dorate, le teste taurine sui fianchi ed un serpente dal sembiante di tutte le creature selvatiche arrotolato sul capo, il quale conteneva, dentro di sé, i semi di tutte le creature che ancora dovevano essere create. Il suo nome era Protogonos, ossia: colui che è nato al principio. Questo dio, portava anche i nomi di Pan e Zeus.
Qui ci troviamo ad un punto particolare della nostra ricerca perché comincia ad emergere il curioso legame che unisce tre divinità. Anche solo lasciando per il momento da parte il mito orfico, rimane curioso il fatto che Pan fosse cresciuto insieme con Zeus, ma che, in seguito, venne declassato a divenire il figlio di suo figlio, per di più abbandonato e portato sull'Olimpo solo per "divertire gli dei". Ed è curioso che comunque, lì, trovi una perfetta armonia e amicizia in Dioniso. Inoltre, è curioso come sia Dioniso che Ermes nascano con corna di ariete, esattamente come Pan. Ed inoltre ancora adesso il simbolo astrologico legato a Mercurio non è altro che il simbolo di Venere con quelle che possono essere delle corna sulla cima. Inoltre, ancora una volta, il forte potere sessuale di Pan si richiama nelle erme, le pietre confinali di chiara origine fallica che nascono con il preciso scopo di intimare i possibili invasori mettendoli in guardia, in questo modo, della virilità degli uomini che difendono quella terra.
Esattamente come Dioniso, e come anche Ermes, Pan è un dio selvaggio, possente e virile, ma soprattutto benevolo, bonario e libero. La sua patria sono le selve, le foreste, i pascoli, ma gli sono sacre anche le cime dei monti. Ama pascolare le greggi, gli armenti, è di fatto un dio pastore e vagabondo, che si intrattiene con le ninfe che spesso non disprezzano la sua compagnia. Ama la musica e la danza e suona lo stesso strumento che suona anche Ermes, il flauto di canne, che quest'ultimo diede ad Apollo in cambio del pastorale con cui pascolare le greggi.
Purtroppo, come capitò anche per altre divinità, Pan subì un forte ostracismo e una forte demonizzazione quando il suo aspetto venne preso "in prestito" dall'iconografia cristiana per rappresentare il diavolo. Sia la fortissima connotazione sessuale, sia il suo forte legame con il lato caotico e lunare che si contrastava con l'aspetto più cosmologico e solare dei culti patriarcali, contribuirono a mettere in ombra questo dio. La stessa rappresentazione del Baphomet di Eliphas Levi, pubblicato nella sua opera Dogme et Rituel de la Haute Magie, mostra una figura androgina, alata, con zampe e volto di capro, un pentagramma inciso sulla fronte e sul capo, tra le grandi corna, una torcia accesa. Al posto del fallo si erge un caduceo e tiene le braccia, una mascolina e pelosa e l'altra aggraziata e femminile, posizionate in direzioni opposte, con due dita della destra che puntano verso il cielo, verso una luminosa luna calante e l'altra con le due dita che puntano verso la terra verso un'oscura luna crescente. Sugli avambracci sono tatuate due parole di chiaro stampo alchemico. Sul braccio destro è scritto Solve e su quello sinistro invece Coagula, a richiamare chiaramente il significato alchemico della trasmutazione, a cui si riconduce anche il caduceo stesso che ha tra le gambe incrociate, coperte da quella che pare essere una coperta. Lo stesso Levi scrisse, a riguardo: "La capra sul frontespizio porta il segno del pentagramma sulla fronte, con una punta in alto, simbolo di luce, le sue due mani che formano il segno dell’ermetismo, quella rivolta verso l’alto verso la luna bianca di Chesed, l’altra verso il basso in direzione di quella nera di Geburah. Questo segno esprime la perfetta armonia della misericordia con la giustizia. Un suo braccio è femminile, l’altro è maschile come quelli dell’androgino di Khunrath, attributi che abbiamo dovuto unire con quelli del nostro caprone perché è uno e lo stesso simbolo. La fiamma di intelligenza brillante tra le corna è la luce magica dell’equilibrio universale, l’immagine dell’anima elevata sopra la materia, come la fiamma, pur essendo legato alla materia, brilla sopra di essa. L’orrenda testa della bestia esprime l’orrore del peccatore, che agendo materialmente, è l’unico responsabile che dovrà sopportare la punizione, perché l’anima è insensibile secondo la sua natura e può solo soffrire nel momento in cui si materializza. L’asta eretta in piedi al posto dei genitali simboleggia la vita eterna, il corpo ricoperto di squame l’acqua, il semicerchio sopra l’atmosfera. L’umanità è rappresentata dai due seni e dalle braccia androgine di questa sfinge delle scienze occulte".
Troviamo come sia le mani, che riportano il gesto dell'ermetismo, sia le due parole sugli avambracci, che richiamano il processo alchemico, e sia il caduceo tra le gambe conducono al concetto esposto da Ermete Trismegisto nella sua Tavola Smaragdina: "È vero senza menzogna, è certo e verissimo. Ciò che è in basso è come ciò che è in alto e ciò che è in alto è come ciò che è in basso per fare i miracoli della cosa una. E poiché tutte le cose sono e provengono da una, per la mediazione di una, così tutte le cose sono nate da questa cosa unica mediante adattamento. Il Sole è suo padre, la Luna è sua madre, il Vento l'ha portata nel suo grembo, la Terra è la sua nutrice. Il padre di tutto, il fine di tutto il mondo è qui. La sua forza o potenza è intera se essa è convertita in terra. Separerai la Terra dal Fuoco, il sottile dallo spesso dolcemente e con grande industria. Sale dalla Terra al Cielo e nuovamente discende in Terra e riceve la forza delle cose superiori e inferiori. Con questo mezzo avrai la gloria di tutto il mondo e per mezzo di ciò l'oscurità fuggirà da te. è la forza forte di ogni forza: perché vincerà ogni cosa sottile e penetrerà ogni cosa solida. Così è stato creato il mondo. Da ciò saranno e deriveranno meravigliosi adattamenti, il cui metodo è qui. è perciò che sono stato chiamato Ermete Trismegisto, avendo le tre parti della filosofia di tutto il mondo. Completo è quello che ho detto dell'operazione del Sole".
Ma Baphomet, al contrario di Pan, non esistette mai come dio e come culto ad esso legato. La sua invenzione, in qualche modo, fu creata sotto tortura da parte della Santissima Inquisizione della Chiesa Cattolica Apostolica di Roma.
I membri del primo ordine cavalleresco cristiano, i Pauperes commilitones Christi templique Salomonis, alias i Cavalieri Templari, in oltre trecento anni di attività a difesa dei pellegrini in viaggio per la Terra Santa avevano accumulato ingenti somme di denaro, tesori e possedimenti. Filippo IV detto il Bello, con la fine delle crociate e l'effettivo indebolimento delle motivazioni per l'esistenza stessa del cavalierato, escogitò un modo per impadronirsi del patrimonio templare, così da colmare i suoi enormi debiti e indebolire il potere della Chiesa. Venerdì 13 ottobre 1307 emanò un ordine di cattura per tutti i membri dell'ordine, infamandoli con accuse di idolatria, sodomia ed eresia. Condannati alla tortura, tra i tormenti, alcuni cavalieri ammisero di adorare una testa barbuta che portava il nome di Baphomet, ma sul cui nome ci sono state molte speculazioni, dato che alcuni sostengono possa trattarsi della Sacra Sindone o di Maometto. In possesso delle testimonianze dei cavalieri torturati, comunque, il pontefice dell'epoca: Clemente V, che non brillava certo per coraggio, spinto e manipolato dal sovrano, emise quindi una bolla papale che li accusava esplicitamente dei reati contro il tempio. I Cavalieri Templari e con essi tutto il loro ordine furono quindi condannati.
Ciò nonostante, la figura caprina di Pan, come anche quella del Baphomet di Levi, divennero la più accreditata rappresentazione dei demoni e di Satana stesso in tutte le iconografie rinascimentali e medievali. Ancora adesso questa sovrapposizione è pressoché certa nella cultura occidentale, tanto da rendere difficile distinguere l'uno dall'altro.
L'egittologa Margaret Murray, nel suo Il Culto delle Streghe nell'Europa Occidentale, in qualche modo cercò di spiegare questa invalidante degenerazione che snaturava l'immagine di un dio silvano in un demone malvagio, con quella che venne, in seguito, definita l'Eresia Murray. La tesi esposta dall'autrice britannica verteva sull'ipotesi che esistesse un culto sincretico stregonesco incentrato sula figura del dio cornuto che si protrasse a sopravvivere alla tirannia e la persecuzione cristiana, giungendo fino al tempo attuale. Per quanto fu definita, appunto, un'eresia, la Murray però non ci aveva visto così male. Già Jules Michelet, nel suo La Strega del 1862, testo che la ispirò a formulare questa ipotesi, definì i termini di questa idea. Gli antichi culti agresti, tacciati poi di stregoneria da parte degli inquisitori cristiani, vertevano su un principio fertilitario rappresentato da un Dio Cornuto, spesso legato alla sessualità, con il quale le donne si accoppiavano per ricevere la benedizione del grembo. Questi elementi li abbiamo già trattati negli articoli riguardanti i sabba e anche Sarah degli Spiriti, nei suoi articoli incentrati proprio sull'analisi del libro della Murray, ha esposto con capacità e dovizia di particolari gli argomenti accennati poco sopra, pertanto tornerei a porre l'attenzione sulla divinità.
Pan, quindi, era un dio fisico, ctonio, tellurico. La sua sessualità era sfrenata, preponderante. Non mostrava particolari preferenze, dato che si accoppiava sia con uomini che con donne e, come ci sovviene in un gruppo scultoreo risalente a Pompei e conservato ora al Gabinetto Segreto nel museo archeologico nazionale di Napoli, anche con le capre stesse. Egli era talmente violento nel desiderio che si dice che per saziare il suo appetito, dato che non sempre il suo aspetto gli concedeva di avere una compagna, era portato a praticare la masturbazione. In questo aspetto anche i satiri venivano frequentemente rappresentati in gesti di autoerotismo, come vediamo su un cratere attico a colonnette dell'officina di Lydos, risalente al 560 a.C., dove vengono ritratti insieme con menadi con il pene eretto tenuto tra le mani. Gli stessi satiri, apparendo nei cortei in onore a Dioniso, venivano spesso scambiati con i Paniskoi, ossia "piccoli Pan". Secondo Keréniy nel suo Gli dei della Grecia "la somiglianza con i Satiri, che certo erano da principio una pluralità, contribuì alla moltiplicazione e al frazionamento del dio Pan che originariamente forse non aveva un fratello gemello e rappresentava la metà più oscura di una coppia divina maschile".
Come abbiamo già detto, Pan era un dio benevolo, associato con il Fauno romano e il Silvano etrusco. In quanto divinità dei pascoli, delle campagne e dei luoghi selvaggi, si tratta sempre di dei popolani, non aristocratici. A Fauno, ad esempio, nell'antica Roma era sacra la festa dei Lupercalia, che si teneva tra il 13 e il 15 di febbraio. Durante questa festività, i luperci, i sacerdoti di Fauno (noto anche come Lupercus), correvano nudi per le strade con indosso solamente un'egida e, armati di un flagello a strisce di pelle di capra essiccata, fustigavano le giovani donne che si ponevano dinanzi al loro cammino per purificarle e per propiziare in loro la fertilità.
Come abbiamo già detto precedentemente in questo articolo, la figura di Pan, con tanto di zampe caprine e corna, è stata demonizzata dal cristianesimo, identificandola come l'aspetto stesso di Satana. Non è la sola divinità però che, in possesso di aspetti zoomorfi, ha subito, nel corso del tempo, un trattamento analogo. Troviamo come nel pantheon celtico sia presente un dio il cui nome originale è ancora frutto di discussioni e su cui esistono pressoché immense lacune sulla sua storia. Il nome di questa divinità è peculiare: Chernunnos, che in realtà potrebbe essere semplicemente un epiteto, dato che etimologicamente significa esclusivamente "Cornuto". Dato che si sa che veniva adorato nella Gallia e anche nella zona settentrionale del nostro paese, dove in Valcamonica e anche nelle zone del Comasco è possibile trovarne incisioni rupestri risalenti alle tribù dei Boi e dei Cisalpini, l'ipotesi è che il suo nome risalga al gallico Cern che significa "corno", per via di una iscrizione a lui dedicata presente sul "Pilastro dei Barcaioli", un'opera di origine gallica risalente al 14 d.C., dove, oltre alla data in numeri romani e al volto del dio con corna da caprone ricurve, affiancato da divinità come Giove e Vulcano, è possibile leggere Deo Ceruninco, ossia "Al Dio Ceruninco". Oltre a questo è possibile trovare il suo nome citato anche in "Carnonos" su altre opere di origine gallica.
Chernunnos è un dio molto antico e risalente alla preistoria. Ci appare come un uomo con palchi da cervo sul capo, o a volte con corna da caprone, ricurve su loro stesse. Venne identificato come dio delle creature selvagge soprattutto per la sua rappresentazione trovata sulla superficie del Calderone di Gundestrup. Questo manufatto, unico nel suo genere, risale circa al secondo secolo a.C. e venne trovato in Danimarca. Sulle tredici placche d'argento di cui è costituito, appaiono le vicende di diverse divinità. Su una di queste appare appunto Chernunnos con palchi da cervo sulla testa, seduto a gambe incrociate (secondo alcuni accovacciato in posizione di caccia) tra un cervo e un lupo, entrambi rivolti verso di lui. Nella mano destra tiene un serpente cornuto, simbolo di fertilità, mentre nella sinistra e anche intorno al collo ha un collare chiamato torquis, un ornamento mistico originale celtico, costituito di un anello aperto con due sfere alle estremità, che rappresentava il legame che univa gli dei all'uomo.
L'origine di questo dio, però, non sarebbe del tutto celtica, ma riporta probabilmente ad un concetto cultuale molto più antico, risalente allo sciamanesimo preistorico, in cui gli sciamani guidavano danze e rituali magici atti a propiziare la caccia indossando pelle e palchi di animali. Secondo questo concetto, la preda, facendo parte di un ciclo naturale, si fa "uccidere" dal cacciatore sacrificando se stessa. Questa uccisione, se svolta in modo rituale, non impediva all'anima della dell’animale di ritornare nello stesso sembiante per rivivere una nuova vita. L'uccisione, in questo modo, diveniva un atto sacro e non solo la soddisfazione di un bisogno primario. Questa peculiare attenzione nei confronti del cervo, in particolare, non era dovuta solamente al concetto di cacciagione e quindi cibo per la tribù che di sicuro rappresentava, ma anche per un comportamento peculiare che il maschio di questo animale tiene quando braccato: egli cerca di attirare i cacciatori su se stesso per sviare le possibilità che uccidano le femmine o i cuccioli. Un comportamento che Robert Graves, nelle prime pagine della Dea Bianca riconobbe anche nella pavoncella, che lancia il suo richiamo in un punto distante dal nido per impedire che il predatore possa mangiare le uova. Questo comportamento "sacrificale" portò quindi alla credenza che il cervo maschio si "desse" ai cacciatori di sua spontanea volontà. Inoltre il cervo è un animale con un comportamento sociale e sessuale poligamo. Un maschio può contare su un harem di femmine che feconda e che fanno piccoli, questo lo rende un perfetto esempio di fertilità e di virilità che Chernunnos rappresentava in quanto divinizzazione di un concetto sciamanico più legato all'animismo che al politeismo vero e proprio. Così, come il cervo muore sacrificando se stesso e come torna a vivere nuovamente in forma di animale per sacrificarsi nuovamente, ecco che questo dio prese anche una forte connotazione sepolcrale, divenendo un dio legato alla morte e alla rinascita.
La sua presenza nelle culture del paleolitico superiore è abbastanza accertata da alcuni dipinti rupestri trovati nell'attuale Francia, in particolare quella chiamata"Lo Stregone", risalente al tredicesimo millennio a.C. e scoperto in una caverna a Trois-Frères ribattezzata "Il Santuario". Tuttavia c'è da prendere in considerazione che, soprattutto quella appena citata, sia in realtà la rappresentazione di uno sciamano che indossa una pelle di cervo e che svolge una danza rituale.
Come Pan, anche Chernunnos era una divinità popolana, non aristocratica. Veniva adorato dalle persone comuni proprio perché era un dio della fertilità, delle creature selvagge e della caccia, quindi coloro che tributavano a lui i dovuti sacrifici erano coloro che dovevano preoccuparsi, in primis, del proprio sostentamento. Era quindi un dio amato e ritenuto assolutamente benevolo, ben lontano, come è ovvio, da tutta la demonizzazione che venne svolta sulla sua figura dai diligenti inquisitori cristiani.
La figura stessa del dio che porta i palchi è tracciabile in molte popolazioni oltre a quella celtica e gallica in particolare. Oltre ai già citati Pan, Fauno e Silvanus, troviamo anche il germanico Woden, che patrocinava la Caccia Selvaggia e che ha moltissime analogie con il norreno Odino. Questo stesso dio portò, secondo alcune teorie, alla divinizzazione di Herne, che però non si ritiene sia mai stato un dio vero e proprio, bensì un cacciatore al soldo di Riccardo II vissuto nella regione britannica del Berkshire. Ci sono due varianti della leggenda che lo riguarda. Nella prima alcuni uomini, divenuti gelosi del suo status di favorito, accusarono Herne di aver cacciato indebitamente nei boschi di Windsor, evento che lo rese un fuorilegge e un reietto da parte dei suoi stessi amici, e che lo portò, macchiato ingiustamente di disonore, al gesto estremo di impiccarsi al ramo di una quercia che da quel momento prese il suo nome. La seconda versione invece narra di come, per difendere il re durante una battuta di caccia, Herne venne ferito mortalmente da un cervo che lo caricò. Un mago lo salvò ponendogli sul capo le corna del cervo che aveva ucciso e, come pagamento per la sua vita, richiese i suoi servigi come selvicoltore, impedendogli così di tornare a cacciare, cosa che per lui risultò insopportabile, per cui si impiccò ad una quercia. Si dice però che il suo fantasma ancora infesti la foresta di Windsor e che lo si possa vedere mentre cavalca selvaggiamente con cani e rapaci spaventosi al seguito. L'associazione di Herne con Chernunnos fu opera di Margaret Murray nel suo Il Dio delle Streghe, la quale sostenne che si trattasse di una localizzazione deldio dai palchi. Tuttavia è da considerare che tutta l'area della contea dove si trova la stessa Windsor era all'epoca sotto dominio sassone, i quali, ancora una volta, onoravano il dio Woden, che ricalca gli stessi aspetti del cacciatore Herne.
Anche al di fuori del contesto Europeo, però, è possibile trovare divinità con connotazioni teriomorfe, come anche l'indù Paśupati, che condivide nelle iconografie di Chernunnos alcuni aspetti curiosamente simili, come il fatto che viene rappresentato cornuto, circondato da animali e seduto a gambe incrociate. Anche l'egizio Ammon era rappresentato sotto forma di montone e, nel mito greco di Tifone, fu proprio Zeus a prendere quelle sembianze per fuggire dal terribile drago scagliato da Gea e in seguito, per ringraziare Pan dell'aiuto elargitogli nella lotta, creò la costellazione del Capricorno, che lo rappresenta nella sua mediazione tra capra e pesce, sembiante che prese quando si rifugiò nel fiume per trovare un nascondiglio.
Come abbiamo potuto vedere, a prescindere da ogni possibile sincretismo, ogni divinità reputata come "selvaggia", in quanto tale, appartiene alla selva, alla foresta, ai luoghi non civilizzati e alla natura nella sua espressione più pura, pertanto ne incarna gli aspetti fertilitari e mantiene una connessione con il proprio lato indomito e oscuro che, sopra ogni altro, si manifesta nella sua rappresentazione teriomorfa. L'accento fecondativo che emerge è ovviamente decuplicato e reso centrale. Il dio selvaggio ha una potenza sessuale oltre ogni misura, un desiderio incontenibile e quasi autodistruttivo, ma nello stesso tempo è generativo del micro e del macrocosmo di cui è portatore. Non è confinabile in regole e ruoli precisi, tutelando ora l'uomo ora l'animale e ponendosi nel mezzo come equilibrio tra la preda e il predatore. In quanto emanazione della natura non ne rimane soggiogato, ma ne favorisce altresì l'espansione, la diffusione. Nel suo contesto animale diventa teriomorfo, prendendo quindi sostanziali differenze anatomiche, come corna e zoccoli; nel contesto vegetale invece diventa fitomorfo, come ad esempio capita con l'Uomo Verde celtico, rappresentato, spesso, semplicemente come un volto composto da foglie, viticci e a volte anche frutti. Nel caso, appunto, di un dio arboreo, così come avviene nel caso di Chernunnos, è possibile ricondurre agli spiriti degli alberi e guardiani stessi della foresta, come le driadi, i satiri o i centauri. Questo stesso far parte della natura e nello stesso tempo esserne la manifestazione e il guardiano è il punto centrale di qualsiasi divinità selvaggia, che indossi o meno i palchi e che abbia anche solo una caratteristica zoomorfa. Inoltre, concentrando il punto sul fatto che la natura è sia vita che morte, sia espansione che contrazione, sia ciclo che riciclo, il ruolo di questo tipo di divinità trova la sua epifania nella completezza dell'ordine cosmico proprio per il suo lato caotico, esattamente come cosmos - "l'ordine" si contrappone a chaos - "disordine", mantenendo però, tra i due, un perfetto equilibrio di creazione e distruzione, come una divinità che inghiotte e rigetta. Nel mito orfico, infatti, vediamo come Pan sia uno dei nomi con cui ci si riferisce al Protogonos, nato dall'Uovo deposto dal Serpente Cosmico che porta il nome del tempo e nell'inno a lui dedicato leggiamo che viene invocato come possente, pastorale, il tutto del cosmo: cielo e mare e terra di tutto sovrana e fuoco immortale. Queste cose infatti sono membra di Pan. E ancora: che tutto produci, di tutto genitore, demone dai molti nomi, signore del cosmo, che dai incremento, che porti la luce, fecondo Paian e in ultimo: queste cose divine camminano, svariate, ai tuoi ordini; con i tuoi disegni trasformi la natura di tutto alimentando la stirpe degli uomini nell'universo infinito.
Il principio degli opposti e a volte antitetici aspetti che si richiamano, tutti assieme, in divinità selvagge è dovuto proprio dalla loro imprevedibilità che porta, però, alla consequenzialità di un ciclo e di una forza creatrice e proiettiva che si unisce ad una distruttrice e ricettiva, creando con essa la vita. E solo l'unione di queste due forze ne permette, in realtà, l'esistenza. Senza di una non ci sarebbe l'altra, per cui, ancora una volta l'epifania della vita risiede nel detto: "En to Pan", tutto in uno, in cui si colloca perfettamente questa energia primordiale priva di una forma propria pur avendole tutte assieme che permette, nella sua danza musicale, che ci risulta a volte dolce a volte brutale, lo scorrere dell'universo stesso.

Appendice - Pan nella letteratura inglese.

Da Triumph of the Moon di Ronald Hutton. Traduzione completa di Vento Notturno.

Lo sviluppo di Pan in un'icona moderna è stata una questione più semplice della scoperta delle dee moderne, in quanto il mondo antico lo ha tramandato in una forma già sostanzialmente completa. Nonostante ciò, bisogna sottolineare che la sua nuova popolarità ne rappresenta una drammatica alterazione. Nella maggior parte dei punti degli oscuri boschi della Grecia classica, Pan avrebbe potuto essere "il grande dio", ma tutto ciò era ben lungi dalla sua vera reputazione generale. Patricia Merivale (Pan the Goat-god n.d.t.) ha riassunto la sua antica fama vedendolo come un "comico-grottesco piccolo dio silvano, tenuto sotto controllo dalle risate delle più 'civilizzate' divinità olimpiche". L'autore della migliore breve indagine moderna sui greci miti, Ken Dowden, lo ha anche spiegato in modo più chiaro e crudo: "Tra gli dei, Pan era una Citroen 2CV". È altresì vero che gli scrittori medievali cristiani occasionalmente gli elargirono un ruolo più ampio e nobile. La famosa storia di Plutarco nei riguardi della sua presunta morte a Samotracia fu presa come esempio da Eusebio come prova della distruzione dei culti pagani mediante la crocifissione e la resurrezione di Cristo. Maurus Servius Honoratus e Isidoro usarono l'apparente somiglianza tra il nome del dio e la parola greca che significa "tutto" per identificarlo come il dio universale del mondo naturale. Le sue apparizioni, nonostante ciò, erano rare nei miti greci e non apparve nemmeno una volta in nessuno dei lavori scritti dai più grandi poeti inglesi tra il diciassettesimo e il diciannovesimo secolo.
Riappare come dio maggiore nei versi di Wordsworth, Keats e Shelley e nella prosa di Leigh Hunt e William Hazlitt, rappresentando in esse una maggiore rivoluzione nella sua percezione. Questi scrittori lo costruirono nella forma in cui acquistò popolarità nei seguenti cento anni: come personificazione e guardiano delle campagne inglesi, il cui culto germogliò e si fuse con quello rurale britannico in generale. Nella maggior parte dei casi, si parla delle campagne inglesi visitate dagli abitanti di città (in genere i londinesi) durante le vacanze. Nei boschi e nei campi di Pan era sempre estate. Egli era la divinità dei cantucci ombreggiati dove le persone potevano stendersi a riposare per proteggersi dal caldo della giornata, il dio delle distese d'erba dove potevano rotolarsi, dei viottoli che si annidavano tra le siepi, lungo i quali potevano vagare. Era un paesaggio dove nessuno lavorava mai, in cui, infatti, la normale popolazione agricola era invisibile. In emergenza, come scoprì Matthew Arnold, Pan può anche essere invocato tra i trochi di un parco londinese.
Questo è il modo in cui il dio appare nelle opere degli autori del Romanticismo citati poco sopra, ed è così che continua a svolgere la sua funzione lungo tutto il secolo nei lavori di Swinburne, Arnold, Roden, Noel, Baron de Tabley, Oscar Wilde, James Elroy Flecker, John Cowper Powys, Walter de la Mare, Gordon Bottomley, Geoffrey Sephton e un mucchio di poetastri i cui versi non sono mai apparsi in nessuna pubblicazione. Tra il 1895 e il 1914 Pan raggiunge l'apogeo della sua popolarità, rappresentando, nelle parole di Patricia Merivale, "il soggetto più affascinante su cui ogni poeta minore può pensare di scrivere una poesiola". Il Pan rurale inglese appare anche nelle prose di Robert Luis Stevenson e in quelle del giovane Kenneth Grahame. Nel 1907 era quasi inevitabile che il primo raccolto inedito del letterale antieroe di E. M. Foster, Rickie, venisse chiamato "Flauto di Pan". Citare tutto ciò è ignorare il flusso di storie brevi e poemi che coinvolgono Pan nelle ambientazioni mitologiche greche classiche ma con lo stesso personaggio come patrono della tranquillità rurale, che appare tra il 1890 e il 1930.
La familiarità con l'immagine, e la via facile in cui può essere inserito, non permette comunque di oscurare il suo potere. Nel diciannovesimo secolo, gli inglesi lo resero il dio dell'espressione di tutti gli aspetti in cui il Romanticismo rivestì il mondo naturale: sublime, misterioso e maestoso, benevolente, confortevole e redentore. Fu dipinto direttamente in contrasto con la percezione di bruttezza, brutalità e malsanità del nuovo ambiente urbano e industriale e con la percezione di aridità e di filisteismo della nuova scienza. Offriva pace e gioia, un ritorno - anche se solo per poche ore - all'innocenza perduta di un silvano mondo fatato. La storia che riguarda la sua presunta morte, che si trova in Plutarco, potrebbe essere il paradigma del linguaggio della nostalgia per il gioioso paganesimo rurale. Era esattamente questa patina sulla storia che Christina Rossetti fiutò come un reale pericolo per il cristianesimo.
Aveva ragione ad essere preoccupata, in quanto il vero potenziale sovversivo di questa immagine non emerge fino alla fine del secolo, quando si sviluppa in un numero di vie diverse. Una di questa fu quella di rendere Pan il Gesù Verde, una saggia, protettiva, potente e gentile figura divina, ma associata con la natura proprio come il Cristianesimo è fermamente legato alla civilizzazione. Tutto ciò fu inizialmente compiuto da Maurice Hewlett nella sua novella Pan e il Giovane Pastore (1899), in cui il dio cornuto è rappresentato come la divinità di tutte le creature eccetto gli esseri umani, che ne negano l'esistenza anche se segretamente lo temono, e così si tagliano fuori dal vivere in armonia con il mondo. Alla pagina 100 della novella, la divinità stessa si manifesta con la dichiarazione "Io sono Pan, e la Terra è mia", e l'eroe del libro scopre la felicità quando accetta questo fatto. Nel 1907 Hewlett scrisse ad un giornalista americano che vedeva la figura di Pan "come l'ideale dell'uomo come forza naturale, essenzialmente non diverso dalle piante o dagli animali. Pertanto Pan si riduce nella medesima espressione". Il Panteismo è così diventato Pan-teismo.
Nell'anno seguente, il 1908, questo volto di Pan fece un'apparizione celebre nel settimo capitolo del capolavoro di Kenneth Grahame: "Il Vento tra i Salici". Nel capitolo a riguardo: "Il Pifferaio ai Cancelli dell'Alba", è completamente irrilevante ai fini del libro, ed il suo tono è completamente differente, introducento immediatamente un'allarmante intensità. Pan non è mai nominato, ma rivelato lentamente al lettore in termini religiosamente affettuosi, con lettere maiuscole per ogni riferimento che gli viene fatto. Appare come guardiano della natura, protettore dei giovani e degli innocenti, e riscopritore di ciò che è andato perduto. Grahame affronta il problema di come il dio possa ancora infestare le campagne inglesi senza essere mai visto, asserendo a spiegazione la sua capacità di infondere un'amnesia in coloro che lo hanno visto apparire. Il paradosso centrale di "Il Vento tra i Salici", in cui personaggi sono animali che vivono più o meno come umani, salva l'autore dal chiarire le implicazioni di ciò che sta rappresentando. A quel tempo Grahame sembra suggerire che il dio caprino sia il salvatore del mondo naturale esattamente come Cristo lo è per quello umano, ma che non si limita solo a questo intento.
L'immagine di Pan come una guida saggia e un redentore compie la sua evoluzione finale nel 1923 con la storia di Eden Phillpott Pan e i Gemelli. Qui, le sembianze del dio come un comprensivo e acuto consigliere dei giovani, favoriscono lo sviluppo di una via di mezzo tra la dissolutezza pagana e il puritanesimo cristiano. Egli incoraggia le persone ad amare il piacere e a comportarsi in modo moderato, responsabile e moralmente equilibrato. C'è una remarcabile ironia nell'uso del meno civilizzato tra gli dei della Grecia classica come portavoce della rispettabilità sociale e dell'umanismo razionale; ciò nonostante sfortunatamente nemmeno uno dei personaggi di Phillpotts sembra esserne consapevole. Infatti, alla fine, Pan quasi arriva a definirsi in un modo fuori dalla credibilità, asserendo che gli dei sono entità create dalle credenze umane, per poi rivedere la sua posizione puntando sul fatto che egli continua ad esistere nonostante la gente non lo adori più.
Pan, dopotutto, non fu mai domato completamente dai Vittoriani e dai suoi successori; infatti, alcuni di loro lo trovavano particolarmente attraente proprio per le sue associazioni bestiali e pericolose, e usavano la sua immagine come un'ariete contro la rispettabiltà. Il primo uso di questa tattica fu quello di ritenerlo partono dell'ispirazione poetica. Tradizionalmente questo ruolo era associato ad Apollo, e fu per questo motivo che i Romanticisti più vecchi glielo attribuirono; Keats poteva salutare l'Inghilterra, nel suo "Sonno e Poesia" come "la Grande Terra di Apollo". Ma non rimase sua a lungo a causa dell'immagine classica di questo dio come patrono della moderazione, dell'equilibrio e dell'auto coscienza attraverso la ragione che era troppo avversa all'idea Romanticista del dono poetico all'istinto, l'irrazionalità e il sé naturale. In Endymion, Keats stesso arriva a rendere Pan simbolo dell'immaginazione creativa. Nel 1819 Hazlitt si accorse che "la nostra poesia ha più di Pan che di Apollo" e difese questo pensiero con l'aforisma "Pan è un dio, Apollo non lo è più". La stessa attrazione si manifestò più tardi durante il secolo tra poeti che si sentirono in rivolta contro le norme sociali e che acquisirono la sua grande auto coscienza e la sua citatissima espressione nel 1910 da Richard Le Gallienne. Egli dichiarò che "Pan è indubbiamente il padre dei poeti", essendo sia innocente che screditato, rappresentando la verità che trascende la convenzione e la rispettabilità.
La natura semi-animale del dio cornuto, dopotutto, gli elargì un più parallelo più esplicito nella mitologia cristiana di quanto lo fosse la figura di Gesù; una assolutamente opposta. Esiste, infatti, un'affascinante possibilità che va lasciata aperta, perché al momento non siamo in possesso di studi appropriati dell'immagine del diavolo nella cultura moderna per confrontare il grande ammontare di conoscenza di prima qualità con quella del medioevo antico. Tra il 1100 e il 1700, sia le rappresentazioni artistiche che le confessioni estratte dalle presunte streghe certamente dipinsero Satana ai tempi come per metà capra, e spesso cornuto. Molto più spesso, tuttavia, si trattava di corna taurine, e le più comuni caratteristiche erano la presenza di zoccoli fessi, lunghe orecchie ed ali (di pipistrello o drago). Me era anche rappresentato fuso con un'ampia gamma di altri animali; il cane e il serpente tra i più comuni, o come un uomo nero o vestito di nero. Sembra che la tipica moderna concezione del Diavolo come un'entità con zoccoli, corna di capra e barba a punta sia una creazione del diciannovesimo secolo, rappresentante la reazione cristiana alla crescente importanza di Pan come focus alternativo per l'immaginario letteratario.
Ciò che è fuori di dubbio è che l'aspetto scioccante, minaccioso e liberatorio dell'immagine di questo dio eccitò molti scrittori all'inizio del ventesimo secolo. E. M. Forster potrà anche aver ridicolizzato il povero Rickie Elliot scrivendo di Pan nel The Longest Journey, ma fu perché trattò il tema in un modo trito e nativo. Nello stesso libro, Forster stesso suggerisce che il dio fosse la divinità maschile dell'antica Britannia, quando attribuisce alla rabbia di Pan l'eruzione improvvisa di furia irrazionale in un gruppo di scolari moderni. Il suo primo vero lavoro pubblicato, nel 1902, fu la storia di un ragazzo inglese viziato e disprezzato che viene invasato dal dio durante una vacanza in Italia, e come risultato scopre un lato di sé più fine; fuggendo infine nei boschi. Durante il 1890 Aubrey Beardsley ripetutamente rappresentò Pan come un'entità sia pericolosa che allettante. Nel 1920 Max Beerbohm ricorda come in quella decade i fauni (i piccoli Pan dei miti greci) "possedevano ancora un'aria di novità. Non eravamo ancora stanchi di loro, dei loro zoccoli, dei loro occhi a mandorla e del loro modo di saltar fuori dagli alberi per svezzare i tranquilli villaggi inglesi dalla loro rispettabilità. Ce ne siamo stancati più tardi".
Beerbohm potrà essersi stancato dell'argomento nel 1920, ma altri scrittori solo allora cominciarono a svilupparlo fino alla sua pienezza, almeno fino a quando il più grande fauno di tutti, Pan, fosse studiato. Niente nella letteratura moderna può comparare il voluttuoso potere della descrizione che Algernon Blackwood fa dell'epifania del dio nei confronti di un gruppo di moderni gozzovigliatori nel bosco:
Venne con una benedizione. Con la stupenda Presenza ci fu gioia, la gioia dell'abbondanza, la vita naturale, pura come la luce del sole e il vento. Passò tra loro. Ci fu un grande movimento - come se la foresta si scuotesse, come una cascata profonda, come una campanula che che si libera del peso della rugiada che ha trattenuto per troppo tempo per amore. Passò tra loro, sfiorando ogni capo. La grande mano accarezzò con tenerezza ogni volto, soffermandosi un momento su ogni cuore pulsante. Ci fu dolcezza, pace, e amorevolezza; ma sopra ogni altra cosa ci fu vita. Sancì nel profondo di ciascuno ogni gioia naturale e benedì ogni passione con il potere della creazione. (...)
Nonostante ciò ognuno di loro lo vide in modo diverso; ad alcuni apparve come una moglie o una vergine che desideravano focosamente, alcuni lo videro come un giovane o come un marito fedele, altri come una figura velata di stelle o ammantata di nebbia luminosa, difficilmente raggiungibile; altri ancora, non più di due o tre soltanto, lo scorsero come una meraviglia misteriosa che tenta il cuore lontano dalle delizie conosciute, fino ad una giungla di indecifrabile magia priva di carne né sangue.

Nel 1915 Lord Dunsany pubblicò una collezione di storie brevi, tre delle quali erano dedicatre al tema della civilizzazione urbana che è destinata a perire, mentre Pan sarebbe invece vissuto per sempre. Una dozzina di anni dopo fornì la più completa e rimarchevole espressione del concetto che Berbohm aveva commentato, ossia il dio come salvatore degli inglesi dalla loro rispettabilità. Il veicolo fu un racconto, La Benedizione di Pan, in cui Pan stesso in effetti non appare mai. Nonostante ciò lascia il suo flauto sul confine di villaggio moderno inglese dai tratti di una calma nauseante, pio e convenzionale, dove viene raccolto e suonato da uno dei bambini. All'inizio il tempo pagano ritorna "come qualcosa di ingenuo che ribolle sulla superficie di un pozzo profondo", e seduce gli abitanti uno per uno. Verso la fine il vicario è lasciato da solo in una chiesa parrocchiale da cui sente che tutto il potere è svanito, non essendo supportato dai superiori ecclesiastici che hanno sposato una visione razionale del mondo e che non danno credito a ciò che sta succedendo. Il vicario si prepara per il martirio (e il lettore per la tragedia), solo per essere coinvolto nella magia in corso e per diventare l'alto sacerdote di una rifiorente vecchia religione, conducendo i suoi riti tra le pietre preistoriche che sorgono tra gli alberi. La storia si chiude in dolce felicità, mentre il villaggio getta le basi di una nuova esistenza del paganesimo, in armonia con la natura ed economicamente autosufficiente, bollato come eccentrico dalle comunità circostanti, mentre dalla Chiesa viene visto come un'altra congregazione perduta per indifferenza religiosa.
Un'area decisamente ovvia in cui gli inglesi Vittoriani potevano essere meglio messi alla prova era la natura sessuale e semi caprina di Pan, che lo rendeva, potenzialmente, uno sfidante di prima classe. In particolare poteva svolgere la funzione di liberatore di quel tipo di sessualità che era appunto repressa o proibita per convenzione, e dall'inizio del ventesimo secolo era proprio ciò che stava facendo. Nella categoria di repressione cadde la libido femminile. Somerset Maugham più tardi ricordò come nel perdiodo Edwardiano "Dio usciva (curiosamente con birra e cricket) e Pan entrava. In centinaia di storie il suo zoccolo fesso lasciava la sua impronta sul terreno erboso; poeti lo vedevano in agguato nel crepuscolo del popolo londinese, e letteralmente nel Surrey le signore, ninfe di un'epoca industriale, misteriosamente consegnavano la loro virtù tra le sue rudi braccia". La maggior parte del lavoro di queste donne presumibilmente apparteneva a quell'effimera letteratura che è difficilissimo da tracciare per uno storico, ma sopravvive abbastanza da autori di seconda categoria per prestare un po' di credito all'osservazione di Maugham. Nel 1908 Eleanor Farjeon intitolò il suo primo volume di versi Adorazioni a Pan e altri Poemi, e il pezzo che dà il titolo all'opera contiene alcune righe come queste:

Il Pagano nel mio sangue, l'istinto dentro me
Che brama il ritorno alla venerazione della natura, grida
Forte verso te! Vorrei chinarmi a baciare quei piedi,
Dolci bianchi e umidi piedi bagnati con la prima rugiada della terra.


La Preghiera a Pan di Teresa Hooley era per salvare dal "ronzio che proviene dalle chiese cristiane" a "lo stridio delle macchine". Contiene un appello a lui: "Brucia! Accendi in me, dai tuoi dorati occhi caprini, il fuoco immortale, fiori di bellezza rosso fiamma, bianchi gioielli bollenti di desiderio". Secondo Hooley, Pan e Gesù erano entrambi pastori che passeggiavano lungo le colline in amicizia. Scrisse anche alcuni poemi devozionali alla figura del salvatore cristiano; ma non si aspettò mai che attizzasse un fuoco dentro lei.
Il dio cornuto fu anche il patrono del proibito, in cui il contesto edwardiano implicava la sessualità e l'omosessualità. Era invocato in una straordinariamente coraggiosa novella di Forrest Reid: Il Dio del Giardino (1905). Il creatore dell'invocazione è uno studente che si innamora di un amico e la recitazione marca la separazione dal vincolo convenzionale e il riconoscimento del suoi veri sentimenti e della sua identità sessuale. Ha memorie di una vita precedente nella Grecia antica, dove il suo compagno e lui erano amanti in un contesto sociale che li legittimava e supportava e i due, insieme, chiamano le divinità classiche greche su una spiaggia deserta mentre si confessano reciprocamente le emozioni che provano l'uno per l'altro. Sei anni più tardi un altro autore gay, Hector Munro ('Saki'), pubblicò una storia breve in cui Pan punisce una leziosa donna inglese facendo sì che un cervo la incornasse a morte. Apparentemente l'offesa che la donna arrecò al dio fu quella di aver rimosso un'offerta sacrificale lasciata per lui dal suo neomarito, votato al suo culto; tuttavia l'offesa reale fu quella di aver trascinato uno scapolo conteso fino al matrimonio, durante il quale cercò di riformare le sue attitudini; qui le caratteristiche del dio come icona omosessuale affascinano in modo più sottile e crudele.
Un terzo aspetto del Pan gay era l'amante onirico, e fu realizzato da Victor Neuburg in una collezione di poesia che apparve nel 1910. Il titolo del pezzo: Il Trionfo di Pan, celebra l'estatico accoppiamento con il dio:

L'odore dei tuoi peli
dei tuoi piedi, delle tue mani porterà
Ancora la primavera pagana,
e dall'unione dei nostri corpi, gli uomini sapranno
Sollevare il velo dai tristi volti di angoscia (...)
Ma Pan! Pan! Pan! Pan! e tutto il mondo sarà
Fuso in una sola bruciante e selvaggia estasi!


Nel Pastore Smarrito, il dio capra è chiaramente colui che sta in cima e si comporta più come un rozzo commerciante:

E mi strinse, magro e leggero,
Ruggii del dolore che mi inflisse
E lui urlò: 'Ti tratterrò qui.
Vieni tutta la notte,
Mio meraviglioso schiavo dai capelli scuri'


L'amante attuale di Neuburg in quel periodo era Aleister Crowley, la cui replica, l'Inno a Pan è molto più conosciuta, quanto meno dai pagani e dagli occultisti moderni. Differisce dai versi di Neuburg - che sono davvero unici in quel tempo - usando la figura del dio per celebrare la bisessualità. Il parlante apre con una passionale invocazione al dio, con richiami alla Grecia classica, e poi offre il suo stesso corpo all'abbraccio di Pan meglio di quanto Neuburg stesso sia riuscito a rappresentare. Il risultato di questa unione, tuttavia, è diverso. Mentre l'altro poeta si è rappresentato mentre sorge come profeta del messaggio divino, Crowley in effetti si unisce con Pan nel momento di copula e quindi manifesta la sua natura, diventando il simbolo della libido famelica e onnivora:

Io sono Pan! Io Pan! Io Pan, Pan! Pan!
Io sono il tuo compagno ed il tuo uomo,
Il capro del tuo gregge, Io sono oro, Io sono Dio,
Carne sulle tue ossa, e fiore della tua verga. Con zoccoli d'acciaio io corro sulle rocce,
Dal solstizio ostinato all'equinozio.
E deliro, e stupro e strappo e infurio
Eternamente, mondo senza fine,
Manichino, fanciulla, menade, uomo,
Nella forza di Pan,
Iò Pan! Iò Pan Pan! Pan! Iò Pan!

(ndt. È da notare che dopo svariate ricerche sul significato di "Io Pan", non tradotto dalla lingua originale, Gavin Bone, interrogato sull'argomento, ha dichiarato trattarsi di una contrazione del termine greco Evohe che significa "celebrare/adorare" anteposto da "I", quindi I Evohe.
) Non è molto sorprendente che negli anni venti alcuni scrittori che credevano in un uso sincretico del paganesimo antico e dei motivi cristiani sentissero che Pan avesse bisogno di essere imbrigliato. Due in particolare, entrambi anglo-irlandesi, intrapresero dei memorabili tentativi. Uno fu George Russell nella cui opera L'Addio di Pan dipinse il dio e i suoi seguaci come se riconoscessero le limitazioni della gioia e della bellezza terrene che rappresentano. Si rivelano così come esiliati del paradiso desiderosi solo di riunirsi con la grazie celeste. Più famoso è il denigramento del dio caprino nell'opera di James Stephen: Il Vaso D'oro (1928). In questo racconto Pan raggiunge in effetti l'Irlanda, solo per essere ricacciato dal suo dio nativo Angus Og, che dà prova della superiorità dell'amore che egli stesso rappresenta, spiritualizzato e tenero confronto alla varietà fisica e amorale offerta dal dio greco.
A quel punto, nella visione di Patricia Merivale, la popolarità di Pan era ad ogni modo in declino. Lei suggerì che il mito "pubblico" del dio fosse infine terminato assieme con la Prima Guerra Mondiale, mentre un mito "privato" ha continuato a mantenere una certa importanza per alcuni scrittori. C'è in effetti del vero in questo punto di vista, ma necessita comunque di alcuni importanti chiarimenti. La guerra certamente ha portato ad un collasso nel gusto per quella poesia d'evasione pastorale con figure greche classiche in cui Pan comunemente appariva. D'altra parte, dovrebbe apparire ovvio dalla lista di lavori citati di cui sopra che negli anni venti era ancora potentemente attivo come figura nella mitologia moderna, e dato che tutto ciò che appare nella suddetta lista è stato pubblicato, appare difficile definire quel tipo di mitologia come privata. Oltretutto, rappresentava quegli stessi temi da cui si è sviluppata nel periodo precedente. La quantità di riferimenti è calata, ma la qualità dei lavori in cui persistono è, comparativamente, alta.