Ero una piccola creatura nel cuore
Prima di incontrarti,
Niente entrava e usciva facilmente da me;
Eppure quando hai pronunciato il mio nome
Sono stata liberata, come il mondo.
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti.
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri.
Stupidamente sono scappata da te;
Ho cercato in ogni angolo un riparo.
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito.
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto.
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto.
Restituendomi
Al tuo abbraccio.
Mary-Elizabeth Bowen
La nostra vita. Ci avete mai pensato?
Mi potreste dire tutti i giorni, e potrebbe anche essere vero. Ma anche se la consepevolezza di essere vivi vi ha toccati, siete stati costretti, in un dato momento, a dover comunque accettare questa cosa e passare oltre, su problemi diversi, di minor importanza, ma che richiedevano un intervento immediato per essere risolti. Soprattutto perché potevano essere risolti.
Quando ci soffermiamo a comprendere o cercare di capire il perché viviamo, non ci rendiamo conto del molto piccolo. Non lo vediamo.
Poniamoci insieme il problema... senza dare niente per scontato; ho affrontato la cosa qualche editoriale fa, in minor misura. Qui poniamo, ad esempio, una domanda qualsiasi ad uno scienziato virtuale; uno di quelli che vogliono sbarazzarsi degli scocciatori senza fare brutte figure. Gli chiediamo: "A che velocità va la luce?". Lui sorriderà comprensivo, nello sguardo dell'insegnante che può colmare la lacuna al piccolo allievo, e, dopo aver indicizzato la risposta nel suo database mentale, risponderà così: "La luce viaggia a 299.792.458 metri al secondo. Per comune accordo la si approssima a 300.000 km/s". Approssimativamente, quindi, la luce può percorrere la distanza che separa Milano da Catanzaro andata e ritorno, in linea retta, per ben 150 volte, nel lasso di tempo che voi impiegate a dire "milleuno". Ne conveniamo tutti, quindi, che ci sono cose che sono perfettamente misurabili, anche se facciamo fatica a vederle, anche se le abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni.
La vita e la morte sono due di queste cose. Chiediamo quindi allo stesso scienziato virtuale il significato della vita. Lui farà spallucce e risponderà: "Viviamo per riprodurci ed evolverci". Una risposta competente. Certo. E c'è un nesso in questo: l'evoluzione.
"Evoluzione", per lo scienziato virtuale che abbiamo interrogato è il termine che serve per intendere "evoluzione biologica" ed "evoluzione tecnologica", insieme. Dal primate all'uomo e dalle caverne ai grattacieli. Ovviamente il nostro scienziato virtuale non prende in considerazione il terzo significato di questo termine. "L'evoluzione spirituale". Come potrebbe? Non è mica un filosofo! Se gliene parlassimo ci risponderebbe che se vogliamo avere una risposta che che ci soddisfi dovremmo porre questa domanda ad un teologo.
Il nesso principale della nostra vita è credere o meno nell'esistenza di questo ultimo termine. Credere quindi, indipendentemente dalla religione che professiamo, se ci viene data... dalla vita o da una divinità... o chissà che altro (ognuno poi sceglie a modo suo), una o più possibilità di vivere delle esperienze su questa terra.
Prendiamo delle ipotesi scarne, semplicistiche. Giusto per dare un'idea. Ognuno potrebbe aggiungerne a badilate, ma cerchiamo di selezionarne solo tre.
Ipotesi 1. "Morte = Non esistenza". Si vive una volta sola. Le luci si accendono, viviamo per un tempo indeterminato in base a fattori per lo più indipendenti dalla nostra volontà (a parte chi decide di togliersi la vita), e poi le luci si spegono e noi non siamo più vivi. "Non più vivi = morti". "Morti = non esistenti".
Ipotesi 2. "Morte = Ricompensa". Si vive una volta sola. Ci viene data una possibilità per vivere una vita secondo alcuni principi universali e, in base al nostro rispettare o ignorare questi principi, alla nostra morte verrà sentenziato il destino del nostro spirito ultraterreno da una divinità o qualche altro tipo di forza o entità. Un destino che, al contrario della nostra vita, durerà per un tempo senza fine.
Ipotesi 3. "Morte = Rinascita". Si vive più volte. Alla nostra nascita uno spirito immortale (quanto meno su questo piano di esistenza) viene in qualche modo inoculato nel nostro corpo di natura deteriorabile e lo guiderà fino al momento della sua disgiunzione dal corpo fisico, quando, per un motivo o per un altro, non sarà più abitabile. Alla disgiunzione dal corpo, lo spirito immortale (lo chiamiamo così per pura convenienza di termini), si dirigerà verso un luogo dove attenderà il momento di tornare a vivere in un altro corpo e in un altro tempo e ripeterà l'esperienza.
So che ci sono altre sfumature a queste tre possibili ipotesi, ma converrete con me che sono le più indicate per intraprendere un discorso generalizzato. Prendiamole in esame. La prima ipotesi è quella materialista della scienza, o quella, per quanto ne sappiamo, degli esseri viventi che hanno un'intelligenza fisicamente inferiore a quella dell'essere umano. Credo che al mondo ci siano poche persone che credano con tutta la parte più profonda di sé a questa ipotesi. Le radici culturali in cui siamo cresciuti tutti, per quanto diverse, ci portano a credere più alla seconda o alla terza possibilità. Ciò non toglie che è da prendere in considerazione in egual modo alle altre due. Se questa ipotesi fosse vera, la nostra vita come singolo individuo non avrebbe alcun significato intrinseco, e la capacità di pensiero che abbiamo sviluppato nel corso dei milleni sarebbe stata dettata solo dall'effetto della legge del caos. La nostra vita avrebbe quindi significato solo come comunità. Tante creature che vivono e che muoiono per permettere ad una specie, in milioni di anni, di evolversi da primati a homo sapiens sapiens; e chissà poi in che altro ancora. L'essere umano è però, per natura, individualista. Un po' per l'istinto di sopravvivenza estremamente radicato in noi, un po' perché il pensiero, in quanto tale, ci impone di credere che ci sia un significato nelle azioni che compiamo, giuste o sbagliate che possano essere ritenute o giudicate sia da chi le compie, sia da chi le subisce o le osserva.
Arriviamo quindi alla seconda ipotesi: la vita oltre la morte. In qualsiasi forma uno desideri vederla. Questa è l'ipotesi più antica del mondo. La prima comparsa di testimonianze accertate di una possibile ritualità nella sepoltura arriva da un gradino evolutivo sotto al nostro: l'homo sapiens. Se i calcoli sono giusti... almeno 200.000 anni fa. Cose semplici, ovviamente: piedi legati per impedire al morto di camminare, oggettistica sepolta assieme al defunto. Tutto ciò faceva pensare che credessero ad una "vita oltre la morte". L'idea ovviamente si è evoluta nel corso del tempo, per giungere alle monumentali opere egizie o al rito nordico di bruciare una nave con il corpo di un re assieme ad una concubina (ancora viva) che possa accompagnarlo come un valoroso nelle sale del Valhalla. La credenza diffusissima era quindi quella di una vita che sarebbe continuata in un altro luogo, e nella quale il defunto avrebbe fatto i conti con le azioni compiute in questa. Il cristianesimo, il giudaismo e moltissime altre religioni antiche e nuove, si appoggiano su questa credenza: un luogo, talvolta più di uno, dove l'anima deve viaggiare per affrontare l'esame delle azioni compiute in vita.
Gli aztechi sostenevano che esistesse il Mictlan (letteralmente la terra dei morti) e che era necessario seppellire il cadavere con in bocca un pezzo di ossidiana, perché gli sarebbe servito nel viaggio che avrebbe intrapreso per raggiungerlo, irto di pericoli. Era quindi una grande disgrazia quando una persona moriva senza che venisse svolto questo piccolo rito sul suo corpo, perché non avrebbe potuto affrontare le prove che gli erano destinate come avrebbe dovuto.
Gli egizi, invece, dovevano viaggiare fino al Duat, dove subivano la prova della pesa. Ossia il loro cuore, appesantito dalle azioni malvagie e alleggerito da quelle buone, veniva posto su un piatto della bilancia di Anubi e comparato alla piuma di Maat. Se l'ago della bilancia pendeva verso il cuore del defunto, questo veniva gettato nelle fauci di Ammit, il dio dalla testa di coccodrillo, e l'anima rimaneva imprigionata nel Duat, negando così l'accesso al regno di Osiride, l'Aaru.
È invece tutta europea e mediamente moderna la peculiarità di poggiare due monete sugli occhi di un cadavere, affinché abbia i soldi con cui pagare il traghettatore per l'aldilà (nella mitologia greco-romana lo psicopompo Caronte).
Le variazioni di tema culturale su questa ipotesi sono tantissime, ma tutte riconducono solo ad un punto di vista: quando si muore, si va in un luogo per restarci per sempre. Per avere la possibilità di vivere con più felicità l'esperienza al di là della morte, è necessario compiere delle azioni in questa vita che ci permettano di arrivare dall'altra parte senza macchia. Questa vita, quindi, influenza quella che si vivrà quando si è morti.
La terza ipotesi è quella che vede invece una crescita continua ed un'esperienza individuale che non viene perduta. In qualche modo siamo spiriti immortali di qualche tipo che discendono a congiungersi con la carne del nostro corpo quando è ancora embrione, per abitarlo e vivere una vita che sarà esperienza. Quando moriamo, il nostro corpo fisico crolla nel disfacimento e nel deperimento biologico tipico di qualsiasi essere vivente, mentre il nostro spirito, intoccabile, ritorna alla carne sotto un'altra forma o un'altra vita. Alcuni credono addirittura che sia possibile reincarnarsi in animali differenti dall'essere umano, altri no. Dipende dalle culture che hanno abbracciato questa ipotesi come verità.
Il nostro spirito, quindi, secondo questa visione, conserverebbe dentro di sé una sorta di "memoria atavica" delle esperienze vissute e ne cercherà il completamento in diversi cicli di vita. Questi cicli non sempre avrebbero un vero e proprio ritmo regolare e non ci sarebbero un numero determinato di volte in cui l'anima si reincarna, anche perché un'anima che muore dentro il corpo di un bambino di pochi giorni, conserverebbe poca esperienza della vita, ma capirebbe, in se stesso, cosa significa "non avere il tempo di viverla", e quello potrebbe essere parte dell'esperienza necessaria a quello spirito per elevarsi.
Seguendo questa teoria, l'elevazione o l'evoluzione spirituale sarebbero il significato della vita. Ossia ricercare la perfezione o il completamento delle esperienze necessarie che possono essere fatte solo qui, su questo piano materiale. Giunto ad un grado di comprensione delle diverse esperienze maturate nel corso delle diverse vite, si potrebbe così passare allo stadio successivo.
In questo tipo di ipotesi, ci sono due varianti distinte che è necessario distinguere. La prima la chiameremo "karmica", la seconda la chiameremo "neutrale". N.B. Queste due definizioni le utilizziamo solo per differenziarle in questo articolo e non sono termini riconosciuti e convenzionali.
Secondo la prima variante, l'anima deve seguire una sorta di equilibrio universale in comunione e scambio con le altre anime che incontra sul piano materiale e che riconosce di istinto. Potrebbe incontrarne diverse ogni volta, ma quelle che avranno un certo peso e un'influenza determinante nello svolgere della propria vita sarebbero sempre le stesse. In poche parole l'assassino diventa vittima, lo schiavo diventa padrone... così che l'equilibrio universale tra le anime si ristabilisca in base alle nostre azioni, spesso compiute senza volerlo veramente, ma solo perché lo riteniamo necessario, o in quel momento capita così. La legge del karma quindi, dirigerebbe le nostre azioni verso il completamento di uno schema generale di equilibrio in cui tutti quelli che hanno dato possano aver preso e tutti quelli che hanno preso possano aver dato.
Questo per intenderci: se io attraverso la strada senza guardare e vengo investito da un pirata della strada e perdo la vita, mi ritroverei ad uccidere involontariamente o indirettamente il mio assassino in un'altra vita, ad esempio arrivando in ritardo per salvarlo o prendendo una decisione su scala generale che porterebbe alla sua morte. A sua volta, se io uccido un uomo in perfetta volontà e coscienza, nella vita seguente subirò il medesimo trattamento dall'anima dell'uomo ucciso da me in un'altra vita.
Chi studia questo tipo di variante obbietta che in questo modo non ci sarebbe una sorta di riciclo delle anime e del loro interagire, quindi una sorta di limitazione nell'esperienza che le stesse acquisiscono vivendo vite diverse. Potrebbe anche essere vero, ma per quanto ne sappiamo in realtà, essendo nel largo e sconfinato campo delle ipotesi, tutto questo discorso potrebbe non avere nemmeno senso. Mi rendo altresì conto che è un modo assolutamente semplicistico per descrivere questa cosa, ma servirebbero pagine e pagine per soddisfare ogni tipo di quesito o ipotesi che viene scatenata da questa teoria.
Ma torniamo alla seconda variante, che invece ci vede come esseri immortali perfettamente identici l'uno all'altro, e perfettamente neutrali. Il nostro scopo, quindi, sarebbe quello di provare tutta una gamma di esperienze nelle nostre vite che ci possano portare ad emozioni o sentimenti che in qualche modo ci farebbero crescere. Secondo questa variante, il carnefice che uccide spietatamente e con sadismo, una volta morto, non conserva dentro di sé né il piacere di aver ucciso né l'eventuale dispiacere di aver causato un male, ma esclusivamente l'emozione dell'esperienza, che gli servirà per crescere. Nella vita seguente, quindi, il carnefice potrebbe voler scegliere di sua iniziativa di reincarnarsi in una situazione in cui subirà le stesse torture che ha inflitto, in modo che possa comprendere e provare quell'esperienza sotto entrambi gli aspetti. Al termine di ogni vita, l'anima riesamina quello che ha vissuto, e tenta di comprenderne il significato di crescita, in modo da avvicinarsi di un altro gradino verso la perfezione e la completezza spirituale a cui sta cercando di assurgere. Giunta alla cima della spirale di crescita, è possibile che l'anima si elevi ad uno stadio ulteriore e cominci un nuovo ciclo su un piano diverso ancora, o che magari divenga un essere superiore e che possa interagire in questo modo con i mortali per aiutarli a divenire come lui. Qualcosa che sta al di là del bene e del male, come concetti in quanto tali, al di là della carne e del significato stesso di vita, tempo, morte, dimensioni. Non ci è concesso di saperlo, per il momento, o forse... tutti noi lo sappiamo, ma in qualche modo quella parte di conoscenza, vivendo qui, su questo piano, per il momento ci è negata.
A grandi linee, quindi... molto grandi... queste sono le tre ipotesi del corso della nostra vita.
Esaminiamo adesso quello che ci riguarda, ossia quello che concerne le tradizioni di tipo stregonico.
Prettamente, ma sappiamo bene che ogni tradizione e ogni sentiero e percorso ha le sue risposte (e da nessuna parte, su questo sito, troverete risposte, ma solo "opinioni" sulle domande), una strega crede nella terza ipotesi. Reincarnazione come crescita, ovviamente, come ritorno, nella ciclicità della vita, della ruota dell'anno. Osservando il mondo, ovunque, vediamo che funziona così.
Secondo la tradizione wiccan, in particolare, l'anima (asessuata, priva di sostanza e soprattutto senza età) lascia il corpo per ricongiungersi agli dei in una terra di abbondanza che chiamiamo comunemente "Terra dell'Estate". In quel luogo senza tempo (situato in una realtà non raggiungibile nel nostro stadio vitale), dove si ritiene che il grano sia rempre maturo e dove le stagioni non si rincorrono perché vivono tutte insieme, l'ordalia della nostra anima compie uno dei suoi cicli e attende il momento di ritornare alla vita terrena mediante la reincarnazione, esaminando le proprie azioni e comprendendo quanto di queste abbiano portato ad una maturazione e un passo avanti nel cammino di crescita.
Nessuno sa esattamente come avviene questo esame, o quanto tempo fisico (se è possibile misurarlo), passa tra un'incarnazione e un'altra... o addirittura quante volte è possibile o necessario ripetere il ciclo. Quello che si crede è che l'anima ripercora la propria esistenza appena passata, ma senza che questa venga in qualche modo giudicata né dalla divinità, né dall'anima stessa. Ogni azione compiuta in vita viene ripercorsa percependo le emozioni e le sensazioni che questa ha provocato anche alle persone che ci sono state intorno. Questo esame ci permette di crescere e di capire dove e come possiamo migliorare, e di avere così un'altra possibilità, dimenticando, quanto meno superficialmente, le esperienze avute nelle vite precedenti, ma conservandone il ricordo in uno strato profondo del subconscio e mantenendo un legame con le altre anime che ci permette di riconoscerle in mezzo alle migliaia che incontriamo ogni giorno.
Quando sente che è giunto il momento, quindi, l'anima si reincarna in un luogo e in un corpo prescelti, in modo che possa sperimentare nuovamente la nascita, la crescita, la sofferenza, la gioia e infine la morte, e cercando di carpire, da tutto questo, un insegnamento che le permetterà di evolversi e di crescere spiritualmente, di salire un altro gradino verso la perfezione spirituale, che è poi la divinità. In poche parole la scintilla divina instillata dentro il nostro corpo alla nascita non smette mai di essere legata dalla sua origine, e infine, ritorna al luogo cui appartiene.
È stato grazie ad un metodo di ipnosi chiamata "regressiva" che fu possibile dimostrare che questo ciclo esiste, e che non si tratta solo di fantasia o fede. Ma questo discorso prettamente pseudo-scientifico esula dall'argomento e non lo affronteremo in questa sede.
Non tutti i "pagani" (mi si passi il termine) ritengono valida la teoria della "Terra dell'Estate". Alcuni, in base alle proprie tradizioni, credono cose differenti. Alcuni ad esempio ritengono valida la teoria della trasmigrazione, ossia la reincarnazione anche in altri tipi di esseri viventi, quali animali, insetti o anche vegetali. Questo tipo di credenza è diffusa in oriente, ma trova spazio anche nell'animismo e nello sciamanesimo. Il rispetto verso le forme di vita diventa tale, a volte, da alterare praticamente l'equilibrio stesso della vita: qualcosa muore affinché qualcosa viva.
Ci sono anche teorie e affermazioni in ambito magico, che ritengono valida la possibilità che l'anima sia addirittura manipolabile e che sia possibile imprigionarla o assoggettarla al proprio volere. Alcuni occultisti sostengono che sia possibile farla ammalare o avvelenarla e nello stesso modo guarirla e rinvigorirla. Nel culto Yoruba del Voodoo, ad esempio, si ritiene che il Bokor (un sacerdote Vodun), grazie all'ausilio di una polvere (contenente anche un potentissimo veleno chiamato "Tetradotossina" - estratto dalle viscere del pesce palla) ottenuta dopo un lungo rituale molto particolare e complesso, sia in grado di imprigionare l'anima di un uomo in un vaso e soggiogarlo in questo modo al proprio volere, rendendolo uno zombie. Le spiegazioni, sia di tipo sociale che farmacologico sono svariate e ci sono comunque casi documentati a riguardo. Ma questo, ovviamente esula dal nostro discorso.
L'anima, quindi, in ogni caso sarebbe immortale e indipendente dal nostro corpo, seppur legato allo stesso dalla volontà di mantenerlo in vita o da qualche altro tipo di legame che non comprendiamo o non conosciamo. Se così non fosse ci sarebbe possibile disgiungerci dal corpo con il solo volere. Una cosa che in linea di massima non ci è fattibile. Ciò non toglie che ci siano metodi che ne possono dare l'illusione o addirittura la possibilità, e che ci siano persone che affermano di averlo fatto e di saperlo fare. Tutto sta nel credere in realtà nelle infinite possibilità e capacità che un essere di pura energia divina, se così lo crediamo, può avere e sviluppare.
In una qualsiasi delle ipotesi che ammette l'esistenza di almeno due corpi distinti: uno fisico e uno spirituale, si prende in considerazione che al momento della morte questi due corpi si separino, e che uno dei due cominci a deteriorarsi e a completare il suo ciclo vitale, mentre l'altro, alleggerito dalla zavorra, si proietti verso il proprio scopo finale o ciclico che sia. Quello che segue questa separazione è diverso a seconda delle culture e della religione, ma l'unico, comune denominatore è che ci sia, e che la nostra vita, in qualche modo, non è stata vissuta invano.