The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Beltaine 2005

Beltane 2005

Un granello di sabbia rispecchia la meraviglia dell'universo.
Un figlio dimostra la meraviglia che siamo


Paulo Coehlo

Sapete... una volta, parlando con mia madre di quei fatti della vita che ti ritrovi ad affrontare prima o poi, lei mi disse: "se foste voi uomini a dover mettere al mondo i figli... a quest'ora saremmo estinti". Allora forse avrei voluto controbattere… e forse ho anche ribattuto con la coscienza degli ignoranti, di quelli che non conoscono, che non hanno visto; forse tentavo di difendere la natura maschile che c'è in me. Ora… posso affermare con certezza e a capo chino che, a mio avviso, non credo ci sia una verità più grande. Tra il 18 e il 19 aprile ho tenuto la mano di Sara per tutta una lunga, terribile notte, mentre urlava e piangeva e si disperava. In un momento di eterna stanchezza, verso uno di quegli orari lontani e abbandonati al sonno che pochi conoscono, quando la notte è densa e la città dorme, l'ho vista aggrapparsi alle mani dell'ostetrica Teresa e implorarle di non andare via e di stare un po' con lei, mentre tentava di respirare a fondo... È comparsa sulla soglia della sala travaglio come un'apparizione di tempi lontani. Voltandomi, in quel momento, ho visto in quella donna la dea, madre, che la richiamò all'ordine con tono perentorio ma dolce. Si è avvicinata a lei, silenziosa, e ha preso le sue mani. Sapeva calmare le partorienti con la voce; questo era un dono oltre che un lavoro. Ha rassicurato Sara in pochi secondi, con poche parole, spiegandole che sapeva cosa stava provando, perché ella stessa aveva avuto due figli... e poi l'ha aiutata a controllare il dolore... respirare a fondo… controllare la sofferenza.
Ma è stata una brutta notte... lunghissima, come un baratro senza fine; i minuti ci ingoiavano, ci sommergevano, ci soffocavano. L'alba non si decideva a venire… ma quando è arrivata non c'è stato un benvenuto dolce ad accoglierla. Solo grida. In ultimo, dopo quasi venti ore di travaglio e due epidurali, Sarina ha ceduto alla stanchezza... allo strazio lacerante. Non credo di aver mai neanche lontanamente provato un dolore così: vederla nel letto, distrutta, mentre mi guardava implorante, come se io avessi il potere di farla stare meglio ma non volessi elargirglielo. E lei urlava, con gli occhi spiritati, la bocca spalancata,
Ho pianto di nascosto, non per orgoglio, ma perché credevo che cedere alla disperazione non le sarebbe stato di aiuto. Cacciavo indietro le lacrime e il magone, come pugni nello sterno, non parlavo affinché la voce non si incrinasse. Ho pregato a lungo la dea di aiutarla... guardandomi allo specchio e confrontandomi con la mia impotenza. Soffrivo con lei, vedendola soffrire, vedendola implorare, chiedere aiuto. Più la guardavo, e più sentivo che questa cosa ci univa di più, nonostante tutto. Era come se fossimo fusi in una sola creatura: quella che stava cercando di venire al mondo. Insieme in quel momento significava crescere; significava rinascere ancora e ancora. Non sarebbe stato lo stesso se avessi atteso al bar, davanti ad un whisky e un mazzo di carte, insieme agli amici... aspettando di sapere come era andata. O magari fuori dalla sala parto… senza conoscere, senza vedere… senza sapere… senza poter sentire l'odore del sangue e delle lacrime, il sapore amaro della sua fronte sudata, dei suoi capelli come canapa. Io ero lì a vedere... a soffrire assieme a lei. Perché era giusto così, perché avevo contribuito anche io a far sì che lei si trovasse in quella situazione angosciante. Non volevo perdermi nemmeno un istante… bello o brutto che fosse.
Poi la decisione, come un salvagente lanciato da una nave di passaggio... "taglio cesareo". Ricordo Sara che si scusava con le ostetriche, come se il suo fosse stato un fallimento, come se aver ceduto dopo venti ore di un travaglio punteggiato di urla, fossero una sua colpa. Le ostetriche nel loro piccolo avevano sul volto l'abbandono del fallimento… dolci angeli senza remore… che hanno saputo vivere quell'esperienza con costanza e pazienza e dolcezza; senza mai cedere, avendo sempre un tono gentile di dire le cose. Madri vergini dal cuore immenso, accogliente e dalla voce calma.
C'è stato tempo solo per un saluto veloce, poi il suo letto è sparito nell'ascensore.
Mezz'ora dopo mi hanno chiamato. Io mi aggiravo come uno spettro per il reparto neonatologia... leggevo un libro senza capire la connessione tra le parole; osservavo il muro e contavo le pennellate di intonaco; ascoltavo le voci e le risate senza comprendere se fossero o meno nella mia lingua. Il mio nome è risuonato nel corridoio come una campana. Mi sono precipitato verso di lui… verso quella nurse dall'abito verde menta, i capelli biondi raccolti. Aveva una scatola con le ruote, trasparente… e dentro c'era lui…
Eccolo lì...
E allora tutta la stanchezza, tutta la disperazione... ecco che sono spariti, come se fossero solo i residui di un sogno terribile e infinito, che si sgretola al sorgere del sole. Lo guardo e realizzo che è perfetto... nella sua innocenza, nella sua fragilità. Gli occhietti chiusi, la pelle come velluto... Il suo stesso muoversi mi sembra magico, opera omnia di artisti senza nome.
Mi sento un groppo in gola che si blocca proprio qui... appena sotto le mie corde vocali... non riesco neanche a parlare... "Hey..." mi ritrovo a dirgli... ma non so che altro fare se non guardarlo... colmarmi gli occhi del suo essere vivo, sano... bellissimo.
Chiedo alla nurse se per caso ha sofferto del travaglio, del parto, dell'operazione… lei scuote la testa.
Mio figlio...
Mi chiedono se voglio toccarlo, al nido… ha la pelle morbidissima, vellutata, gli occhi blu oltremare, le piccole unghie formate, le gengive senza denti. Ha qualcosa che mi porterò dentro per sempre… un'immagine dolcissima dalla quale non mi separerò mai… la cullerò dentro me per la vita, anche quando sarà grande, anche quando, magari, mi provocherà dispiaceri… anche quando darò a lui la mia vita senza chiederla indietro… Quella visione di lui sarà lì, al suo posto.
Quando ho visto Sara era sfinita, pallida, non aveva più voce... ma una gioia negli occhi che mi ha fatto capire che tutto è sparito anche per lei... il dolore, le urla... sono solo ricordi sbiaditi.
L'ho baciata e allora le lacrime mi sono scese sulle gote, mentre le dicevo che era bellissimo… non ce l'ho fatta… ho ceduto in ultimo.
"Ne è valsa la pena secondo te?", le ho chiesto mentre lui dormiva sulla sua spalla, un cucciolo di uomo, indifeso, vestito di giallo, le piccole dita che si contraevano.
Lei ha annuito, decisa... tutto doveva davvero essere sparito, dimenticato. La sofferenza, i pianti... solo un sogno che è finito, dal quale si è svegliata.

Benvenuto Morgan Ilan Lugh, questo è il tuo nome...

Che la dea e il dio ti accompagnino sempre, figlio mio.

Vi ringrazio per gli auguri e per i messaggi; la mia nuova vita è appena cominciata. Auguro a tutti di poter un giorno provare l'emozione che ho provato io a guardare mio figlio negli occhi... e sapere che quella scintilla di vita che lo rende vivo, in parte, ho contribuito io ad instillargliela.
Nella vita costruiamo e distruggiamo...
Solo due cose possono davvero essere create da noi: l'arte e i figli.
E sono le due cose che più ti fanno sentire degno di essere al mondo.

Grazie a tutti voi... E grazie a Morgan, per essersi donato a me.

Danny - Vento Notturno