The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Beltaine 2013

Beltaine 2013

Ci sono cose di cui non parliamo. Preferiamo farne a meno e mantenere il sorriso, precipitando fuori e dentro l'amore; vergognosi e fieri, ma insieme allo stesso tempo.

Cenerentola non era una proletaria. Era finta. Si imbucò ad una festa in maschera dimostrando che il vestito faceva il monaco. Se non fosse stata vestita in un modo così divino il Principe Azzurro avrebbe danzato con lei? Se avesse danzato con Genoveffa o con Anastasia magari non si sarebbe messo a cercarla. Magari si sarebbe innamorato di una delle due sorelle. In quel caso la scarpetta di cristallo avrebbe calzato qualche altro piede e lei avrebbe continuato a seguire la sua via, rimanendo dell'anonimato, pulendo pavimenti, spolverando vasellame nella casa del cognato. Credo che in fondo la cosa importante non sia correre a mettere il piede nella scarpa migliore, ma capire quale sia la giusta scarpa per se stessi.
Forse che non viaggiamo per il mondo, non sapendo né dove né come? Ma soprattutto perché? Il dilemma sta in questo. Il perché lo inseguiamo, lo cerchiamo, a volte lo inventiamo. Di cosa siamo fatti in fin dei conti? Una buona parte è composta di bisogni, un'altra di speranze e desideri, l'altra di inconoscibile; tutta quella massa di paure e accondiscendenze, sentimenti e favole che ci rendono potere e dimensione.
Esiste una leggenda che si narrava nell'Attica. Un uomo di nome Damaste possedeva un letto e, appostandosi sulla via che collegava Eleusi ad Atene, fermava tutti i viaggiatori che compivano il viaggio verso la capitale e li costringeva a sdraiarsi su questo letto, adattandoli poi alle dimensioni ultime del giaciglio: se erano troppo magri li allargava e se erano troppo bassi li allungava, se erano troppo grassi ne amputava l'eccesso, così come faceva se risultavano troppo alti. Questa leggenda, al di fuori della terribile tortura che Damaste, detto Procuste, infliggeva sul suo famoso letto mi ha sempre insegnato qualcosa: noi siamo sempre e solo noi. Per quanto nella vita e nel mondo tutti cerchino sempre la connessione e per quanto ci si direzioni e ci si proietti verso la globalizzazione, portata da molti fattori diversi, io dico sempre che la nostra individualità oltre ad essere un tesoro che va in ogni momento preservato e protetto, è anche il nostro più grande punto forte, se siamo in grado di capire, sempre, che cosa ci unisce e valorizzarlo più di ciò che ci divide. E non c'è bisogno di avere alcun letto di Procuste per giudicare la nostra compatibilità; come esseri unici al mondo, composti di tutte quste debolezze e queste paure, di questi punti forti e queste speranze, grandezze e piccolezze, non esiste un unico modello applicabile e, fuori da questo, tutto è riconducibile allo sbagliato e l'inaccettabile.
Io osservo la vita e mi dico che una donna che ha dentro centinaia di ovuli ha dentro centinaia di vite potenziali. Ma non tutte completeranno il loro ciclo trasformandosi in un essere umano. Perché porta ovaie gonfie di ovuli se solo uno o due, a volte tre verranno fecondate e procederanno nella mitosi, primo passo della vita? Perché sa che la legge di base è che uno su mille ce la fa. Noi siamo sempre e solo scommesse. Non sono solo perché penso, ma sono perché qualcuno era e affinché qualcuno sarà.
Sono quindi queste mie debolezze a rendermi forte. Sono i miei punti deboli a concedermi l'opportunità di crescere, di migliorarmi, evolvermi e pretendere di essere accettato da me stesso senza abiguità, compromessi, senza nessuna riserva; e dopo me stesso da chi mi sta vicino, e che sia per quello che sono realmente, come diceva Al Pacino: "Io sto qui col naso ben ficcato nella terra, e ci sto fin dall’inizio dei tempi. Ho coltivato ogni sensazione che l’uomo è stato creato per provare! A me interessava quello che l’uomo desiderava, e non l’ho mai giudicato! E sai perché? Perché io non l’ho mai rifiutato, nonostante la sua maledetta imperfezione. Io sono un fanatico dell'uomo. Sono un umanista. Forse l'ultimo degli umanisti". Solo così, potrò portarmi dietro il mio bagaglio di imperfezioni come se fosse una caratteristica di pregio e non qualcosa di cui sentirmi inadeguato. E in questo modo mi sarà possibile accettare gli altri quando saranno specchio dei miei difetti e farli sentire amati come vorrei sentirmi amato da loro: per quello che sono, senza giudizi, senza compromessi, senza interesse. Lo sai, vero? Ne abbiamo parlato mentre sto scrivendo queste righe. Io non riesco ad immaginarmi privo di punti deboli, anche perché non implicherebbe essere inattaccabile... ma implicherebbe essere irraggiungibile. E se fossi tale io smetterei di stendermi sul letto di Procuste per prendere le parti di Damaste e giudicare chiunque, misurandolo, amputando l'eccesso e ingrandendo il difetto; e lo farei con me stesso per primo e la mia vita, portata all'eterna ed incompletabile ricerca della perfezione e la simmetria in un mondo imperfetto e asimmetrico in quanto naturale, e per questo a mio avviso bellissimo proprio perché così, io diventerei inaccettabile da chiunque proprio perché, per quanto aneliamo la perfezione, in realtà non la conosciamo e non possiamo comprenderla proprio perché siamo esseri umani. Di conseguenza io sarei ancora solo e arriverei, ancora una volta, a stendermi sul letto di Procuste, questa volta di mia iniziativa, e così giudicato da un occhio che non mi capisce e vivrei quegli istanti nella speranza che Damaste mi amputasse e mi storpiasse, affinché io possa essere esattamente simile agli altri... pertanto accettabile e non più solo.
Nessuno di noi vuole essere perfetto in quanto tale. Nessuno di noi vuole essere irraggiungibile. Nessuno di noi vuole essere da solo. Quanto meno nessuno che abbia ispirazioni e bisogni legati alla carne. Alcuni di noi vorrebbero solo credere che possono essere felici solo quando lo sono tutti quanti e si sforza per questo, in modi diversi, come diceva Gaber, perché abbiamo bisogno di una spinta verso qualcosa di nuovo, per essere disposti a cambiare ogni giorno, per sentire la necessità di una morale diversa, perché forse è solo una forza, un volo, un sogno, uno slancio, un desiderio di cambiare le cose, di cambiare la vita. E sentirsi così, come se avere accanto questo slancio possa farti sentire più di te stesso, come due persone in una. Da una parte la personale fatica quotidiana e dall'altra il senso di appartenenza ad una razza che vuole spiccare il volo per cambiare veramente la vita. E, come diceva sempre Giorgio, forse allora molti avevano aperto le ali senza essere capaci di volare, come dei gabbiani ipotetici. E ora? Anche ora ci si sente come in due, da una parte l’uomo o la donna inseriti che attraversano ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano, senza più neanche l’intenzione del volo, perché ormai il sogno si era rattrappito. Due miserie in un corpo solo.
In tutti questi anni, che mi sembrano secoli, ho cercato di capire, sondare. A volte alcune illuminazioni, o presunte tali, mi hanno folgorato e a volte, stupidamente, ho accettato la prima spiegazione come se fosse la più valida, senza mai metterla in dubbio e poi, nel tempo, quando un'ipotesi alternativa si presentava, comprendendo quanto mi fossi sbagliato, quanto fossi vicino all'essere lontano da ogni possibilità di capire ciò che c'è di più vicino alla verità, che di base è un punto di vista.
Ho immerso le mani nelle mie sicurezze e le ho ribaltate come fossero lenzuola. Ho sentito lo sporco dell'incoscienza e del rifiuto rimanermi aggrappato alle dita come petrolio, infilarmisi sotto le unghie, nelle pieghe della pelle.
Ma sono andato avanti. Ho saputo. E non crederei alla mia stessa voce se mi ripetessi che non è stato difficile, che era qualcosa che dovevo fare per forza e che non sia stato un atto di volontà, puro e semplice; un concetto vicino alla manifestazione della morte: c'è e si nutre, non conta cosa pensiamo noi. Possiamo decidere di spegnere il sole e accendere la notte ma noi rimaniamo ciò che siamo. Alcuni, i più acuti e umili riescono a vedere oltre, come i bambini che sanno vedere quando guardano perché non hanno filtri. E poi dopotutto, c'è sempre un po' di follia nell'amore come c'è un pizzico di ragione nella follia.
Nel tempo ho intuito che forse sbagliavo approccio e che non potevo capire alcune cose perché io sono ciò che sono e non posso aspettarmi di più. Ogni limite che mi pongo da superare, ogni vetta che pretendo di scalare non mi porta che di fronte ad altre vette e ad altri limiti. E così sono giunto alla conclusione che il saggio non è chi capisce, ma chi è capace di accettare. E ovviamente tutto questo complica e annoda ancora di più la via verso la saggezza.
Quello che però ha sempre fatto la differenza è capire che cosa cerchiamo. Già. Che cerchiamo? Comprensione? Accettazione? Condivisione? Non sempre è facile distinguere queste cose, anche perché ognuno di noi parla una lingua diversa e creare un esperanto utile e funzionale è un'impresa pari a quella di catalogare i batteri. Ma è una cosa necessaria. E azzarderei che forse lo è di più anche di quella di mettersi a dare nomi ai procarioti. Quando però, nei minimi termini, sappiamo giungere ad una conclusione che, anche se non definitiva, ci concede uno spazio di manovra, abbiamo tra le mani una possibilità: possiamo trovare un modo per comunicare. Il mondo si proietta verso quello: la comunicazione.
Una volta si diceva che gli antichi dei tacciono e la risposta pagana era che siamo noi che non li ascoltiamo più; non riesco a ricordare quante volte ho dato io stesso questa risposta. Mi viene da ridere se ci penso; ma ora non credo più che sia così corretto; ora credo semplicemente che non parliamo più la stessa lingua e che sia giunto il momento di cambiare gli dei così come siamo cambiati noi, affinché sia possibile parlare e capirsi di nuovo. E in realtà l'abbiamo già fatto. Noi non siamo pagani; siamo neopagani. Nessun neopagano fa sacrifici umani o animali. I pagani lo facevano. Se non aneliamo più di stenderci sul letto di Procuste dobbiamo rivedere il nostro modo di approcciarci a loro, di aspettarci delle risposte che comunque arrivano, e ripensare al modo di onorarli soprattutto, perché loro non sono più quello che erano una volta. Noi ci sforziamo invece, spesso, di infilare una scarpetta di cristallo che non è nostra solo perché non vogliamo rinunciare al ballo o, come alcune varianti della storia, amputarci le dita dei piedi ed il tallone come fecero le due sorellastre Anastasia e Genoveffa per cercare di ingannare il principe. E, come dicevo, la differenza non sta nel decidere di partecipare o meno al ballo, ma capire cosa è davvero giusto per noi, oggi ed ora, nel mondo contorto e perverso in cui viviamo, e trovare un ordine, un punto fermo, qualcosa da cui ricominciare.
Mi ricordo di un film, si intitola Holy Smoke. La vicenda narra di una ragazza che, incontrato un santone durante un viaggio in India, riceve un'illuminazione e la famiglia, convinta che sia stata plagiata, la convince con l'inganno a tornare a casa dove viene assunto un uomo preparato per "deprogrammarla" durante un isolamento in una baracca del deserto australiano. Dopo aver bruciato il suo stesso sari, la ragazza mette in dubbio qualsiasi cosa della sua spiritualità portando il rivale ad uno scontro nel quale gli chiede di dirle quale sia il messaggio che il santone voleva portare; e lui le risponde scrivendole sulla fronte: "Be Kind". Sii gentile. Già. Mostrare rispetto e gentilezza. Quante cose si celano dietro questo semplice messaggio. Quante volte noi nascondiamo la mancanza di rispetto delle opinioni altrui dietro la richiesta di rispetto delle nostre, semplicemente barricandoci dietro una fortezza di irragionevolezza, la stessa che poi accusiamo in chi ci sta di fronte. Quante volte ci capita di avere così paura di vedere quale sia la verità che preferiamo incolpare altri del loro bisogno di metterci di fronte a questa cosa machiavellicamente, trovando metodi sempre nuovi per evitare e ribattere, come una battaglia a scacchi dei maghi o un duello di scherma. Quante volte preferiremmo che le cose semplicemente non fossero come sono, che non fossero andate come sono andate o preferiremmo convincerci che l'immagine di ciò che crediamo di essere e ciò che la gente vede coincidano come due gocce d'acqua, che quando guardiamo nello specchio vediamo tutto ciò che c'è da vedere.
Una grande canzone di un grande compositore, che cantai durante il saggio diceva: "Se strappaste via il mito dall'uomo, vedreste dove saremo ben presto". Non c'è bisogno, a volte, di essere santi per avere un mito intessuto intorno a sé, che ci piaccia o meno. Basta aspettarci di più o di meno da ciò che siamo in grado di gestire nella nostra vita. Il peggio che ci può capitare è il ritorno alla realtà: quando si capisce che le cose cambiano è un po' come camminare sotto la pioggia, in quelle giornate dove il paesaggio si scioglie come l'opera dello spazzacamino amico di Mary Poppins. Si sente quell'odore di ozono nell'aria e tutto si riempie di odori bagnati: l'odore dei fiori è più intenso, tutto ci sembra onirico, diverso, come sospeso tra due mondi paralleli. Ma dobbiamo sempre svegliarci, capire qual è il nostro posto, qual è il nostro ruolo, il nostro compito. E dopo averlo capito dobbiamo accettarlo, senza manipolazioni, senza tagliarci talloni o dita dei piedi, senza amputarci o allargarci... senza adattarci al letto di Procuste. Dovremmo conoscere e capire cosa è più adatto a noi, cosa siamo, e se dovessimo cambiare per naturale evoluzione, allora seguire il flusso e lasciare che vada, come il Pifferaio che trotterella suonando per le vie di Hamelin. A volte però è dannatamente difficile capire qual è il nostro posto. Noi tendiamo a desiderare ciò che non abbiamo; viviamo nel non vissuto. Oppure proiettiamo tutto ciò che desideriamo, che pensiamo di volere, che crediamo, che abbiamo conosciuto e non ci soffermiamo a pensare a chi e cosa, veramente, ci sta di fronte. Non è forse così che sono stati creati gli dei? Energie a nostra immagine e somiglianza, con medesime debolezze ma con poteri immensamente superiori che giustificassero il loro ruolo. Come rivediamo noi, ripensiamo anche loro, in modo automatico. Forse, dovremmo rimetterci davvero in discussione e capire quale sia "il giusto" equilibrio nella nostra visione, nel nostro vivere e riscoprire ciò che crediamo di conoscere, tornando alla base ma non per ricostruirlo, bensì per rivederne i principi sulla base di ciò che è cambiato, dentro di noi, nella naturale evoluzione del pensiero, della filosofia, della struttura stessa della nostra umanità, del nostro tessuto sociale.
Una volta credevo che ci fossero solo alcune vie e che potevi decidere quale seguire, in piena libertà. Ora so che non esiste nulla di tutto questo, quanto meno nel senso ordinario del termine. Ogni persona ha una via a se stante e nessuna è uguale alle altre, fintanto che è seguita con l'onestà del cuore. È più quella che manca perché spesso crediamo che sia determinante per noi ciò che gli altri potrebbero pensare delle nostre scelte, al punto da arrivare a proiettare su di loro le nostre paure. Ma in realtà ciò che è determinante è solo ciò che noi decidiamo, ciò che crediamo sia giusto, fintanto che riusciamo a non mentire a noi stessi. E se non è una scommessa questa...