The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Imbolc 2012

Imbolc 2012

I walk a lonely road
The only one that I have ever known
Don't know where it goes
But it's home to me and I walk alone


Fioccavano cartoline curiose, come curve sul bagnato. Il mio collega è convinto fermamente che quello passato sarà il nostro ultimo natale. Lo dice scherzando, ma insiste troppo su questa cosa perché non si notino i segni nei suoi occhi. Che curioso peso che hanno le leggende per la gente comune. Alla fine lo scetticismo ha sempre quella punta di dubbio e noi ci gettiamo alle spalle queste cose solo per trovare il coraggio di non crederci.
Come fioccavano. Sì. Parevano lucciole. Che posto dannato. Rami e fronde intricate come dita scheletriche mi facevano da sipario. Oltre solo candele e due ombre ad attendermi. Qualcosa mi ha afferrato appena entrato sotto l'arco dei suoi deboli confini. Ho impiegato quasi due minuti per districarmi senza strapparmi. Sotto i miei piedi croccavano le foglie, come gusci di chiocciole. Ero come pronto alla nascita di un dio stesso. Il plenilunio gettava una luce spettrale sulle forme, sulla cupola come un dolce seno che puntava al cielo. Dormienti li sentivi correre, intorno, ovunque. E mi chiedo se potessi realmente scegliere.
Il gelo mi si arrampicava lungo la colonna vertebrale come la mano della seconda madre di Coraline, uno dopo l'altro, solo cuciture spesse come suturazioni, ricordi, tatuaggi, cicatrici. Mi sono sempre tracciato la via, come se fossiSayuri Nitta, la geisha del romanzo di Golden: Mia madre diceva sempre che mia sorella Satsu era come il legno, radicata al terreno come un albero sakura. Ma a me diceva che ero come l'acqua, l'acqua si scava la strada attraverso la pietra, e quando è intrappolata, l'acqua si crea un nuovo varco. Per dieci solstizi invernali ho atteso, nel tempo e nello spazio, costruendo e scavando, moltiplicando volti da collezionare nella mia galleria, accumulando libri, pagine, parole. Molte opportunità di dire sono sfuggite come l'ombra della notte al mattino, altre si sono presentate e le ho colte, senza fermarmi a pensarci. Sì perché infine me lo chiedo se potessi veramente scegliere o se la scelta non c'era in realtà perché escludevo a priori alcune cose per motivi diversi. Quando ci troviamo davanti a due scelte è perché come un occhio di bue rimangono illuminate occultando le altre nel buio, ma in realtà ci sono. Ci sono sempre. Che cosa ci frena? Il dovere? Forse. Quante volte mi sono lasciato fottere dal dovere, come una stella che brillava sempre e sempre sopra di me. Devo riconoscerlo. Randagio o non randagio io adoro dormire abbracciato a te. Perché alcune persone diventano questo, sono come il punto caldo e sicuro dove Polpetta si va a sdraiare in inverno, quella piccola dolce sicurezza di conforto. Sta a noi permettere loro di diventarlo se lo desideriamo, se hanno la capacità di trovarsi il loro piccolo rifugio.
Quindi ho fatto dei passi avanti, e le fronde erano silenziose intorno a me. Alla luce tremolante parevano teschi ghignanti. In un'altra situazione una nervosa risata mi sarebbe salita alle labbra, ma in quel momento non avrei riso finanche mi fossi trovato di fronte Marty Feldman in persona a chiedermi a quale gobba mi riferissi. Una sensazione di prontezza e determinazione mi riempiva ogni singolo poro. E non era la stessa che ho provato la prima volta, nudo davanti al fuoco, mentre il vento gelido sigillava e i rapaci notturni mi facevano capire che c'era un significato che avrei capito più avanti, nel tempo. Non è stata la stessa cosa. Allora ero come la nota portante di un accordo maggiore. Sentivo quei tasti neri dentro me suonare a ricordarmi in ogni istante a chi appartenevo, al potere ancestrale che riconosco senza abbassare il capo, senza inginocchiarmi, ma ben retto e a testa alta, occhi dentro occhi. Adesso sentivo finalmente quell'accordo colmarsi e la nota centrale cambiare, abbassarsi di quel semitono, perché suonare sui maggiori, come diceva il mio maestro, è sempre facile... sono i minori la vera sfida. E la conoscenza arriva solo con l'esplorazione senza timore dei più profondi recessi e questa esplorazione consapevole arriva solamente con l'età. Oh sì. Gli anni come macigni ti trascinano a fondo negli abissi, ma tenendo sempre il contatto con la superficie. La consapevolezza dell'equilibrio è stare nel mezzo.
Le luci baluginavano quando mi sono presentato. La porta per me era aperta. Quel caldo tiepido all'interno ergeva a baluardo, come un caldo e dolce focolare che brucia ciocchi nell'angolo mandando aroma spaziato di resina e che ti invita a farti avanti e assaggiare una calda zuppa di miso. Sì. Quando hai chiamato il mio nome mi sono sentito liberato, come il mondo. Ma io questa volta non ho provato alcuna paura. Non mi sono nascosto in nessuna nuvola, o fiore o uomo. Sono rimasto lì, fermo, e ho atteso i richiami, uno dopo l'altro. Coltello piantato nella terra, prima le femmine e poi i maschi. In cerchio, uno dopo l'altro. C'erano tutti quanti. Questa evidenza era innegabile. Sì che potevo scegliere, mi dico. Certo. Quando è stato il momento di dare il sommo omaggio a Keating, il signor Anderson poteva anche starsene seduto, ammutolito e piagnucolante invece di salire per primo sul banco e dopo di lui il signor Overstreet e poi Meeks, Pitts, Hopkins e altri. Invece ha scelto di salire. La storia beh, non ci narra se poi gli dei hanno deciso di aiutarlo nella sua sfida ma ci fa capire che ha scelto di onorare chi ha insegnato a lui nel modo che sapeva. Diciamo che forse non sempre gli dei ci premiano per aver saputo scegliere, quanto meno non nel modo in cui ci aspettiamo di ricevere un premio. Ma fa parte del crescere il non capire subito il perché alcune cose ci capitano in un certo modo. Come dice Morgan, svicolarsi dalle convinzioni, dalle pose e dalle posizioni. Ma non è sempre così, nel senso, lo dobbiamo un po' anche a noi stessi. Quando la neve scende, fitta, in quel gelo mortale che ti afferra lo stomaco con artigli di corvo lei non si chiede perché non esistono due fiocchi uguali. Ma nelle infinte probabilità del mondo l'impossibile diventa probabile e quindi qualsiasi assioma, per assurdo e inconcepibile che possiamo ritenere sia, comincia a manifestarsi. Chi lo avrebbe mai detto, in fin dei conti. Ho applicato anche io alla mia vita quei puntini di sospensione che non ritenevo di poter mai riconoscere come parte di me. L'uomo si adatta a tutto. Se ho saputo accettare di aver perduto durante il primo trasloco della mia vita uno scatolone di libri, quello contenente gli autori greci e latini (e vi assicuro che è dura tuttora pensarci quando devo consultarli e non li ho), allora credetemi sulla parola che potrei abituarmi anche a fiocchi di neve tutti uguali, a gatti che non si fanno le unghie sui miei mobili, a una comunità pagana priva di quei dubbi elementi gossip che dopo un po' rompono anche un po' il cazzo, alla sofferenza non più come misura dell'amore, ad una lavatrice che stenda la biancheria, ad una macchina che non ha bisogno di benzina, a piante che possano crescere anche sul mio balcone.
Oh, come baluginavano quei nomi, uno dopo l'altro, snocciolati, come aria tagliata a fette. Non sono infiniti i tasti del pianoforte, sono solo ottantotto, ma la musica che puoi suonare è infinita. E quindi nomi che non erano nomi per le molteplici combinazioni di aspetti. Erano volti che non erano volti. I miei minori e i miei maggiori, madri e padri di tutti i miei accordi. Sono entrato senza alcuna paura. Spiriti dormivano, prossimi a svegliarsi, il sonno del tempo che non passa. A volte semplicemente si spostano i nomi e gli indirizzi ma non gli abitanti. Quelli sono rimasti dov'erano. Dopotutto chi se ne sarebbe più preoccupato? Ma è questo che deve essere. Sull'orlo dell'abisso, là dove una corda è sospesa nel mezzo mi avete indicato la via con un dito puntato e con precisi ordini. E così ho guardato, avido, là, nell'oscurità più buia, dove niente che vivo attende dormendo si risveglia se non nella sua forma primeva. Qualsiasi sia la via, qualsiasi sia il cammino, qualsiasi sia il motivo, dobbiamo camminare da soli. Alcune cose funzionano così e basta.
In altri momenti, in altre vite, sarei rimasto davvero placido mentre ricevevo visite tutto intorno? Li sentivo camminare sul confine, con lo zampettio rapido e scalzo di chi sa che può desiderare di non essere udito ma che si fa sentire per farti capire senza ombra alcuna di dubbio che è lì, acquattato. Nemmeno per un momento, e lo dico con assoluta sincerità, ho provato paura. Nemmeno per un momento. Ed è una di quelle cose inspiegabili che fanno parte della stregoneria.
Non è nella verità che a volte si nasconde la virtù, come non lo è nemmeno nella menzogna. È solo la codardia ad essere vile. Quanto è strano camminare e sapere che sprofonderai ma dover comunque andare avanti. E non perché è il tuo compito, ma perché è quello che sai che devi fare e nel farlo si nasconde infine anche il segreto stesso, eclissato, della tua crescita, del tuo evolvere. Quali sono in fin dei conti i motivi che ti spingono a proseguire quando capisci che non lo fai per te stesso e non lo fai per gli altri? Ricordo come gettavo quelle erbe sui nonni incandescenti e nella profonda oscurità rischiarata solo dal tenue bagliore di quelle rocce rosse di calore il loro odore si alzava a pizzicarmi il naso. C'è un momento in cui si crede di non riuscire più a respirare, mi è stato detto, ma il segreto di questa cosa è solo continuare a respirare. Perché lo facciamo allora, con canti e tamburi e desideri e fuochi? Non siamo ciò che eravamo, né siamo ciò che saremo. Siamo solo ciò che siamo. Non credo di più di questo. Eppure ogni cosa è solo l'ombra della luce, come dice il vecchio Franco, sia la vibrante intesa di tutti i sensi in festa, sia la pace che si sente in certi monasteri.
E nelle tenebre oscure c'erano prove da superare. Ero sospeso sopra un abisso dagli occhi spalancati ed avevo la sensazione di essere senza pareti, privo di sostanza, come trasparente. Rivelato il sapore, l'odore, la sostanza, il bisogno. Ruotavano come fiori di sicomoro, ed i miei respiri erano come i sassi in uno stagno, continui cerchi concentrici che si allargavano ad increspare la superficie. A volte credevo che assurdamente avrei anche potuto dimenticarmi di respirare, di sbattere le palpebre, di far battere il cuore. L'amore sotto il dominio della volontà; il controllo completo di ogni stimolo, sensazione, emozione. Senza lasciarsi andare mai, palombari in esplorazione di un mondo sommerso, spinti sempre verso il basso da una corrente sconosciuta alla quale non possiamo opporci, con la quale non possiamo combattere, come nel racconto "Il Tempio" di Lovecraft.
Perché abbiamo bisogno di questo? Forse è davvero grande l'illusione di essere importanti. O forse lo è ancora di più il credere di non esserlo davvero. Come stami di un sogno fatto senza mai chiudere gli occhi ma senza desiderare mai di svegliarsi se posso poggiare la testa sul tuo seno e riposare. Cos'è questo odore che ci sentiamo addosso, un po' nel bisogno di urlare, un po' nel bisogno di credere che non sia mai troppo tardi per essere ciò che desideriamo essere, di non abbandonare mai la forza di andare? Quel gelo che mi entrava nelle dita dei piedi, minacciandomi con morsi e risate sardoniche, quel buio soverchiante combattuto dall'ultimo bastione delle candele, quelle fronde che si muovevano lentamente come fumi di grasso incenso; tutto mi faceva capire che non ero certamente il benvenuto in quel luogo. Ero forse la fiamma che brucia solitaria nel mezzo della tormenta, sciogliendo la neve e il ghiaccio intorno, come i sogni in fondo al pianto. Questo è il sempiterno vivere. Nei sogni il pianto, nel riso il ricordo. Io ho lasciato un segno. Ero forse quella torcia inestinguibile che brucia sempre e sempre senza spegnersi mai. Ma perché? Io non ho avuto alcuna paura. Non ho esitato nemmeno per un istante di fronte a quello che stavo affrontando. E ok, avevo quel pezzo di legno sotto il sedere che ad un certo punto ho dovuto togliere perché cominciava a diventare fastidioso e che è venuto a casa con me a memoria, ma la paura non mi ha mai sfiorato. E allora mi domando, ma sono davvero come Todd Anderson? Salgo sul banco in piedi citando Whitman perché ritengo che Orazio avesse ragione? In un certo qual modo sì. E poi loro fioccavano, come coriandoli, portati dal vento. E ci ritroveremo ancora a vagare, forse, come delle bottiglie tra i flutti. E tutto per portare un messaggio, per confrontare un'opinione diversa, per ricercare un diverso aspetto della verità, nelle sue molteplici varianti, come la musica che puoi ottenere dagli ottantotto tasti del pianoforte. Sempre che non ti siedi sul seggiolino sbagliato, ovvio.
E poi le ombre sono tornate, hanno aperto la porta e mi hanno posto quesiti. Non sapevo se potevo rispondere. Alcune cose no, di sicuro. Nemmeno a loro. Dodici erano a riprova e testimonianza e io ero lì, innanzi. Ma c'erano anche prima ed erano a conoscenza di ogni singolo segreto del mio cuore, anche quelli che io non volevo rivelare nemmeno a me stesso, anche quelli che, quando li nomino pensandoli, lo faccio sussurrando. Intorno c'erano solo candele e foglie e buio e rami di alberi e sorrisi di teschi. Niente più che questo e la cupola verso il cielo ciclope d'argento. Che andavo cercando in fondo? Lo avevo sempre saputo. Lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. Quello che rimane è lo scorrere e i segni che noi lasciamo in quelle che sono per noi cascate ghiacciate, scolpendole di parole e sogni, come lunghi tagli e cicatrici. Ma emergono dal profondo, con pallide mani e gelide braccia. Lo sai che significa vero? Quanto può essere caldo un sorriso per un dono fatto col cuore. Perché a volte siamo lidi per qualcuno che possa fermarsi nel suo lento navigare senza meta lungo le onde del cuore e a volte invece siamo baratri insondabili dove la discesa è difficoltosa, ma va fatta a mani nude, senza alcun aiuto. Che differenza corre infine tra colui che intrepido affronta il destino che gli è avverso e chi si crea questo destino da solo a forma, misura e sostanza di ciò che è e che deve affrontare? Non sono forse sempre le nostre scelte a determinare ciò che siamo? Sempre e solo le nostre scelte.
Ho taciuto mentre la notte ululava intorno a me, pressante come una coperta fredda; non ho emesso un suono. Non lo avrei voluto diverso, come sempre. Nemmeno questa volta. Non sono stato il primo e non sarò l'ultimo. Dopo di me altri, come radici da radici. Dopotutto le scelte sono il senso stesso del vivere. E come dice Edgar Lee Masters: dare un senso alla vita può condurre a follia, ma una vita senza senso è la tortura dell'inquietudine e del vano desiderio: è una nave che desidera il mare ardentemente ma lo teme.
Forse che l'amore è un dono, o un rispettoso inchino che il senso di questa vita fa a se stesso. Dono sì. Ma non riceverlo, bensì avere la splendida e unica possibilità di darlo. Perché l'amore è così: ha questa doppia capacità. Può renderti estremamente felice se hai la fortuna di condividerlo con qualcuno, ma è capace di avvelenarti e inaridirti dentro e farti sentire solo al mondo, anche quando sei circondato da centinaia di persone, se non hai nessuno a cui darlo.
Grazie ragazzi.

V.