The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Litha 2006

Litha 2006

Avevo preparato un bell'editoriale di quelli classici, questo mese. Lo avevo pronto da marzo... dopotutto capita così con gli editoriali, devi scriverli in anticipo. Poi magari ti ritrovi a dover decidere che cosa mettere on line una settimana prima, ma l'editoriale, no... quello va preparato prima.
Poi, ieri sera, io e la mia Principessa andiamo a vedere un'opera teatrale di due amici. Io l'ho già vista e volevo che la vedesse anche lei. La nonna ci tiene Morgan fino a quando non torniamo a casa, dandoci il respiro per annusare la bellezza della rappresentazione. È un'ispirazione all'ultima opera di Sarah Kane: Psychosis 4.48, recitata da due ragazzi, Simone e Simona, che sono fidanzati, oltre che nella vita, nel nome, anche nell'opera. Una rappresentazione che trasuda disperazione.
Si tiene in un locale a Sesto, paese incollato a Milano, dove condivido la mia vita con la mia famiglia. Solitamente non è aperto di martedì, ma ieri fa un'eccezione per loro. Un'eccezione che mi permette di risentire nuovamente quelle sensazioni raggelanti ma nello stesso tempo calde, bollenti.
Ci sono opere d'arte che ti segnano in fondo. È un dato di fatto per molti. Opere d'arte che segnano chi le scrive, chi le vive… e anche chi le vede. Credo che "Anatema", l'estratto rappresentato da quei due eccezionali attori, sia una di queste. Ieri ero seduto lì, e loro mi recitavano intorno... ma era come se volassi in cerchio, come un avvoltoio che sta solo attendendo che il pasto decida di schiattare. Dietro le pieghe di quell'opera non c'era solo la disperazione di un'autrice che si è suicidata dopo averlo scritto… di più, c'era la disperazione di chi era capace di farti capire, recitandoti una parte, che è tutto lì, dentro ognuno di noi.
Mi facevano male le mani, quando ho finito di applaudire, i palmi mi parevano sanguinare. Lo scroscio delle ovazioni era così intenso che mi pareva strano vedere solamente una ciurma di tre dozzine di persone sedute, poco più. Mentre il suono si faceva altalenante, e loro ringraziavano, mi sembrava di essere ubriaco.
È difficile, vedete, stare dalla parte opposta degli applausi, e capire se la gente che ti fa i complimenti, lo fa senza falsità. Nella mia vita ho stretto tante mani quando ho finito di cantare, ricevuto tanti incoraggiamenti, elogi... ma mi capita spesso di chiedermi se fossero davvero sinceri. Forse preferisco, talvolta, che chi sente inizi ad ascoltare, e chi vede cominci a guardare. Io ieri sera sento di aver visto e ascoltato... ma più profondamente, sento di essere rimasto segnato, in fondo. Non solo dalle parole... quelle sì, erano forti, mirate. Ma dai simboli, dal significato. Ad un tratto mi sono reso conto che forse non volevo far loro complimenti, perché temevo che credessero che fossero falsi. Quante volte ho sentito gente che saliva su un palco senza, in teoria, esserne pronto, e vederli ricevere applausi e congratulazioni false.
E sapete perché mi incazzo? perché vedo che per portare in giro la verità, si fa così fatica... non perché non ci siano persone che non abbiano voglia di sentirla, ma perché ci sono pochi che desiderano raccontarla. Così, quando ci si ritrova davanti a qualcuno che la verità te la sbatte in faccia senza mettersi a scherzare, e lo fa con un coltello in mano, tu ne rimani segnato. Il che, credo, sia una cosa più che normale e del tutto sana, se conosci il mondo in cui vivi. Dopotutto rimani segnato e colpito se conosci... quando qualcuno ti descrive un sentimento che ignori totalmente, quale potrebbe essere la reazione se non un'alzata di spalle?
Così cogli i simboli... quelli che stanno oltre le parole. Entrambi vestiti di nero, un tavolo bianco e una striscia di stoffa lunga quattro metri, anch'essa bianca. Lo sbalzo tra i giochi e le botte, gli insulti e le parole d'amore, per cadere nell'indifferenza che porta, infine, alla morte. E nella morte, ecco che lei si sveste, togliendo gli abiti neri, indossando il bianco. I suoi gesti e le sue parole si fanno più pacifici... e in ultimo rimane solo quella striscia di stoffa, appesa dal personaggio maschile al soffitto, e ridotta ad un cappio che dondola; bianco esso stesso.
Ecco che cosa rimane, alla fine di uno spettacolo... le briciole di ciò che ti pare di aver capito, di ciò che hai sentito, di ciò che ti ha lasciato dentro, come residui del passaggio di una cometa nel corso della storia. Devi attenderne il ritorno perché tu possa colmare i buchi, come crateri.
Credo di aver trattenuto a stento il magone nello stomaco, ricacciandolo indietro a pugni e calci quando si è arrivati all'epifania dello spettacolo; lei in piedi, si guarda in giro, poi, con voce calma, calcolata: "Cavatemi gli occhi. Strappatemi i capelli. Mozzatemi gli arti... ma non toglietemi l'amore."
Avete mai la sensazione, pura e incontaminata, che qualcuno canti o reciti solo per te? Per dirti quello che già sai, ma che hai bisogno di sentirti dire. È strano come nella vita sia così difficile trovare qualcuno che ti dica cose scontate quando ne hai bisogno. Non importa quanto tu ti possa sentire vicino ad un'opera o ad una canzone. Ci sono parole che, anche se indirettamente, sono sempre per te; ti parlano, ti accarezzano, ti feriscono. E tu ne senti comunque il bisogno, sempre e sempre. E non è desiderio di sofferenza quello che chiama, non è, come dice Ligabue la "voglia di stare male". È il bisogno di sapere che, da qualche parte, in questo pazzo e sconfinato mondo, c'è qualcuno che, anche senza conoscerti, ti capisce. Anche se non ti apri come un libro di preghiere, un dizionario, un database indicizzato... sa sempre cogliere le sfumature che ti rendono umano/vivo/unico. Qualcuno che parla di te, con te, a te... senza guardare dalla tua parte, senza sapere che esisti.
Non esiste al mondo... niente di più straziante dell'arte. Perché capirla non è possibile... senza rischiare di impazzire, totalmente, e sprofondare là dove qualcuno può vederti, sentirti ma non ti può cogliere mai.
Non vorrei vivere così... se ci penso... ma mi rendo conto che morire d'arte è l'unica via che conosco e che riesco a percorrere a testa alta, piangendo quando ne ho voglia, senza vergognarmi mai. Grazie Simona, grazie Simone, grazie Gaia, grazie Sarah. Mi avete regalato momenti e ferite che, sanguinando, mi fanno stare meglio.

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