The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Lughnasadh 2008

Lammas 2008

Ricevere mail mi fa spesso riflettere. Ultimamente mi ha scritto una persona che mi ha posto alcuni quesiti su cui ho speso del tempo, pensando. Mi chiedeva di spiegargli il divino in cui crediamo, il percorso che seguiamo... non in quanto dogma della wicca. Così ho deciso di rispondergli qui; in questo modo altre persone che avevano desiderio di farmi questa domanda, ma che per motivi vari non ne avevano il coraggio, potranno leggere come la penso. Il fatto è che quando parli con persone che si avvicinano alla wicca per pura curiosità, sei costretto quasi sempre a difendere subito il primo argomento che viene fuori: non siamo una setta, non abbiamo bisogno di luoghi di culto o di persone che ci guidino spiritualmente ecc... Questo perché ognuno di noi segue un percorso spirituale a se stante, senza che venga interferito da quello delle altre persone. Anche nell'eventualità che si decida di ritualizzare insieme o di proseguire nel cammino con alcune persone, nessuno di noi perde mai di vista il fatto che il cammino è comunque solitario. Mi rendo conto che talvolta, mettere subito le cose in chiaro così, senza attendere altro, potrebbe spiazzare qualcuno o apparire come un moto aggressivo. Non è così. È solo che troppe volte in passato siamo stati misurati con metri di giudizio non adatti; è un po' come dire che, dato che sulla terra ogni creatura vivente si basa sul carbonio, ovunque nell'universo è per forza così. È il parametro umano: fa fatica a discostarsi da ciò che conosce.
Vedi, percorrere un cammino è come essere innamorati. Nessuno di noi, al mondo, potrà mai sapere esattamente che cosa sia l'amore. So che sembra un paradosso, ma se mi seguirai nel discorso capirai che ho ragione. Anche l'amore è un punto di vista. Anzi, forse più di ogni altra cosa. L'unica via che abbiamo per capire che esiste, è dimostrarlo tramite gesti, azioni e parole. Non conosciamo altre vie. Non ne esistono; quanto meno su questo piano evolutivo di esistenza. Il problema qual è? La dimostrazione scientifica dell'amore. Ipoteticamente tu potresti dirmi che sai di amare, e io ti direi la stessa cosa. Ma come possiamo mettere i nostri sentimenti a confronto, se ognuno di noi li prova in modo unico e confidenziale? Possiamo descrivere le sensazioni che ci danno, dimostrarli in uno dei modi che ti dicevo... ma non potremo mai sapere se questi sentimenti sono seppur simili a quelli delle altre persone.Una via spirituale è proprio come l'amore. Nessuno ti potrà mai dire se sei sul cammino o meno. Lo devi sapere tu. Nessuno potrà mai piazzarti sul cammino. Lo devi trovare da solo. Nello stesso modo, nessuno può insegnare, veramente, ad amare una persona. L'unico modo è amare quella persona nel miglior modo che conosciamo e dimostrarglielo con i nostri mezzi ogni giorno. Prima o poi, seminando amore, qualcosa crescerà.
Come wiccan, noi riconosciamo e adoriamo due entità differenti, due energie diverse. Per comodità, ma è una cosa che ogni religione fa, ci rivolgiamo a loro come Padre e Madre. Niente più che questo. I molteplici nomi sono solo svariate sfumature di ogni loro manifestazione, ma credimi... ha tutto molta poca importanza. È un po' come essere davanti a diversi gusti di gelato. Alla base solo questo: un principio energetico femminile: la Dea; un principio energetico maschile: il Dio. Queste due energie, in dosi diverse, riteniamo siano dentro ognuno di noi. Non abbiamo quindi bisogno di cercare il nostro dio dietro coltri di nubi, e sentirci abbandonati qui. Una particella divina è dentro ognuno di noi. E questa particella divina viene riconosciuta da ogni cultura. È quella stessa cosa che distingue la lucentezza negli occhi di un uomo vivo dal vitreo sguardo di un cadavere. Un uomo appena morto non ha alcuna differenza, in termini biologici, da uno vivo. Il suo sangue è ancora fluido, i suoi tessuti sono ancora ossigenati, gli organi interni ancora in perfetta salute, i suoi tendini sono ancora elastici, i neuroni nel cervello ancora pronti a funzionare. Tant'é vero che se ne hai i mezzi puoi riportarlo alla vita nei minuti subito seguenti il decesso. Ma se hai avuto la disgrazia, una volta nella vita, di vedere un uomo appena morto, ti sarai reso conto di una cosa fondamentale: nei suoi occhi (specchio veritiero dell'anima, lo chiamava Erasmo da Rotterdam) qualcosa è cambiato. Nel corso del tempo diverse religioni, etnie, tradizioni... hanno chiamato questa cosa in maniera diversa, ma da che mondo e mondo, tutti quanti riconoscono che c'è.
Gli scienziati stessi, se comunque interrogati e scettici, non riconoscono la sua esistenza in termini fisico-biologici. Nessuno può dimostrarla, ma quella scintilla c'è.
Come potrebbe un cuore, altrimenti, che smette di battere e che riprende solo grazie ad una scarica elettrica, permettere ad una persona di passare dallo stato di "morte clinica" allo stato di "vita"?
Quella scintilla esiste.
Alcuni la chiamano anima, intelligenza, spirito, coscienza, alcuni credono che diventi un kami, che si reincarni, che finisca in altri piani... le vie sono molteplici. Una volta, pensa, Cartesio sosteneva che l'anima si trovasse nella ghiandola pineale, e credo che, paradossalmente, l'ipotesi non sia stata smentita ufficialmente fino agli anni '70, quando quella ghiandola è stata studiata come si deve.
Nessuno, al mondo, indipendentemente dalla religione o dall'educazione ricevuta, ritiene che la nostra vita abbia inizio e termine con la nostra nascita e la nostra morte. Che lo ammetta pubblicamente oppure no. Un po' ci aspettiamo qualcosa da questo grande spettacolo... un po' lo speriamo, un po' ne abbiamo paura, anche. Qualsiasi sia il motivo che ci spinge a rifletterci, ritengo che siano poche le persone che abbiano il coraggio di affermare che tutto ciò che siamo, ma proprio tutto quanto, sia strettamente relegato alla nostra forma fisica e al disfacimento del nostro corpo, alla sua fragilità.
Questo, per alcune tradizioni, vale anche per gli animali, invece per altre (vedi il cattolicesimo) no. Se così fosse, allora sarebbe solo coscienza. Coscienza legata alla moralità e all'intelligenza. Un insetto quindi non è vivo, perché è dominato solo ed esclusivamente dall'istinto della sua specie e da niente altro: niente rimorsi, niente sentimenti, niente desideri, aspirazioni, sogni, coscienza o moralità. Solo istinti. Eppure, un insetto è vivo. In qualche modo, anche una farfalla ha un ciclo vitale, perché può vivere e morire, come una pianta, un seme, un essere unicellulare.
Come possiamo quindi affermare che ci sia una differenza? La vita è vita. Non fa distinzioni. È la complessità dell'intelligenza che porta alle emozioni e ai sentimenti.
Un'ape regina depone migliaia di uova che diventano pupe e, a seconda della dieta, prendono il loro posto nella piramide della loro società. Non si cura, però, di loro. Il suo dovere è depositare uova. Altri si occuperanno della loro sopravvivenza.
Una gatta, invece, mette al mondo sette gattini e ne ha cura. Piangerà se glieli porti via, li difenderà e lotterà per le loro vite finché non saranno in grado di cavarsela da soli, ma comunque, ne conserverà il patrimonio affettivo difendendoli anche quando saranno adulti, se vivrà con loro, nell'ambito territoriale. Un cane, riconosciuto un branco, difenderà i suoi appartenenti dai nemici come se fossero suoi fratelli, figli, genitori... (poi crediamo che la loro fedeltà derivi dal fatto che ci considerino loro padroni, ma la realtà è un'altra: per loro siamo i capibranco e ci rispettano come tali).
Il comportamento rituale, sociale, è identico per tutti gli animali, l'uomo compreso. Questo che cosa ci porta a capire?
Che tutto, in questo universo si basa su un semplice gioco: vita e morte. Ogni creatura che sia vivente, dalla più infima alla più complessa, vive e muore. Non c'è niente, né in cielo e in terra, che possa cambiare questa realtà. Una cosa vive, una cosa muore. Anche gli animali sanno che è così. Anche gli animali soffrono della perdita. La dimensione della perdita e della relativa sofferenza che essa porta vanno di pari passo con l'intelligenza dell'animale che la prova. Un riccio marino feconda le uova della femmina e poi se ne va per la sua strada; il lupo, invece, rimane a fianco della compagna per tutta la vita. L'intelligenza diversa, anche se basata su istinti, varia l'accettazione delle diverse nature della vita.
La domanda che tutti ci facciamo da sempre, per lo meno noi esseri umani, non si basa sull'accettazione o meno di questa verità universale. Si basa solo sul PERCHÈ di questa verità universale. Si radica nella ricerca dello scopo.
Vuoi la risposta scientifica? È semplicissima. Se vai al liceo scientifico te la insegnano al primo anno, proprio dopo aver imparato che l'etimologia di "mutande" giunge dal fatto che devi cambiarle spesso. Viviamo per evolverci e riprodurci. Ogni singola fibra del nostro corpo chiama a questo; poi noi preferiamo vederci dietro romanticismo, teologia, psicologia, filosofia... e chi più logòs abbia più ne metta. Ma lo spermatozoo che nasce killer, diventa fecondatore e muore bloccante, sa bene quale è il suo ruolo. Non si chiede altro che fare quello che è nato per fare, sia che sia portatore di gene Y o X. E noi stessi, denudati della nostra cultura, del nostro pensiero, della nostra morale, di tutto ciò che ci fa da corollario... noi stessi non facciamo altro che fare ciò per cui siamo nati: riprodurci ed evolverci.
Ovvio che il nostro pensiero va oltre. Ci imponiamo di credere che non sia tutto qui, che se per un caso fortuito nelle miliardi di ipotesi e possibilità, siamo stati noi a prendere il sopravvento sul pianeta e nel nostro sistema solare, allora lo scopo deve essere superiore, divino, arrogantemente invidiabile da tutti gli altri esseri che popolano il pianeta. Non ci sfiora il pensiero che sia stato solo un caso, e che il moto della vita è questo: situazione perfetta, luogo perfetto, momento perfetto. Dobbiamo per forza credere che sia stata una natura aliena a incubarci e farci crescere come animali in cattività, o come il prometeo moderno di Milton: "siamo stati innalzati dalle tenebre". Non riusciamo a credere invece che, nelle miliardi di miliardi di combinazioni possibili nell'universo, noi siamo stati una combinazione riuscita... E che nelle stesse miliardi di miliardi di combinazioni possibili, ci siano state anche solo un'altra manciata di combinazioni riuscite, magari non uguali alla nostra, ma esistenti.
L'uomo è arrogante, caro mio. Di un'arroganza spropositata. Arrogante e superbo. Crede di sapere e di poter prendere le misure del mondo solo osservando un granello di sabbia. Quello che fa la scienza è questo. Di quel granello di sabbia pensa di sapere tutto solo perché ha passato secoli a rigirarselo tra le dita, e solo perché ha fatto ipotesi che nessuno ha potuto smentire. Oh certo, magari qualche piccolo mistero lo ha anche risolto... ma il resto? Dico... tutto il resto? Quando avrai studiato quel granello di sabbia così tanto da poterne disegnare ogni singola venatura, incavo, grezzo taglio... quando ti sarai spiegato il come e il dove e il quando... (e magari il perché... ma quello è sempre un dubbio) che ne saprai dei restanti miliardi di miliardi di granelli che ci sono su una spiaggia? E del mare che li ha trasportati? del vento che li ha sollevati? del sole che li ha cotti? del bambino che vi ha costruito castelli?
Niente. Perché non hai saputo aprire la mente a quello che c'è intorno, troppo occupato a guardare quel singolo granello.
Seguire un percorso spirituale non è alzarsi alla mattina e capire il mondo. È alzarsi alla mattina e decidere che si vuole fare parte del mondo, senza necessariamente capirlo. Noi non pretendiamo di sapere la verità, perché la verità non esiste (e che Chris Carter mi perdoni la citazione). Noi non pretendiamo nemmeno di capire i sentimenti come l'amore e l'odio, o le emozioni come la tristezza e la gioia. Sappiamo che ci sono, sappiamo che ci provocano delle emozioni, delle reazioni fisiche, chimiche, biologiche... E come noi, centinaia di migliaia di persone fanno lo stesso, da un capo all'altro del mondo. A volte ci dimentichiamo di ciò che facciamo, perché lo facciamo... la vita è questa. Ma quando depositiamo i nostri panni, ci togliamo questa maschera così pesante... allora, sotto la pelle, viene fuori ciò che siamo realmente: persone che cercano di allontanare il granello di sabbia e guardare ciò che vi è intorno. Senza pretendere di capire perché, o come funziona, ma solo rimirare il fatto che c'è, e che quel granello di sabbia, per quanto immenso nel suo esistere, non è più che un millesimo di millesimo dello schema generale. Alla cui base ci sono la vita e la morte.
Sono le uniche cose certe; ogni altra cosa è variabile. Sapendo che ci sono le adoriamo e le esaltiamo, accettandole come parte dello schema, senza disconoscerne la grandezza ma onorandone l'alternarsi, senza incentrare il tutto su ciò che siamo ora, ma aprendoci al nostro divenire domani in relazione a ciò che siamo ora. Non è tutto logico e normale?
E Dio?, mi sento chiedere. Non credi un che ci sia un'unica entità universale? Oh sì. Ma non è il nome con cui tu chiami una cosa che ne rispecchia il vero potere. Riflettici. Se vai in Inghilterra e in America, nonostante parlino la stessa lingua, chiamano le stesse cose in maniera diversa. Non hai però bisogno di essere schiavo del modo in cui chiami una cosa per usarla a tuo beneficio o riconoscerla in mezzo ad altre. Non è la stessa cosa con il divino? Siamo davvero così folli da giungere a pensare che ci basta uccidere come dei e avere l'arroganza degli dei per essere degli dei? E siamo così arroganti e stupidi da pensare che se un dio o una dea, o chissà che altro esistano veramente, si preoccupino di ogni singolo pensiero di ogni singolo essere umano o del modo in cui quel singolo si rivolge a loro, come li chiama, li apostrofa, come li immagina... al punto da condizionare su questi punti l'intera esistenza della razza umana su questo pianeta? Non ti sembra un capriccio molto poco "divino" da parte di una creatura immortale, onniscente, onnipresente... da chi ha la capacità di stabilire, mediante "il verbo", che cosa è e che cosa non è e valutarne con anticipo millenario il suo evolversi, per poi decidere in un singolo istante se quella cosa sarà o meno, sentenziare e giudicare le azioni di un mortale, la cui insignificante vita è di lunghezza media pari ad un quarto di quella di un vegetale e la cui violenza e crudeltà, (instrinseca nella stessa natura che LUI/LEI ha creato a sua immagine e somiglianza) è superiore a qualsiasi altra creatura vivente sulla faccia della terra, e la cui arroganza (immensa e sterminata) lo caratterizza al punto da sentenziare lui stesso su chi, della sua stessa specie, deve morire o vivere in base al proprio "libero arbitrio"? Non ti pare assurdo che un dio, in quanto tale, si preoccupi delle azioni del buono o del cattivo (in base al nostro metro di giudizio) che vivono ora e che domani, indipendentemente dalle loro azioni scellerate o altruistiche, saranno comunque smontati nel loro esistere per tornare ad essere cibo per le creature che ritenevano inferiori a loro stessi? O c'è una perversa ironia nel suo disegno... oppure, semplicemente... gli dei sono forze che non si curano di ciò che facciamo nel nostro esistere, ma che, in esclusiva... mantengono l'equilibrio di ogni cosa.
Ecco che a questo punto... il leone che uccide il cucciolo di gazzella, per quanto possa apparirci crudele... non è crudeltà, ma natura, sopravvivenza... Equilibrio.
E noi, che continuiamo sulla strada della violenza, della distruzione, dell'intestardirci sull'avarizia delle cose effimere... portiamo un grande squilibrio nello scorrere delle cose. E prima o poi, quell'equilibrio cosmico si ristabilirà, a discapito di chi, in questo caso gli esseri umani, l'hanno alterato. È sempre capitato così, nel corso del tempo. Capiterà ancora così.
E anche se ci sembrerà terribile, angosciante, ingiusto... tutto ritorna alla stessa parola "Equilibrio". Ecco che cosa adoriamo noi. L'Equilibrio delle cose. La morte e la vita, il buio e la luce. Non c'è uno se non c'è quell'altro. Queste stesse cose, vengono adorate da tutte le religioni del mondo, anche se la maggior parte dei loro esponenti sono così ciechi che sarebbero ben contenti di dire che sono un pazzo ad affermare queste cose. La differenza, è come sempre, il nome cui noi diamo alle loro manifestazioni e il modo in cui noi abbiamo deciso che è giusto adorarle. Il resto sono patatine e ketchup. Se prendiamo ogni singola parabola cristiana o se prendiamo il corano, i due più noti tomi religiosi di questi tempi, entrambi narrano le parole e le gesta di un profeta che aveva visto qualcosa che andava di là del giusto o dello sbagliato e aveva deciso di predicarlo. Una saggezza che non è distruttiva. Ma nell'arroganza e nella presunzione di chi pretende di aver capito... ecco che quella saggezza viene interpretata e storpiata in violenza ed egoismo. Perché è questo che l'essere umano conosce. Alla base si perde il desiderio di diffondere una visione del mondo che ci appartiene e in cui ci ritroviamo, ma si crea il desiderio, invece, di tentare di far capire che gli altri si stanno sbagliando perché noi si è nel giusto. L'apertura mentale di quegli stessi profeti, quindi, viene dimenticata, accantonata, per fare spazio alla chiusura unilaterale di una mente umana che non vede alternative alla sfera cromatica del suo spettro visivo.
In questi casi, quindi, scienza e religione, su binari paralleli, viaggiano affiancati, litigando sempre, non trovando mai due punti di accordo ma rispettandosi come due vecchi strateghi. Entrambe incraniate sul loro dogmatismo. Esattamente come Pilato e Jeshua, detto Hanozri, nel finale di quel capolavoro di Bulgakov. Una sostenendo che non è provabile che esista un dio e una vita dopo la morte, l'altra che milioni di persone al mondo non posso sbagliare.
E la verità dove sta? Che ne dici se ti dico nel mezzo? Che ne dici che magari esiste una divinità, ma che è energia pura, misurabile scientificamente? E che è la stessa energia che determina che cosa è vivo e che cosa è morto? Ed è qui... tra noi, in ogni cosa, ed unisce il sasso all'albero, il gatto al mare... e che noi la possiamo percepire, convogliare, ci aiuta a guarire, a rassicurarci, ignora le distanze e i luoghi, e ci rende tutti simili a fogli di carta impilati in un libro. Dalla prima all'ultima pagina, divisi... certo, ma quando il libro è chiuso, collegati uno all'altro come una massa unica, indistinguibile, attraverso cui lei... questa energia... fluisce come acqua, filtrando attraverso le nostre fibre, scorrendo. E il suo scopo non è quello di giudicare le nostre azioni, né esaltandole né condannandole, ma solo di mantenere l'equilibrio stabile, intervenire quando si è troppo sbilanciati. Né buona, né cattiva, quindi, senza squilibri né verso un senso né verso l'altro. Neutrale. Assolutamente neutrale. E nella sua neutralità si manifesta in diverse forme, nell'amore, nella vendetta, nell'odio, nell'omicidio, nella vittoria, nella guerra, nella sessualità... in ogni aspetto in cui noi la incarniamo perché facciamo parte di questa energia e lei fa parte di noi. E come tale... le sue diverse manifestazioni talvolta si scontrano l'una contro l'altra, esattamente come i conflitti che abbiamo dentro e che ci fanno crescere, riflettere. Fanno tutti parte di noi, e non necessariamente li proiettiamo all'esterno.
Senza moralità, quindi. Solo questo.
E che ne dici... se ti rispondo inoltre che questa è la MIA verità, e non quella di tutte le persone che percorrono un cammino simile al mio, e che percorrendolo, come in una foresta, mi pare di sentire i loro passi, a fianco a me, ecco... quel rametto che si spezza, quel fruscio di foglie... e mi sembra sempre di essere in grande compagnia loro, di tutte queste persone, da un capo all'altro di Gaia, ogni volta che apro un cerchio e mi connetto all'energia della terra. Mi sembra di essere una corda che vibra... parte di un grande strumento, come una cassa armonica, e io emetto solo una singola nota, che da sola ha un piccolo significato, ma che insieme a tutte le altre crea un singolo accordo universale. Non c'è niente di speciale in questo, quando capisci che fa parte di noi tutti.

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