The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Yule 2009

Yule 2009

"Generale dietro la stazione, lo vedi il treno che portava il Sole? Non fa più fermate neanche per pisciare. Si va dritti a casa, senza più pensare che la guerra è bella anche se fa male, che torneremo ancora a cantare e a farci fare l'amore, l'amore dalle infermiere."

Quando sei in procinto di affrontare un nuovo inizio la paura ti assale sempre. Mi chiedo a volte se è cosa sana. Adesso, mentre stavo per cimentarmi a scrivere questo editoriale, ho attaccato la musica e c'era una raccolta di canzoni varie che uso per scrivere gli articoli e che è stata composta per il matrimonio di una strega. La Dea mi ha mandato subito il suo segno, la prima canzone che è capitata è "Generale" di De Gregori. Ah! La guerra finita... il nemico è scappato, è vinto, è battuto... Tutto parte sempre dal sapere chi siamo. E chi siamo lo scopriamo mettendo alla prova il nostro io nelle avversità e riflettendo su ciò che pensiamo di volere.
Fuori la neve ricopre il mondo come un sudario gelido, la Dea è così assonnata che talvolta desidereresti non alzarti nemmeno tu dal letto, ma solo gettarti la coperta sopra la testa e decidere di non alzarti, pensare, riflettere che alla fine se non infastidisci il mondo, il mondo magari non ti noterà, non ti dirà niente, non ti solleticherà, non ti costringerà ad affrontare le lunghe giornate, le lunghe domande, le altrettante lunghe risposte. L'esame di noi stessi è un argomento così spinoso da non poter essere maneggiato nemmeno con le pinze a volte e quando lo faccio, nelle meditazioni, nel mio lavoro magico, a volte penso che tutto sia terribilmente ingiusto, sbagliato, senza scopo. Le Rochefoucauld disse: "Perché dobbiamo avere abbastanza memoria da ricordare fin nei minimi particolari quello che ci è capitato e non ne abbiamo mai abbastanza per ricordare quante volte lo abbiamo raccontato alla stessa persona?"
Talvolta ci penso e credo che sia proprio terribilmente ingiusto. Dico il prezzo che paghiamo per conoscere noi stessi. Cazzo, costa di più dire una bugia o dire la verità? Quando magari ne abbiamo bisogno anche se sappiamo benissimo che non è affatto vero. Eppure vorremmo poter possedere la facoltà di scegliere se prendere a sassate l'etica e la giustizia e la morale o solo la nostra codardia di vedere cosa lo specchio ci rimanda e poter così immaginare davvero che i sogni siano davvero sogni, ma che è un diritto sognare almeno al pari di quanto è nostro dovere svegliarci. Quante parole di verità gettiamo via senza motivo? E in fondo che cazzo ce ne facciamo? Okay... sì, sono un randagio, sì. Sono anche io un cazzo di randagio che miagola sotto la finestra. Sotto la tua, la sua, quella di decine di persone. E so che nessuna apre mai veramente per lasciarmi entrare se non con la promessa implicita che tenterà di chiudere la porta appena sarò dentro per non lasciarmi uscire più, forse credendo che la prigionia sia una forma di amore. E allora io le lascio miagolare, richiamarmi, perché in fin dei conti l'unica porta che vorrei veramente si chiudesse dietro di me non si aprirà più e ad ogni secondo che passa, il cambiamento definitivo si avvicina e la grandezza di ciò che è stato si allontana, alla deriva, come un orso bianco su un iceberg.
Nel corso del tempo mi hanno chiamato e definito in molti modi. Sono stato un pazzo, un idealista, un saggio, uno pseudo sex symbol, un esempio da seguire, un artista incompreso, uno stronzo arrogante, un messia, un maestro, un visionario, un eretico, un egocentrico di merda, un libero pensatore fancazzista, un rocker, ma solo mio figlio mi ha sempre accettato per quello che sono: un uomo, un padre, una strega. Magari non voglio crescere, sì. Anzi, non raccontiamo balle... è così. Magari amo troppo a volte per rendermi conto dei confini di ciò che è bene per me e ciò che è bene per chi amo. Ma io vorrei essere solo Danny. Il che significa tutte queste cose e anche qualcosa in più. Ma non è una sola e nemmeno niente di tutto questo... Solo solo un essere umano con il suo innocuo e discutibilie bisogno di amare e di essere amato e la pretesa di scegliere chi desiderare amare, con il mio bagaglio di errori e di ego così grosso da aver bisogno di un Daily per portarmelo dietro, con tutti i miei sogni mai realizzati e con la coscienza che è probabile che, date le mie scelte passate, non li realizzerò mai. Forse, come diceva una canzone di amici... "questa emozione che mi brucia dentro, come un urlo che distrugge milioni di segreti" è davvero la fiamma che discioglie il freddo del gelo mortale che precede la rinascita... e anche la fiamma che, mantenendo la vita in seno all'esistenza, mi concede il desiderio di respirare.
Soleva dire una mia amica che le streghe dovrebbero tenere le mani aperte perché solo così puoi possedere e brandire il mondo, mentre le mani chiuse non permettono di contenere niente e che in tutti questi anni il principio, essenzialmente sbagliato, per cui il mondo va a catafascio è proprio il fatto che si pensa che tenere la mano chiusa intono a ciò che crediamo di poter considerare nostra proprietà non ci dà una reale dimensione di cosa significa desiderarla e possederla realmente. All'epoca ero troppo presuntuoso per chiederle "Che significa?" e ora, che sono passati tanti anni, quasi undici, e a quanto mi è dato sapere, è da tempo nella Terra dell'Estate, non ho più modo diretto di chiederle spiegazioni se non ricorrendo a vie differenti, anche se ho il sospetto che lei avesse capito perfettamente che io non avevo afferrato il reale significato della sua asserzione, ma che volesse lasciare che cuocesse a fuoco lento, nel corso di vari anni e che la realizzazione di alcuni passi fondamentali del mio percorso magico agissero da reagenti e lieviti affinché maturassi . Piaccia che sia così... forse era parte del mio dovere di crescita capirlo solo ora. E forse, potrei non averlo capito nemmeno ora... o fose ho colto solo un aspetto di questa affermazione e nel tempo ne coglierò altri, dopotutto nessuna considerazione dovrebbe avvalersi dell'osservazione di un singolo aspetto, su una via sola, ma dal connubio diverso di differenti modi di considerare un solo aspetto. O forse sto ancora mentendo a me stesso? Sto ancora una volta guardando attraverso la tormenta e sto cercando disegni nei fiocchi e non guardo come il tempo avverso, fucilandomi addosso, mi ricopre di neve e mi fa perdere il senno e l'accettazione della realtà. Talvola è come quella canzone scozzese di Natale sull'amicizia, "Auld Lang Syne", che diceva "Una vecchia conoscenza dovrebbe forse essere dimenticata senza essere mai riportata alla mente?". Perché noi siamo proprio parte del segno che lasciamo, come quando camminiamo nella neve, ma non siamo sempre ciò che le persone interpretano di quei segni. E mi piace pensare che quando io diventerò quella "vecchia conoscenza" che è stata dimenticata, qualcosa dei segni che ho lasciato nelle persone che ho conosciuto permettano loro di sorridere nel ricordo. Il significato della morte e della rinascita è anche questo. Lasciamo un segno sul mondo che gli altri possano leggere dopo che noi siamo passati. Alcuni lo fanno con i gesti, altri con le parole... altri scoprono altri modi.
Cazzo mi ricordo che c'era un tipo a Milano, un writer, tal "Noce". Mai conosciuto; ma il suo nome non mi era solo "noto", ma sotto gli occhi tutti i giorni. Firmava in posti incredibili, inaccessibili alla natura umana. Finivi nel cesso con una sconosciuta in uno dei pub più allucinanti, pieno di birra fino al cuoio capelluto, dopo aver fatto una serata di puro rock n roll e dopo aver fatto fare scuotere le teste al pubblico, e mentre la appoggiavi schiena al muro leggevi che "Noce" era stato lì. Salivi su una metropolitana affollata e bollente dopo esserti quasi rotto il collo scendendo delle scale ghiacciate perché non hanno gettato il sale, trovi un posto dove incastrare gli arti senza essere prettamente costretto a palpeggiare il didietro di qualcuno, e mentre la metro si ferma in galleria, ti ritrovavi faccia a faccia con una delle due firme, lì, dove nessuno potrebbe spiegarsi come cavolo ha fatto ad andare a firmare in galleria. Andavi ad un museo e nella sezione dedicata alla storia contemporanea, trovavi alcuni pezzi del muro di Berlino... e lì, trovavi la scritta di Noce. E non sto parlando di una firmetta semplicina, ma di veri e propri disegni colorati. Là, sui finestroni al secondo piano di un edificio abbandonato della stazione di Greco, sul tetto di quel fabbricato, sui cartelloni pubblicitari grandi venti metri quadri e visibili da satellite. Il giorno in cui l'uomo metterà piede su Marte scopriremo che Noce c'era già stato e che aveva già lasciato una firma. Il modo in cui si era recato là? Questa è un'altra storia. Ma lui l'aveva fatto. A volte penso che potesse in realtà essere il fondatore di una nuova disciplina marzial-artistica: i ninja writers, o forse si trattava solo di Peter Parker che si divertiva in incognito nei giorni di festa quando al crimine ci pensava Bruce Wayne. Convengo con me stesso che questo potrebbe anche avere un senso. Lui sì che aveva capito come lasciare un segno, e la gente, come del resto io, si ricorda di lui nel modo in cui desiderava essere ricordato. Aveva indovinato il modo, cazzo. Un genio. Roba da brindare anche a lui quando cantiamo "Auld Lang Syne". Non è stato di sicuro il primo e spero, non sarà mai nemmeno l'ultimo; ma il più delle volte è difficile capire in che modo il mondo ci percepisce, come sente le nostre scelte, come le vive quando noi siamo occupati a farle, e come il modo in cui questo ci influenza riesce in qualche modo a ferirci... o come noi riusciamo a far capire di ciò che siamo anche solo a chi vorremmo nel modo in cui vorremmo.
Recentemente una ragazza sulla via della wicca ha osservato quasi con sorpresa il fatto che abbia percepito in me un lato molto umano leggendo alcune delle cose che ho scritto. Mi aveva sempre reputato quasi come una sorta di libro che le persone consultavano, qualcuno che dava consigli che la gente seguiva senza averne mai abbastanza, il libro di cui nessuno si preoccupava quando la copertina cominciava a farsi lisa, quando la legatura cominciava a lasciarsi andare. Ecco che si è resa conto che in realtà anche la quercia ha un midollo morbido nel cuore del suo tronco secolare. E lì, credo che qualunque quercia, indipendentemente dagli inverni che abbia visto, possieda la peculiarità di incidere nel suo morbido midollo la sua poesia di morte e rinascita, quella che fa vibrare solo le sue corde, quella che muove i pensieri, quella che ti fa innamorare di un certo tipo di persone, quella che ti fa tenere gli occhi spalancati la notte attendendo una sua chiamata, che ti graffia di un pensiero divorante e inconsumabile, la poesia figlia del desiderio e della vita, della morte e del cambiamento. E infine tutto è vita, desiderio, morte e cambiamento; cambiamento meraviglioso e cambiamento doloroso, abbandono e rinascita, separazione come un coltello piantato nel cuore, che sia ferita alta e fiera e morte blanda, fuoco nascosto, cicatrice nelle viscere e anche solo respiri e baci carezze nel buio di una fredda notte invernale. Cambiamento come il tronco d'abete che brucia nel camino e nastrini legati ai suoi aghi simbolo di immortalità. Cambiamento come paura e iniziazione, come viaggio di ritorno prima di un'andata, "senza fermarsi neanche per pisciare".

Vento Notturno