The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Editoriale Yule 2011

Yule 2011

Se dovessi pattinare sul ghiaccio sottile della vita moderna trascinandoti dietro il muto rimprovero di un milione di occhi pieni di lacrime, non stupirti quando una crepa nel ghiaccio ti apparirà sotto i piedi. Scivolerai al di fuori dalla tua complessità e al di fuori dalla tua mente, portandoti dietro la paura mentre graffierai il ghiaccio sottile

Pink Floyd: Thin Ice

L'educazione mentale è un'inculata. Me ne sto rendendo conto sempre più spesso. Non c'è un cazzo da fare. Nel tuo piccolo puoi uscire dagli schemi, puoi farcela, ma quando lo fai è comunque un rischio. Per il resto, il dogma lineare con il quale veniamo educati sin dall'infanzia ci fa lo sgambetto. Disse il saggio e verdognolo Yoda che è necessario "disimparare ciò che si è imparato". È che spesso questo disimparare ci mette di fronte a rivelazioni semplici ma davanti alle quali, se non siamo pronti ad essere malleabili, tutto si fa più difficile, scivoloso. È facile che ci sentiamo lucidamente non pronti per alcune cose. I Pink Floyd nel loro genio dicevano appunto che non bisogna sorprendersi se si spacca il ghiaccio quando ci pattini sopra. Perché in fin dei conti è così sempre; cammini sul ghiaccio sottile, su gusci di uova di serpente.
Una volta mi ricordo che andai a fare una di quelle uscite scolastiche che ti cambiano la vita. Non ero proprio un bambino, il che era un bene, non solo perché ricordo meglio l'esperienza ma anche perché la mia educazione mentale aveva avuto almeno undici, dodici anni per stratificarsi, ancorarsi, indurirsi, farsi carapace e per farsi quindi girare vorticosamente le eliche di fronte al minare delle sue solide basi. Non ricordo esattamente che cavolo di mostra fosse ma ricordo precisamente l'intento che aveva: ci metteva bellamente sul piatto la fallibilità del punto di vista umano e di come il nostro cervello sia abituato a ragionare per dogmi assoluti. Si girava per un percorso simulato con una guida e ci si imbatteva in diverse strutture che avevano, indicativamente, una geometria non assimilabile. Ad esempio ricordo che su una parete erano state posizionate due maschere di gesso a rappresentare volti umani a tre dimensioni, ma una delle due era concava. Quando le incontrai non vidi nulla di strano, semplicemente erano volti umani posizionati sul muro. Dovetti avvicinarmi e allungare la mano per rendermi conto dell'illusione e ricordo bene come ad un tratto, il mio dito oltrepassò un confine e ci fu come uno stacco nell'occhio, uno sbalzo, perché il mio cervello stava rielaborando la realtà che avevo di fronte. Perché l'avevo vista convessa? Semplicemente, mi spiegò la guida, perché secondo il cervello umano, educato a determinare senza dubbio ciò che è in base a ciò che vede, non possono esistere volti umani concavi. Per quanto questa spiegazione mi affascinò il mio cervello non era pronto ad arrendersi. Giungemmo davanti ad una costruzione dove c'era una finestrella apribile che aveva un singolo spioncino utile a guardarvi con un solo occhio per volta. Un mio compagno particolarmente basso fu invitato ad entrare e posizionarsi nell'angolo sinistro della stanza mentre la guida, più alta di lui di almeno tre spanne si mise sul lato destro. Ad uno ad uno venimmo invitati a guardare dallo spioncino ed ossevare ciò che avremmo visto. Con un certo razionale scetticismo, quando venne il mio momento, appoggiai il volto e spiai all'interno. Ciò che vidi fu strabiliante. Dentro c'era una semplice e anonima stanza con un pavimento a quadri e all'angolo sinistro stava Claudio, il mio compagno che non toccava il metro e quaranta di altezza, sul lato destro c'era invece la guida, alta almeno uno e novanta, centimetro più centimetro meno. Ma da quel che vedevo io, Claudio e la guida erano alti uguali. Entrambi toccavano il soffitto con la testa. Mi staccai disorientato dalla finestrella e scossi il capo per scacciare la visione dubbiosa che mi si era insinuata. Ripetei l'esperimento convinto e la visione era ancora lì, identica. Ero stupefatto. La guida ci invitò quindi ad aprire la finestrella e mettere la testa dentro. Quando lo feci mi accorsi che il pavimento della casa era inclinato di quasi tretacinque gradi dall'angolo a sinistra a quello di destra. Lo spazio quindi tra pavimento e soffitto nell'angolo dove stava il mio compagno era di circa un metro e mezzo mentre quello nell'angolo dove stava la guida era circa due metri. Quando avevo guardato dallo spioncino però avevo visto il pavimento dritto e i due erano alti uguali. Ci venne spiegato che secondo il cervello umano non possono esistere case con un pavimento così anomalo e così, guardando in modo limitato (ossia con un occhio solo), lui interpreta ciò che vede per adattarlo a ciò che conosciamo e accettiamo con più facilità. In quel momento, ovviamente, non potevo saperlo, ma quella fu un'esperienza che cambiò la mia vita per sempre. Al ritorno, in metro, ricordo che ero pensieroso. Colpito da ciò che avevo visto, il mio insidioso bisogno rivoluzionario di libertà intellettuale individualista si era chiuso in un silenzio stampa degno del Watergate. Era curioso per me non poter riflettere su ciò che avevo visto, bensì su ciò che avevo creduto di vedere e sul conseguente smentire e demolire del mio dogma. Quando tornai a casa presi la mia piccola agendina sui cui tenevo gli appunti dei racconti, delle canzoni e di tutte quelle "note disperse" che conservavo senza nemmeno sapere perché. Sul giorno 12 marzo scrissi quattro singole frasi, una dopo l'altra, con la mia scrittura da medico generico. Qualcosa che anni dopo avrei potuto associare facilmente ad un pensiero cartesiano:
Io non so cosa vedo.
Io vedo ciò che voglio vedere
Io conosco solo ciò che voglio conoscere
Io vedo e so solo ciò che credo di vedere e sapere.

Poi buttai quell'agendina nel cassetto, probabilmente mi aprii una lattina di Coca e continuai la mia eterna partita a The Secret of Monkey Island 2, cercando di applicare quel nuovo pensiero filosofico riscoperto agli enigmi assurdi che i programmatori della Lucas Arts avevano ideato per far uscire Guybrush Threepwood dai guai. Ero già alle medie e la voglia di studiare cresceva dentro di me come i fiori di felce. Una delle tante cose che poi si pagano.
Passa qualche badilata di anni, divento adulto (si fa per dire), divento padre e sono in giro con Morgan in macchina. È mattina e stiamo andando dai nonni prima che io vada al lavoro, quindi non ha che due anni. Davanti a noi c'è un autocarro con il ribaltabile arrugginito. Lui me lo indica e mi chiede: "Perché quel camion è sporco di cioccolato?" Io osservo il mezzo davanti a me e non capisco cosa intende, così gli chiedo spiegazioni e lui specifica indicando il ribaltabile e dicendo: "Non vedi che c'è tutto il cioccolato che gli è colato sopra?". In quel momento dentro me si riaffaccia il pensiero cartesiano di vent'anni prima: "vedo e so ciò che credo di vedere e sapere". Ho così cambiato punto di vista grazie alla sua chiave interpretativa: la ruggine si era sparsa dall'alto verso il basso come se fosse liquida e ora sì, il camion aveva il ribaltabile sporco di cioccolato.
Ricordo di aver riso per la semplice bellezza della sua intuizione, e quella cosa, come altre di quando si è genitori, mi è rimasta ancorata dentro, come ad esempio adesso, che sto scrivendo questo editoriale mentre sono seduto in un MacDonald's a mangiare il mio primo Chicken Wrap al bacon e in sottofondo, su Radio MacDonald's, stanno suonando "Wake Me Up When September Ends" dei Green Day. Avrei mai detto che mi sarei trovato a fare una cosa del genere, connesso alla wi-fi? E ok, ho una seria attitudine a preferire le cose arrotolate su se stesse, come appunto il Wrap, ma mai più avrei pensato che mi sarei trovato in una situazione come questa.
Ma forse, vedete, è proprio l'imprevisto che è capace di stenderti e darti l'insegnamento di cui hai bisogno. Ho sempre preso alcune cose in una certa maniera. Un po' perché sono fatto così, un po' perché voglio essere così. Non vado alle feste di Natale con i parenti, evito i capodanni, in linea di massima non festeggio nemmeno i miei compleanni se non sono costretto da persone esterne (il che è capitato due volte negli ultimi vent'anni, quindi direi che non fa statistica), mi allaccio le scarpe tirando bene i lacci, mi pulisco le mani assiduamente, rutto sonoramente quando bevo una birra, guardo negli occhi le persone quando parlo, rido se qualcosa mi fa ridere, mi addormento in tempo due nanosecondi. Ho quindi una rigida scala di valori della mia vita dove la mia spiritualità ha un peso così determinante da rendermi pronto a rischiare qualsiasi cosa pur di mentenermi legato al mio autoimposto codice di condotta di strega. Non dico forse, io lo so per certo che questa cosa crea conflitti. Lo so come so che il fuoco irradia luce. Lo so perché tutte le volte è come camminare sul ghiaccio sottile e sentire l'acqua che scorre sotto. E sapere di essere parte di quell'acqua e di essere anche parte di quel ghiaccio sottile.
Sono andato alla libreria esoterica a Milano, proprio sotto lo scorso Yule. Volevo sfoltire la mia lista dei desideri e nel frattempo comprare un libro per qualcuno. Sulla via Dante, tra la gente imbacuccata di regali e vestiti pesanti, un cinese seduto per terra estraeva, intagliandoli, gufi da carote e rose da barbabietole con un'abilità che aveva dell'incredibile se non fosse stata limitata all'inevitabilità dello scorrere che ci costringe a poco apprezzarne l'intrinseca bellezza, come Indiana Jones quando ruba un fiore a Venezia per la bella tedesca, la Dott.ssa Elsa Schneider e lei gli dice: "Sono triste perché domani sarà appassito" e lui le risponde: "Domani gliene ruberò un altro". Ma in fondo è anche quello che ho visto fare di persona da un monaco tibetano alla fiera dell'artigianato la scorsa settimana: un mandala di una precisione disarmante, con colori e geometrie divine ma destinato ad essere distrutto appena finito. Alla libreria, nel folto delle decine di volumi di ogni tipo che straripano di conoscenza ho comprato quelle due cose che mi servivano. Il tipo è simpatico ma inacidito dal tanto lavoro, per fortuna sua che ha sempre il negozio pieno. Ogni volta, quando vado lì a pagare, vicino alla cassa c'è un libretto aperto sul giorno attuale che recita una citazione, e così la leggo sempre e tutte le volte mi pare che sia qualcosa che parli direttamente a quel mio momento di vita; al punto che mi fa venire voglia di portarmi via il libretto per spiare le citazioni future, per saziare quell'assurdo bisogno di conoscere ciò che non ci è possibile conoscere, credendo che prevenire sia meglio che curare, come se si potesse davvero prevenire e come se si potesse davvero curare. Ma sopra ogni cosa pensando erroneamente che guarire sia una missione, ignorando che forse alcune cose devono procedere in un certo modo senza intervento e che non siamo noi a poter determinare che cosa è malato e cosa no, in qualsiasi modo la guarigione possa essere vista, sia nell'anima che nel fisico che nel cuore. O forse se vediamo così tanto bisogno di guarigione è perché dentro, in fondo, abbiamo bisogno di guarire noi stessi e farlo da soli, ma non ne abbiamo il coraggio. Vedere oltre lo specchio, sotto il riflesso del ghiaccio sottile, ci fa capire che l'acqua che scorre ha correnti ben precise e che leviga lentamente e noi lo sappiamo. Oh sì. Ma preferiamo pensare che siano gli altri ad aver bisogno di essere guariti e pensiamo anche che arrogantemente dobbiamo essere noi a guarirli, intromettendoci nel loro cammino, nei loro dolori, nelle loro sofferenze, impendendo che lascino quelle cicatrici che serviranno loro per ricordare; e lo facciamo perché pensiamo di essere indispensabili nel moto delle cose, come se fossimo tutti come Atlante e sentiamo sulle nostre spalle il peso del mondo. Lo senti il peso del mondo? Invece agitiamo solo la mano destra mentre con la sinistra tagliamo loro i tendini delle gambe, impedendo loro di camminare e dando quindi una nuova interpretazione a quella guarigione che dobbiamo elargire. È anche per questo che cadiamo. È anche per questo che fatichiamo per rialzarci. È anche per questo che impariamo.
Ah, quel giorno, alla libreria, proprio mentre osservavo quel libretto con le citazioni, desiderando dal più profondo del cuore di poterlo avere, il padrone, con quel fare distratto, mise nel sacchetto assieme con i miei acquisti anche qualche foglietto pubblicitario con le ultime conferenze organizzate e il giornaletto "Anima". Non ci feci molto caso, perché lo fa sempre. Dovevo arrivare fino a casa per avere la rivelazione. Aperto il sacchetto dentro vi ho trovato un mazzo di Rider Waite. Solo i maggiori, però. Ma mica è sempre Beltaine! Erano in un semplice imballaggio di leggera plastica trasparente. Il bagatto, in cima, pareva uno spiritato con la bacchetta alzata verso il cielo, il simbolo dell'infinito sopra la testa, la veste bianca e il manto rosso. Quei tipici colori forti, il giallo sopra tutti, mi aggredivano gli occhi. Ricordo di essere rimasto ad osservarli per lunghissimi secondi con tutta la circospezione del fascino che suscitavano in me. Li ho scartati e li ho mescolati. Nelle mie mani li sentivo vibrare e questo prima di rendermi conto che erano immobili; erano le mie mani che tremavano. Li miscelai a lungo. Non erano molti ma posi una singola domanda e ne estrassi tre carte. La prima di queste fu la Papessa. E non mi serviva conoscerne il significato per intuire che ruolo avesse. La seconda era la Forza ed estratta quella carta io capii esattamente che cosa significava. L'ultima era lì, con la spada e la bilancia, seduta sul trono tra le due colonne dell'equilibrio e della stabilità. Il potere amministrativo della distruzione e della misura. Rimescolai le carte e le rimisi giù ma senza fare domande. Questa volta erano diverse e c'era l'Eremita con il vestito grigio e l'Odino appeso a testa in giù... e poi lei... era ancora lì; quella spada verticale che puntava verso l'alto era il simbolo dell'aria, dell'ego, ma dall'altra c'era la bilancia, il mio ascendente. Chiusi i tarocchi nel cassetto e decisi che non li avrei letti finché non avrei saputo interpretare correttamente ciò che mi dicevano. Ma era come se li sentissi ridere da là dentro, di quel riso sprezzante. Loro parlavano chiaramente. Ero io che non volevo vedere. Mi sentivo come un bambino che aveva spiato nel Libro delle Ombre della mamma: avevo inteso alcune cose ma preferivo non crederci, non vederle, perché almeno, credevo, avrei avuto il potere di decidere. Come se leggere i tarocchi me lo avesse portato via.
Poi ecco che passa un giro di ruota ed assisto ad un bellissimo seminario sui tarocchi che ho organizzato apposta con la persona più competente a riguardo che conosco e che era disponibile a venire. Nell'anno che è corso, tra la divinazione che feci e il seminario, a tutti quelli che, assurdamente, hanno chiesto a me come approcciare a questo strumento divinatorio ho risposto con la spada e la bilancia, tra le colonne basaltiche, seduto sul trono: ciò che è a destra è ciò che è a sinistra. Consigliavo loro di comprarsi un libro completo (spesso Jodorowsky), un mazzo di Marsigliesi perché ritenevo che fossero i più antichi e simbolicamente più vicini all'originale (se mai esiste) e li invitavo a studiare attentamente tutti i loro aspetti archetipici ed esoterici. Semplice. Conciso. Per non saperne un cazzo li invitavo a non capirne un cazzo.
Prima di iniziare il seminario mi sono così seduto sul tappeto arrotolato, schiena al muro. Eravamo in cerchio. Alla mia destra i due relatori mi chiesero con un gesto di introdurre ciò che sarebbe seguito di lì a poco e io li ho presentati, come si confà e come ero felice di fare, dal momento che sono persone cui sono molto affezionato. Poi la ragazza ha aperto la bocca e ha pronunciato una semplice frase con un tono comprensivo, serafico e comunque intriso di quella dolcezza che solo la conoscenza e la saggezza ti sanno dare. Con quelle ventotto parole ha preso tutto ciò che io avevo sempre consigliato a tutti quelli che avevano chiesto a me, ci ha pisciato bellamente sopra, lo ha accartocciato, lo ha infilato in un tritatutto, lo ha azionto, e poi ne ha gettato nel cesso il risultato ottenuto, premurandosi di tirare più volte lo sciacquone: "Se volete imparare a leggere i tarocchi, scegliete il mazzo che vi piace di più e cominciate a lavorarci; i libri su questo argomento non servono a niente". Non vi nascondo che rimasi colpito da quello che disse. Non perché non volessi essere smentito, anzi. Forse non attendevo altro. Io ho sempre consigliato di leggere e studiare i tarocchi in quel modo perché io avrei fatto così, non perché ritenevo che si facesse così e basta. Non avendo mai letto i tarocchi era la cosa più simile ad un buon consiglio che potessi ideare. Ciò non toglie che nei circa dieci secondi che impiegò a dire quelle poche parole, con quel tono dolce e gentile di chi sa che sta per essere hagalaz, lei inconsciamente mi fece capire che avevo elargito una marea di consigli del cazzo. La cosa più bella di quel momento, ricordo, fu la totale assenza di disorientamento che provai. Al di là della profonda stima che nutro per i due ragazzi che hanno tenuto il seminario, forse un pochino di disappunto ci sarebbe anche stato. Non dico tanto, solo un po'. Mica scenate orgogliose alla Arnold, tipo: "Che cazzo stai dicendo, Willy?". Niente uscite di scena urlando e strappandosi i capelli, lanciando una sedia contro la finestra, ribaltando il tavolo, come quella puntata dei Griffin in cui hanno a cena Margot Kiddler, che soffre di manie depressive. E nemmeno nessun freeze totale del sistema con schermata blu e codice 0X8050CEDG che impone un riavvio. Niente di tutto questo. Solo un colpo di spugna sulla lavagna.
Semplicemente ribaltando e contraddicendo ciò che pensavo mi ha dato la chiave per poter vedere in modo differente molte altre cose.
Crack. Cazzo. Il mio ghiaccio sottile si era crepato in un altro punto.
Come tutti, se dovessi camminare su una superficie poco stabile, come, appunto, un lago ghiacciato, cercherei assurdamente di stare assolutamente immobile, ignorando, o forse no, che il mio peso non cambia, sia che mi muova sia che stia fermo; se il ghiaccio non mi regge, non lo fa nemmeno se smetto di respirare. Ma chissà come mai pensiamo che smettere di respirare ci aiuti ad essere più leggeri, quando invece ci fa stare solo più immobili. In quel momento, quando sentii che lo strato sotto di me si stava rompendo io però capii tutto ad un tratto che non aveva senso stare fermi. E sì, mi aveva spaccato il ghiaccio sotto i piedi, togliendomi quel piccolo inutile barlume di sicurezza su come cazzo si dovesse approcciare ai tarocchi; inoltre c'è da dire che alla fine quello che spiegò è lo stesso modo in cui io ho approcciato all'idromanzia dopo che mi è stato passato il metodo per tipo cinque minuti durante un piovoso sabato pomeriggio. Ma con i tarocchi, dato che non li conoscevo, pensavo sarebbe stato diverso. E perché mai avrebbe dovuto essere diverso? Cerchi le similitudini per tutta la vita e quando sono sotto i tuoi occhi reputi invece che non ci siano? Danny, è ufficiale: sei un cazzone avariato. Nessuna discussione. È un dato di fatto, accettalo.
Mentre mi diceva questo mi si aprì alla mente un momento particolare. Ero in un fast-food. Sì, come ora, ok... però non è che ci vado sempre, è una pura coincidenza (e sì... ok... le coincidenze non esistono...). Insomma ero all'Old Wild West, che non è "dove gli hawaiani fanno gli Hamburger", ma dove li fanno i Texani. Che poi li fanno gli italiani ma, dato che Morgan ama mangiare sotto la tepee che c'è lì, ogni tanto ci facciamo una delle "colonne portanti di ogni colazione vitaminica". Ero con sua mamma e lei mi chiese di aiutarla a leggere i tarocchi. Non che mi sentissi in grado, ma aveva bisogno che io mettessi giù le carte e lei li intepretasse. Così misi le mani sul suo mazzo e li disposi come mi spiegò: uno alla cima e due strade diverse che si diramavano. Guardandoli, forse anche grazie alla sua interpretazione, mi resi conto di come quei tarocchi mi stavano parlando. Vi erano rappresentate delle divinità femminili di pantheon diversi e avevano in sé simbolismi distantissimi da quelli dei Marsigliesi o dei Rider Waite, ma in qualche modo erano più chiari. Nonostante ciò non mi feci fermare sulla mia idea. Ci volle quel seminario per farmi venire in mente quell'episodio e per capire che già due volte, sotto spoglie diverse, quello stesso strumento divinatorio aveva cercato di farmi capire in che modo voleva che la gente vi approcciasse, ma sono stato rigido. Mi ci volevano quelle semplici parole per spalancare la porta e smettere di sbirciare dal buco della serratura.
Assumendo questo mi sono reso conto in un solo istante, come capita sempre, che se il ghiaccio si rompe è perché noi camminiamo. E se noi camminiamo significa che ci muoviamo, che stiamo andando da qualche parte. Un cammino è fatto di moto, per antonomasia. Stare fermi per la paura di ciò che si cela sotto di noi è la cosa più idiota di questo mondo. Che si rompa questo cazzo di ghiaccio se deve rompersi! Se mi dovessi trovare a scegliere, preferirei una morte per assideramento in un lago ghiacciato sapendo di aver cercato di arrivare da qualche parte che una morte per assideramento sulla superficie di un lago ghiacciato vivendo ogni minuto che mi separa dal trapasso con la paura di morire congelato al di sotto di esso.
Ancora, semplicemente, le cose devono andare. C'è stato un Rex Saturnaliorum, un princeps che è stato in carica un anno. Da Yule a Yule. Beh, è ora che quella corona di spine, che gli sono entrate nella carne, gli venga tolta. Ha sanguinato. E non c'è una misura comune del dolore. Io voglio andare oltre, non voglio vivere nel passato. Ciò che è stato è stato e io sono la stessa persona che ero prima e sarò la stessa persona anche dopo, anche se in modo diverso, sempre, da un giorno all'altro. Quello che fa la differenza è che nel presente io posso scegliere. E lo faccio. Io non voglio continuare a pensare che tutto debba essere fatalità. Non siamo nella cazzo di Corte dei Miracoli. Ho imparato. Sì. E mi è servito. La capretta è stata sgozzata, la vecchia ha il collo spezzato e la gitana è stata impiccata: il suo corpo giace penzolante nella pubblica piazza. E chi sapeva non ha parlato per codardia, di lassù, vedendo il crimine perpetrarsi. Che dobbiamo aspettare ancora? Che i corvi mangino loro gli occhi, nutrendosi di ciò che nessuno vuole mangiare? No. La spada punta verso l'alto e la bilancia nella sinistra è vuota, deserta. Non ha più alcun peso. Solo le colonne, grigie, austere, stanno ai lati.
Io non voglio guarire il mondo per forza. Io credo che se qualcosa va in un certo modo è perché noi abbiamo l'opportuntià di capire cosa possiamo imparare da quella determinata esperienza, senza scappare, senza metterci le mani davanti agli occhi per non vedere, senza incolpare agenti esterni, senza edulcorare perché le cose siano più dolci e più semplici da gestire. Ho imparato che il dolore ha senso e che noi guariamo quando è tempo, non quando vogliamo perché alcune cose ci fanno paura. Se ci rifugiamo nel tentativo di scappare da ciò che non vogliamo vedere non cresceremo mai. E se c'è una cosa di cui sono certo è che la vita è evoluzione e crescita, sia personale che globale. Io voglio far parte di questa crescita, voglio essere pronto per me stesso, non voglio perdermi l'occasione di potermi guardare allo specchio e sapere che ciò che vedo è ciò che è, senza mentire, proprio come è adesso. E non me ne frega un cazzo di chi non è capace di allacciarsi le scarpe ma si elegge a potere senza sapere le basi che ne determinano lo scorrere. Non me ne frega un cazzo di chi ha una paura fottuta anche di aver paura e per disconoscere questa verità crede che sia meglio essere minacciosi. Non me ne frega un cazzo di chi ha paura di affrontare se stesso e allora si nasconde dietro banalità per non ammettere che in fin dei conti deve tornare all'origine dei propri problemi per riuscire ad essere ciò che dice di essere. Non me ne frega un cazzo di chi si trincea nel proprio viver passato come se fosse determinante a qualsiasi decisione e giudizio e si sente giustificato nell'ignorare principi elementari di arti che pensa di voler praticare, come se la saggezza fosse un dono e non un guadagno. Non me ne frega un cazzo nemmeno di chi si sente in dovere di essere stronzo per principio e misura personali, come se fosse l'unico modo e come se fosse anche una novità. Ci sarà sempre chi non conosce ma si inventa qualche stronzata per giustificare la sua non conoscenza e cercare di convincere prima se stesso e poi gli altri che la non conoscenza è equipollente. Ci sarà sempre chi crede che la sostanza e la forma siano la stessa cosa. Ci sarà sempre chi crede di poter insegnare ciò che non ha ancora imparato. Non sono cose che di base mi riguardano. Niente più corone quindi, cane dello spazio; vai, sei libero. Il biglietto è bruciato nel calderone con odore di erbe e spezie mentre intorno la luce veniva invocata con potere crescente, una fiamma dopo l'altra. Si è esaurito. Io non so cosa vedo, ma vedo solo ciò che voglio vedere. Io conosco solo ciò che voglio conoscere. Vedo e so solo ciò che credo di vedere e conoscere. Ci sono alcune persone che sanno cosa dire e come dirlo. Franco Battiato è una di queste. E non è curioso che proprio ora, qui a Radio MacDonald's, mentre il mio cazzo di MacWrap si è incollato al cartone, stiano facendo girare quella canzone straordinaria che solo lui poteva scrivere? No. Non è curioso per un cazzo. Dovrei cambiare l'oggetto dei miei desideri; non accontentarmi di piccole gioie quotidiane. Fare come un eremita che rinuncia a sé. Questo secolo ormai alla fine, saturo di parassiti senza dignità mi spinge solo ad essere migliore con più volontà. Emanciparmi dall'incubo delle passioni, cercare l'Uno al di sopra del Bene e del Male. Essere un'immagine divina di questa realtà.

V.