The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Hera la Divoratice

 

Hera la Divoratrice
 

Chiunque si approcci ad un culto legato ad una dea madre, subito si accorgerà come spesso ci si trovi di fronte ad una dualità. Le stesse dee che danno la vita sono quelle che la tolgono e spesso le dee madri sono legate anche al concetto della morte o della distruzione. Nella visione che ho ricostruito per trattare i diversi aspetti delle divinità la visione distruttiva è nota come Divoratrice, ma i latini erano soliti chiamarla Mater Orribilis. Il termine "Divoratrice" deriva dal concetto metaforico di madri che divorano o uccidono i propri stessi figli; pressoché quello che fece Crono, o che rivediamo nel mito di Medea. La Divoratrice è colei che, legata all’aspetto di madre, giunge a vedere i figli uccisi dalle sue stesse mani per perpetrare la vendetta contro il marito o il maschio padrone o, nel caso di figli di altre donne, colpirli senza considerare l'innocenza della loro condizione, dato che sono semplicemente nati. Quando una dea porta con sé un lato materno fortemente oscuro diviene una Divoratrice.
Nel mito greco questo ruolo spetta ad Era, figlia di Crono e Rhea e terzogenita della stirpe olimpica, nata quindi dopo Estia e Demetra. Come le sorelle prima e i fratelli dopo, anche lei venne ingoiata dal padre e rimase intrappolata nel suo ventre finché Zeus, con la complicità di Meti, ridiede la libertà a tutti e cominciò la titanomachia.
Era venne alla luce sull'isola di Samo, come dea del matrimonio e della fedeltà coniugale, e appena nata fu portata in Arcadia, dove le Stagioni si presero cura di lei. Era non fu la prima moglie di Zeus, dato che prima di lei ebbe spose divine come Meti, Temi, Mnemosine e Demetra, ma a nessuna di loro concesse mai di sedere sul trono dell'Olimpo. In realtà un mito che lo interessa narra di come fosse innamorato della sorella Era sin da quando era prigioniera del ventre di Crono, ma dovette attendere e penare per avere il suo amore. Per quanto Zeus la corteggiasse, lei continuava a rifiutarlo, finché questi, quando si trovava sul monte Tomace, in Argolide, non ebbe l'idea di tramutarsi in un cuculo, bagnato ed infreddolito. La dea, colta da compassione, lo prese e se lo pose in seno per scaldarlo. Allora il dio riprese la sua forma originale e la violentò, costringendola così a diventare sua moglie. Secondo Omero queste nozze divine si tennero sul monte Ida, dove Paride pascolava le pecore di Priamo e dove venne avvicinato dalle tre dee che gli posero la mela per la più bella. Al matrimonio tutti gli dei portarono doni regali e tra gli altri Gea donò ad Era un melo che dava frutti dorati e che venne piantato nel giardino dove vivevano le Esperidi. I tre frutti che Atalanta si fermò a raccogliere durante la gara di corsa venivano proprio da questo albero. La luna di miele dei due novelli sposi durò trecento anni.
Era diede a Zeus alcuni figli, tra cui Ebe, la dea della giovinezza, e Ilizia, la dea del parto. Secondo Omero anche Ares ed Efesto furono figli di Zeus, benché un mito narrasse di come la dea li ebbe tutti per partenogenesi, toccando alcuni fiori. Ovidio, nei Fasti, suggerisce che fu la dea Flora ad indicare i fiordalisi come utili per rimanere gravida senza bisogno dell'intervento maschile. Il motivo per cui Era volle avere questi figli senza l'aiuto del marito doveva essere una risposta al fatto che Zeus ebbe Atena dal suo cranio. Ma molte sono le versioni che narrano questi eventi, e soprattutto nel mito che interessa Efesto ci sono alcuni dubbi: secondo alcune versioni infatti il dio zoppo nacque prematuro, brutto o comunque storpio e divenne disprezzato dalla stessa madre; un fato che toccò anche ad Ares, che era odiato da tutti tranne che da Afrodite e ad Eris, che portava discordia e litigio ovunque. Il fatto di partorire figli deformi o crudeli incarna l'aspetto oscuro di Era che, come ci viene narrato da Esiodo e Apollodoro, che la descrivono come vendicativa, gelosa, irritabile. In questo è possibile leggere la risposta ad un destino avverso, dato che lei, antica sovrana del matrimonio, fu data in sposa ad un dio che non ha mai avuto intenzione di rispettare i legami. La sua risposta a Zeus, ossia quella di rimanere gravida sedendosi su una lattuga o toccando un fiordaliso, ad un occhio attento può far intuire che tra questi due dei ci fosse una rivalità più antica della loro sacra unione. Era infatti ci riporta indietro ad un tempo precedente a quello dell'invasione achea, dorica ed ellenica, quando il matriarcato era diffuso in Grecia e dove rivestiva il ruolo di dea guerriera. Quindi il ruolo di consorte del padre divino la rende maestosa e regale. Omero la tratta con una reverenza paritaria a quella di Zeus, e nonostante nell'Iliade, quando si trovano sull'Olimpo a decidere se partecipare o meno alla lotta, debba sottomettersi al volere del marito, quando questi le chiede perché desideri così ardentemente che Troia venga distrutta e la minaccia di distruggere una città a lei cara, lei gli risponde che quando verrà il momento potrà prendersi vendetta su qualsiasi delle città sotto la sua protezione, come Atene, Sparta o Argo, ma che non debba intromettersi nel suo desiderio di decidere da che parte stare in questo conflitto.
Dopo che la madre ebbe Efesto dalla cima del Monte Olimpo, questi si salvò e venne cresciuto da Teti ed Eurinome. Quando fu in visita a Teti, Era si accorse di come questa indossasse una meravigliosa spilla lavorata dal dio, che aveva una fucina in fondo al mare. Fu allora che accettò di aver partorito un figlio storpio e brutto, quindi di non essere stata in grado di fare qualcosa di bello da sola, dal momento che questi era in grado di creare oggetti di incredibile bellezza. Quando però Efesto si trovò di fronte alle chiacchiere che lo volevano come un figlio nato senza padre, non volle credere a queste voci, pertanto costruì una sedia dorata e invitò la madre a sedersi: appena Era si fu messa comoda la sedia la imprigionò e là rimase finché il figlio, chiedendole di confessargli chi fosse suo padre, non ottenne il giuramento sullo Stige che era nato per partenogenesi.
Istigando altre divinità olimpiche, a parte Estia, Era un giorno si ribellò al potere di Zeus e, nascostegli le folgori che solo lui poteva maneggiare, lo legarono al letto mettendosi subito a discutere su chi avrebbe preso il suo posto. Ma Teti andò a chiamare Briareo, l'ecantonchiro centimane, che slegò l'imprigionato Zeus, il quale, non appena fu libero, inchiodò la moglie alla volta celeste con polsiere d'oro e le appese delle incudini alle caviglie, facendola impazzire di urla strazianti che impaurirono gli dei. Ma, terrorizzati, nessuno di loro si oppose a questa punizione. Dopodiché la liberò a patto che il suo ruolo non fosse mai più messo in discussione da nessuno. Apollo e Poseidone, in quanto istigati da Era, furono gli unici ad essere puniti e costretti a costruire le mura della città di Troia per il re Leomedonte. Nella guerra che seguì, la dea del matrimonio, come abbiamo visto, prese le parti dei greci e si scontrò, nel libro XXI, con Artemide, prima insultandola e poi dandole una sonora lezione. Ma non fu la prima volta, quella, in cui Era dimostrò il suo animo combattivo. Nella gigantomachia non si tirò indietro dal combattere, al contrario di Demetra ed Estia, e quando Porfirione, scartando Atena, le si abbatté contro cercando di strangolarla, una freccia scagliata dall'arco di Eros, invece di fermarlo, lo fece infiammare di desiderio, pertanto le strappò la veste e cercò di violentarla. Zeus, vedendo che la moglie stava per essere profanata, lo fulminò con una folgore. Ma la stessa Era aveva profetizzato che in questa battaglia l'unico che avrebbe potuto abbattere i giganti sarebbe stato un uomo con una veste di leone e in possesso di una certa erba che cresceva in luoghi segreti sulla terra e che l'avrebbe reso invulnerabile. Il riferimento è ad Eracle, l'eroe figlio di Zeus e di Alcmena, il cui nome stesso significa "Gloria di Era". Ma al contrario del nome che portava, il semidio fu, tra gli altri, forse il più perseguitato tra gli oggetti della gelosia e della vendicatività di Era. In possesso di quest'erba, cercata da Zeus su direttive di Atena, Eracle colpiva tutti i giganti dando loro la morte e fu così che salvò Era dallo stupro, dato che Porfirione si rialzò subito dopo essere stato abbattuto dalla folgore del padre.
La nascita stessa di Eracle era stata premeditata da Zeus affinché fosse un eroe che avrebbe impedito l'annientamento degli uomini e degli dei. Non aveva pertanto scelto Alcmena per il puro piacere, come invece era accaduto altre volte, ma aveva fatto sì che dei come Elio ed Ermes fossero coinvolti nella situazione, rallentando il corso del tempo ed ingannando la giovane, mutandosi nel suo amato Anfitrione mentre questi era in battaglia per vendicare i fratelli di Alcmena. Zeus si vantò sull'Olimpo delle sue gesta dicendo che il figlio avrebbe governato sulla casa di Perseo, di cui la madre era parente. Era, che aveva potere sulla figlia Ilizia, dea del parto di cui a volte portava l'epiteto, gli impose di promettere che il primo principe della casa di Perseo nato prima del tramonto sarebbe stato re. Ma Zeus non si accorse che la dea Ate, l'inganno, figlia di Eris, si era posata su di lui. Ottenuto ciò che voleva Era si recò a Micene, dove Nicippe, moglie di Stenelo, stava avendo un figlio che se nato prima di quello di Alcmena avrebbe preso il posto di Eracle, secondo ciò che Zeus aveva promesso; grazie alla sua influenza su Ilizia, anticipò le doglie della puerpera di due mesi, dopodiché si diresse a Tebe e si sedette a terra incrociando le gambe davanti alla casa di Alcmena, dove la donna era in travaglio, annodò le vesti e tenne le dita congiunte, bloccando e rendendo più difficile, in questo modo, la nascita dell'eroe. Fece in modo così che Euristeo, figlio di Stenelo, fosse venuto al mondo un'ora prima. Secondo Pausania ed Ovidio fu la stessa Ilizia a bloccare il parto di Alcmena, incrociando le gambe davanti a casa. Come ci fa notare Robert Graves nel suo I Miti Greci: "Altri dicono che Era non scese dall'Olimpo per ritardare il parto di Alcrnena, ma affidò quel compito alle streghe, e che Istoride, figlia di Tiresia, le ingannò lanciando un grido di gioia nella camera del parto, che ancor oggi si può visitare a Tebe. Le streghe allora se ne andarono e permisero al bimbo di nascere. Secondo altri, fu Ilizia che ostacolò il travaglio per ordine di Era; la fedele serva di Alcmena, la bionda Galantide, o Galena, lasciò la camera del parto per annunciare, mentendo, che Alcmena si era sgravata. Quando Ilizia balzò in piedi stupita, allargando le dita e raddrizzando le ginocchia. Eracle nacque e Galantide rise per la buona riuscita del suo inganno; Ilizia, infuriata, l'afferrò per i capelli e la tramutò in donnola. Galantide continuò a frequentare la casa di Alcmena, ma Era la punì per aver mentito: fu condannata per sempre a partorire dalla bocca. Quando i Tebani tributano a Eracle onori divini, offrono sacrifici preliminari a Galantide, chiamata anche Galintiade e descritta come la figlia di Preto; dicono che essa fu la nutrice di Eracle e che Eracle stesso le eresse un santuario".
Ottenuto ciò che voleva, impedendo ad Eracle di governare sulla casa di Perseo, Era tornò sull'Olimpo, dove Zeus, accortosi di ciò che era avvenuto, fu colto da una furia incontrollabile, dato che non poteva più rimangiarsi il giuramento che aveva fatto. Accortosi quindi del coinvolgimento di Ate, la prese per le trecce e la scagliò sulla terra, giurando che mai più avrebbe rivisto quel luogo. Dopodiché riuscì a persuadere la moglie ad acconsentire a che Eracle assurgesse al rango divino dopo aver compiuto dodici fatiche impostegli da Euristeo.
Ma Era fu soggetta ad un ulteriore raggiro. Alcmena, temendo la sua ira, abbandonò il piccolo in mezzo ad un campo. Zeus ordinò ad Atena di condurla per una passeggiata e, incontrato il piccolo a terra, lo raccolse domandandosi chi mai potesse aver abbandonato un neonato così forte e sano, dopodiché mise Eracle tra le braccia della dea del matrimonio, sostenendo che avesse abbastanza latte per nutrirlo senza lasciarlo morire. Lei, inconsapevole, se lo mise al seno. Il bambino cominciò a succhiare violentemente, ferendola al seno e lei lo respinse, facendo così schizzare un getto di latte in cielo, che divenne la Via Lattea. In questo modo però Eracle acquisì l'immortalità. Nonostante ciò, una notte, dopo circa un anno dal parto, la dea cercò di nuovo la sua vendetta, facendo introdurre due serpenti nella culla con il preciso ordine di uccidere il piccolo nel sonno. Ma il giovane eroe, questo episodio è notissimo, afferrò i due rettili e li strangolò con le manine.
Durante tutte le dodici fatiche, Era non risparmiò ad Eracle nessun colpo basso, cercando in ogni modo di complicarle, come quando lo fece morsicare da un granchio durante la lotta contro l'idra di Lerna, o come quando scagliò tafani contro le bestie della mandria di Gerione che lui aveva rubato e fece gonfiare le acque del fiume che doveva guadare. E non si fermò: nutrì ella stessa il leone Nemeo e fece impazzire Eracle portandolo ad uccidere moglie e figli a Tebe. Ma infine in qualche modo lo accettò, dato che fu proprio lui stesso a salvarla dalla furia del gigante Porfirione durante la gigantomachia. In seguito proprio a questo evento, l'eroe ebbe in sposa Ebe, la dea della giovinezza, coppiera degli dei e figlia della stessa Era e di Zeus.
Era aveva sacro il pavone, il cuculo e la vacca e veniva sempre rappresentata con indosso il polos, un copricapo di forma cilindrica di origine anatolica che troviamo sulla testa di tutte le dee madri della sua stirpe: infatti lo si trova anche sulle effigi di Rhea e di Gea. Al contrario però delle due progenitrici, non mostra un lato amorevole verso i propri figli, quando questi sono di origine mostruosa, come invece capita a Gea, che, infuriata per il trattamento riservato alla sua stirpe, lancia il mostruoso drago Tifone contro gli Olimpi, inducendoli a fuggire in Egitto, dove Era si tramuta in una vacca. Anche se, secondo alcuni autori, fu la stessa Era a generare Tifone, spalmando il seme di Crono su delle uova.
Il vincolo di Era, in quanto dea del matrimonio, la rendeva impossibilitata a rendere pan per focaccia al marito e ai suoi continui tradimenti. Si suppone che sia anche per questo motivo che cercò, e ottenne, di avere dei figli da sola: perché non le era possibile concepirli con qualcun altro. E paradossalmente, anche se Alceo si ritrova a nominarla con l'epiteto di pànton genethla, ossia "genitrice di ogni cosa", nonostante sia nutrice, patrona delle partorienti, tutelatrice delle donne e delle spose e dei doveri coniugali, e nonostante porti con sé i simboli della maternità, Era non ha un reale ruolo di madre: non viene mai rappresentata come amorevole e mai viene vista con in braccio un bambino, ruolo in cui viene rappresentata solo quando allatta Eracle. Si riserva però un'irascibilità, una crudeltà vendicativa che ha del machiavellico contro le amanti e la progenie che testimonia l'infedeltà di Zeus. Non potendo rovesciarlo od opporsi, è costretta a mantenere un equilibrio instabile nel suo rapporto matrimoniale, che non si è mai potuto basare sulla fiducia reciproca, nonostante il marito a volte le chiedesse consiglio, perché Era stessa sapeva che c'era un limite oltre il quale Zeus aveva il potere di punirla. L'equilibrio rimaneva quindi un braccio di ferro fatto di umiliazioni e ritorsioni che il più delle volte colpivano i mortali, le ninfe e i figli degli amori del marito.
I figli legittimi avuti con Zeus sono comunque mal voluti o figure minori, come Ebe ed Ilizia e lo stesso Ares, che, come abbiamo visto e come ci dice anche Omero nell'Iliade, il padre disprezza sopra ogni altro dio olimpico. Secondo Jean S. Bolen, nel suo saggio psicologico: Le Dee dentro la Donna, Era rappresenta uno degli angoli della triade delle dee vulnerabili, ossia coloro che trovano la loro realizzazione solo se legate ad un uomo. In effetti il ruolo di questa dea, anche se portante i simboli di madre, sembra solo legato al concetto conciliare di essere "moglie", e non donna in se stessa, privata così di una individualità che la rende solo invereconda e feroce nei confronti di chi si rende complice, volontaria o meno, delle seduzioni di suo marito: pertanto, come ci suggerisce Walter Burkert nel suo La Religione Greca di Epoca Arcaica e Classica: "Il suo essere donna è circoscritto al rapporto con il consorte, all'atto d'amore e al prima e al dopo, nozze da una parte, separazione dall'altra".
Nell'Inno Orfico a lei dedicato leggiamo come la citino comunque paragonata al marito, e mai come una forza a sé stante:
O tu che hai l'eccelsa forza per sempre indistruttibile di Zeus,
Racchiusa nei grembi cerulei, aereiforme,
Era di tutto sovrana, beata compagna di Zeus,
che offri ai mortali brezze gradevoli che nutrono la vita,
madre delle piogge, nutrice dei venti, origine di tutto.
Senza di te nulla conobbe affatto la natura della vita;
perché, mescolata all'aria santa, a tutto partecipi;
infatti tu sola tutto domini e su tutto regni,
agitata sull'onda con sibili d'aria.
Ma, dea beata, dai molti nomi, di tutto sovrana,
vieni benevola rallegrandoti nel bel volto.

Il mito greco è del resto punteggiato di eventi legati a punizioni e vendette, e quelle legate ad Atena possono essere comparate, per crudele fantasia, a quelle di Afrodite, ma possono essere superate per ferocia solo da quelle di Era. Per quanto le altre dee possano essersi distinte per la loro impietosità, a parte alcuni rari eventi - come quello che interessò Eracle - Era non mostrò mai segno di cedimento nella perseveranza del suo furore, non permettendo che il rancore diminuisse o si placasse nemmeno dopo il passare di anni. I casi da citare sono moltissimi, ma prendiamo ad esempio il raggiro che perpetrò nei confronti di Semele, figlia di Cadmo e Armonia e gravida di Dioniso. Camuffatasi nelle sembianze di Beroe, la giovane levatrice, insinuò nella donna il dubbio che l'amante che la visitava di notte e che l'aveva messa incinta non fosse veramente Zeus e inoltre fece impazzire di gelosia anche le tre sorelle Ino, Agave e Autonoe, inducendole a deriderla perché portava in grembo il figlio di uno sconosciuto che non mostrava il suo vero volto. Era, ben conscia che un dio non poteva rimangiarsi la parola, suggerì così a Semele di farsi promettere da Zeus che avrebbe esaudito ogni suo desiderio e poi di chiedergli di mostrarsi come realmente era e non con sembianze mortali. E così fece, ma il dio, conoscendo quale sarebbe stato il fato se avesse esaudito il suo desiderio, cercò in ogni modo di rifiutare finché Semele non gli negò se stessa, facendolo infuriare e inducendolo ad apparirle con le folgori nella mano e avvolto di nubi tonanti. La visione di una divinità però non può essere sopportata da un mortale e la donna ne rimase incenerita. Zeus riuscì però a salvare il piccolo Dioniso, feto al terzo mese di gestazione, e se lo cuci nella coscia, completando così il periodo necessario perché potesse vivere. Nonostante ciò Era non era soddisfatta e istigò i titani che, pittatisi il volto con il gesso per non farsi riconoscere, si avvicinarono al piccolo quando questi sedeva sul trono del padre in sua assenza e lo tentarono con alcuni doni, come un astragalo, un rombo, un batuffolo di lana, uno specchio, un cono e delle mele d'oro (probabilmente provenienti dal giardino delle Esperidi), poi gli saltarono addosso e lo afferrarono, ma questi lottò strenuamente e con coraggio, mutando sembianze più e più volte e assumendo diverse forme finché, in forma di toro, non venne fatto a pezzi, cotto e divorato. Ma nonostante ciò Dioniso rinacque ed Era lo fece impazzire, inducendolo ad un viaggio che lo portò in luoghi distanti con il suo seguito di satiri e menadi, portando ovunque andasse morte e follia. Fu solo grazie a Rea che si fermò; al suo ritorno in Europa: la dea lo purificò in Frigia, rendendogli la sanità mentale ed iniziandolo ai misteri. E quando Dioniso scese nell'Ade per riprendere la madre Semele e portarla sull'Olimpo con il nome di Tideo (per non ingelosire gli spettri dei morti), dovette comunque ritrarsi in un risentito silenzio, vedendo come le venne costruita una casa personale.
Oltre alla vicenda che capitò a Dioniso e alla madre di Apollo e Artemide, Leto, a cui rese le doglie più difficili di quando già non siano, impedendole di partorire e di trovare asilo ovunque sulla terra ferma mentre era inseguita dal serpente Pitone, Era si mostrò inesorabile anche con la ninfa Eco, nota per essere affine ai pettegolezzi, quando questa su ordine di Zeus cercò di distrarla mentre il marito la tradiva: la maledisse a ripetere solo le ultime parole che udiva. In seguito, disgraziatamente, la ninfa si innamorò del vanesio Narciso, il quale la incontrò lungo la riva del fiume e, sentendo che lei ripeteva solo ciò che lui diceva, la abbandonò. Quando finì annegato su maledizione di Afrodite, Ovidio dice che Eco si lasciò morire di fame.
Anche la ninfa Io, figlia di Inaco e di Argo e sacerdotessa della stessa dea, venne perseguitata da Era. Iunge, figlia di Pan e di Eco, per errore aveva somministrato a Zeus una pozione d'amore che indusse nel dio una passione sfrenata per Io, nascondendola in una nuvola quando si recava da lei. Ma Era, come ci racconta Robert Graves nel suo I Miti Greci: "lo accusò di infedeltà e trasformò Iunge in torcicollo (il volatile Jynx torquilla) per punirla. Egli mentì: «Non ho mai toccato Io». Trasformò poi Io in una vacca bianca, ma Era ne reclamò la proprietà e la affidò ad Argo Panopte, dicendogli: «Lega segretamente questa bestia a un albero di olivo presso Nemea». Zeus incaricò Ermete di ricuperare Io ed egli stesso lo guidò a Nemea (o a Micene, come altri sostengono) travestito da picchio. Ermete, pur essendo il più abile dei ladri, sapeva che non gli sarebbe stato possibile rubare Io senza essere colto sul fatto da uno dei cento occhi di Argo. Fece perciò addormentare il mostro al magico suono del suo flauto, lo colpì con una pietra, gli tagliò la testa e liberò Io. Era, dopo aver costellato con gli occhi di Argo la coda del pavone, a perenne ricordo di quel turpe assassinio, mandò un tafano a pungere Io spingendola in fuga".
Riesaminando questi miti non si traccia il profilo di una dea madre, ma di una dea distruttiva il cui destino la vuole patrona della situazione più controversa immaginabile, in quanto dea del matrimonio sposata al dio più infedele che mai la mitologia abbia conosciuto. Ed ecco la divoratrice: non potendo quindi avere ciò che vuole, trasforma e distrugge ciò che crea, manifestando la rabbia e facendo ricadere sui figli le colpe del padre ma, in questo modo, rafforzandone comunque il legame, dando un potere aggiuntivo a colui che li ha generati, ritenendolo degno del loro sacrificio e della loro vita. Troviamo qui una perversa distorsione del concetto del matrimonio, che dovrebbe proteggere, e colei che dovrebbe favorirlo si ritrova a distruggerlo, come un pittore che strappa la tela del quadro che non è riuscito come desiderava o lo scrittore che dà fuoco alla sua opera appena conclusa e la osserva bruciare. La follia in cui induce Eracle e Dioniso conduce all'inversione stessa della forma del matrimonio, portando simbolo di divisione là dove dovrebbe esserci un simbolo di unione: l'autodistruzione di ciò che lei stessa giura di difendere. Ma quello di cui stiamo parlando è comunque un climax ciclico, dove Era si sposa, viene tradita, si vendica e si risposa con Zeus dopo essersi bagnata nella sacra fonte di Canato ad Argo per recuperare così la sua verginità, in modo che si possa proporre alle nozze di nuovo illibata, affinché sia una sposa sacra.
In un mito narratoci da Omero, la dea si infuriò con il marito e, stanca di lui, decise di abbandonare l'Olimpo e il talamo nuziale per ritirarsi sull'isola Eubea, dove viveva la sua nutrice Macris, e là vivere da separata per un anno e oltre (secondo alcuni miti avendo anche alcuni amanti). Rendendosi conto che non sarebbe tornata, Zeus escogitò uno stratagemma: fece costruire una statua di legno che agghindò con abito e gioielli da sposa e, dopo aver sparso sul monte dell'isola dove si trovava Era la voce che fosse prossimo a sposarsi con una ninfa bellissima, fece partire un carro che recava la statua a sembianze umane e inscenò un matrimonio fittizio. La dea, ingelositasi, giunse e strappò le vesti della rivale, mettendo a nudo così lo stratagemma che però la divertì e la indusse a tornare con Zeus sull'Olimpo. In questo troviamo il compimento del ciclo che la lega al marito, anche se molti, da Luciana Percovich nel suo Oscure Madri Splendenti allo stesso Robert Graves, riconoscono in Era una dea guerriera, privata delle sue insegne, del suo potere, quando il patriarcato impiantatosi in Grecia con le invasioni achee, doriche ed elleniche portò il culto di Zeus, e che rimase come consorte regale dello stesso dio, ma privata del potere reale di opporsi alle sue condotte lascive.
Era, il cui nome in greco era preceduto da una H, come Hestia, aveva un corrispettivo romano, Giunone, il cui nome armeno Jùno ha un richiamo al concetto celeste, legato all’essere consorte di Giove. Ma, al di fuori di questa dea italica, per Era non è facile trovare un corrispettivo adeguato in altri pantheon. Secondo Omero era nota come "occhi bovini" e il suo aspetto matriarcale la lega alla egizia Hathor, la dea vacca, animale sacro anche alla dea greca e in cui si trasformò quando fuggì assieme agli altri Olimpi. In questo contesto ritroviamo l'aspetto di Era come dea madre, anche perché in seguito la dea bovina si fuse in un sincretismo con Iside, quando quest'ultima acquisì anche il simbolismo delle corna a forma di falce lunare che reggevano il disco solare sulla cima della sua corona.
Hathor era ritenuta in principio madre di Horus o, quando questo ruolo venne attribuito a Iside, la sua nutrice. Il suo stesso nome significherebbe "Palazzo di Horus" e il suo compito sarebbe quello di divorare suo figlio alla sera per rigurgitarlo al mattino completamente integro. Secondo un mito antico Seth decapitò Iside per impedire che partorisse il figlio e Ptah, il dio della creazione, sostituì la sua testa con quella di una vacca. Questa stessa coesione unì Iside e Hathor come la stessa divinità, ma nei testi delle Piramidi troviamo come fosse paragonata ad una giovenca celeste ed era patrona della fertilità e dell'abbondanza, quindi prendeva nomi diversi, e venne chiamata anche solo Nut. Il suo aspetto celeste si ritrova anche nell'assonanza solare dello splendente disco dorato che troviamo tra le corna bovine che la simbolizzano. Come altre dee madri, anche Hathor era protettrice della fase gestazionale e dei bambini ed era la dea patrona delle donne, delle mogli e delle arti domestiche oltre che della musica, della poesia, della danza, dell'amore e della gioia, come ora vedremo. Era una dea estremamente benevola e come altri aspetti materni che possiamo trovare in altri pantheon aveva un'assonanza anche con la morte: nei Testi delle Piramidi non è inusuale trovarla al fianco di Osiride nel suo compito di giudice dei defunti, rivestendo il ruolo di madre che accoglie i suoi figli nel grembo allo stesso modo prima della nascita e dopo la morte. Era infatti ritenuta la "Signora dell'0vest" perché accoglieva i morti nel loro viaggio verso la vita al di là della vita.
Nel mito egizio non è facile trovare una linearità per la difficoltà in cui si incappa trovandosi di fronte a dei che si fondono nel corso degli anni. Ma soprattutto perché la realtà dal punto di vista di questa popolazione non era per nulla lineare, ma su molti livelli diversi, dai quali le divinità emergono per differenti e varie ragioni. Pertanto, anche se possono mostrare di avere attributi o miti totalmente contrapposti e ad un primo acchito totalmente diversi, non erano per nulla viste come contraddittorie, bensì complementari. In questa forma Hathor era allo stesso tempo madre, figlia e moglie di Ra e, esattamente come Iside, era, come abbiamo visto, anche madre di Horus. Questa apparente complessità di rapporti con il padre/marito/figlio Ra è collegato al concepimento stesso delle divinità di cui lei era madre, in special modo nel mito creazionista in cui lo portava tra le corna, mettendolo al mondo ogni mattina nel suo ruolo di madre e lo accoglieva dentro sé nel suo ruolo di moglie alla sera. Anche per questo motivo il concetto di madre degli dei, in un culto come quello egizio, la vede come Vacca Celeste, quindi, come abbiamo visto, associata nei Testi delle Piramidi alla stessa Nut che, con il corpo ad arco cosparso di stelle, rimane quindi in una posizione quadrupede, dove le braccia e le gambe divengono le colonne che sostengono la volta del cielo notturno, esattamente come le quattro zampe di Hathor, dove la sacra mammella disegna la stessa Via Lattea su cui Ra, nel suo carro solare, viaggia da est a ovest.
Dato che gli egizi vedevano la terra come specchio del cielo, la Via Lattea e il Nilo erano uno speculare all'altro, e Hathor trova quindi il suo compimento come dea genitrice suprema. Inoltre, così come il delta del fiume portava abbondanza e vita nella Valle, a lei venne associata anche la ciclicità delle esondazioni e il collegamento con le nascite. Gli egizi infatti osservarono che quando dalla vagina della donna gravida fuoriusciva acqua il parto si rivelava essere imminente, così come notavano che nel Nilo la vita germinava, e il collegamento con la vita dell'uomo che nasce dall'acqua del ventre mise in condizione Hathor di divenire patrona delle nascite così come aveva generato la Via Lattea dalle sue sacre mammelle, esattamente come era capitato ad Era nel mito greco.
Come il figlio Horus e come altre divinità, nella sua forma antropomorfa, conservava comunque dei tratti animali, come appunto la testa o le orecchie bovine, quando non era rappresentata propriamente come una giovenca, simbolo materno di abbondanza, nutrimento e fertilità. Questo sincretismo deriva, secondo gli egittologi, dall'assimilazione di una divinità bovina molto più antica, il cui nome è Bat, che a sua volta era associata al Ba, uno degli aspetti deputati al potere e la manifestazione dell'anima, e anche per questo motivo infine Hathor trovò il suo ruolo a fianco di Osiride come dea che dava il suo benvenuto nel Duat offrendo al defunto un banchetto per rifocillarsi dopo il suo lungo viaggio. Ma fu proprio grazie a questa associazione con Ba che acquisì anche la patronanza sulla musica, e in particolare sul sistro, uno strumento idiofono composto da un'ansa di metallo montata su un manico e attraversata da delle aste che, scuotendolo, vibravano. In seguito questo strumento venne anche associato ad Iside, che venne resa la sua ideatrice.
Hathor era comunque una dea davvero adorata e benvoluta, soprattutto dalla popolazione femminile, che riconosceva in lei l'aspetto triplice di madre, amante e moglie. I suoi sacerdoti e le sue sacerdotesse erano danzatori, musici e cantanti e lei stessa divenne nota come Signora della Casa del Giubilo. Ma questo suo aspetto materno, che colse con l'associazione con Ba, la dea bovina, portò anche l'aspetto oracolare ai suoi sacerdoti, legato a moltissime dee madri: un aspetto che troviamo ancora in Iside. Questo suo essere venerata da una popolazione prevalentemente femminile portò un'ulteriore evoluzione nel suo culto, soprattutto per quanto riguarda il suo aspetto infero: se un tempo quindi era solo Osiride ad accogliere i defunti nel suo regno aureo, con l'associazione necrofora di questa dea si ottenne a volte una divisione, ossia Hathor svolgeva per le donne il ruolo che Osiride aveva per gli uomini.
In quanto madre di Horus, divenne automaticamente resa madre del Faraone stesso, che non era altri che il dio incarnato ed era pertanto nota come "La Grande Vacca che Protegge suo Figlio". E qui troviamo ancora come quello che per noi potrebbe non avere senso per concetti temporali e anacronistici per gli egizi invece non faceva altro che rispecchiare la natura molteplice e comparativa degli dei. Hathor era sia madre che figlia di Ra e per questo venne associata al suo stesso occhio, sostenendo che era stata generata da una delle sue lacrime.
In questo aspetto possiamo ora valutare quello che è il lato oscuro, divoratore e distruttivo di Hathor e che trova pieno compimento e legame con la greca Era. Nel suo ruolo di Occhio di Ra, secondo il mito narrato nei Testi delle Piramidi, venne scagliata sull'umanità nella sua manifestazione distruttiva: la dea leonessa Sekhmeth. Da notare è che la stessa Giunone, versione romana di Era, aveva sacro il leone e come lei anche Cibele o la greca Rea, di cui, come abbiamo visto, il nome Era è curiosamente l'anagramma, anche nella forma greca Rhea-Hera, e da lei riceve molti aspetti, come tramandati da madre in figlia sin dalla generazione titanide.
Ma torniamo ora a Sekhmet. Secondo ciò che ci pervenne dagli scritti di Manetone, un sacerdote di Serapide del terzo secolo vissuto sotto il regno di Tolomeo I e che scrisse l'opera omnia sulla storia egiziana, approssimativamente tra il 2200 e il 2040 a.C., nel lasso di tempo dinastico noto come Primo Periodo Intermedio, scoppiò un'aspra guerra nella Valle del Nilo che durò per oltre ventotto anni. Questo periodo sanguinario venne infine interrotto dal faraone Mentuhotep II, che sottomise con la forza il regno del Basso Egitto unificandolo con quello dell'Alto Egitto. Quando la pace venne finalmente ripristinata, salì al trono suo figlio, che prese il nome del padre: Mentuhotep III, e che portò un'epoca di pace e prosperità nei Due Regni. Nel racconto noto come "Il Libro della Vacca Celeste" viene narrato in prospettiva mitologica questo periodo terribile. Ra, offeso dalle continue arroganze e irrispettosità dell'umanità, la quale ormai aveva smesso di rimanere sotto il dogma della sua autorità, decise che era giunto il momento di punirla. Comunicò così ad Hathor ciò che stava avvenendo e quest'ultima, nel vedere coloro che lei stessa aveva partorito comportarsi in modo talmente irriverente, fu invasa da una furia che crebbe in modo vertiginoso e che la tramutò in Sekhmet, la feroce e invasata dea leonessa. Sotto queste sembianze si scagliò sul popolo egiziano portando ovunque morte, caos e distruzione e senza risparmiare nessuno dalla sua sete di sangue. Il massacro fu così violento che la sua furia non sembrava arrestarsi, anzi, pareva crescere mentre dilagava. Ra, vedendo ciò che stava avvenendo, comprese che se non fosse intervenuto la dea non si sarebbe fermata finché tutta l'umanità non fosse stata spazzata via. Si rivolse pertanto al dio Thot, che in seguito divenne anche marito di Hathor, il quale prima cercò di rallentare e tranquillizzare la dea con alcuni canti e racconti e in seguito escogitò uno stratagemma per cercare di placare ulteriormente Sekhmet: pose sul suo cammino grandi giare colme di birra rossa, che la dea confuse per sangue e che, dominata dalla sua sete, cominciò a lappare con avidità fino a quando, stremata ed ubriaca, crollò al suolo svenuta e riprese così le sue originali sembianze di Hathor.
In questo ruolo vediamo come Sekhmet-Hathor rispecchi una dualità generativa-distruttiva che richiama chiaramente l'aspetto della Divoratrice. Infatti la stessa dea leonessa non rappresenta solo la guerriera e la furia della battaglia, ma era anche patrona della magia curativa, applicata dai suoi stessi sacerdoti, e anche nel Libro dei Morti troviamo come Sekhmet abbia un ruolo determinante nel giudizio delle gesta dei defunti che si sottopongono al rito della bilancia. Manifesta dentro sé un forte senso speculare oscuro e luminoso che troviamo spessissimo in molte altre divinità di diversi pantheon: una sorta di "sorella malvagia" pari alla "sorella buona".
Come abbiamo visto, Era, così come Hathor, incarna gli aspetti delle proto-dee madri preistoriche, conservandone alcuni epiteti, alcuni simbolismi e soprattutto il carattere. A differenza quindi delle divinità maschili del culto mediterraneo che, per quanto confuso e articolato, hanno un mito chiaro e lineare senza buchi oscuri, troviamo come quelle femminili abbiano spesso padri e mariti differenti a seconda dell'autore che ne interpreta il mito e a seconda dell'epoca in cui si narra, a testimoniare come la loro assimilazione in culti patriarcali abbia portato ad una struttura mitologica di sostegno alla causa patrilineare stessa; fu così che Era la combattente feroce divenne una moglie gelosa, irascibile e insoddisfatta che si vendicava sulle amanti del marito infedele, perdendo la sua connotazione combattiva, che venne infine data ad Atena, portandola però a nascere dal capo del padre e rendendola una vergine guerriera che non contraddice mai il volere di chi l'ha messa al mondo, pertanto a tutti gli effetti difendendo il patriarcato. Ma una dea madre, che partorisce moltissimi figli e che è capace di trasformarsi in leonessa per punirli, non può mantenere questi stessi aspetti se il dovere e il diritto di essere giudice della moralità viene affidato a suo marito e lei viene privata del diritto di opporsi in modo equivalente alle irrispettosità che vengono perpetrate nei suoi confronti. È in questo che ritroviamo la distruzione della famiglia, l'annientamento del nucleo stesso, rappresentato dalla madre che non fa crescere i figli, che li castra, che impedisce loro di trovare una realizzazione nelle braccia di un'altra donna. Pressoché la figura che viene rappresentata nel capolavoro dei Pink Floyd: The Wall, e specialmente nella canzone Mother: "Zitto ora bambino, non piangere. Tua madre farà avverare ogni tuo incubo. Tua madre ti inculcherà ogni suo timore. Tua madre ti terrà al sicuro sotto le sue ali. Certo non ti lascerà volare ma potrebbe lasciarti cantare. Mamma terrà il suo bambino. al caldo e al sicuro. Oh bambino, oh bambino naturalmente mamma ti aiuterà a costruire il muro (...). Mamma controllerà tutte le tue fidanzate. Mamma non lascerà entrare nessuna poco di buono. Mamma rimarrà sveglia finché non sarai tornato a casa. Mamma scoprirà sempre dove sei stato. Mamma terrà sempre il suo bambino sano e pulito. Oh bambino, oh bambino. Sarai sempre un bambino per me". Questo concetto, parafrasato da Roger Waters nel suo rapporto con la madre e quindi nel concept album, rispecchia quello che Freud ha chiamato complesso di Edipo/Elettra. In alcuni casi diventa una risposta ad un sopruso da parte del marito/padre e il modo, quindi, in cui la madre cerca di evitare che nel figlio si crei una persona analoga: gli toglie pertanto il potere virile e proiettivo affinché non possa usarlo per essere distruttivo, diventando in questo modo distruttiva ella stessa. In Era, che ci appare ben più distruttiva che procreativa, si rispecchia questo aspetto: impossibilitata di prendersi una vendetta sul marito, si accontenta di colpirlo in modo indiretto facendo passare un inferno ai suoi figli e le sue amanti. In termini umani Medea raccolse a pieno questo aspetto, e questo mito è legato ancora ad Era. Come ci narra Apollonio Rodio nel notissimo poema epico Le Argonautiche, Giasone, per liberare il trono di Iolco da Pelia, che vi si era insediato usurpandolo al fratello Esone, mette insieme una ciurma di oltre cinquanta eroi e a bordo della nave Argo salpa alla ricerca del leggendario Vello D'oro, la magica pelle dai poteri taumaturgici appartenuta all'ariete Crisomallo, donata da Ermes a Nefele e dopo sacrificato, appesa ad una quercia e custodita in Colchide da un enorme drago figlio di Tifone. Quando l’eroe fu giunto, dopo varie avventure e peripezie, nelle terre caucasiche attuali, Era, che favoriva Giasone, chiese ad Afrodite di far innamorare la principessa Medea, figlia del re Eete e della regina Idia, affinché, con i suoi poteri magici, potesse aiutare gli Argonauti nella loro impresa. Usando quindi alcuni incantesimi favorì Giasone nelle tre prove che dovette superare per ottenere il vello ed in ultimo addormentò il drago garantendo la riuscita dell'impresa. Innamorata perdutamente dell'eroe, credette alla sua promessa di matrimonio, e tradendo la famiglia uccise il fratellino Apsirto facendolo a pezzi e spargendolo sulla via per la nave, dove si imbarcò assieme agli altri marinai, costringendo il padre a fermarsi a raccogliere le parti del figlio e impedendogli così di inseguirli.
Giunti gli argonauti a Ionto, Pelia rifiuta di cedere il trono nonostante il Vello D'Oro gli sia stato portato e Medea, nel nome dell'amore per Giasone, compie un ulteriore delitto: convince le figlie del re che facendo a pezzi il padre e bollendolo con delle precise erbe lo avrebbero riportato in vita e in piena salute, e per dimostrare la sua asserzione riporta un montone ad agnello mediante questo processo. Le figlie di Pelia cadono nel tranello e uccidono il padre. Questo gesto comportò l'esilio di Giasone e Medea da Iolco per opera dell'affranto principe Acanto. Dopo dieci anni di matrimonio a Corinto però, e dopo aver messo al mondo due figli con Medea, Giasone abbandona la moglie per sposare Glauce, la figlia del re corinzio Creonte, assicurandosi così il trono.
Straziata dal dolore, Medea rinfacciò allo sposo la sua condotta e questi le rispose che era stata Afrodite a farla innamorare, pertanto era lei che Giasone doveva ringraziare per l'impresa e non la stessa Medea. La donna, inferocita, meditò una vendetta degna della stessa Era: intessé un mantello con trame velenosissime e lo mandò in dono nuziale alla sposa di Giasone, fingendo di mostrare remissività per l'evento che l'aveva interessata. Non appena Glauce indossò il manto e venne in contatto con il veleno, venne trafitta da enormi tormenti e morì atrocemente: una sorte che toccò in seguito anche al padre Creonte quando cercò di toglierglielo di dosso. Inoltre, per impedire a Giasone di avere una stirpe, Medea uccise con le sue mani i due figli avuti da lui: Fere e Mermero. In questa vendetta si nota lo zampino della dea del matrimonio, sia per la sua efferatezza, sia per il fatto che l'eroe era sotto la sua protezione durante tutto il viaggio sulla nave Argo e, infrangendo la promessa che aveva fatto a Medea, cadde sotto l'ira di Era, che in ultimo lo uccise mentre si trovava sul relitto dell'imbarcazione.