The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Il Concetto di Figli - Accettati e non Accettati

Il Concetto di Figlio - Accettato o Non Accettato
 


Siamo qui giunti ad un punto decisamente delicato perché i figli, in quanto tali, non possono essere divisi semplicemente. La mitologia greca divide la seconda generazione olimpica dei figli in due modi, a loro volta divisi in due diverse divinità più una terza a fare la spola. Entrambi questi aspetti richiamano due elementi cardine del maschile: aria e fuoco, più uno che è sia aria che fuoco.

Come abbiamo visto con le divinità padri e quelle anziane, gli Olimpi erano divisi per generazioni. Da considerare ci sono qui solo i figli di Zeus in quanto solo loro hanno trovato reale posto nell'Olimpo, pertanto Apollo, Hermes, Ares, Efesto e, in seguito e per vie traverse, Dioniso.

Apollo ed Hermes, come Ares ed Efesto figli di Zeus, ricevono un trattamento differente dal padre in quanto rispecchiano chiaramente gli aspetti aurei del genitore. Apollo traina il carro del Sole, viaggia nel misterioso regno degli Iperborei e rispecchia in pieno il concetto di figlio prediletto perché incarna le doti del padre; egli è il chiaro esempio del figlio. Mentre Hermes è il ramingo, quello senza fissa dimora, il bugiardo, l'ingannatore, ma soprattutto il messaggero dai calzari alati. Entrambi sono accettati e ben visti dal genitore, al contrario di Ares ed Efesto che invece raccolgono un aspetto fuoco. Ares è distruttivo, sanguigno, non per niente è il dio della guerra e dello spargimento di sangue. Efesto è invece lo storpio, il condannato, il maledetto che è stato gettato dal monte Olimpo da sua madre non appena partorito perché giudicato orrendo a vedersi. Entrambi non possiedono il distacco mentale dei fratellastri, ma sfogano la loro frustrazione e distruttività in modi differenti: l'uno in guerra e nella danza, l'altro isolandosi e creando oggetti meravigliosi con cui esprimere il suo tormento.

L'aspetto da riconoscere nelle generazioni dei figli è semplicemente questo: il loro essere accettati o meno nella loro stessa natura da chi li ha concepiti e partoriti. Qualunque figlio ama il proprio genitore, anche se ha un rapporto tormentato e distruttivo con lui. Se non lo amasse non avrebbe bisogno di distruggerlo, semplicemente non troverebbe alcun tipo di legame con il genitore e lo disconoscerebbe. La difficoltà nel fatto che un figlio cerchi di costruire o distruggere un rapporto con il proprio genitore sta sempre e solo nella ricerca dell'amore. Fino a quando un figlio non sarà abbastanza adulto ed esperto della vita da prendere nota delle fallibilità del genitore, lo considererà sempre e solo "la verità e la vita", l'esempio da seguire, la perfetta incarnazione di ciò che lui vorrebbe sempre essere e se il figlio non si troverà ad essere all'altezza della considerazione del padre, allora farà di tutto per trovare il modo di conciliarsi all'aspetto di sé che il padre vorrebbe riconoscere, anche rendendosi ridicolo o indossando maschere.

Un esempio calzante lo troviamo nel film "Il Gladiatore", la cui trama non rispecchia però la verità storica. Marco Aurelio è Imperatore di Roma, ma è vecchio e malato e ha un figlio e una figlia: Commodo e Lucilla. Commodo, chiaramente innamorato della sorella con cui ha un rapporto morboso, è dominato da un ardente desiderio di salire al trono, ma il padre è chiaramente distaccato nei suoi confronti e anzi, lo denigra di fronte al generale dell'esercito: Massimo Decimo Meridio. Quando Marco Aurelio decide di cedere il proprio posto a Massimo invece che a Commodo, questi si confronta con il padre in una scena particolarmente significativa che si chiude con il patricidio mediante soffocamento. In questa scena Commodo mostra chiaramente il suo lato debole ed emotivo. Consapevole che la successione sarà ormai prossima, attende impaziente ammirando i busti dei cesari che costellano la tenda dell'imperatore. Quando appare suo padre il dialogo è spiccio e senza fronzoli. "Sei pronto a fare il tuo dovere per Roma?" è la domanda. E alla sua risposta positiva si sente dire senza mezzi termini: "Tu non diventerai imperatore". A quel punto la delusione e la confusione lo squassano, sia perché riceve la notizia che non diventerà imperatore da un padre che gli parla senza nemmeno guardarlo in volto e che gli mostra chiaramente disprezzo e poca stima, sia perché è l'unico erede maschio, quindi è chiaro che gli è stato preferito un esterno alla famiglia. Decisamente colpito dalla notizia in questo confronto con il padre, prima gli chiede "Quale uomo più saggio più vecchio di me prenderà il mio posto?" e, una volta a conoscenza del nome, mentre Marco Aurelio allunga una mano per carezzargli il volto, questi lo rifiuta. Sorpreso, l'imperatore gli chiede se la sua decisione lo delude. Un altro gesto, questo, di totale incomprensione nei confronti delle aspettative del figlio disprezzato. In quel momento Commodo esprime al padre il suo tumulto interiore, frenato per anni: "Una volta mi scrivesti considerando quattro delle principali virtù: saggezza, giustizia, fermezza e temperanza. Leggendo quello scritto sapevo di non possederle. Ma io possiedo altre virtù, padre: ambizione, che può essere una virtù quando è usata per eccellere; intraprendenza, coraggio, forse non in battaglia, ma esistono molte forme di coraggio; devozione… alla mia famiglia… e a te. Ma nessuna delle mie virtù era sul tuo scritto. Anche allora era come se non mi volessi come figlio". Commodo qui rappresenta chiaramente il figlio respinto dal padre. È il giovane che si rende conto di essere stato una chiara delusione per il padre e che, invece di valorizzare i suoi punti forti, ha cercato in ogni modo di compiacere il genitore, risolvendo solo di essere un pagliaccio senza natura. Così continua: "Vado scrutando il volto degli dei cercando il modo di compiacerti affinché tu sia fiero di me. Una parola gentile... o se almeno una volta tu mi avessi abbracciato o tenuto stretto al tuo petto… sarebbe stato come avere il Sole nel cuore per mille anni. Cosa odi di me a tal punto? Non volevo altro che essere degno di te… Cesare… padre". Marco Aurelio, in quel momento, si rende conto di ciò che è avvenuto e smette il ruolo distaccato di Imperatore e comincia ad essere un padre. Si inginocchia innanzi al figlio e gli dice: "Le tue mancanze come figlio sono il mio fallimento come padre!", dopodiché cerca l'abbraccio del figlio che possa riconciliarli e perdonarli. E nel pianto congiunto Commodo esprime questa frase: "Padre… massacrerei il mondo intero se solo tu mi amassi". In quell'abbraccio Marco Aurelio troverà la morte per soffocamento che poi porterà al prosieguo del film.

Estrapolata dal contesto del ruolo di antagonista in cui Commodo è stato inserito, in qualsiasi modo si guardi questa scena non può non ricordarci un dilemma di non accettazione. Quando un uomo diventa padre, se possiede dentro sé un archetipo come quello che è Zeus, allora si aspetta che il figlio sia ciò che lui vorrebbe che sia, senza dargli uno spazio reale di manovra e non riconoscendo in lui il bisogno di essere se stesso. Se il figlio, in questo caso, rispecchia chiaramente ciò che il padre si aspettava da lui allora diventerà un figlio "accettato", benvoluto e avrà tutti gli onori che si riservano a chi rispecchia chiaramente i desideri di realizzazione concupiti nel tempo e che spesso sono inerenti alla conquista sociale e il comando, come quello di Marco Aurelio che, rivolgendosi a Massimo, in risposta alla sua richiesta di spiegazioni su come la prenderà il legittimo figlio dell'Imperatore, nel film gli risponde: "Commodo è un amorale! Tu lo conosci fin da quando era giovane. Commodo non può governare! Tu sei il figlio che avrei voluto avere! Commodo accetterà la mia decisione. Egli sa che tu hai la lealtà dell’esercito".

Il figlio è quindi colui che vive all'ombra del padre. In genere lo ama, lo imita per quanto gli è possibile pur rimanendo nella sua natura. Se riesce nell'impresa perché è del tutto simile a quella del padre, allora troverà l'accettazione di quel "Sole nel cuore per mille anni"; in ultimo potrà decidere cosa fare, se seguire la via che il padre gli ha disegnato fin dalla nascita oppure se non farlo, rischiando però di incappare nella sofferenza del genitore e nella delusione delle aspettative. Se invece la sua natura è totalmente opposta e quindi non riesce nella sua impresa, allora non troverà l'accettazione e la realizzazione dell'amore e della fierezza suprema e si sentirà sempre fuori posto, se non surclassato da un fratello, una sorella o a volte, come nel caso di Marco Aurelio, Commodo e Massimo nel film di Ridley Scott, a qualcuno di esterno che rispecchia le aspettative del padre. L'ordalia di un figlio, se accettato, sarà quindi quella di mantenere sempre valido il grado di approvazione del padre, se non accettato sarà quella di cercarne e trovarne in ultimo l'accettazione.
 

Seguire le orme del padre o distruggere le sua immagine


Sia in un caso che in un altro, il figlio è colui che deve raccogliere l'eredità, buona o cattiva che sia, lasciatagli dal padre. Più l'eredità è consistente, soprattutto in termini di potere e di visibilità, più sarà difficile riuscire a non tradire le aspettative di chi desidera una cosa o l'altra. Molti sono i figli che, ereditata una grande azienda da un genitore che si è costruito da solo, la portano al collasso, o che cercano di seguire le orme del padre appassionandosi delle stesse cose ma mantengono con lui un rapporto di quasi competitività, una continua riaffermazione del proprio potere. Ma vedendola dal punto di vista dei figli, se nascessimo eredi di un pluriomicida, di un dittatore, di un politico particolarmente influente, di una rockstar, di un attore, un leader religioso, quante probabilità potremmo avere di non subire l'onta delle azioni di nostro padre anche se, di fatto, noi siamo individui differenti? E quante ne avremmo di continuare a vivere per luce riflessa dalle sue azioni senza riuscire e trovare la nostra strada nella vita perché in qualche modo siamo legati a quelle che sono state le sue scelte, giuste o sbagliate che siano sulla base delle sue attitudini? La difficoltà di accettazione tra padre e figlio è insita infine nella capacità da parte del genitore di capire le potenzialità del figlio e valorizzarle, senza aspettarsi che prosegua un cammino che non gli appartiene.

Nel caso della mitologia greca, il padre Zeus non solo è il genitore della generazione olimpica più prolifico, ma anche quello che ha messo al mondo sei dei dodici olimpi (anche se Dioniso non è uno degli originali in quanto prese il posto di Estia), quindi pressoché l'intera seconda generazione di dei olimpici. Il suo costante ruolo di dio del cielo rispecchia quindi diverse sfaccettature che sono ricadute poi sul ruolo dei figli. Quelli accettati sono infatti i due legati all'elemento aria, quindi quelli distaccati, mentre i due rifiutati sono i due legati all'elemento fuoco, quindi quelli più emotivi. Secondo Jean S. Bolen, autrice di Gli Dei Dentro l'Uomo questo richiama il chiaro aspetto dell'uomo in carriera in quanto archetipo Zeus, che programma la vita dei figli anche dopo la morte e che vive nel distacco emotivo legato alla sola ragione.

Un figlio quindi può trovarsi di fronte alla possibilità, accettato o meno che sia, di voler ricalcare le orme del padre facendo esattamente ciò che ci si aspetta da lui oppure distruggere sistematicamente tutto ciò che lo riguarda prendendo una strada totalmente opposta e che magari gli riesce decisamente male, ma solo per spirito di ribellione ad un'imposizione distruttiva. Alternativamente può trovarsi nel ruolo di riuscire ad essere amato ed apprezzato dal padre per le proprie qualità anche se totalmente differenti da quelle paterne e trovare la propria strada senza dover rimanere nell'ombra, negativa o positiva che possa percepire, del genitore e delle sue scelte. Entriamo quindi nel campo e nel ruolo che ha Dioniso, il figlio accettato e non accettato, o, come preferisco vederlo io, il figlio del riscatto emotivo di Zeus.

Ma ora vedremo tutti e cinque questi dei, e cercheremo di capire il loro ruolo attraverso il mito che li riguarda.