The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Prometeo l'Umanista

Prometeo l'Umanista
 

Nella mitologia greca Prometeo si distinse per varie ragioni e per i molti miti che lo videro come figura centrale. Ciò nonostante rimase, talvolta, in ombra. Egli era figlio di due titani, Giapeto e Climene, figlia di Oceano. Secondo alcuni fu Asia, invece, anche lei oceanina, a darlo alla luce, quanto meno secondo il mito creazionista più diffuso. Secondo altri ancora era figlio del Gigante Eurimedonte e di Climene, da non confondere però con la Climene appartenente alla stirpe minoica, figlia di Catreo.

Il nome di Prometeo ha un significato chiaro, dato che in greco Προμηθεύς, ossia Promethéus, significa "Colui che riflette in anticipo". A tutti gli effetti Prometeo faceva parte della stirpe titanide, ed aveva cinque coppie di fratelli gemelli savi e di buon cuore che però divennero, col tempo, avidi ed invidiosi, attirando così su di loro l'ira divina che si tradusse in un'inondazione che spazzò via il regno dove vivevano. Gli unici che sopravvissero al diluvio furono Atlante, il dio che prese il posto di Crono nella titanomachia, Menezio, il tracotante che venne poi folgorato da Zeus ed Epimeteo, che divenne noto per ben altri motivi, dato che portava un nome che significa "Colui che riflette in ritardo".

Prometeo ebbe alcuni figli, di cui uno certo fu Deucalione, avuto da Celeno, una delle Pleiadi figlia di Atlante e Pleione che sposò però Poseidone. Quando l'alluvione scatenata sull'umanità distrusse il suo paese, Prometeo, sapendo in anticipo l'intenzione di Zeus, avvisò il figlio, permettendogli di salvarsi. Forse proprio grazie alla sua capacità di essere previdente, quando si radunarono i due eserciti per combattere la Titanomachia non seguì i fratelli che presero le parti di Crono, ma si schierò dalla parte degli Olimpi e convinse anche Epimeteo a fare lo stesso. Intervenne però nella lotta solo alla fine. Insieme con lui solo due titani seguirono il suo esempio: Elio ed Oceano. Gli altri combatterono contro Zeus e trovarono la sconfitta, pertanto furono banditi nel Tartaro. Per questo motivo, assieme alle titanesse (salvate per intercessione di Rhea), Prometeo fu tra i quattro titani che non finirono puniti con il bando dal mondo.

Secondo un mito creazionista filosofico narratoci in momenti diversi da alcuni autori, come Pausania, Esiodo, Apollodoro e Igino, la terra, appena dopo la formazione di vari aspetti e della sua creazione, non era popolata dagli uomini mortali. Fu proprio Prometeo, su ordine di Zeus, a crearli impastando della creta con l'acqua e infondendo in essi il fuoco divino. A lui ed al fratello Epimeteo fu affidata anche la distribuzione delle qualità con cui le diverse specie di animali e razze degli uomini potevano affrontare le difficoltà dell'esistenza. Tuttavia, per sua natura, il fratello "mentecatto" - come viene definito da Esiodo - si premurò di diffondere le diverse peculiarità agli animali prima ancora di darle agli uomini, ma soprattutto cominciando senza l'aiuto di Prometeo, o, secondo altri, perché questi gli affidò il compito (il che, però, andrebbe contro alla sua natura scaltra). Epimeteo diede quindi zoccoli e corna agli erbivori, zanne affilate e zampe resistenti ai carnivori per cacciarli, occhi acuti, becchi adunchi ai rapaci e ali agli uccelli, artigli, olfatto e udito eccezionale ai felini, squame, code e pinne ai pesci e via dicendo. Resosi conto però di come Epimeteo si fosse dimenticato degli uomini, Prometeo rimediò immediatamente, sottraendo ad Atena uno scrigno dove ella aveva riposto altre due qualità: l'intelligenza e la memoria, ed inoltre donò loro il fuoco, affinché potessero difendersi dalle creature selvagge, illuminare l'oscurità della notte e cacciare per nutrirsi, ma soprattutto in questo modo li favorì insegnando loro le arti di Efesto e di Atena.

Igino, nelle Fabulae, racconta quanto segue: "Prometeo, figlio di Giapeto, per primo plasmò gli uomini con del fango; in seguito Vulcano su ordine di Giove creò con del fango la figura di una donna, alla quale Minerva diede l’anima, e tutti gli altri dei diedero chi un dono chi un altro; e per questo motivo la chiamarono Pandora. Essa fu data in sposa al fratello di Prometeo Epimeteo; da loro nacque Pirra, che si dice sia stata la prima donna ad essere creata". Tuttavia, da quello che ci giunge dai diversi autori, Zeus non fu particolarmente felice del fatto che gli esseri umani fossero in grado di pensare e ricordare, oltre che di avere accesso al fuoco. Vide in questo un pericolo, forse, dato che le due qualità li avrebbero resi potenti; sta di fatto che meditò di sterminarli. Ma Prometeo lo convinse a rinunciare ai suoi propositi, salvandoli.

Esiodo ha invece una versione differente e più complessa. Questo autore, che, forse è necessario dirlo, era un noto misogino, narra in effetti tre miti diversi riguardanti Prometeo nei due lavori che ci sono giunti: Le Opere e i Giorni (che viene definito come una sorta di opera etico-didascalica sulla giustizia e sul lavoro, ma, come si riferisce più semplicemente Gianmichele Arrighetti, è un poema sul destino dell’uomo), e la sua Teogonia che, a tutti gli effetti, rappresenta invece l'affresco vero e proprio del mito greco su cui, quanto meno come testo di paragone, ogni mitografo si basa. Questi tre miti sono, in qualche modo, collegati e conseguenti tra loro e servono a dare una forte spiegazione al concetto di scoperta e vittoria dell'uomo sulle potenze della natura. Vediamo come.

Nel mito noto come "il Mito di Mecone" si narra di come gli uomini, in questo tempo antichissimo, vivessero a stretto contatto con gli dei, ma soprattutto, come vedremo, mangiassero e bevessero alla loro stessa tavola, condividendo un'armonia e una convivialità che, purtroppo (o per fortuna), non erano destinate a durare. Il "Mito di Mecone", noto così per via del fatto che si svolgeva in un luogo che portava quel nome, si apre di fronte al dilemma degli uomini che, incerti sulla suddivisione delle spettanze dell'olocausto di un bue, si rivolgono a Prometeo affinché ne decreti l'equità. Il dio, che, come ci ricorda lo stesso Esiodo, era e accorto e scaltro, dopo aver ucciso il bue, divise le carni, le viscere e il grasso dalle ossa spolpate, dopodiché cucì la pelle dell'animale in due sacche. In una delle due mise tutte le ossa coperte da uno strato di grasso per renderle più appetitose, mentre nell'altra mise la carne, coperta però dallo stomaco, che, come ci fa notare Graves, era il boccone meno ambito. Dopodiché si rivolse a Zeus, che notò immediatamente la disparità delle parti e gli disse ridendo di nascosto: "Illustre Giove, sommo fra i Numi che vivono eterni, scegli quello che più ti dice di scegliere il cuore". Il sommo padre esaminò le due porzioni e, lasciatosi ingannare, scelse il grasso, sollevandolo e scoprendo così l'inganno nascosto sotto di esse: ossia le ossa spolpate; con quel gesto però decretò come sarebbero destinati, d'ora innanzi, i sacrifici agli dei. Risentito per il gioco tiratogli, Zeus maledisse gli uomini, togliendo loro il fuoco.

Ma Prometeo, che amava gli uomini, convinse Atena, con la quale, come vedremo, ha un rapporto particolare, a lasciarlo passare nottetempo e ad accedere all'Olimpo e, giunto nei pressi del carro solare, richiuse la fiamma nel fusto cavo di una ferula, una pianta simile al finocchio, accendendo il midollo secco al suo interno, riportandolo così agli uomini. Secondo Eschilo invece ne prese le scintille dalla fucina di Efesto. Igino, nelle Fabulae racconta: "Gli uomini chiedevano agli dei il fuoco, ma non lo sapevano conservare per sempre; poi Prometeo lo portò sulla terra in una canna, ed insegnò agli uomini in quale modo lo potessero conservare ricopertolo con la cenere. A causa di questo fatto, Mercurio, per ordine di Giove, lo legò ad una roccia sul monte Caucaso con chiodi di ferro e mise un'aquila che rodesse il suo fegato. Tanto ne aveva mangiato durante il giorno, quanto (il fegato) ricresceva la notte. Dopo trentamila anni Ercole uccise quest'aquila e lo liberò."

A questo punto, come ci racconta Esiodo, Zeus si infuriò grandemente. Ordinò ad Efesto di creare un simulacro di donna e fece soffiare in essa la vita dai quattro venti: Zefiro, Austro, Noto e Borea. Zeus volle che fosse pudica e ordinò ad Atena e ad altre dee olimpiche di vestirla e renderla meravigliosa: "La cinse e l'adornò la Diva occhiglauca Atèna, con una candida veste, sul capo le pose una mitra istoriata con le sue mani, stupenda a vederla, e su la fronte corone le pose Pàllade Atèna di fiori, appena appena spiccati dall'erba fiorente. E d'oro un diadema le cinse d'intorno alla fronte, che avea per lei foggiato l'artefice insigne ambidestro, con le sue proprie mani, per far cosa grata al Croníde. In esso molte fiere scolpite con arte stupenda erano, molte, quante ne nutrono il mare e la terra: tante scolpite ne aveva, fulgendone somma bellezza, meravigliosa; e tutte sembrava che avessero voce." La donna fu chiamata Pandora, il cui nome significa "Ricca di Doni" e fu destinata in sposa ad Empimeteo, il quale però, ricordandosi di come il fratello lo avesse messo in guardia dall'accettare doni da Zeus, inizialmente la rifiutò.

Vedutosi ritornare il dono, Zeus si infuriò ancora di più, pertanto inviò Hermes ed Efesto con l'ordine di inchiodare Prometeo sulla cima di un monte del Caucaso, imponendo che un'aquila si nutrisse ogni giorno del suo fegato, che sarebbe ricresciuto durante la notte. Costernato per l'orrendo trattamento, Epimeteo decise di ritrattare, forse speranzoso di poter sollevare dalla pena il fratello, e accettò il dono inviatogli da Zeus.

Esiodo descrive Pandora bella quanto stupida, malvagia e pigra ma di fatto, come dicevamo, si trattava di un misogino che perde tempo a definire le donne come una disgrazia per l'umanità. Tuttavia la storia narra di come all'interno di un vaso che aveva affidato al fratello Prometeo avesse celato tutti i più orrendi mali che potessero affliggere l'umanità, affinché questa potesse esserne salva. Epimeteo, come gli aveva ordinato il fratello, raccomandò a Pandora di non aprirlo per nessun motivo, ma col passare dei giorni la curiosità vinse sulla raccomandazione e Pandora scoperchiò il famoso scrigno. Senza indugio la Vecchiaia, la Fatica, la Malattia, la Pazzia, il Vizio e la Passione fuoriuscirono pronte ad affliggere il mondo. Accortasi dello sciagurato errore che aveva commesso, la donna chiuse immediatamente il vaso, ma non riuscì ad impedire alla Speranza di ingannare tutti gli uomini e di impedir loro quindi di suicidarsi.

Robert Graves, nel suo I Miti Greci dà un'interpretazione particolare di questo mito: "II nome di Prometeo, «il preveggente», ebbe forse origine da un'errata interpretazione greca della parola sanscrita pramantha, indicante la svastica o fiaccola, che si dice Prometeo avesse inventato. Prometeo, l'eroe popolare indo-europeo, fu poi confuso con l'eroe cario Palamede, cui è attribuita l'invenzione e la diffusione di tutte le arti civili (per diretta ispirazione della dea), e col dio babilonese Ea, che si vantava di aver creato uno splendido uomo dal sangue di Kingu (una specie di Crono), mentre la dea madre Aruru ne creava uno di molto inferiore con l'argilla. I fratelli Pramanthu e Manthu, citati nell'epoca sanscrita Bhàgavata Puràna, sono forse i prototipi di Prometeo ed Epimeteo («che riflette dopo»); tuttavia la leggenda di Prometeo, Epimeteo e Pandora narrata da Esiodo non è il mito originale, ma una favola antifemminista, probabilmente inventata da Esiodo stesso, benché si ispiri alla leggenda di Demofoonte e Fillide. Pandora («che tutto dona») era la dea terra Rea, venerata con quell'appellativo ad Atene e in altre città (Aristofane, Gli Uccelli; Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana); il pessimista Esiodo fa di lei la responsabile della morte dell'uomo e di tutti i mali che l'affliggono, nonché del frivolo e dissennato comportamento di tutte le mogli. Anche la leggenda della distribuzione della carne del toro non corrisponde ai soliti schemi mitici ed è un aneddoto comico, inventato per giustificare sia la punizione di Prometeo, sia la consuetudine di offrire agli dei soltanto le ossa della coscia e il grasso degli animali sacrificati. Nella Genesi, la santità delle ossa delle coscia viene spiegata con l'episodio di Giacobbe azzoppato durante la lotta con l'angelo. Il vaso di Pandora conteneva originalmente anime alate."

Prometeo era quindi una divinità più antica e secondo alcuni assistette alla nascita della stessa Atena dal cranio di Zeus quando questi si trovava presso il lago Tritone. Fu proprio grazie al suo brillante intelletto e alla sua sagacia che la stessa dea della saggezza decise di insegnargli i mestieri e le arti di cui era patrona, e secondo alcune versioni del mito fu necessaria non solo la sua intercessione mediante l'alito divino, ma anche il suo consenso per far sì che gli uomini venissero plasmati con creta e acqua "a sua immagine e somiglianza". Ora, non è insolito vedere e risentire nuovamente questo termine e questo mito riformato in modo differente. Già nel libro della Genesi si parla di Adamo con questo nome proprio perché "proviene dalla terra". In ebraico infatti, come vedremo anche in altri articoli, come quello dedicato alla dea Rhea, il termine terra è adamah, e lo si usa sia per riferirsi al concetto di terra come elemento (alchemico se vogliamo), sia come materialità e come termine di umanità, di appartenenza ad uno status terreno, pertanto, come è possibile immaginare, anche di mortalità.

Tra tutti i svariati miti, più o meno belli e più o meno significativi, che punteggiano l'affresco della mitografia greca, ritengo che quello di Prometeo sia paritario solo al Ratto di Persefone per le possibili ramificazioni nei simbolismi esoterici ed exoterici che ci è possibile individuare. Come ogni volta, è sempre nelle nostre mani la scelta di come leggere un mito; come una semplice favola per divertire i posteri, come un modo per spiegare eventi o vicissitudini del mondo naturale che altrimenti sarebbero rimaste inspiegabili per le popolazioni arcaiche, o come un uno stratagemma utile a celare verità disponibili ai soli iniziati ad un culto, una dottrina o un filone di pensiero.

Partiamo dal fatto che Prometeo fu creatore dell'umanità e suo nume tutelare. La sua posizione fu decisamente centrale perché quando Zeus decretò che gli uomini erano divenuti troppo saccenti e decise di sterminarli lui si frappose alla sua intenzione e riuscì a fargli cambiare idea, salvando così le sue creazioni. È in questo suo "umanesimo", oltre che per la sua sagacia, che trova un'affinità con Atena. Anche Atena, infatti, più di altri olimpi, si intratteneva con i mortali e li facilitava, onorandoli non come suoi pari, certamente, ma trattandoli con rispetto fintanto che mantenevano un comportamento ligio ai suoi dettami. Vedasi il rapporto particolare che aveva con Odisseo, o il suo intervento divino che permise a Diomede di colpire lo stesso Ares durante la guerra di Troia o anche il suo intervenire a placare il Pelide Achille quando stava per uccidere Agamennone. Le altre volte in cui è stato possibile vedere un dio intervenire per intercedere con il destino di un mortale si trattava, quasi sempre, per interessi personali della stessa divinità: vuoi per desiderio sessuale, vuoi per vendetta, vuoi per tutela dei figli che queste avevano avuto con i mortali con cui avevano giaciuto. Prometeo, così come Atena (che in una parte del mito, come abbiamo visto, contribuì e acconsentì alla creazione degli esseri umani), mostrava invece un amore disinteressato nei confronti delle sue creazioni. Li difendeva perché voleva che vivessero e prosperassero e per farlo era disposto a sfidare ed ingannare lo stesso Zeus; qualcosa che, in qualche modo, sembra mettere lo stesso Padre Celeste in una situazione quasi di svantaggio. Mai prima di quel momento nessuno aveva mai osato tanto senza incorrere in funeste conseguenze, eppure Prometeo in qualche modo la passò liscia per ben due volte.

Ora, facciamo un passo indietro. Esiodo ci parla di cinque ere dell'uomo, designate e definite in parte con l'associazione alla trasmutazione alchemica dei metalli. Nonostante non sia alla luce del sole, leggendo tra le righe è possibile notare come l'evoluzione dell'uomo e degli dei, attraverso queste cinque epoche, abbia subito un moto completamente opposto. Il processo di trasmutazione alchemica si basa sul principio di perfezione e di corruttibilità. Là dove gli alchimisti da sempre cercano l'incorruttibilità, rappresentata dall'oro, nelle diverse età umane abbiamo invece un moto verso il basso, partendo da un'età pura e incorruttibile (chiamata appunto Età dell'Oro), per discendere attraverso le altre quattro ere. Così come l'umanità procedeva però verso la corruttibilità (e questo lo vediamo in molti miti, come ad esempio quello ebraico narratoci nel libro della Genesi, ma anche nel Talmud dove Adamo ed Eva divennero mortali solo quando banditi dal Giardino dell'Eden), a sua volta l'importanza, il potere e l'evoluzione degli dei cresceva di pari passo con la caduta umana. L'età dell'oro, quindi, è paragonabile alla mesopotamica creazione da parte di Yahwé di Adamo ed Eva - nati immortali e circondati da un paradiso terrestre dove non esisteva violenza, vizio e degenerazione. Durante questa età, quando Crono regnava sul mondo, il leone viveva a stretto contatto con la gazzella, il lupo con l'agnello, non esisteva la proprietà privata e il grano cresceva abbondante perché tutti ne potessero mangiare. La spirale di violenza e decadimento fa precipitare l'uomo dall'armonia verso la corruzione, ma, di contro, fa sollevare gli dei che, nel bisogno di trovare uno spiraglio di speranza, ricevono le offerte dei mortali che devono vivere di stenti continui (e ritroviamo il bando dal giardino dell'Eden, la scoperta della violenza con l'uccisione di Abele da parte di Caino, la perdita dell'immortalità e la necessità di dover lavorare, in qual caso coltivare i campi, per procacciarsi il cibo). Se da una parte è possibile vedere una sorta di emancipazione dell'uomo dagli dei, dall'altra invece vediamo come questi stringano invece con un nodo scorsoio gli uomini perché non forniscono loro più il sostentamento di cui hanno bisogno senza chiedere nulla in cambio, ma pretendono sacrifici e onori che, d'altra parte, servono anche a loro per mantenere il loro status divino.

Prometeo, quindi, amando gli uomini, li favorisce quattro volte. La prima volta quando si accorge che nella distribuzione delle qualità che spettavano agli esseri viventi il fratello Epimeteo ha agito con frettolosità, dimenticandosi di loro e lasciandoli privi di pelliccia per coprirsi dal freddo, privi di artigli e zanne per cacciare, privi di quattro zampe per scappare, privi di ali e piume per librarsi nel cielo e vedere le cose dall'alto, di pinne e code per nuotare velocemente, e senza la capacità di vedere al buio. Per sopperire a queste mancanze dona quindi loro il fuoco. Anche in questo vediamo la sua vicinanza con Atena, dea dei mestieri e dell'ingegno. Il fuoco, qui, non rappresenta solo il simbolo del calore e della luce, ma anche della trasformazione e dell'evoluzione. Per l'umanità la scoperta del fuoco ha passato alcune fasi differenti e ben distinte. Come ho già ribadito in altri articoli, in particolare quello sull'elemento a lui dedicato: "valutiamo il fatto che il fuoco è stato una delle conquiste dell'umanità, pertanto assume il mitico concetto di "cerca". Prima della "scoperta" del fuoco, che noi siamo abituati ad avere sotto controllo, il mondo era buio e freddo. E la "cerca" del fuoco, avvenuta centinaia di migliaia di anni fa, non garantiva la sua gestione. Il fuoco ha quindi passato quattro fasi distinte: scoperta, trasporto, conservazione, e produzione. Consideriamo che la "scoperta" del fuoco, come cerca, non è associabile alla sua manifestazione. È accertato che l'uomo l'abbia visto manifestarsi in natura più volte (fulmini che colpivano alberi sono le cause più facili); la scoperta avvenne nel momento in cui, non si sa quando, si ipotizza che il primo uomo abbia sollevato un ramo incendiato o assaggiato la carne di un animale ucciso dal fuoco. In quel momento, se vogliamo, per via intuitiva, l'uomo ha "scoperto" il fuoco, comprendendo che poteva divenire uno strumento nelle sue mani. Si parla di Homo erectus, quindi quasi un milione di anni fa, ma questa "scoperta" potrebbe essere ancora antecedente, in quanto ci è possibile datare solo in base ai ritrovamenti antichissimi che sono stati fatti solo in tempi recentissimi. Abbiamo quindi un principio di "scoperta" e "cerca" sul fuoco, ma soprattutto, non dimentichiamolo, di mantenimento e conservazione del fuoco, il che non è poco. In seguito, nell'eventualità pressoché certa di spegnimento (pioggia, mancata combustione ecc..) la possibilità di ricreare il fuoco, di riprodurre questo evento meraviglioso. Ovvio che tra ogni passo di quelli specificati dobbiamo contare una manciata di migliaia di anni, ma una volta ottenuto il potere, l'uomo ha scoperto un alleato vero e proprio." Nel mito greco, il fuoco fu un dono di Prometeo, una scintilla di origine divina che permise agli uomini di sopperire a tutte le altre mancanze a cui furono sottoposti dall'avventatezza del fratello Epimeteo. Grazie al fuoco l'uomo si evolse e divenne padrone incontrastato di tutte le terre emerse. Questa evoluzione non portò solo al vantaggio dell'alimentazione di cibi cotti, ma anche alla possibilità di costruire un riparo, di modificare l'ambiente intorno a sé per renderlo più agibile alle proprie necessità; di sollevarsi dallo stato di schiavitù in cui viveva. Nonostante ciò, l'uomo doveva ancora molto alle divinità, perciò forniva loro olocausti. E in questo, come abbiamo visto, l'uomo coinvolse ancora il suo creatore, per chiedere consiglio su come fosse meglio suddividere la spartizione del sacrificio destinato agli dei. Nell'episodio del bue Prometeo favorì gli uomini per la seconda volta. Da una parte questo mito serviva a spiegare il perché negli olocausti agli dei erano sempre riservate il grasso e le ossa, ma in parte serviva anche per alterare mitologicamente un equilibrio che esisteva fino a quel momento. Prima di quel periodo, a parte la mancanza delle donne (dato che fu Pandora la prima e Pirra la prima naturalmente nata), gli esseri umani erano comunque mortali. Vivevano dei frutti della terra senza aver bisogno di null'altro che di ciò che gli dei davano loro. Non conoscevano la violenza, non conoscevano l'irrispettosità, il vizio, nonché vecchiaia, pazzia, malattia, fatica e passione. Erano quindi felici di ciò che avevano e non necessitavano di più. Ritroviamo questo aspetto anche nel mito cosmogenico sumero di Enki e Ninhursag, narrato nel poema epico che porta, appunto, questo nome. Ivi si può leggere: "A Dilmun il corvo ancora non gracchiava, la pernice non starnazzava. Il leone non aveva ancora ucciso, il lupo non aveva ancora rapito gli agnelli, il cane non aveva ancora imparato a far rannicchiare i bambini, il maiale non aveva ancora imparato che il grano poteva essere mangiato". Con il gesto di Prometeo, questo equilibrio e questa armonia si spezzò. Il suo porsi tra Zeus e gli uomini non valse solo un'impietosa rappresaglia da parte del Padre degli dei che però si ritorse ancora una volta contro gli stessi mortali, dato che Zeus portò loro via il fuoco, ma comportò il primo momento in cui gli uomini fecero un passo verso la comprensione del fatto che la dipendenza che avevano dagli dei era più che altro fenomeno simbiotico di reciproco soccorso. Se gli uomini trovavano da mangiare e mangiavano a sazietà le carni del bue, erano felici di poter lasciare una parte del banchetto in sacrificio agli dei. Se gli uomini morivano di fame, nemmeno gli dei potevano ottenere nulla. In questo contesto, quindi, Prometeo permise agli uomini di fare un ulteriore passo di evoluzione ed emancipazione: scelse che la carne e le viscere fossero destinate agli uomini e le ossa e il grasso fosse invece destinato agli dei.

A questo punto, a livello di mito, cosa mai poteva impedire a Zeus di sterminare l'umanità di cui si lamentava sempre per la loro tracotanza? Nulla. Eppure ancora una volta non lo fece, ma adirato portò via loro il dono che Prometeo aveva fatto, costringendoli a mangiare la carne cruda, quindi, di fatto, a retrocedere evolutivamente. Ma il creatore degli uomini non lo accettò e intervenne in loro favore una terza volta, sfidando apertamente il dettame di Zeus: convinse Atena a farlo accedere all'Olimpo (dato che lui, essendo un Titano, non vi abitava) e si intrufolò a rubare il fuoco per riportarlo all'uomo. Secondo alcuni lo rubò dalla fucina di Efesto, secondo altri invece dal carro solare di Apollo.

La sfida è in questo modo chiara, ma Prometeo, non appena creato l'uomo, aveva anche favorito ulteriormente i suoi figli: aveva chiuso in un vaso tutte le disgrazie e lo aveva affidato al fratello Epimeteo, raccomandandogli di non aprirlo mai, così che l'umanità di cui tanto era innamorato non ne venisse mai afflitta.

Tuttavia, come ben sappiamo tutti, la caduta dell'uomo è inevitabile, per cui Prometeo finì incatenato e Pandora, sposa di Epimeteo, aprì il vaso maledicendo l'umanità con tutto ciò che lui aveva chiuso al suo interno.

Il mito eziologico di Mecone, quindi, di fatto pressoché centrale, segna l'inizio della caduta dell'uomo dall'età dell'oro a quella del ferro, passando per quella dell'argento e del bronzo. Esiodo ne ricalca i punti nelle sue Opere e i Giorni, mettendo in chiara luce come l'uomo da quel momento fu costretto a dover lavorare per procurarsi il nutrimento di cui necessitava per vivere. Prometeo funse da canale, se vogliamo, per la caduta ed emancipazione dell'uomo, ma il passo, filosoficamente, fu mosso dal dubbio che gli esseri umani si posero. Prima di quel momento l'uomo non si era mai posto il problema di quale fosse la parte destinata a lui stesso e quale agli dei. Questo perché il principio armonico su cui si muovevano è lo stesso secondo cui era costruita l'intera età dell'oro: ossia che non esisteva un servo e un padrone, ma che tutti mangiavano dallo stesso piatto e nessuno non possedeva nulla, ma tutto era di chiunque. La terra era della terra e quello che vi cresceva era di chiunque lo volesse mangiare. Nel momento in cui si domandarono e rifletterono sul fatto che fosse possibile valutare una differenza, ruppero l'equilibrio dell'armonia universale che vigeva fino a quel momento e si distinsero, prendendo una strada che, fino ad ora, non è mai più tornata a coincidere con quella originale. Gli uomini svilupparono un concetto legato al "sé", alla propria individualità. Svilupparono l'EGO. Smisero di sentirsi tutt'uno con gli dei e cominciarono a pensare a loro stessi come a creature di diversa natura. In sostanza, tornando al sincretismo del mito giudaico, violarono le leggi divine, scoprirono di essere ciò che erano e furono costretti ad abbandonare il Giardino dell'Eden come reietti per costruire un mondo che sarebbe appartenuto a loro soltanto, dove il loro creatore avrebbe vigilato eternamente presente, ma dove non avrebbe mai più interferito con le loro decisioni, lasciando loro il libero arbitrio.

La suddivisione che venne effettuata durante il sacrificio narrato nel Mito di Mecone non fu solo di carattere fisico, ossia ciò che era edibile venne trattenuto dall'uomo e ciò che non lo era fu destinato agli dei, ma anche di carattere filosofico: ciò che è materiale rimase a chi viveva nella materialità, mentre agli dei fu riservato l'immateriale. I sacrifici infatti erano olocausti, quindi veniva eretta una pira dove gli animali andavano bruciati. E come leggiamo anche nel Levitico (7-1,5): "1 Questa è la legge del sacrificio di riparazione; è cosa santissima. 2 Nel luogo, dove si immola l'olocausto, si immolerà la vittima di riparazione; se ne spargerà il sangue attorno all'altare 3 e se ne offrirà tutto il grasso: la coda, il grasso che copre le viscere, 4 i due reni con il loro grasso e il grasso attorno ai lombi e al lobo del fegato che si distaccherà sopra i reni. 5 Il sacerdote brucerà tutto questo sull'altare come sacrificio consumato dal fuoco in onore del Signore. Questo è un sacrificio di riparazione". Questa scelta sacrificale determina due punti: la prima è che, tecnicamente, si trattava dell'unico modo per far sì che una parte fisica di quel sacrificio giungesse negli strati superiori, nella fattispecie i cieli, dove si riteneva che il divino celeste avesse dimora. La seconda è che il fumo, al contrario della carne, è di natura impalpabile, quindi era ritenuto più vicino all'essenza imperscrutabile degli dei. Inoltre, questo segna la distinzione tra materiale e immateriale, quindi tra concetti umani e concetti divini, sacri e profani e, di contro, anche mortali ed immortali. Il fumo è dovuto alla trasformazione della materia mediante l'utilizzo del fuoco che, ancora una volta è apparso come un dono divino (dovuto dal fulmine che colpisce il ramo, incendiandolo). E il fuoco è stato sempre visto come canale di comunicazione con la divinità, come il roveto ardente che si rigenerava tra le fiamme che vide Mosé sul Monte Sinai quando condusse il popolo eletto fuori dall'Egitto.

In questo caso il fuoco di Prometeo diventa il simbolo della conoscenza, la luce che gli Illuminati sostenevano avrebbe scacciato l'oscurità dell'ignoranza clericale e, quindi, anche simbolo della scienza che si opponeva alla superstizione. Donando il fuoco all'uomo e riportandoglielo una volta che gli fu sottratto da Zeus, Prometeo permise all'essere umano di rendersi indipendente e di poter scegliere.

C'è inoltre un altro aspetto da prendere in considerazione. Nel Mito di Mecone, Prometeo crea due sacche cucendo la pelle del bue nascondendo le carni sotto lo stomaco e le ossa sotto il grasso e chiedendo a Zeus di scegliere quale preferisse tra le due. Ma può anche ragionevolmente essere che Prometeo usò lo stesso stomaco del bue per nascondere le carni. Come ci fa notare Robert Graves, lo stomaco era il boccone meno prelibato, pertanto lo scopo primario era quello di lasciare che il Padre Celeste scegliesse da sé il proprio destino, inducendolo così a non poter ritrattare. Ma perché Graves calca la mano sul concetto della prelibatezza dello stomaco? Perché, di fatto, è l'organo che rappresenta, molto più di tutti gli altri, il concetto terreno. Solo chi è vivo prova il desiderio di mangiare, di nutrirsi e solo chi è vivo può patire la fame e il disagio di uno stomaco vuoto. Esiodo stesso, infatti, nomina gli uomini come "schiavi del ventre", per definire la loro mortalità come schiavitù.

Ma c'è anche altro. Nella tradizione vedica, Manipura, il terzo chakra, è posizionato nei pressi del Plesso Solare, quindi all'altezza del diaframma, sotto lo sterno, dove si localizza anche la bocca stessa dello stomaco. Questo chakra è designato al concetto di volontà, coraggio, e fiducia. Il termine Manipura in sanscrito significa "Gioiello Splendente" e il suo scopo è proprio quello di portare luce, di guidarci nelle difficoltà della vita. Rappresenta l'ingegno ma soprattutto l'EGO. Quello che Prometeo donò all'umanità fu una possibilità di emergere dall'oscurità, di trovare una via, di ergersi a padroni del proprio destino; il potere di decidere con la propria volontà e di determinare il proprio fato, sia in esso la morte o la vita. Questa decisione non poteva essere né favorevole né sfavorevole, ma solo una presa di posizione definitiva. L'emancipazione dal capriccio divino in cambio della necessità di dover lavorare per vivere una vita degna. Per questo motivo, come ci dice Esiodo, "le carni tutte, l'entragne con l'adipe grasso depose entro la pelle, coperte col ventre del bove, e a lui le candide ossa spolpate, con arte di frode, offrì, disposte a modo, nascoste nel lucido omento". Depose la pelle e le carni dentro lo stomaco del bue, simbolo di conoscenza e materialità, e lasciò che il resto fosse destinato agli dei, così che i fumi immateriali e impalpabili li compiacessero. Il cibo, in questo caso, non è regalato, ma "nascosto". L'uomo deve faticare per trovarlo, deve conoscere e rispettare i cicli della terra per saper coltivare e cacciare e allevare; tutto per avere da mangiare, in quanto, ancora una volta, schiavo del ventre. E schiavo del ventre lo è anche nel parto e nella nascita: ulteriore aspetto che ritroviamo nella Genesi, quando Yahwé condanna senza indulgenza Eva al parto doloroso perché macchiatasi del peccato originale, come condanna Adamo a lavorare con sudore per mangiare.

L'uomo, con il dono di Prometeo, accetta di dover faticare, ma nello stesso tempo ottiene la tecnologia che il fuoco stesso rappresenta e che permette un balzo in avanti nella sua evoluzione, rappresentata dalla trasformazione del cibo da crudo a cotto, dal calore per sopravvivere ai rigori invernali, dall'arma che gli permette di tenere lontane le creature feroci, dalla luce che gli permette di illuminare e scacciare le paure delle creature celate nell'oscurità e, sopra ogni cosa, rappresenta l'ingegno. Il fuoco non sopravvive da solo. Il fuoco si autoalimenta se alimentato, pertanto è dominio di Atena e di Efesto (come possiamo vedere negli articoli a loro dedicati), che sono rispettivamente il fuoco della testa ed il fuoco del braccio, intese come idea e realizzazione, parto della mente (Atena) e parto del corpo (Efesto). Ed infatti nel Prometeo Incanteato di Eschilo leggiamo chiaramente come il dio fabbro, nonostante sia infuriato perché gli è stato sottratto il fuoco dalla sua fucina, appare come martoriato all'idea del compito che si accinge a portare a termine, ossia inchiodare Prometeo ad un monte su ordine di Zeus: "Mi manca, dentro, lo scatto brutale di stringere un dio del mio sangue alla rupe, rabbiosa di gelo. Ma è certo, fatale: io devo afferrarla, in me, la forza del gesto. Pesa, non dare importanza alla parola del Padre. Sì, pozzo d'ingegno, figlio di Temi dai probi pensieri, io - ribellandomi, dentro - dovrò martellarti ribelle al massiccio inumano, con blocchi di bronzo, duri a slacciare. Qui non vedrai né figure, né suoni di esseri vivi: fisso, cotto alla vampa fiammante del sole, sentirai la tua carne sformarsi, sfiorire. Che sollievo sarà, per te, la notte col suo velo gemmato, che soffoca il lampo, e il riapparire del sole, che scioglie la crosta di brina nell'alba! Ti peserà addosso, a schiantarti, questa fissa vicenda di mali. Non esiste, ancora, la tempra di chi possa darti conforto. Questo ti frutta la tua tensione d'affetto per l'uomo. Già: tu, dio, non ti curvi fremendo sotto il cruccio degli altri divini, e hai fatto compagni ai viventi privilegi che varcano il giusto. Ora paghi, con questa veglia al sasso del tuo sacrificio: irrigidito, senza chiudere occhio, le ginocchia contratte. E striderai, fitte grida dolenti, e pianti, nel vuoto. Sai che Zeus, dal fondo di sé, resiste alle suppliche. Ferreo, chi ha fresco dominio. Sempre."

Prometeo, incatenato nudo alla rupe, è costretto vedersi il petto squarciato e il fegato divorato da un'aquila mostruosa, figlia di Echidna e di Tifone, di giorno, mentre la notte le sue ferite si rimarginano. Zeus giurò sullo Stige (ninfa su cui nessuno poteva spergiurare, nemmeno gli dei) che mai lo avrebbe staccato dalla roccia. Questo uccello, simbolo di Zeus, mangia un organo legato, ancora una volta, al fuoco e alla rigenerazione. Come possiamo leggere nel trattato di Anatomia Umana di Giuseppe Anastasi, Giuseppe Balboni e Pietro Motta: "Nell’adulto il fegato è la ghiandola più grande del corpo e, insieme al cervello, del quale ha all’incirca lo stesso peso, è il più grande organo del corpo. Esso ha un peso medio di circa un chilo e mezzo; nel vivente a tale peso va aggiunto quello del sangue che circola al suo interno, che può variare da 400 a 800 e occupa tutto lo spazio sotto la metà destra della cupola diaframmatica. La ragione delle notevoli dimensioni del fegato risiede nel fatto che esso non produce soltanto, come lo stomaco e le ghiandole salivari, il succo digerente, ma è anche un vero e proprio laboratorio biochimico nel quale viene elaborato il nutrimento ricevuto dall’intestino. Il fegato è, insieme al polmone, l’organo più ricco di sangue e possiede la peculiarità di ricevere sangue da due sistemi circolatori: l’arteria epatica, che conduce sangue proveniente dal cuore e la vena porta che conduce il sangue refluo da alcuni visceri del sistema digerente, contenente fra l’altro le sostanze nutritive assorbite a livello dell’intestino".

Il fegato, quindi, non solo è l'unico organo che ha una capacità rigenerativa pressoché strabiliante, dato che in una persona adulta anche dopo un'asportazione di metà del fegato questo si riformerà completamente nell'arco di sei mesi (simbolo, ancora, del fuoco e della perseveranza della sopravvivenza), ma è anche il simbolo, qui, della purificazione del sangue (per eccellenza materia divina - come vediamo anche nel Levitico e nel Deuteronomio che proibiscono tassativamente di mangiare carne al sangue) e della digestione, quindi legata allo stomaco e al nutrimento.

Nel Prometeo Liberato, tragedia perduta della trilogia di Eschilo, vediamo come, infine, Eracle, passando per il Caucaso, abbatté l'aquila con una freccia e liberò il Titano. Zeus, contento della gloria che questo gesto portò al figlio, non ebbe nulla da ridire. Tuttavia, a causa del giuramento che fece a suo tempo e che è infrangibile, lo costrinse a portare un anello fuso con l'acciaio delle sue catene e un pezzo di roccia al quale era legato.

Per l'ovvia ragione che la tragedia è perduta non si sa esattamente cosa accadde in seguito. Tuttavia, in una delle dodici fatiche di Eracle, in particolare raccontata da Apollodoro e da Luciano nei Dialoghi dei Morti, questi si trovava a Folce, ospite dal centauro Folo, quando, dopo aver aperto una giara di vino che Dioniso generazioni prima aveva lasciato lì affinché fosse bevuto proprio in quell'occasione, venne aggredito dai centauri. Dopo averli respinti, li inseguì anche quando cercarono rifugio nella caverna dell'immortale Chirone, figlio di Crono e dell'oceanina Filira (avuto da lei sotto forma di cavallo - spiegando così la sua natura semi animale), ma soprattutto noto per la sua bontà, per la sua saggezza e per essere abilissimo nelle arti della guerra, delle medicina, della musica e delle scienze, tanto che fu tutore di alcuni tra i più grandi eroi della mitologia greca, tra cui Enea, Achille, Giasone, Peleo, Teseo, Asclepio, Aiace e, soprattutto, lo stesso Eracle. Trafitto accidentalmente con una freccia avvelenata ad un ginocchio, Chirone giacque per giorni nel dolore e nella sofferenza, invocando la morte a piena voce, ma non potendo ottenerla, finché Prometeo non si offrì di scambiare la sua mortalità con l'immortalità del centauro. Zeus intercedette e, per averlo sempre al suo fianco, lo trasformò nella costellazione del Sagittario. Ma questo scambio non fu propriamente gratuito, se vogliamo. Si dice infatti che il titano fosse a conoscenza di un segreto di incredibile potere e che, celatamente, fosse anche questo il motivo per cui Zeus si accanì così tanto contro di lui. La sua sagacia gli garantiva capacità di indovino che gli furono utili in primis per evitare di finire bandito nel Tartaro insieme con i fratelli durante la Titanomachia, ma che furono utili anche ad Eracle quando dovette recuperare i pomi d'oro dal giardino delle Esperidi, confidandogli che solo Atlante sarebbe stato in grado di coglierli. Zeus, insomma, aveva bisogno di sapere il segreto misterioso che Prometeo teneva ben nascosto. Nella revisione della tragedia perduta di Eschilo ad opera del poeta britannico Percy Bysshe Shelley, in buona parte di stampo politico, questo segreto non viene mai rivelato, nonostante Zeus (Giove nel testo) con lusinghe di ogni tipo cerchi di strapparlo a Prometeo. Da questo punto di vista il Prometeo Liberato diviene un simbolo di resistenza all'oppressione del potere supremo. Ma qual era questo segreto misterioso di cui più autori ci parlano? Si tratta, ancora una volta, di un vaticinio legato al destino che si ripete. Così come ad Urano Gea profetizzò la caduta per mano del figlio e così come avvenne per Crono, a cui sempre la dea della terra preannunciò il medesimo fato, ecco che anche per Zeus si profilava all'orizzonte un momento in cui avrebbe dovuto cedere il trono olimpico e, come i suoi padri, anche lui non era propenso a mettersi da parte senza cercare di scongiurare l'evento. La prima delle due profezie che riguardavano questo evento interessò, infine, la nascita di Atena, dato che si parlava del secondogenito della saggia Meti, che il Padre Celeste pensò bene di ingoiare con l'inganno appena dopo averla fecondata e, nove mesi dopo, dal suo cranio sbucò la Pallade. In questo caso si parlava invece del figlio dell'Oceanina Teti, di cui sia Zeuz che Poseidone si erano invaghiti e che volevano in sposa. La profezia, rivelatagli infine da Prometeo (secondo alcuni da Temi) in cambio dell'immortalità, sosteneva che la fama del figlio partorito da questa dea avrebbe superato in grandezza quella dello stesso padre e che avrebbe assurto al trono celeste. Conscio, quindi, grazie a questa rivelazione, che se avesse ceduto al desiderio dei suoi lombi avrebbe rischiato di perdere il potere supremo, Zeus si mise da parte a favore del fratello maggiore che, però, non accettò. Tuttavia, la profezia era comunque valida e per evitare che il potere finisse nelle mani di un dio, decretarono che a sposare l'oceanina fosse un mortale e fu scelto Peleo, re tessalo di Ftia. Figlio di Peleo e Teti fu il semidio Achille.

Prometeo è divenuto il simbolo della ribellione sia grazie a Percy Shelley con il suo Prometeo Liberato, che grazie all'opera gotica della più nota moglie Mary: Frankestein, noto anche come il "Prometeo Moderno". In quest'opera notissima vediamo come un medico chirurgo, grazie all'ausilio di tecniche di sutura e l'uso della canalizzazione della corrente elettrica accumulata dalla carica elettrostatica di un fulmine, riesce a instillare la vita in un golem costituito da parti di cadaveri assemblate assieme. Al contrario di come ci appare in molti film dagli anni quaranta ad oggi, nel libro la creatura era lungi dall'essere stupida e si rivolge al suo creatore per chiedergli un perché della sua vita e, dato che questi lo ripudia nonostante sia stata una sua iniziativa, gli impone di dargli una compagna affinché non sia costretto a rimanere da solo per sempre. La vicenda qui rimette in discussione ancora una volta il concetto più abbozzato che ci giunge dalle Opere e i Giorni e la Teogonia di Esiodo, nonché dalla tragedia di Eschilo sopravvissuta e anche in parte dal Paradiso Perduto di John Milton, dove si affronta il tema della creazione e il concetto del rapporto tra esseri umani e divinità e i rispettivi ruoli di reciproco soccorso. Così come nell'opera di Milton Adamo si rivolge al suo dio con tono irriverente asserendo: "Ti ho forse chiesto io, Creatore, dal fango di farmi uomo? Ti ho forse chiesto io di trarmi dalle tenebre o collocarmi in questo delizioso giardino?", ecco che Prometeo concede all'uomo il pensiero e la memoria per sollevarli dallo stato più barbaro. Gli concede le arti di Atena e di Efesto e, in questo modo, oltre che creandoli a sua immagine e somiglianza, li rende simili a lui, facendogli vedere uno scorcio della perfezione del divino, a cui gli uomini, per ovvie ragioni, anelano da sempre.

Come ben possiamo vedere e ritrovare in molte mitologie, il concetto di uomo come "punito" dagli dei si ripercorre con una certa puntualità. Da una parte il nostro bisogno di sentire giustificata la nostra mortalità trova sfogo ed epifania, in molti miti, con svariate forme di dono e di privazione. E non sarebbe quindi anomalo riflettere sul perché, nella mitologia greca, ritroviamo un titano come Prometeo nel ruolo di creatore. Nei racconti orfici, infatti, trapela come i Titani fossero imparentati con gli uomini, e che fossero loro stessi i colpevoli. Esiodo, infatti, ci racconta di come Urano stesso li chiamò in quel modo come un gioco di parole che Kerenyi, nel suo Gli dei della Grecia definisce "oltraggioso, come se tale denominazione derivasse da titainein, 'tendersi' e da tisis 'punizione': i Titani, nella loro temerarietà, si erano 'tesi' per compiere una grande opera e perciò furono puniti. Quest'opera non era stata intrapresa dalla linea Urano-Cronos-Zeus, dato che i Titani non avevano partecipato alla mutilazione e al rovesciamento del padre, poiché erano ostili a Zeus, il figlio rimasto vittorioso. La loro caratteristica principale, la temerarietà (atashalia) contraddistingueva anche gli uomini, che appunto perciò venivano sempre minacciati di distruzione dagli dèi. La generazione di Giapeto, nella descrizione di Esiodo, appare composta interamente di malfattori puniti. La presentazione di questi Titani ostili a Zeus e agli dèi introduce la storia del genere umano".

Questa interessante osservazione fa sorgere ulteriori spunti sul ruolo che Prometeo aveva destinato agli esseri umani e sul perché, sopra agli altri, cercò di difenderli e tutelarli, di non abbandonarli. Ippolito di Roma nel suo Refutatio Omnium Haeresium parlava della nascita degli uomini come frutti della terra e li vedeva come figli di Rhea, della Grande Madre Anatolica, se non della stessa Gea che li avrebbe partoriti spontaneamente. Platone, nel Menesseno, fa altresì notare che l'Attica, che dichiarava terra prospera e colma di ricchezze, non aveva simulato la donna nel partorire, ma fosse invero l'inverso. Egli li trattava come suoi figli, pertanto li tutelava e li difendeva. Secondo Protagora, l'uomo che Prometeo creò era così bello che decise di tenerlo nascosto, forse per tutelarlo, riconoscendo il potere divino di Zeus come una possibile minaccia. Ma Eros, che ne era a conoscenza, rivelò questo segreto al Padre Celeste, che gli diede l'immortalità rendendolo un astro splendente dal nome di Fenonte. Da esseri divini, quindi, nati dai frassini, in quanto stirpe delle stesse ninfe Meliadi che nacquero dal sangue di Urano piovuto sulla terra in seguito all'evirazione, gli uomini vennero privati del potere per creare una distinzione reale e oggettiva con gli dei, che in un dato momento non si sentirono più loro pari. Non per nulla Esiodo, nelle Opere e i Giorni, continua a riferirsi a loro come melioi, pertanto frutti dei frassini. Il frassino come progenitore dell'umanità trova una similitudine anche nel mito norreno, dove si riteneva che per volere di Odino il primo uomo venne generato da questo albero con il nome di Ask.

In ogni mito, a prescindere se l'uomo fu plasmato dalla terra o emerso da essa, vediamo come Prometeo non contrastò il dominio di Zeus, vedendolo come una conseguenza inevitabile, ma non lo favorì, semplicemente ne evitò il conflitto fintanto che gli fu possibile. Questo aspetto, decisamente "materno", se vogliamo va a trovare una completezza molto fine con un parallelismo tra il dio ebraico del vecchio testamento e quello cristiano del nuovo testamento. Nonostante li si riconosca a livello teologico come la stessa identica divinità, a livello mitografico e mitologico è possibile riscontrare delle differenze talmente sostanziali da indurre a pensare che si tratti di due approcci totalmente opposti. Nel Vecchio Testamento abbiamo un dio degli eserciti, vendicativo, crudele, perfezionista, punitivo, iroso, incline a mettere alla prova l'uomo in ogni passo e affamato di sacrifici, disposto a sacrificare i deboli e gli indifesi per tutelare i suoi protetti. Nel Nuovo Testamento abbiamo invece un dio gentile, amorevole, incline al perdono, che accetta il pentimento come forma suprema di accoglimento e che riconosce la purezza dei gesti più piccoli, della speranza e dell'amore universale, che tutela bambini, storpi, ammalati, poveri e disgraziati sopra tutti gli altri, anche se sono più devoti. Questa enorme diversità ha fatto riflettere molto e induce a pensare che si tratti non solo di due divinità diverse, ma proprio di due generi diversi di divinità: il dio ebraico maschile e quello cristiano femminile. In questo contesto Prometeo si oppone a Zeus come una madre difende i figli dall'ira del padre.