The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

REDE, CREDO DELLE STREGHE E LEGGE DEL TRE

Rede, Credo delle Streghe e Legge del Tre - Tra storia, filosofia e magia.

Articolo redatto grazie alla preziosa collaborazione di Cronos, presidente del Circolo dei Trivi, che ringrazio per la gentile disponibilità e consulenza

Qualche passo lungo la Storia del Rede

Nella storia della wicca ci sono molti misteri, i quali, per lo più, non sono realmente tali, in quanto spesso si ha la pretesa di credere che infarcire di mistero una storiella possa renderla più appetibile. Tra le storie più misteriose e colorate ad arte quella del Rede Wiccan è forse la più nota, anche se solo nella sua forma esteriore.
Molti ritengono che il Rede sia una poesia che recita un consiglio etico riguardo alla via della wicca. La sua prima comparsa in versi fu ad Oestara del 1975, sulle pagine del numero 69 della prima rivista neopagana mai esistita: Green Egg Magazine, curata da Oberon Zell-Ravenheart. Questi era il coofondatore, assieme a R. Lance Christie, della Church of All Worlds (CAW), un gruppo neopagano ideato nel 1962 in California con l'intenzione di mettere a disposizione di tutti una rete di informazioni, miti ed esperienze che potessero portare ad una fusione delle nozioni e ad una sensibilizzazione della coscienza pagana e della comune responsabilità nei confronti di Gaia, lo spirito della Terra.
Il 21 Marzo del 1975, quasi un anno dopo che il Concilio delle Streghe americane, capitanato da Doreen Valiente in quel di Minneapolis, ebbe stilato con gran fatica il famoso "Patto con la Dea", ecco uscire su Green Egg un articolo dall'ameno titolo: "Wiccan-Pagan Potpourrì", il quale conteneva anche questo poema di ventisei versi intitolato appunto "The Rede of the Wiccae". L'autrice dell'articolo era Lady Gwen Thompson (vero nome Phyllis Thompson), una strega ereditaria (come lei si definiva) del New England, nata nel 1928 e morta nel maggio del 1986. Secondo le sue stesse affermazioni, Gwen fu iniziata da sua nonna: il suo autodefinirsi “strega ereditaria” pare sia dovuto appunto a questo fatto. Nel corso della sua vita di strega tentò di mantenere vive le tradizioni folcloristiche di famiglia iniziando figli e nipoti, i quali però si convertirono al cristianesimo e battezzarono i loro stessi figli. Per paura quindi che la sua tradizione andasse perduta, nel 1970 fondò la congrega nota come NECTW (New England Covens of Traditionalist Witches) dalla quale si ritirò nel '74, lasciandola nelle mani di due membri più giovani.
Lady Thompson sostenne sempre una teoria riguardo al Rede e cioè che le fosse stato donato in eredità da Adriana Porter, la sua presunta nonna strega morta alla vetusta età di novant'anni nel 1946. Molte sono le indagini a riguardo di questa affermazione e ci fu anche chi sostenne che Gwen mentì sul rapporto di parentela con Adriana. Una tesi questa che venne però accertata da una ricerca genealogica effettuata da Robert Mathiesen e Andrew Theitic per la stesura del libro "The Rede of the Wiccae".
Tutt’ora la reale paternità della poesia del Rede è discussa. Il significato stesso del suo nome deriva dal germanico "Œrd" che significa circa "consigliare", quindi suona come un "consiglio od una massima" e non come una "via od un comandamento". Mathiesen e Theitic, nel loro libro a riguardo, hanno fatto un'indagine approfondita e hanno notato che il linguaggio usato nel poema pare avere due diverse ramificazioni. Una di queste due ci porta a posizionare la genesi del Rede molto distante dal punto in cui la pone la Thompson, e cioè molto distante dalla millantata eredità da parte di Adriana Porter. Questo avviene a causa dei concetti che vengono esposti nel Rede, che sono prettamente wiccan anche nella forma: alcuni di essi sono stati in realtà definiti solo in seguito alla vera e propria "fondazione" della wicca per mano di Gerald Gardner, come vedremo più avanti.
Confrontando quindi la data di nascita della wicca e la data di morte di Adriana Porter abbiamo uno scarto di quasi dieci anni in avanti. Inoltre pare che la Porter non sia nemmeno definibile come la "compositrice" del Rede, ma come solo mezzo della sua diffusione; questo sposterebbe ancora più indietro la data, ipotizzandolo ancora più antico. Secondo i due autori di "The Rede of the Wiccae", una grossa parte della poesia (la prima ventina di versi all’incirca) sarebbe una sorta di compendium delle conoscenze rurali del New England, raccolte e messe in versi da qualcuno nato non prima del diciannovesimo secolo, alle quali in seguito furono aggiunti gli ultimi sei versi, definiti dagli autori "I Versi Wiccan". Dato che la Thompson ha sempre diffuso questi ventisei versi completi e fusi insieme come se fossero un'unica opera, è ragionevole credere che sia stata proprio lei ad aver messo mano nel Rede e ad aver unito queste due parti in un unico poema.
Quello che molti vedono come "Rede", come dicevo all'inizio, è questa poesia in versi di Gwen Thompson, quando in realtà il "consiglio" vero e proprio è, come vedremo, riconducibile alla sola frase finale.
Fondamentalmente, proprio come si evince dal suo stesso nome il Rede è un consiglio etico sulla via della wicca, ma niente di più. Mi rendo conto che c'è confusione al riguardo quando sento dire: "seguo la via del Rede" come se si parlasse del "Credo" cattolico ed ancor più quando mi rendo conto che ci si riferisce all’intero corpo di informazioni che compongono tutti e ventisei i versi. Il Rede ci consiglia su come praticare la via wiccan, ma non ci sono dogmi al suo interno, nemmeno dove appaiono. E il vero e proprio consiglio non si trova tra le rime. A notizia di questo, la stessa Doreen Valiente (iniziata di Gardner) scrisse una sua versione del Rede, definendo la poesia diffusa dalla Thompson come "crappy poetry".
Quello che ci serve sapere sul Rede, che potete trovare qui: Rede, nella sua forma tradotta in italiano, è il messaggio reale, il vero "consiglio" che punteggia alcuni punti della storia finendo molto indietro nel tempo.
Questo è fondamentalmente l'insegnamento che dobbiamo prendere per noi da tutto questo. Il “se non fa male a nessuno” è tradotto da "An' it harm none, do what thou wilt" o anche nella forma "do what ye will". Si tratta di inglese arcaico. L'origine di questa "formula" non fa perdere poi tanto le sue tracce se le si sanno cercare. Una parte la troviamo negli insegnamenti di Aleister Crowley, il discusso fondatore di Thelema, il quale usava lo stesso pensiero con una variante: "Do what thou wilt shall be the whole of the Law... Love is the law, love under will" ossia, "Fa ciò che vuoi sarà l'unica legge... l'amore è la legge, l'amore sotto il dominio della volontà".
Si potrebbe dire molto su Crowley, ma non è questa la sede. Spero di poter avere modo, in futuro, di trattare l’argomento con la dovuta perizia o di trovare qualcuno che desideri farlo come si deve. Quello che mi sento di poter affermare ora è che non è mai stato un satanista, al contrario di quanto si sia scritto e tuttora si senta dire. È stato molte cose: un mago, un iniziato a misteri di ogni tipo, un occultista, un illuminato, un gentiluomo inglese, un cerimonialista, ma un satanista no. Se non vado errato anche Anton LaVey, il fondatore della Chiesa di Satana e autore de "La Bibbia di Satana", (che di satanista aveva ben poco nella realtà in quanto il suo pensiero era molto più vicino all'edonismo - la filosofia di pensiero che ritiene che il piacere sia il fine ultimo dell'uomo - e all'ateismo) era affiliato a Crowley e, staccatosi dal suo gruppo, riprese anche lui la massima del "fa ciò che vuoi sarà l'unica legge". Questa apparente somiglianza, mescolata all'ignoranza di molti "esoteristi da poltrona" - come li ho sentiti definire scherzosamente - ha causato l’effetto di legare a doppio filo il satanismo e la wicca; e così il patatrac naturalmente ha fatto cadere chili di guano addosso a tutte le vie esoteriche sorte nei primi cinquant'anni del secolo scorso, compresa la wicca. Ad aggiungersi al danno, ecco la beffa: i molti libri inutili che sono stati scritti su Crowley e le decine di voci che sono circolate sul Grande Mago non hanno fatto altro che portare ulteriore disinformazione, che in altro non poteva trasformarsi se non nell'ennesima pozza proteica dove le stupidaggini crescono e si moltiplicano senza posa. Una disinformazione, dobbiamo dirlo, che ha interessato quasi solo il nostro paese, soprattutto a causa della mancata traduzione di testi fondamentali sulla vita di Crowley o la diffusione di notizie false e tendenziose secondo le quali i primi rituali di Gardner fossero stati scritti a tavolino assieme al Grande Mago. Considerando Crowley come il più grande occultista del suo secolo, ammettere che un "esoterista in carriera" come poteva essere Gardner non andasse a fargli visita (cosa che accadde se non erro in due occasioni e per motivi differenti dall'idea di fondare la wicca) sarebbe come affermare che un qualsiasi pittore vissuto all'epoca di Michelangelo non andasse a rimirare la Cappella Sistina o a conoscere il pittore immortale avendone la possibilità.
Ma senza andare nel dettaglio della storia di quest’uomo, che per il momento non ci interessa, possiamo dire che anche la Valiente, nel suo "Wicca for Tomorrow", ha esaltato l’indicazione "fa ciò che vuoi" (ripresa dal Libro della Legge di Crowley), definendolo in quello che è una vera e propria scelta, una presa di posizione per sapere che cosa siamo e cosa desideriamo realmente, un modo affermare, di "cogito, ergo sum". Qualcosa che, secondo lei stessa, è più consona e affine all'essere umano di quanto possa esserlo l'imposizione cristiana dei comandamenti. La scelta, quindi, di capire che cosa è giusto per noi e di scovare la propria via e la propria verità dentro le cose, senza seguire i dettami o i sentieri già battuti e ribattuti e appartenenti a realtà ad antiche e vetuste tradizioni ben poco europee e quindi non così affini alla nostra spiritualità occidentale.
Ma come vedremo, questa formula è più vecchia anche di Crowley.
Qualcosa di simile lo troviamo in effetti in una delle frasi più celebri di S. Agostino (proprio quello che definì il significato del termine "pagano"). Nelle interpretazioni della prima lettera di Giovanni, un’intera omelia ad essa dedicata, Agostino sta parlando di alcuni versetti del capitolo 4 nel quale l'apostolo dice: "Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore. 9In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. 10In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati". Alcuni qui obiettano che Giuda avesse tradito Gesù, portandolo alla morte e che questo potesse essere interpretato come un tradimento anche da parte di Dio nei confronti del figlio. Agostino qui risponde che il medesimo atto cambia di valore a seconda dell'intenzione con cui viene svolto. Giuda era un traditore, mentre il gesto di Dio era un gesto d'amore. Lui sostenne quindi che vivendo bisognerebbe anteporre l'amore per il prossimo innanzi alle nostre stesse azioni in modo da renderle atti d'amore e qui ecco che dice: "Dilige et quod vis fac", ossia "Ama e fa ciò che vuoi", e specifica qui che non si tratta di un'esaltazione del sentimento o del capriccio, ma un'esortazione alla responsabilità del bene al prossimo.
Questo passo, come vediamo, non è poi molto lontano dalla massima stessa di Aleister Crowley che troviamo nel "Liber Al Vel Legis": "Non c'è nessuna legge oltre 'Fa' ciò che vuoi'. Amore è la legge, amore sotto il dominio della volontà.". Le analogie tra le due massime sono abbastanza chiare, se non fosse per un piccolo ma immenso particolare che mi era in principio sfuggito e che mi ha fatto notare una nota strega del panorama wicca italiano, ossia Cronos, il presidente del Circolo dei Trivi coinvolto da me per un parere a riguardo, il quale mi ha invitato a rivedere come Agostino usi il termine latino "dilige" e non "ama", "perché", come dice Cronos, citato direttamente "molto più adatto alla connotazione cristiana di amare prediligendo, scegliendo. In latino esistono almeno due modi di amare: amare e diligere. Il primo è l'amore della passione, più involontario ma anche più forte venendo dal cuore, il secondo è l'amore sotto il controllo della ragione, della volontà; la dilezione (da cui deriva il termine "diletto"). I latini facevano questa differenza e Agostino usa questo termine non a caso." Il tutto quindi, nel contesto in cui l'intera omelia da cui è estrapolata "dilige et quod vis fac" diventa in questo caso in netta antitesi con il neopaganesimo, dato che come ci fa intendere il Santo, l'amore cui Agostino si riferisce è Dio.
"Crowley stesso", mi fa notare Cronos, come citato da Lawrence Satin in "Fa ciò che vuoi", infatti critica S. Agostino nel punto meno nevralgico: "Ma l'amore di Sant'Agostino, come osservò bene Crowley, non è guidato dalla volontà: "La tesi di Sant'Agostino è che se il cuore è colmo d'amore non ci si potrà sbagliare"". "Per Agostino", mi ha suggerito Cronos "quindi "ama" non ha nulla a che spartire con l'amore passionale di cui ci parla Crowley, ma è "dilige", ossia la scelta dell'amore che elegge Dio come oggetto principale dell'amore stesso e guidato quindi dalla volontà personale dell'individuo, che poi diviene volontà di Dio. Non è quindi più volontà, ma il tipo di amore di cui si sta parlando. Per Agostino amare è diligere, invece per Crowley, seguendo il Libro della Legge, amare è amare, ossia scegliere il serpente."
Entrambi i contesti, per quanto dissimili nella sostanza, riportano l'analogia della presa di posizione di essere responsabili, sotto la volontà dell'amore, di poter fare ciò che si vuole, senza in questo modo arrecare danno a nessuno, che è poi ciò che farebbe andare il mondo in modo più ordinato e privo di obblighi morali e spirituali che castrano la nostra natura la quale, se portata all'amore, può creare solo bellezza e armonia.
Lo stesso Crowley, per il "Libro della Legge" si ispirò al romanzo "Gargantua" di François Rabelais, pubblicato nel 1534 sotto lo pseudonimo anagrammato di Mastro Alcofribas Nasier per sfuggire alla censura che lo perseguitava. Il libro narra la storia di due giganti, padre e figlio e delle loro avventure. Nel corso di una battaglia che lo vedrebbe coinvolto in un conflitto inutile tra i sudditi di suo padre Grandgousier e quelli del re Pichrochole, Gargantua prende le parti del genitore, facendo ribaltare le sorti della battaglia. Dopo la vittoria che lo vedrebbe quindi in un ruolo cardine, il gigante mostra una profonda umanità verso il popolo sconfitto ed esprime in un armonioso discorso la bellezza dell'essere gentili e generosi verso il prossimo. Dopodiché, seguendo il consiglio datogli da un frate, tal Jean des Entommeurs, fa costruire un'abbazia con il nome di Thélème (dal greco θέλημα, "desiderio" o "volontà") , dove uomini e donne potranno vivere in perfetta armonia e perfetta pace seguendo una sola regola: "fa ciò che vuoi".
Questa stessa abbazia Thélème, con le medesime leggi, fu l'ispirazione di Crowley per la fondazione della sua Abbazia di Thelema a Cefalù, in Sicilia, nel 1920. Ed ecco, uno dei bandoli della matassa: “fa ciò che vuoi sarà l’unica legge”.
Facciamo qui alcuni passi avanti e passiamo al 1901, quando Pierre Louÿs, scrittore parigino che visse a cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, pubblica "Les aventures du roi Pausole", ossia "Le Avventure del Re Pausole". Louÿs, definito dai più uno scrittore prettamente simbolista, ci racconta questa divertente commedia satirica in cui in un fantomatico regno tra Francia e Spagna, il Re Pausole è "sottomesso" ai capricci della figlia Alina, un'adolescente in piena tempesta erotico-ormonale e grazie all'aiuto del suo consigliere di corte eunuco e di un paggio dalla spiccata acutezza cerca di far ragionare la figlia e dominare i suoi bollenti istinti sessuali in modo che la sua vita di padre possa essere più tranquilla e il suo ruolo di monarca meno assediato. Nel romanzo troviamo qui ancora le due regole fondamentali che avrebbero poi ispirato lo stesso Gardner e che sono definite, ancora adesso, come parte della genesi del Rede come lo conosciamo:

I.Ne nuis pas à ton voisin.
II.Ceci bien compris, fais ce qu'il te plaît.

Ossia:

I.Non nuocere al tuo vicino.
II.Compreso bene questo, fa ciò che ti piace.


A questo punto entra finalmente in ballo la stregoneria, con la figura di Gerald Gardner. Infatti, nel 1956, con la pubblicazione di "The Meaning of Witchcraft", egli afferma come le streghe siano inclini a seguire la morale del leggendario Buon Re Pausol: "Fai ciò che vuoi, finché non infastidisce nessuno". Questa formula ecco che trova definitivo posto nella filosofia Wicca, e quasi dieci anni dopo, nel 1965, il Rede come "consiglio" wicca, appare nel libro "Witchcraft - The Sixth Sense" di Justine Glass, per la prima volta con la forma che conosciamo: "The Wiccan Rede (i.e. Counsel or advice of the Wise Ones) is: 'An ye harm no one, do what ye will'". Ma già Doreen Valiente lo menzionò nel 1964 in un intervento fatto sul libro di Hanz Holzer: "The Truth About Witchcraft". Ed Infine nello stesso Libro delle Ombre della tradizione Alexandriana, citato da Stewart Farrar alla fine del suo "What Witches' Do" del 1971, troviamo:

"Finisco come il Libro delle Ombre comincia:
Otto parole soddisfano il Rede Wiccan:
Se non ferisce nessuno, fa ciò che vuoi".


Tutto questo ci dimostra come infine la "massima" della Wicca sia riconducibile a quelle otto semplici parole che hanno attraversato i secoli e non ad una poesia in versi di dubbia fattura, come molti fanno credere. Una poesia che può essere bello imparare a memoria, ma che ha la stessa valenza che può avere "L'Infinito" di Giacomo Leopardi.
Ancora Cronos mi ha consigliato, nella stesura di questo articolo, di rimanere sulle parti certe della storia del Rede. Le ispirazioni degne di certezza si fermano pertanto a Rabelais. Il passo dell'intera Omelia cui Agostino dedicò la sua massima "dilige et quod vis fac" non è pertanto da collegare al Rede. Per correttezza e ricerca l'ho riportato, ma non posso non dirmi d'accordo con chi mi ha messo di fronte alla sua contrapposizione con il "do what thou wilt" di Crowley.

La filosofia del "Consiglio Wiccan"

Come ci insegnano Doreen Valiente, Pierre Louÿs, Sant'Agostino, e Rabelais e come in realtà ci insegna anche Crowley nel suo "Book of the Law", il termine "Fa ciò che vuoi" apre moltissimi orizzonti, e fuso con il "se non fa male a nessuno" diventa un reale saggio consiglio. Partiamo dal fatto che noi, come streghe, esseri umani e creature viventi, siamo "qualcuno" e quindi facciamo parte della categoria inclusa nel "nessuno" di cui ci parla il Rede. Quando si dice "non fa male a nessuno", ci si riferisce anche noi stessi, non solo al mondo esterno. Seguire questa via significa rispettare noi stessi, il nostro corpo, la nostra spiritualità, individualità, la nostra stessa esistenza. Sia quando facciamo magia nel senso rituale del termine, sia quando viviamo la nostra vita come meglio possiamo e sappiamo fare. Agire contro noi stessi, contro ciò che siamo, porta squilibrio... e l'equilibrio è sacro agli Dei. Noi siamo parte degli Dei e gli Dei sono parte di noi. Spesso si tende a pensare alla magia come se fosse solo qualcosa direzionata ad azioni che non coinvolgono noi stessi. Non è così. La magia parte da dentro di noi e sarebbe stupido ritenerci immuni al cambiamento che scaturisce dal nostro potere personale, anche se direzionato verso un fine diverso. Ecco che qui il termine "se non fa male a nessuno" prende a coinvolgerci personalmente. Se decido di fare un incantesimo che ha un fine distruttivo e se questo incantesimo parte da dentro di me... farà male anche a me stesso. Questo punto di vista è chiaramente legato anche alla legge del tre, di cui il Rede parla nel penultimo verso, uno di quelli ritenuti "aggiunti" da Gwen Thompson: "Mind the Three-fold Laws you should three times bad and three times good", che suona circa "Ricorda la legge del tre, tre volte nel bene e tre volte nel male".
Torniamo per il momento all'altro verso. Il "fa ciò che vuoi", legato o a se stante, ci insegna anche ad avere la responsabilità e l'onere di tentare di capire che cosa noi desideriamo veramente; qualcosa che non sia contro la nostra stessa natura, il nostro stesso esistere e nel pieno rispetto di tutti, noi compresi. Teniamo a mente che viviamo ancora adesso in un tipo di mondo dove la libertà in quanto tale non è concessa, e dato che non lo è noi ci siamo scavati socialmente una sorta di "tana" dentro la quale crediamo che alcune cose siano giuste ed altre non lo siano. Vivendo nella costrizione etica, morale, spirituale, sociale e legislativa, abbiamo vissuto alcune situazioni ed eventi definendo ciò che è giusto e bene e ciò che è sbagliato e male, ritagliando in questo modo degli assoluti che nel corso del tempo si sono prima incarnati in divinità distinte della mitologia delle religioni abramitiche, e poi mescolati nelle contraddizioni dell'essere umano e definite in alcune vie di mezzo, come "scegliere il male minore" o determinare ciò che è bene e ciò che è male in base alle differenti leggi religiose o sociali che sono state create ed applicate. C'è da pensare al fatto che se tutti potessero davvero essere liberi di "fare ciò che vogliono finché non fanno male a nessuno", non ci sarebbe davvero bisogno di "comandamenti", leggi, metafisica mentale dell'esistenza e dell'etica morale umana. Sarebbe una perfetta poesia armonica di esseri viventi che vivono sul rispetto di ciò che è la vita, accettandola nei suoi diversi aspetti naturali. Nel "grande" capirete come adesso tutto questo sia un'utopia, ma nel "piccolo"... la saggezza e la luminosità di questa massima espressione sono abbaglianti. Ed è dal piccolo che cominciamo il nostro lavoro, il nostro essere diversi, il nostro cambiare noi stessi per cambiare il mondo.
Il Rede quindi trova la sua applicazione nella wicca quasi solo nei suoi versi finali, ossia quando definisce alcune delle leggi principali della magia e della stregoneria... o almeno, le ricorda. Una di queste leggi, come abbiamo visto, è la nota "legge del tre", che determina l'andare del flusso magico in via ascendente e discendente.

Le Legge del Tre

Molto si parla ma poco si sa su questa "legge del tre". La prima volta che ci appare è nella prima pubblicazione di Gerald Gardner, "High Magic's Aid", il romanzo che scrisse e pubblicò nel 1949 come manovra commerciale dato che la legge sulla stregoneria in Inghilterra non era ancora stata abolita (la legge venne abrogata solo due anni dopo) e che conteneva, in chiave ovviamente romanzata, moltissime informazioni riguardanti la via iniziatica della tradizione gardneriana. Una strategia che in tempi recenti anche Phyllis Curott ha adottato con "Il Sentiero della Dea". Gardner scriveva: ""For this is the joke in witchcraft, the witch knows, though the initiate does not, that she will get three times what she gave, so she does not strike hard." Ossia: "Questa è la beffa nella stregoneria, la strega sa, mentre l'iniziato no, che prenderà tre volte tanto ciò che darà, così non colpirà troppo forte".
La storia della "Legge del tre" wiccan è cosa recente, se vogliamo, ma si basa su un principio antichissimo che troviamo anche nell'etica orientale e nei detti e nei proverbi popolari, come "chi semina vento, raccoglie tempesta". La storia in se stessa, come molte altre che riguardano la wicca potrebbe in realtà avere ben poco di "poetico". Secondo Doreen Valiente infatti, come dichiarò in una delle ultime interviste rilasciate nel 1991, potrebbe essere stata una pura e semplice invenzione di Gerald Gardner. La "nonna" della wicca non era infatti molto affine a questa visione della magia. Lei sosteneva che fosse presuntuoso pensare che solo le streghe dovessero avere una speciale legge karmica come questa.
Gardner affermava, al contrario, di averla integrata nella sua tradizione dopo averla trovata nel Libro delle Ombre lasciatogli in eredità dalla congrega della New Forest da cui diceva di essere stato iniziato. Tornava così a menzionare la "Vecchia Dorothy".
La verità potrebbe essere come sempre nel mezzo, o forse, dato che uno dei motivi per cui Doreen Valiente si staccò da Gardner fu proprio la sua peculiarità di far passare le proprie opinioni personali come leggi della stregoneria, la domanda lecita che molti si fanno è: perché non se ne trova traccia in nessun’ altra tradizione magica? E poi, perché tre?
La questione è un po' dibattuta e io, onestamente, sul "perché tre" ne ho sentite di tutti i colori. Alcuni sostengono che sia per via dei tre gradi iniziatici, altri sostengono che sia “uno per la Dea, uno per il Dio e uno per l'operante perché ha osato mettere mani nelle energie universali”, altri ancora che sia per i tre stadi dell'essere. Qualunque sia il motivo, in base alla mia esperienza, esiste sì un colpo di ritorno, ma quantificarlo con un numero è un po' come voler pesare un sentimento con una bilancia. Gli eventi piacevoli o spiacevoli che possono capitarci, dovuti o meno a vie karmiche o a vie magiche hanno differente peso su di noi.
Quello che ci riconduce alla storia della legge del tre lo possiamo trovare nel Libro delle Ombre gardneriano. Nelle cerimonie iniziatiche infatti, a quando mi è dato sapere, dato che non sono stato iniziato io stesso, l'iniziando al primo grado deve essere frustato ritualmente dall'alto sacerdote, il quale poi subirà il triplo delle frustate inflitte all'iniziato nel momento in cui questi acquisirà il secondo grado iniziatico. Ecco quindi il legame scritto sul "High Magic's Aid". Secondo alcune voci maliziose sembra che Gardner avesse introdotto questa pratica di flagellazione rituale "andata e ritorno" proprio perché provava piacere a subirla. Onestamente a riguardo di questo credo che solo lo stesso Gardner potrebbe dire la verità, e come è ovvio... non può.
Quello che ci riporta però alla storia è il fatto che Gerald Gardner potrebbe aver preso "la legge del Tre" dal "Gospel of the Witches" di Charles Leland. Infatti, nel testo in questione, che ha influenzato decisamente Gardner nella sua stesura dei rituali wicca, troviamo questo passo:

Quando un prete t’arrecherà danno
Con le sue benedizioni,
Danno doppio tu gli renderai
Nel mio nome, Diana
Regina delle streghe...


Qui però non si fa cenno ad un "triplo" danno, ma ad un "doppio". Questo fa spostare l'ago della bilancia verso l'ipotesi che in realtà Gardner abbia interpretato queste parole a modo suo e che i suoi seguaci, come sostenne la Valiente, "l'avessero preso un po' troppo sul serio".
Cronos, invitato da me ad esporre un parere a riguardo, mi segnala che "nella 'Witches' Bible' di Janet e Stewart Farrar, si cita: 'il rituale di usare la corda e la frusta è l'occasione per drammatizzare una lezione che spesso è chiamata "l'effetto boomerang"; secondo il quale, nominalmente, ogni effetto magico, che sia benefico o malefico, è destinato a tornare tre volte alla persona che l'ha attuato'. In realtà non si sa che importanza desse Gardner realmente alla legge del tre... e da dove fosse arrivata. Ad un certo punto si sa che viene trasmessa almeno oralmente nelle iniziazioni dopo il 1960. Comunque i gardneriani che non discendono dalla linea Lady Owen (Monique Wilson) - Raymond Buckland non sono così rigidi sulla legge del tre. Vivianne Crowley nel suo libro "Principles of Wicca" la cita come principio magico-psichico più che etico e aggiunge "Come diceva Jung, noi tutti diventiamo come la cosa che odiamo". Il boomerang effect prima ancora di avvicinarmi alla Wicca, era definito come colpo di ritorno... non credo che ci fosse bisogno di scriverne perché era quasi una sorta di superstizione, legata in particolare alla bassa magia."
In tutto questo ciò che una strega dovrebbe accettare, comprendere e vivere sulla propria pelle non è tanto "la morale" della wicca, come spesso la sento chiamare, che ci impone di comportarci bene per non avere delle conseguenze (che suona molto come fosse una massima cristiana) ma il fatto che ad ogni azione ne consegue una reazione e che la magia funziona secondo alcuni schemi di neutralità e soprattutto in maniera circolare, quindi "tutto torna". Questa visione è stata anche ripresa da Dion Fortune nel suo "Autodifesa Magica", anche se in forma lievemente differente: lei infatti si riferiva all’anima. In ogni caso, se io porto squilibrio nella vita di qualcuno, lo pagherò con lo squilibrio nella mia vita e questa sensazione la troviamo accentuata dal momento che, tornando indietro, le energie hanno modo di fare una sorta di "effetto valanga", ossia raccogliere nel loro incedere alcune energie lungo il loro cammino per giungere in ritorno fino a noi; questo perché, come spiegavo poco sopra, la magia parte da dentro di noi e lascia un segno, ma soprattutto ci collega alle persone con cui abbiamo operato. Qualsiasi azione che noi compiamo in magia porta uno squilibrio. O forse, dato che per noi non è quantificabile, la dose rimandata indietro è la medesima di quella inviata, ma dal momento che la riceviamo e la proviamo sulla nostra pelle, l’effetto che subiamo e percepiamo è di sicuro maggiore di quello che possiamo immaginare sia giunto al destinatario. È questo quello che dobbiamo capire. Quando noi smuoviamo dell'acqua in una vasca, questa va contro la sponda e poi torna a noi, seguendo la stessa identica via. È un po' come se operando una magia ci legassimo a qualcuno e poi lo gettassimo in un dirupo. Lui arriverà prima... ma prima o poi la corda si tenderà e anche noi verremo tirati giù. Il colpo di ritorno, l'effetto boomerang, come è stato chiamato, è una legge della magia. Che poi sia quantificabile con un numero esponenziale e che per quell'elevazione a potenza sia stato scelto il tre, direi che questa è solo una questione di forma e non di sostanza, quindi di tradizione, di matematica e simbolismo della magia.
Nel corso del tempo, oltre a Doreen Valiente, anche altre streghe hanno disconosciuto la legge del tre, giustificando proprio con una sorta di "falso moralismo" questo tipo di attaccamento e non trovando in essa una giustificazione esoterica e rituale che ha portato alcuni a temere di fare incantesimi nel terrore che la legge del tre li colpisca in ritorno. Una delle streghe che "disconoscono" pubblicamente sia Rede che "Legge del Tre" è proprio Phyllis Curott, la fondatrice della tradizione del Tempio di Ara, nonché, se non sbaglio, anche la persona che a Melbourne, all'incontro degli esponenti delle diverse etnie religiose, il Parliament of World's Religions tenutosi dal 3 al 9 dicembre 2009, rappresentava la religione e il movimento Wicca.

Il Witches' Creed

Come abbiamo visto, Doreen Valiente definì il "Rede" pubblicato da Gwen Thompson press'a poco come un'inutile accozzaglia di stupidaggini messe in rima e in una forma poetica di basso livello. Tuttora, dal mio punto di vista, il Rede in se stesso non ha alcuna rilevanza nella pratica wiccan e quando sento dire: "Seguo la legge del Rede" voglio sperare che ci si riferisca ai sei versi finali di cui abbiamo parlato e non alla poesiola lasciata dalla nonna strega.
Nel 1978, nel sul quarto libro: "Witchcraft for Tomorrow", Doreen Valiente pubblicò una delle opere più belle da lei mai scritte: il "Witches' Creed", ossia "Il Credo delle Streghe". Purtroppo nemmeno questo libro ha mai visto la luce della tradizione italiana, come del resto nessuno dei suoi lavori, per quanto siano dei testi fondamentali della pratica stregonesca wiccan. Nonostante ciò, ancora adesso, insieme alle altre opere dove dimostrava la sua spiccata capacità evocativa e poetica, come la "Charge of the Goddess" e la "Witches' Rune", il "Witches' Creed" trova un ruolo cardine nella pratica invocativa di molte congreghe wiccan. Il Credo delle Streghe, a parte l'assunta bellezza dei suoi versi, prende più la piega di una "preghiera" che di un "consiglio" come invece appare il Rede.
Dove sta la differenza basilare tra i due? Probabilmente la più importante è che Doreen Valiente non ha mai tentato, in vita sua, di far passare il Witches' Creed come se fosse una "legge" da seguire per essere wiccan, come invece riscontriamo che sia capitato con il Rede, il quale in termini di valore poetico e culturale della tradizione agreste può anche avere una valenza, ma in termini ritualistici e magici ha lo spessore pressoché equivalente ad una qualsiasi poesia ispirata che qualunque strega nemmeno eccessivamente dotata potrebbe comporre. La differenza, di base, la si riscontra solo negli ultimi sei versi che abbiamo esaminato e che in parte coincidono.
Quello che emerge, secondo il mio punto di vista, è l'ancestrale necessità di avere delle regole scritte da seguire per sentirsi parte di una religione o per sentirsi in grado di seguire una via spirituale e un cammino magico quale è la wicca. In realtà esse non sono realmente necessarie dal momento che qualsiasi legge che possa esistere, sia essa il colpo di ritorno o legge del tre, sia essa l’idea "se non fa male a nessuno fa ciò che vuoi" torna ad essere un retaggio culturale intrinseco dentro di noi e una via di affrontare la nostra spiritualità, la magia e la nostra stessa attitudine comportamentale come facenti parte del mondo. Quindi anche se nessuno ce le imponesse, noi stessi, praticando e cercando la via per diventare streghe le scopriremmo e le intuiremmo nel corso del tempo: subendo la legge del tre dopo il primo incanto, mentre la seconda, il “se non fa male a nessuno fa ciò che vuoi” ci giungerebbe assieme alla saggezza. Quello che serve per essere una strega in modo trasversale alle tradizioni sono studio, consapevolezza e saggezza, doti che affiancate ad una buona dose di responsabilità ti conducono sulla via dell'equilibrio e della grandezza. Poi possiamo attaccarci a vademecum, a regole d'oro, preghiere, poesie, leggi, "credo"... tutto quello che vogliamo, stilarle in lunghi elenchi numerati e pubblicarle spacciandole per eredità di chissà quale vetusta strega della cui effettiva esistenza ci sono sempre più dubbi che certezze, ma alla fine non è questo che ci rende pagani, bensì la spontaneità, la conoscenza, la volontà e il desiderio di poter onorare le divinità in modi sempre nuovi. Forse, nel corso del tempo riconosco che c'è sempre più il bisogno di sentirsi dire che cosa è bene fare e che cosa no, perché le informazioni sono tante e reperirle ed apprenderle comporta comunque una certa dose di difficoltà, ma nessuno, lungo il breve cammino da strega che ho percorso finora mi ha mai detto che "sarebbe stato facile" e di base, è anche quello che dico sempre io a chi mi fa domande a riguardo.
Il credo delle streghe, questa opera della Valiente, denota di sicuro un aspetto molto più "wiccan" del Rede della Thompson. In esso troviamo riferimento al reame di Elphame (nome originale norrenno Álfheimr, che significa "Casa degli Elfi"), la terra fatata della tradizione nordica e uno dei nove mondi, quello dove risiedono gli elfi della luce della mitologia norrena. Con appunto il nome di "Elphame" ci si riferisce sempre alla "Terra delle Fate" in alcune ballate scozzesi e del nord dell'Inghilterra. La ritroviamo in "Thomas the Rhymer" e "Tam Lin", dove si parla anche della Regina delle Fate o Regina di Elfhame, che scambiata per la Vergine Maria dal protagonista, smentisce la sua falsa identità e ammette di essere invece una Fata:

'I'm not the Queen of Heaven, Thomas,
That name does not belong to me;
I am but the Queen of fair Elphame
Come out to hunt in my follie.'


Alcune streghe, bruciate sul rogo tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, tra cui Isabel Gowdie (arsa viva nel 1662), Allison Peirson (1588) e Bessie Dunlop (1576), furono appunto condannate perché sostennero (senza l'abuso di tortura) di aver conversato e di aver ricevuto consigli sui propri incanti da questa creatura sovrannaturale, nota come La Regina delle Fate.
Altra cosa interessante è il riferimento ai quattro pilastri della via iniziatica, le quattro qualità del mago e della strega: conoscere, volere, osare e tacere. E questo perché sono i quattro differenti stadi del cammino iniziatico di tutte le tradizioni esoteriche esistenti. Nella tradizione cristiana le troviamo associate ai quattro evangelisti Matteo, Luca, Marco e Giovanni, ma le analogie e le connessioni sono molteplici. Il Sapere è rapportato alla nascita, all'elemento aria, al dito indice. Il Volere è rapportato alla crescita, all'elemento acqua e al dito medio, Osare è rapportato alla decadenza, all'elemento fuoco e all'anulare, mentre il Tacere è rapportato alla Morte, all'elemento terra e al mignolo. Ma questi quattro stadi rappresentano anche la piramide massonica (di cui sappiamo Gardner faceva parte) e nella Massoneria troviamo che il Sapere è legato all'apprendista e a ciò che di fisico deve affrontare per crescere, il Volere è legato invece alle prove etiche e personali, la moralità, quindi al Compagno, mentre Osare è legato al Maestro e alle prove intellettuali. Essendo una piramide, ecco che la base si appoggia sul Tacere.
Doreen Valiente non lasciò niente al caso in quello che scrisse. Da notare infatti, che nonostante nel finale lei riprenda la massima che ha esaltato e accettato: "E fa ciò che vuoi sarà la sfida, che sia in amore e che non danneggi nessuno", non fa cenno invece alla "legge del tre" o a nessuna legge di colpo di ritorno, che sia triplicata o meno.

Il Witches' Creed, tradotto da me in prosa, quindi privo di rima è questo:

Il Credo delle Streghe

Adesso ascolta le parole delle streghe
I segreti che nascondiamo nella notte
Quando il buio fu il sentiero del nostro destino
che adesso noi portiamo fieramente alla luce

Misteriosi acqua e fuoco
La terra e la vasta aria
Dall'eclissata quintessenza noi le conosciamo
E vogliamo, osiamo e rimaniamo in silenzio

La nascita e la rinascita di tutta la Natura
Il passaggio dall'inverno alla primavera
Noi condividiamo con la vita universale
e ci rallegriamo nel cerchio magico

Quiattro volte nell'anno tornano i Grandi Sabba
e le streghe sono viste danzare
A Lammas e a Candelora
Alla vigilia di Maggio e al vecchio Halloween.

Quando giorno e notte sono uguali
Quando il sole è al solstizio e all'equinozio
Sono chiamati i quattro sabba minori
E ancora le streghe tornano a banchettare

Tredici lune d'argento ci sono in un anno
Tredici membri ci sono in una congrega
Tredici volte gli esbat ci fanno augurare
Di avere ogni giorno e anno dorati

Il potere che passa attraverso le epoche
Ogni volta da donna a uomo
Ogni secolo dentro un altro
Ogni momento e ogni epoca cominciò

Quando tracciamo il cerchio magico
Con il potere dell'athame o della spada
Il suo perimetro giace tra due mondi
Nella terra delle Ombre per quell'ora

Questo mondo non conosce il giusto
E il mondo al di là non può proferir parola
Gli antichi Dei sono là invocati
Il Grande Lavoro magico è elaborato

Due sono i pilastri mistici
Che stanno alle porte del tempio
E due sono i poteri della natura
Le forme e le forze divine

Le tenebre e la luce in successione
Gli opposti uno dentro l'altro
Si manifestano come un Dio e una Dea
Come ci insegnano i nostri antenati

Di notte lui è il selvaggio cavaliere del vento
Il Cornuto, il Signore delle Ombre
Di giorno è il Re dei Boschi
l'abitatante delle verdi radure

Lei è giovane e vecchia a piacere
Dirige le nuvole spinose nella sua barca
La splendente Signora di Mezzanotte
La crona che ricama incantesimi nell'oscurità

Il signore e la Signora della Magia
Vivono nel profondo della mente
Immortali e in continua rinascita
Con il potere di liberare o legare

Allora bevi il buon vino dei vecchi Dei
E danza e ama in loro onore
Finché la terra fatata di Elphame ci riceverà
In pace alla fine dei nostri giorni

E fa ciò che vuoi sarà la sfida
Che sia in amore e che non danneggi nessuno
Perché questo è l'unico comandamento
Per la magia degli antichi sia così sia fatto!