The Reef & The Craft

Ero una piccola creatura nel cuore 
Prima di incontrarti, 
Niente entrava e usciva facilmente da me; 
Eppure quando hai pronunciato il mio nome 
Sono stata liberata, come il mondo. 
Non ho mai provato una così grande paura, perché ero senza limiti. 
Quando avevo conosciuto solo mura e sussurri. 
Stupidamente sono scappata da te; 
Ho cercato in ogni angolo un riparo. 
Mi sono nascosta in un bocciolo, ed è fiorito. 
Mi sono nascosta in una nuvola, e ha piovuto. 
Mi sono nascosta in un uomo, ed è morto. 
Restituendomi 
Al tuo abbraccio. 

Mary-Elizabeth Bowen

Zeus il Padre Celeste

Zeus il Padre Celeste


Chi è il padre? Egli è colui che genera i figli e ne ha cura. Mostra fiducia in loro e non si dimentica delle loro qualità, tenendone in considerazione i punti forti e quelli deboli. è capace di perdonare e di saper essere sia severo che amorevole. Non vive nel terrore che i figli crescano ma mantiene il suo posto saldo e non si tira indietro di fronte alla difficoltà di affrontare chi minaccia il suo ruolo o la sua progenie. Il Padre è l'esempio della giustizia e del potere della saggezza, ed è un potere equilibrato e non oscuro, anche se non completamente scevro da difetti e fallibilità. è capace di accettare i consigli di chi gli sta vicino e di riconoscere i propri errori; è coraggioso, forte e giusto.

Nella mitologia greca, come abbiamo visto, Zeus è il sommo padre celeste. Secondo la Teogonia di Esiodo era figlio di Rhea e Crono e ultimo fratello di Ade, Poseidone, Estia, Demetra ed Era. Soggetto ad una profezia di Gea e del morente Urano, che lo avrebbe visto come "spodestato dai figli", Crono si nutrì della sua stessa progenie. L'unico che sfuggì a questo orrendo destino fu proprio Zeus, il più giovane dei sei. Come ci fa notare Karoly Kenényi, nel suo Gli dèi e gli eroi della Grecia, la nascita, per quanto si parli di un dio, non comincia con la sua crescita e il suo allevamento, bensì con le doglie della madre. Al contrario però di come accadde con i gemelli divini Apollo e Artemide, alla cui madre Leto fu dato un travaglio terribile e infausto dalla dea Era e da Ilizia in combutta con lei, e la cui storia struggente è nota e narrata, nel caso di Rhea il travaglio rimane mediamente eclissato in quasi tutti i miti. Quello che sappiamo è che la madre degli dèi giunse nella città cretese di Litto con il favore dell'oscurità, decisa, come abbiamo visto, a tenere celata la nascita del nuovo figlio al marito Crono. Ma dove partorì? Secondo una versione del mito la sua nascita avvenne sul monte Aigaion, dove Zeus venne nascosto in una grotta, mentre secondo altri in Arcadia, sul monte Liceo. Entrambi questi miti richiamano un aspetto diverso del dio. Nel primo lo legano a Pan, che sarebbe stato anche lui nutrito dalle stesse ninfe e crebbe al pari di Zeus. Il monte Aigaion è infatti il "monte-capra", a richiamare anche una delle tre nutrici del dio: Amaltea, mentre il monte Liceo richiama il concetto dello Zeus-Lupo. Questa versione del mito che lo vede nato in Arcardia è la più nota. Nonostante ciò molte sono le grotte dove si dice che Zeus abbia dimorato nei primi mesi di vita e secondo alcuni il sincretismo è così vario proprio perché in una grotta nacque, in un'altra crebbe, in un'altra venne allattato e così via.

Ad ogni modo Rhea immerse il piccolo nella fonte del fiume Neda, scaturita in quel momento, e per evitare un nuovo infanticidio, affidò il piccolo Zeus alla madre Gea che lo portò di nascosto da tre ninfe frassinee: Io, Adrastea e Amaltea (a volte ninfa in possesso di una capra le cui corna erano la gioia del popolo e le cui mammelle erano gonfie di latte e a volte capra lei stessa). Le tre nascosero il piccolo nella grotta Dittea dove abitavano i Cureti o Coribanti, un popolo semidivino in fuga dall'Eubea devoto alla dea Gea. è interessante notare perché furono scelte proprio queste tre ninfe. Se vediamo gli scritti di Apollodoro, di Polibio, Diododo Sicuro e Callimaco si evince che le motivazioni sono molto radicate. Robert Graves, nei suoi Miti Greci ci fa un sunto degno di nota: "Il nome di Amaltea, «tenera», dimostra che essa fu una dea vergine; Io fu "orgiastica dea ninfa"; Adrastea significa «colei cui non si sfugge», cioè la Vegliarda oracolare dell'autunno. Tutte assieme esse formavano la solita triade lunare. In epoca più tarda i Greci identificarono Adrastea con la dea pastorale Nemesi, dea del frassino propiziatore di pioggia. Ad Argo, Io fu rappresentata come una bianca vacca in calore (certe monete cretesi di Preso la mostrano nell'atto di allattare Zeus), ma Amaltea, che viveva sulla «collina della Capra», fu sempre una capra; e Melisseo («l'uomo del miele»), considerato come padre di Adrastea e di Io, è in verità la loro madre, Melissa, la dea nell'aspetto di Ape Regina, che ogni anno uccideva il suo sposo. Diodoro Siculo e Callimaco dicono che Zeus bambino fu nutrito dalle api. Ma la sua madre adottiva è a volte descritta come una scrofa, poiché tale era uno degli emblemi della dea Vegliarda; e sulle monete di Cidone essa appare come cagna, simile a quella che allattò Neleo. Le orse sono gli animali sacri ad Artemide cui i Cureti sacrificavano, e Zeus in veste di serpente è Zeus Ctesio, protettore dei granai, perché i serpenti eliminano i topi." Per l'appunto, Zeus in Sicilia era noto come Meilichios, ossia Mellifluo, dal momento che oltre al latte di Amaltea, riceveva in dono anche il miele da un'ape, Panacride (o se vogliamo la stessa Melissa), e da un'aquila, che poi divenne suo simbolo, riceveva l'ambrosia, il sacro nettare dell'immortalità. Assieme a lui cresceva anche Pan, il dio primevo e che più tardi divenne figlio di suo figlio, ma che nella sua "deformità" animalesca ricorda invece le divinità zoomorfe più antiche.

Nel contempo Rhea ingannò Crono dandogli da mangiare una pietra avvolta in fasce al posto del neonato, ma questi mangiò la foglia e cominciò a cercare il figlio per cielo, per terra e per mare, i domini su cui aveva potere. Affinché non potesse scovarlo, le ninfe appesero così la culla ai rami di un albero, in modo che questa non potesse trovarsi in nessuno dei tre luoghi. In modo che al padre non fosse possibile udire i lamenti del piccolo Zeus, i Cureti si prodigavano a picchiare giorno e notte con le lance sugli scudi e a danzare e cantare, facendo un gran baccano. In ultimo, per nascondere le proprie tracce, Zeus si tramutò in un serpente e mutò le ninfe in orsi.

Ma c'è anche un'altra versione del mito che non coinvolge alcuna grotta e che è narrato nelle Fabulae di Igino. Secondo questo autore, Crono non aveva mangiato i figli ma aveva riservato ai soli maschi un trattamento meno cruento anche se non meno crudele: li aveva gettati nei luoghi che in seguito sarebbero divenuti i rispettivi regni: Ade era stato gettato nel Tartaro e a Poseidone era toccato l'esilio negli abissi marini. Appena nato il fratellino, Era lo chiese alla madre e lo portò in salvo mentre a Crono, che chiedeva del figlio appena nato, Rhea porse una pietra che questi inghiottì, accorgendosi però immediatamente dell'inganno.

Callimaco stesso, nel suo Inno a lui dedicato, fa notare come fosse poco noto il luogo della sua nascita ma lo situa a Parrasia, ossia nell'Arcadia meridionale: "Nella Parrasia Rea ti partorì, là dove il monte è più coperto intorno da macchie di cespugli. Da quel tempo il luogo è sacro né animale o donna bisognosa di Ilitia vi ha contatto, ma dagli Apidanèi l'antico letto per il parto di Rea viene chiamato."

Le nutrici di Zeus, come abbiamo visto, furono ninfe, ma anche qui il discorso cambia perché molti animali, come ci fa notare anche Callimaco, sono stati legati ai suoi primi vagiti: la capra Amaltea, una scrofa, delle colombe, l'aquila, ma sopra tutti gli altri le api. E qui il mito si intreccia in modo peculiare con quello di Dioniso. C'è infatti un racconto orfico di origine cretese in cui si narrava di una grotta dove api giganti proteggevano il luogo dove venivano tenute le fasce sporche di sangue in cui Zeus era stato avvolto da Rhea appena nato e che nessuno, né mortale né divino, avrebbe potuto accedere a quel luogo sacro o vederne il contenuto. Si narrava che una volta ogni anno da quella grotta scaturiva del fuoco, o, come abbiamo avuto modo di indagare nell'articolo legato a Dioniso: "un fiume d'oro". Karoly Kerényi, nel suo Dioniso ci fa notare come esista una leggenda che venne trascritta nel Origine degli Uccelli in un racconto intitolato "Ladri". In questo passo si narra di come quattro temerari furfanti di nome Laio, Celeo, Egolio e Cerbero (da non confondere con il cane tricefalo) si introdussero in questa sacra grotta indossando spesse armature di bronzo per evitare le letali punture delle api giganti e infrangendo così i dogmi che regolamentavano quel luogo. Una volta dentro ruppero il favo e rubarono il miele, riuscendo anche a scorgere, a terra, le famose fasce in cui il piccolo Zeus era stato avvolto non appena era stato partorito. Per punirli di questo affronto, il dio del cielo fece cadere a pezzi le loro armature, esponendo così i loro corpi nudi all'assalto delle mostruose api inferocite. Se non fosse stato per l'intervento delle tre dee del destino e per Temi, la dea delle leggi naturali, i quattro sarebbero finiti uccisi. Quel luogo non doveva venir macchiato da un crimine, perciò Zeus li tramutò in uccelli.

Oltre alle api ci sarebbe da spendere due parole anche sulla capra di proprietà della ninfa Amaltea, che abbiamo già nominato in riferimento al fatto che fosse una delle sue nutrici. Secondo una parte del mito questa ninfa possedeva un corno di proprietà della sua capra con cui nutriva il piccolo Zeus. Questo stesso corno venne benedetto da Zeus rendendolo capace di straboccare di frutti e vivande senza terminare mai, divenendo così la famosa cornucopia dell'abbondanza. La pelle della capra di Amaltea servì, su indicazione di Gea, per ottenere l'immortalità una volta cresciuto. Per onorare il suo ricordo, il Padre degli dèi la rese la costellazione del Capricorno. Ma anche l'aquila rimase legata al Padre celeste, come ci fa notare Callimaco: "Per annunciare i tuoi prodigi hai scelto tra gli uccelli il più elevato". Non solo era tra gli animali che gli portavano il nutrimento, ma fu, in seguito, quello che usò per portare messaggi o come tramite, come nel caso del giovane Ganimede.

Quando fu abbastanza grande, Zeus fu pronto a compiere il proprio destino. Dopo aver ricevuto l'immortalità doveva sfidare i Titani e spodestare il padre come predetto dalla madre Gea. Per fare questo, per prima cosa doveva liberare i fratelli e le sorelle tenuti prigionieri nel ventre di Crono. Zeus si recò così in un'altra caverna, sempre nei pressi di Creta e chiese aiuto a Meti, la titanessa figlia di Oceano il cui nome significa "saggio consiglio", la quale gli suggerì di chiedere a Rhea di divenire coppiere reale e di miscelare delle erbe emetiche nel vino destinato al padre, così da costringerlo a rigettare gli dèi che aveva ingoiato. In possesso del metodo per sconfiggere il tiranno, Zeus si rivolse alla madre avanzando la richiesta suggeritagli. Rhea fu ben lieta di avere l'occasione di prendersi una vendetta per i figli divorati e così accettò. Il compito del giovane dio era quello di "miscelare" le bevande del padre. Grazie a questo stratagemma, seguendo il suggerimento di Meti, mescolò erbe emetiche nel suo vino. Crono, bevendolo, si trovò piegato dai conati e dapprima rigettò la pietra che aveva mangiato credendola il neonato Zeus (oggetto che si trova ancora a Delfi, dove Zeus la piazzò, unta d'olio e circondata da boccioli di lana non tessuta) e ad essa seguirono i fratelli e le sorelle in questo ordine: Poseidone, Ade, Era, Demetra ed infine Estia.

Secondo un altro mito, invece, ad essere imprigionati furono solo i maschi e non le femmine, in quanto la profezia avrebbe visto che uno dei suoi figli l'avrebbe spodestato. Ed infatti in questo mito la dea Era chiese di prendersi cura del piccolo Zeus e gli altri dèi vennero banditi nel Tartaro e negli abissi. Ad ogni modo Zeus li liberò, ed una volta usciti, i fratelli gli chiesero di guidarli nella battaglia contro i Titani, capitanati da Atlante che aveva preso il posto di comando di Crono in quanto questi era ormai avanti negli anni.

La guerra, nota come Titanomachia, durò dieci anni. Non tutti i Titani decisero di partecipare alla lotta stando dalla parte di Atlante e di Crono. Prometeo e il fratello Epimeteo, nonché Elio ed Oceano riconobbero Zeus come legittimo erede del trono divino e non intervenirono contro i loro fratelli ma nemmeno contro gli Olimpi. Dopo anni di lotta però si rimase ad uno stallo. Non era fattibile vincere questa guerra così come veniva combattuta. Pertanto Zeus si rivolse a Gea, la quale gli rivelò che l'unico modo in cui avrebbe potuto ottenere la vittoria sarebbe stato quello di liberare i figli di Urano che erano stati esiliati dal padre: i Ciclopi e gli Ecatonchirii Centimani. Solo garantendosi il loro aiuto avrebbe potuto ottenere la sconfitta dei Titani.

Zeus si recò così nel Tartaro, dove Urano aveva bandito i figli mostruosi avuti da Gea e dopo aver ucciso Ciampe, la guardiana che impediva l'accesso alla loro prigione, si impossessò delle chiavi e liberò i prigionieri. I Ciclopi, che erano fabbri supremi, per gratitudine forgiarono per i fratelli le armi che avrebbero garantito loro la vittoria: Zeus ottenne le folgori, ad Ade diedero l'elmo in pelle di lupo che concedeva l'invisibilità anche alla vista degli dèi e a Poseidone il tridente. Grazie a questi doni di incredibile potere, il fratello più anziano poté introdursi non visto nella dimora del padre per rubargli le armi. Così, mentre gli Ecatonchirii, con le loro cento braccia, gettavano macigni contro i Titani, Poseidone minacciò Crono col tridente, tenendolo a bada e permettendo a Zeus di colpirlo con la folgore invincibile. Anche Pan ebbe un ruolo nella lotta: suonando il suo corno infuse nei Titani sconfitti il timor panico, inducendoli a fuggire.

A quel punto Zeus poté mettere ordine nel proprio dominio e fu impartita la giustizia del vincitore. I Titani vennero banditi e tenuti prigionieri nel Tartaro, sotto stretta sorveglianza degli Ecatonchirii Centimani. Ad Atlante, che era loro condottiero, fu riservata una pena esemplare: fu costretto a sostenere il peso del mondo sulle proprie spalle. Alle titanesse, così come a chi non si era schierato con i Titani, come Prometeo, Epimeteo, Elio e Oceano, fu concesso di rimanere sulla terra.

Una volta che la guerra contro i Titani fu vinta, i tre fratelli: Ade, Poseidone e Zeus, tirarono quindi a sorte e si spartirono il mondo mettendo tre tessere nell'elmo in pelle di lupo, dono dei Ciclopi. A Zeus, in quanto liberatore, fu concesso di scegliere per primo e così estrasse il regno aureo del cielo. Poi scelse Ade per anzianità e a lui toccò il regno dell'Averno, il mondo infero. A Poseidone toccò il mondo degli abissi. La terra, in quanto Gea, non poteva essere posseduta da nessuno e così rimase dominio condiviso dei tre.

La vita per Zeus era però appena iniziata, e con essa anche i problemi. Le guerre infatti non erano affatto finite: il primo con cui Zeus dovette avere a che fare fu Tifone, figlio di Gea e del Tartaro, mentre secondo alcuni della stessa Era. Si trattava di un uomo mostruoso e di dimensioni incredibili. Sia Apollodoro, nella Mitografia che Esiodo nella Teogonia lo descrivono come un mostro che sputa fiamme con tratti simili a quelli dei draghi alati. Questa leggenda si situerebbe cronologicamente dopo la Titanomachia e prima della Gigantomachia, di cui narreremo dopo, ciò nonostante, in alcune versioni vede apparire anche i figli e le figlie di Zeus. Secondo alcuni autori che ho consultato questo fu solo un inserimento a posteriori. In ogni caso, basandomi sulla Teogonia, si intuisce che la battaglia fu durissima. Quando Tifone si alzò dalla Cilicia, in Asia Minore, dove abitava, e si mise a scalare l'Olimpo, tutti gli dèi furono così terrorizzati che si tramutarono in animali e fuggirono in Egitto, dove si dice che da quel momento adorarono le divinità zoomorfe. Artemide divenne una gatta, Zeus un montone, Apollo un corvo, Ares un cinghiale, Ermes un ibis, Era una vacca, Dioniso una capra, Pan divenne mezzo pesce e si nascose in un fiume e Ade divenne uno sciacallo. Atena, l'unica a non fuggire, rimproverò aspramente Zeus del suo comportamento, dal momento che da lui sarebbe dipeso il corso dell'umanità. Così il Padre celeste tornò a combattere e assieme a alla figlia affrontò Tifone nei pressi dell'Egitto, sul monte Casio. Atena cadde subito, ma Zeus resistette e dopo i primi colpi di saetta e poi con la falce di Crono (arma con la quale era stato evirato Urano) gli si gettò a corpo a corpo, convinto di aver ormai la vittoria in pugno. Tifone però riuscì ad afferrarlo nelle sue spire, rubargli l'arma, con essa tagliargli i tendini di braccia e gambe, imprigionandolo poi in una caverna in Cilicia nota come korykos, che significa "sacco di pelle" e lasciando che il drago Delfine facesse la guardia alla sacca di cuoio (da cui il nome della caverna) contenente i suoi tendini. La salvezza giunse quando tutto ormai sembrava perduto: mentre Pan terrorizzava il mostro con un urlo agghiacciante, Hermes uccise Delfine e rubò i tendini di Zeus, rendendoli al padre e donandogli così nuova forza con cui continuò la sua lotta. Salito col suo cocchio alato sull'Olimpo, il padre degli dèi inseguì Tifone. Dopo una dura lotta, il mostro afferrò la Sicilia e fece per gettarla addosso a Zeus, ma questi lo colpì con una folgore proprio mentre l'isola era sollevata sopra la sua testa, così che gli cadde addosso, imprigionandolo. Anche ora, si dice, l'Etna continua a vomitare la sua rabbia, come ci fa notare Ovidio nelle Metamorfosi: "la vasta isola della Trinacria si accumula su membra gigantesche, e preme, schiacciando con la sua mole Tifeo, che osò sperare una dimora celeste. Spesso, invero, egli si sforza e lotta per rialzarsi, ma la sua mano destra è tenuta ferma dall'Ausonio Peloro, la sinistra da te, o Pachino; i piedi sono schiacciati dal (Capo) Lilibeo, l'Etna gli grava sul capo. Giacendo qui sotto, il feroce Tifeo getta rena dalla bocca e vomita fiamme. Spesso si affatica per scuotersi di dosso il peso della terra, e per rovesciare con il suo corpo le città e le grandi montagne. Perciò trema la terra, e lo stesso re del mondo del silenzio teme che il suolo si apra e si squarci con larghe voragini".

Indignata dal fatto che Zeus stesse trattando i suoi figli in questo modo, Gea istigò i ventiquattro Giganti, nati dal sangue del fallo evirato di Urano caduto sulla terra, a ribellarsi, dato che i loro fratelli Titani erano stati banditi. Ebbe così inizio la Gigantomachia. Forti del fatto che una profezia di Era non li avrebbe visti vinti da un dio ma solamente da un mortale che indossava una pelle di leone e solo se costui avesse fatto ausilio, prima degli avversari, di una misteriosa erba che cresceva in un luogo segreto e che avrebbe donato l'invincibilità, i Giganti si misero a scalare l'Olimpo scagliando tizzoni ardenti e massi. Esiodo ci narra nel dettaglio questi infausti eventi a cui presero parte gli Olimpi. Egli ci fa notare come anche i Ciclopi si fossero messi dalla parte dei Giganti durante questa battaglia. Per garantire la vittoria dei propri figli, la dea della Terra si comportò in modo del tutto diverso da come avvenne invece con i Titani. In questo favore, possiamo leggere il fatto che Gea era una divinità ctonia, legata al culto matriarcale e al potere del femminino, rappresentato dalla saggezza del serpente a lei sacro e che, per ovvie ragioni, cercava di impedire che il patriarcato prendesse il sopravvento, vedendo in questo modo il tramonto del suo regno. Anche in questo contesto è interessante notare come Esiodo rappresenti i Giganti come vestiti di armature di bronzo, mentre Apollodoro e Igino li vedano invece come seguaci della terra, quindi barbari sporchi, dai capelli inanellati, lunghe barbe e code di serpenti al posto delle gambe, nonché armati di rocce e tronchi.

Per favorire la vittoria dei propri figli, Gea si mise a cercare ovunque quest'erba misteriosa e Zeus, per impedirle di trovarla, proibì a Elio, Selene ed Eos, rispettivamente il dio del sole, la dea della luna e quella dell'aurora, di proseguire il proprio ciclo. Dopo essersi consigliato con Atena, che gli diede indicazioni su dove scovare quest'insolita arma, la inviò alla ricerca di Eracle, mentre lui, alla fievole luce delle stelle, si mise alla ricerca nella regione indicatagli dalla figlia. Robert Graves, nel suo I Miti Greci a riguardo di questa leggenda ci fa notare come vi sia tuttavia un elemento religioso nascosto in questa leggenda. I Giganti non sono esseri di carne e ossa, ma spiriti nati dalla Terra, come provano le loro spire di serpente, e possono essere vinti soltanto da chi possiede un'erba magica. Nessun mitografo cita il nome di codesta erba, ma si trattava probabilmente dell'aphialtion, uno specifico contro gli incubi notturni. Efialte, il nome del capo dei Giganti, significa letteralmente «colui che balza sopra» (incubus in latino) e il tentativo di violenza fatto da Porfirione su Era, e da Pallade su Atena, ci fa supporre che il mito serva soprattutto ad ammonire che è cosa saggia invocare Eracle il Salvatore quando si è tormentati da incubi erotici, in qualsiasi ora del giorno.

Zeus portò l'erba sull'Olimpo in modo che gli dèi potessero combattere i Giganti. Ad ogni modo ognuno di essi doveva essere finito da un colpo di Eracle, il quale fu anche il primo ad attaccare uccidendo con una freccia Alcioneo, che li guidava. Ma questi si rialzò poiché si trovava sul suo luogo natale. Pertanto Eracle, su consiglio di Atena, lo portò sul confine della Tracia dove poté finirlo con la sua clava. Porfirione si avventò su Era per strangolarla ma, colpito da una freccia di Eros, fu vinto dalla brama di desiderio per lei e le lacerò le vesti per violentarla. Zeus, geloso, lo folgorò ma questi si rialzò ed Eracle lo finì. La battaglia infuriò senza esclusione di colpi, e ogni volta che un dio abbatteva un gigante, questi doveva essere finito dall'eroe figlio di Alcmena. Dopo una dura lotta infine gli Olimpi ebbero la meglio e i giganti rimasti si diedero alla fuga.

Dopo queste guerre, i grossi problemi che Zeus dovette affrontare durante il suo regno derivarono solamente dalla sua natura lussuriosa, che aveva mostrato ben presto e per la quale la madre Rhea gli impedì di sposarsi. Nonostante ciò, offeso da questa affermazione, Zeus minacciò di violentarla. In quell'occasione Rhea si tramutò in un'enorme serpe ma lui la prese comunque con la forza.

Molte furono le mogli di Zeus prima che andasse in sposa di Era. La prima di tutte fu Meti, la stessa titanessa oceanina che gli suggerì di divenire coppiere di Crono e che lui scelse per la sua profonda saggezza. Gea aveva profetizzato che Meti avrebbe partorito figli estremamente saggi. La prima sarebbe stata una femmina: la Tritogenia dagli occhi di gufo, e il secondogenito, invece, sarebbe stato un dio prepotente che avrebbe, in ultimo, spodestato il padre e regnato sugli dèi, ripetendo così gli eventi della sua genealogia. Deciso ad evitare che questo spiacevole evento si verificasse, Zeus sedusse Meti che fino a quel momento gli era sfuggita tramutandosi in varie forme e poi, dopo aver giaciuto con lei, la tramutò in una goccia d'acqua e la ingoiò, sperando così di scongiurare la profezia. Dopo nove mesi, mentre si trovava nei pressi del lago Tritone, Zeus fu scosso da un tremendo mal di testa; Hermes, che si trovava dalle sue parti, comprendendo subito di che si trattasse, convocò Efesto, il quale gli spaccò il cranio con un'ascia e permise così ad Atena, la Tritogenia dagli occhi splendenti, di uscire, armata di tutto punto con lancia, scudo ed armatura. La figlia predestinata del padre nacque lo stesso, ma non fu comunque la fine di Meti, dato che dallo stomaco di Zeus seguitò a dargli saggi consigli.

Ma il Padre celeste ebbe anche altre spose, come Temi. A raccontarci questo mito è Pindaro, in uno dei frammenti giuntici delle sue Olimpiche. Secondo questo poeta fu proprio lei la prima sposa di Zeus. Figlia di Urano e di Gea, era sorella della madre stessa del dio celeste, ma in un'altra versione, narrata da Eratostene di Cirene nella sua opera sulle costellazioni attribuita ad un anonimo fino a metà degli anni cinquanta: i Catasterismi, sembra che Temi sia stata la stessa dea che portò il piccolo Zeus ad Amaltea. Da notare è che il nome di questa dea, Themis porta con sé il preciso significato della regolamentazione naturale. Il fatto, quindi, che Zeus andasse in sposa a questa dea e che da lei ebbe le Ore, che, come ci racconta Esiodo vegliano sull’opera degli uomini mortali, spiega qualcosa di preciso. Temi rappresenta il concetto coadiuvato di Urano e Gea, il Cielo e la Terra, ed essendo ella stessa figlia di dèi primordiali, rappresenta l'equilibrio che c'è tra queste antiche divinità molto più selvagge, generatrici di mostri e quelle che invece arriveranno con l'insediamento di Zeus e la nascita delle prime generazioni di Olimpi. Questo matrimonio di Zeus, il secondo per quanto ci racconta Esiodo e il primo dal punto di vista di Pindaro, abbiamo il potere celeste, mentale e ordinato che questo dio porta con sé che va ad unirsi a quello selvaggio ma comunque equilibrato di Temi. Se Zeus è il dio della ragione e dell'umanità, ecco che Temi porta con sé il concetto dell'ordine naturale che deve esistere anche tra uomo e animale. Le tre Ore, il cui nome significa "il giusto tempo" sono: Eunime, Dike e Irene, e nascono come frutto dell'ordine naturale delle cose. In primis erano tre in quanto legate alle stagioni, unendo autunno ed estate. Portavano quindi l'ordine umano di Zeus fondendolo con il ciclo naturale di Temi. Ma nel contempo erano anche dee dell'umanità, quindi portarono relativi doni: Eunime rappresentava la legalità, Dike la giustizia e Irene la pace. In quanto "tempo giusto", come ci fa notare Karol Kerényi nel suo Gli dèi e gli eroi della Grecia: "portano e danno la maturità, vengono e vanno secondo la stabile legge della periodicità della natura e della vita. Ma questi aspetti sono ancora legati alla naturalità più che al concetto civile: la stessa Dike, secondo un racconto attico, avrebbe un giorno abbandonato l'umanità quando questa ha dimenticato e abbandonato il concetto stesso di "giustizia universale", che non è quella determinata dalle leggi dell'uomo, ma della consapevolezza intrinseca di ciò che è giusto e ciò che non lo è.

Sempre secondo Esiodo Zeus ebbe da Temi anche le tre Moire. Ma queste tre sorelle, chiamate le sorelle del fato, sempre secondo lo stesso autore, erano anche figlie dirette di Nyx, la Notte, una dea che Zeus guardava con timore. Queste tre sorelle avevano molto in comune con le stesse Ore, in quanto determinavano il destino degli uomini. Il nome moira, significa "parte", e alcuni possono trovare in esse i triplici aspetti della stessa dea Notte. I nomi di ognuna di loro distingueva i diversi ruoli che avevano nella filatura e nella misura delle vite dei mortali: Cloto (filatrice), Lachesi (distributrice) e Atropo (colei che non può essere dissuasa). La prima misurava il filo, la seconda lo intrecciava e la terza lo tagliava. Nessuno in cielo e in terra, nemmeno Zeus, poteva alterare la loro decisione.

Un'altra delle spose del Padre celeste fu Eurinome, una delle figlie di Oceano che, insieme con Teti, accolse il caduto Efesto negli abissi. Nonostante non ci giungano particolari storie riguardo a questo matrimonio, troviamo come la sua presenza nei mari fosse segnale di una sua antichità in quanto nelle Olimpiche di Pindaro si narra di come in principio fosse sposa di Ofione e che insieme fossero rappresentati con code pisciformi e regnanti sui Titani, ma che in seguito ad una sconfitta da parte di Crono e Rhea, precipitarono nei mari dovendo lasciare il posto ai vincitori. Le tre figlie avute da Eurinome avevano nome Cariti, il cui significato è "coloro che sono cadute dal cielo" e, secondo Pausania nella sua Periegesi della Grecia, deriverebbero da tre pietre che sono cadute alla corte del re tebano Eteocle, figlio di Edipo. Queste tre pietre rappresenterebbero rispettivamente tre doni all'umanità: Aglaia, l'ornamento, Eufrosine, la gioia e Talia, l'abbondanza.

Tra le altre mogli di Zeus non possiamo dimenticarci di Demetra, la dea madre della terra e del raccolto da cui ebbe Kore. Questa unione avvenne, secondo una storia orfica, sotto forma di serpente in una misteriosa grotta. Ma in questo ad un occhio attento non può sfuggire la similitudine con il rapporto che Zeus ebbe con la madre Rhea durante la violenza presa su di lei quando gli impedì di sposarsi perché troppo dissoluto. Il ruolo di Demetra quindi si inserirebbe solo in seguito: la madre di Kore sarebbe di fatto la stessa madre di Zeus.

è in effetti complesso mettere in ordine i ruoli parentali delle divinità greche e non è questo il mio intento, ma come vedremo poi negli articoli dedicati alle vicende del Ratto di Persefone, in realtà la figlia rapita è ancora la stessa madre. Basandoci su questo concetto, il senso che Rhea abbia partorito una figlia a suo figlio troverebbe compimento. Ma questo discorso lo riprenderemo più avanti.

Un'altra delle mogli di Zeus fu Mnemosine, il cui nome significa "Memoria", figlia di Gea ed Urano. Da lei, durante una notte di nozze che durò nove giorni e nove notti, nacquero le Muse. Queste divinità erano nove, ed ognuna di esse aveva il compito di donare ispirazione agli artisti che ritenevano degni. Walter Friedrich Otto, nel suo Teofania le definisce in questo modo: "Le Muse hanno un posto altissimo, anzi unico, nella gerarchia divina. Son dette figlie di Zeus, nate da Mnemosine, la Dea della memoria; ma ciò non è tutto, ché ad esse, e ad esse soltanto, è riservato portare, come il padre stesso degli dèi, l'appellativo di olimpiche, appellativo col quale si solevano onorare sì gli dèi in genere, ma - almeno originariamente - nessun Dio in particolare, fatta appunto eccezione per Zeus e le Muse". I loro nomi sono vari. Esiodo le nomina così: "le nove figlie dal grande Zeus generate, Clio e Euterpe e Talia e Melpomene, Tersicore e Erato e Polimnia e Urania, e Calliope, che è la più illustre di tutte". Nonostante le nomini tutte, Esiodo non enumera le arti che tutelano: Clio era "colei che rende celebri", Euterpe era "colei che rallegra", Talia era "la festiva", Melpomene era "la cantante", Tersicore era "colei che si diletta nella danza", Erato era "colei che suscita desideri", Polimnia era "colei che è ricca di inni", Urania era "la celeste" e Calliope, la più nota di tutte, era "colei che ha una bella voce". Ma le tradizioni vedono muse in diverso numero, nonostante sia Esiodo che Omero ne contino nove. Secondo Pausania erano tre: Melete, la pratica, Mneme, il ricordo e Aede, il canto e le vedeva come figlie di Gea ed Urano. Secondo Eumelo di Corinto erano Cefiso, Apollonide e Boristenide e le vedeva come figlie di Apollo. Secondo Cicerone invece erano quattro: Telsinoe, Melete, Aede e Arche.

L'ultima e definitiva sposa di Zeus fu però sua sorella Era, la dea del matrimonio e della fedeltà coniugale, di cui parleremo nel dettaglio nell'articolo a lei dedicato. Ci sono due versioni di questo matrimonio. Nel primo fu Era a sedurre Zeus, utilizzando la cintura di Afrodite, dato che aveva scelto il fratello come sposo sin da quando era nato. Secondo questa versione le nozze furono celebrate in modo segreto, dato che i due vivevano nascosti nel palazzo di Teti ed Oceano. Mentre alcuni sostengono che avvennero pubblicamente nel palazzo di Zeus stesso e che accorsero a celebrarli tutti gli dèi. Fu in quella sede che Gea donò il melo delle Esperidi, che Era fece custodire dal suo serpente nel giardino omonimo. La luna di miele di Zeus ed Era durò trecento anni. Quando in seguito il Padre celeste ebbe sconfitto i Titani, la dea prese il suo posto al fianco del marito.

Secondo un'altra versione però, ossia nell'Idillio numero 2 di Teocrito, pare che Era non accolse con favore l'interesse di Zeus, forse in quanto conosceva la sua natura lussuriosa. Il corteggiamento avvenne nel Peloponneso, nella regione dell'Argolide e in particolare su un monte chiamato Thronax, ossia Trono. Il dio, colmo di desiderio per la sorella che stava passeggiando per il monte, si tramutò in un cuculo e fece scoppiare un tremendo temporale, facendosi così trovare irrigidito e fradicio. Non appena la dea lo vide, Zeus le si posò in grembo ispirando pietà e inducendo Era ad avvolgerlo nella veste per scaldarlo. In quel momento riacquistò sembianze umane e cercò di prenderla con la forza. Per rispetto nei confronti della madre, Era si oppose finché Zeus non promise di sposarla, rendendosi così l'unica tra le tre sorelle ad aver ottenuto per marito un suo pari.

Zeus non si fidava mai completamente di Era, nonostante ciò ne ascoltava comunque i consigli e lei, in sostanza, sembra fosse l'unica a trovare in Zeus il completamento di se stessa più che il concetto di maternità. Infatti è da notare che i figli che ebbero: Ares, Ebe ed Ilizia e secondo alcuni Eris, appaiono a volte come figli e figlie che lei ebbe da sola, come avvenne con Efesto. Sotto un certo punto di vista, il rapporto tra queste due divinità rimane un mistero in quanto Zeus ebbe una moltitudine di amanti tra dee, muse, ninfe e mortali. Anche se Omero nell'Iliade fa recitare al Padre celeste un forte sdegno nei confronti della rabbia che la moglie prova per la sua recidiva infedeltà, troviamo una storia in particolare che fa notare come in realtà ci fosse amore, o comunque completamento tra i due. Un giorno Era, stufa dei continui tradimenti del marito, si rifugiò in Eubea, decisa a non tornare al suo capezzale. Colto dal terrore che facesse sul serio, Zeus prese una bambola di legno e la agghindò come una sposa, inscenando un matrimonio e annunciando che stesse per prendere in moglie Platea, la figlia di Asopo, il dio fluviale beota. Era, appena giunta a conoscenza di questo fatto, si precipitò sul luogo con il suo seguito e strappò le vesti alla sposa, rivelando essere una bambola. Divertita dallo stratagemma escogitato dal marito lo perdonò e decise di risposarsi con lui.

Zeus generò una moltitudine di figli da diverse amanti, ma tra tutti i più importanti sono di sicuro i gemelli avuti da Leto: Artemide ed Apollo, di cui parleremo nei rispettivi articoli oltre che Dioniso, l'unico dio nato da una donna mortale: Semele. Questa divinità con cui il Padre celeste aveva un rapporto decisamente particolare, secondo un mito orfico nasce da madre Persefone e sarebbe stato destinato a succedergli al trono. I legami tra questi due dèi che emergono sono davvero curiosi e degni di nota. Come ricordiamo, secondo un mito orfico Zeus nacque in una grotta dove le fasce in cui era avvolto, ancora sporche di sangue, non potevano essere viste da nessuno e a cui facevano buona guardia delle enormi api. Una volta all'anno questa grotta straboccava di un fuoco o di un liquido dorato che, si dice, fosse lo stesso che scorreva nelle stesse vene degli dèi. Con un occhio attento possiamo dedurre che si tratti della spiegazione della naturale fermentazione di una bevanda: l'idromele, ottenuto con acque e miele. Dopotutto una delle stesse nutrici del piccolo Zeus fu Melissa, l'ape e lo stesso dio era noto anche come Zeus Mellichios. E qui ci sarebbe da notare come le Baccanti fossero note, in Euripide, perché facessero sgorgare miele dai bastoni.

La madre di Zeus, come ben sappiamo, è pressoché una delle poche cose certe e mai diverse in tutti i miti. Rhea era una dea serpente, come Gea prima di lei, e questo perché portavano con loro l'antico retaggio della saggezza femminile che venne sconfitta durante il mito di Tifone che, secondo alcune versioni, era addirittura figlio di Era stessa, ottenuto per partenogenesi. Anche Era infatti portava con sé il retaggio della dea serpente, dato che si distinse anche lei per le sue profezie o per il suo lato guerriero, come quando scese in campo acheo a lottare contro Artemide durante la guerra di Troia.

Sotto forma di serpente, Zeus si accoppiò con la madre e con la figlia Kore. Ma se vogliamo sovrapporre questo mito che fu scisso, Zeus ebbe Dioniso dalla sua stessa madre. Ora, il regno Olimpico è chiaramente dominato dalla sua figura patriarcale: nessuno si oppone alla legge del Padre celeste e chi lo fa, come vedremo più avanti, paga uno scotto non indifferente. Ma in antichità il retaggio del matriarcato era più forte e sentito e Dioniso, più di altri, porta con sé un messaggio di fusione tra questi due regni: nasce infatti come serpente cornuto, viene cresciuto come una femmina di cui ha i tratti androgini e spesso è legato a Pan, il dio che ebbe le stesse nutrici di Zeus e che porta con sé ancora gli aspetti più primordiali e semiumani precedenti all'antropomorfizzazione delle divinità.

Per capire meglio questo discorso dobbiamo fare un passo indietro e andare a consultare un mito orfico della creazione, che si può trovare nella raccolta gli Orphicorum fragmenta di Otto Kern. In questo mito si narra che la dea Notte, sotto forma di un oscuro volatile, fu fecondata da un vento misterioso e a cui depose un uovo argenteo da cui nacque Eros, che era noto anche come Protogonos Phaeton, che significa letteralmente "primogenito luminoso" ed aveva sembianze semi-animali in quanto aveva corna, ali ed era androgino, ossia davanti era di sesso femminile, mentre dietro era di sesso maschile. In questo era quindi noto anche come Erikepaios, di cui non si conosce il significato ma che era sia Eros che Meti, pertanto amore e saggezza oltre che Fanete, altro nome con cui era noto, che significa "colui che si mostra".

Nessuno poteva vedere il volto del primogenito luminoso se non la Notte. Fu lui a creare la luna come gemella della terra e il cielo cui pose come custode il sole. E tutto questo lo fece unendosi con la triplice Notte nella grotta, che aveva tre forme in quanto era "la oracolare", "la pudica" che sposò infine il suo stesso figlio e la madre di Dike, la "giustizia suprema" che ignorava l'umanità, al contrario dell'altra, figlia di Temi che invece gestiva appunto la giustizia universale vincolata all'uomo (e quando questi la dimenticò lei si esiliò). Nella grotta, davanti a cui Adrastea sedeva mantenendo gli uomini sulla via della giustizia suonando il tamburo di bronzo di Rhea, Fanete divenne il primo re e consegnò lo scettro nelle mani della Notte, sua madre e sua sposa. Lo scettro passò poi ad Urano, evirato da Crono che ne prese possesso, da quest'ultimo a Zeus che poi, come abbiamo visto, lo avrebbe dovuto cedere a Dioniso. Ma queste storie orfiche si interrompono perché il regno di Dioniso, a quanto pare, deve ancora venire. C'è comunque un ulteriore dettaglio ed è ciò che fece Zeus. Seguendo ciò che Rhea/Demetra gli aveva suggerito, dato che era "la oracolare", mentre Crono dormiva nell'"ebbrezza prodotta dal miele", quindi si suppone per via dell'idromele, Zeus lo legò con una corda d'oro e lo evirò esattamente come questi aveva fatto con Urano. È qui che si inserisce quindi il fatto che Rhea divenne Demetra, ossia sposa e sorella di suo figlio, a cui partorì Persefone, come abbiamo visto, sotto forma di serpente. Dopodiché legò anche tutto ciò che aveva creato Fanete ed inghiottì tutto quanto, ivi compreso il suo stesso creatore, il Protogonos Phaeton. Qui il mito fa specifica di una parola precisa: "Quando tutto fu di nuovo in Zeus", ossia specifica che ciò che si trovava ora dentro di lui lo era già prima. Troviamo qui una fortissima analogia con altri miti di creazione che narrano di un Padre che è sia il Principio che la Fine. Questo stesso passo è tratto dall'Apocalisse di Giovanni, 1:8: "Io sono l'alfa e l'omega", dice il Signore Dio, "colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente". L'analogia è chiara, e nel ruolo di Padre, Zeus non si è esentato dal meditare di distruggere gli esseri umani perché arroganti, esattamente come avrebbe fatto il dio mosaico con il diluvio. Non per nulla negli Orphicorum fragmenta sopracitati troviamo questo passo: "Zeus è il primo, Zeus è l'ultimo, il dio con il fulmine abbagliante. Zeus è il capo, Zeus è il mezzo, da Zeus tutto ha fine. Zeus è un fondamento della terra e del cielo stellato. Zeus è maschio, Zeus è una donna immortale. Zeus è l'alito di tutto, Zeus è lo slancio del fuoco instancabile. Zeus è la radice del mare, Zeus è il sole e la luna. Zeus è il re, Zeus l'iniziatore di tutto, il dio dal fulmine abbagliante, poiché egli ha nascosto tutto in sé e ha dato di nuovo tutto fuori alla luce piena di gioia, dal suo sacro cuore, facendo un miracolo.".

Come si può facilmente intuire si tratta di una storia antichissima e intrecciata che prosegue vedendo appunto Rhea, madre di Zeus, decisa a non dargli la possibilità di sposarsi per limitare la sua incontenibile libido. Il dio, come abbiamo visto, cercò di prenderla con la forza e lei si tramutò in un serpente. Ma Zeus si unì a lei sotto quella stessa forma. Questo intrecciarsi diede vita ad uno dei simbolismi della stessa alchimia: il solve et coagula che viene rappresentato dai Caduceo. Da questa unione nacque Persefone, che Zeus amò in una grotta, là dove la madre l'aveva nascosta per evitare che lui, invaghito, potesse averla. E questo amplesso avvenne ancora sotto forma di serpente. Da questa unione nacque un bambino semi-serpente con riccioli d'oro e le corna, un dio di un'importanza basilare per gli orfici. Secondo questo mito a questo dio: Zagreo (nome con cui era noto anche Zeus e che significa "cacciatore") era destinato il trono divino e il Padre lo lasciò alle cure dei Cureti che lo tenevano in una grotta, così come era stato per lui. Mentre questi dormivano, però, istigati da Era, i Titani si pittarono il viso di bianco con la calce per mascherare le loro sembianze, e tentarono il piccolo con vari giochi tra cui un astragalo, uno specchio, della lana, un rombo, delle mele d'oro e un cono, come ci narra Nonno di Panopoli nelle Dionisiache. Non appena Zagreo, attratto dai doni, uscì allo scoperto dalla grotta dove evidentemente non potevano entrare (segnale che fa pensare che si trattasse della stessa grotta dittea dove nacque Zeus), i Titani lo agguantarono per ucciderlo, ma con incredibile coraggio il piccolo prese le sembianze di Zeus Egioco, ossia con indosso l'egida fatta con la pelle della capra Amaltea, poi divenne Crono celeste che faceva piovere, poi un leone, una capra, un cavallo, un serpente cornuto, una tigre ed infine un toro. In queste sembianze i Titani riuscirono ad afferrarlo per le corna e azzannandolo lo smembrarono, prima arrostendo e poi bollendone le carni per mangiarle. Solo il cuore si salvò e fu grazie ad Atena che, giunta in suo soccorso, lo portò immediatamente da Zeus che lo ingoiò e poi giacque con Semele che rimase gravida di Dioniso, o secondo alcuni lo fece mangiare direttamente a lei. Gli altri resti del piccolo furono recuperati invece da Apollo che li seppellì sul monte Parnaso. Fu così che questo dio nacque due volte. Ora, nel dettaglio, comunque, rivedremo tutto il legame tra queste due divinità nell'articolo dedicato a Dioniso. Per ora limitiamoci a far notare che il suo ruolo, sin da quando è venuto al mondo, era quello di prendere il posto del padre e, per le caratteristiche che aveva e che portava con sé, sembra celare l'intenzione di riequilibrare il potere del maschile e del femminile.

Anche al di fuori del mito orfico, la stessa morte e resurrezione di Dioniso fu opera indiretta di Era. Nel mito greco troviamo come la madre Semele avesse amante il Padre celeste che si intratteneva con lei senza mostrare il suo volto. La dea del matrimonio, decisa a vendicarsi, camuffò le sue sembianze in una nutrice e insinuò in tutti i modi il dubbio nella donna, ormai gravida, sostenendo che non poteva sapere quale fosse il vero aspetto del suo amante segreto e che se riteneva che fosse davvero Zeus doveva chiedergli di mostrarsi nella sua vera forma. Semele, convinta dalle insinuazioni di Era, chiese a Zeus di poter avere esaudito un desiderio. Il Padre del cielo, colto nell'atto d'amore, accondiscese e la donna gli chiese di mostrarsi in tutto il suo splendore. Conscio che si trattasse dell'inganno di Era e di come questo sarebbe stato fatale per lei, cercò in ogni modo di dissuaderla finché Semele non gli proibì il sesso. A quel punto lui, infuriato, si mostrò nella sua vera sembianza, con le nubi e le folgori tonanti e la donna ne rimase completamente incenerita. Il feto che portava in grembo, essendo immortale, rimase tra le ceneri, incolume. Ancora una volta Ermes, Apollo o Atena, presero il piccolo e lo portarono in salvo, dove Zeus lo cucì nella sua coscia attendendo che completasse il periodo di gestazione e nascesse, dopo sei mesi, per partenogenesi come Dioniso, il due volte nato.

Ma questo fu solo uno degli eventi di questo tipo che Zeus dovette affrontare durante il suo regno proprio a causa della sua natura dissoluta. E non solo, perché a rendergli la vita ulteriormente difficile c'erano anche le ripicche della moglie Era, che, essendo dea del matrimonio e della famiglia, era infuriata per i suoi continui tradimenti e puniva in continuazione i frutti dèi suoi adulteri oltre che le numerose ninfe o mortali con le quali Zeus giaceva (spesso utilizzando stratagemmi di ogni tipo), non potendo affrontare direttamente il Padre Celeste.

In questo caso troviamo come Zeus rispecchi il chiaro ruolo di pater familias, quindi capo e protettore, amministratore della giustizia tra dèi e uomini e quindi non creatore della stessa, in quanto, per i greci questo ruolo sarebbe spettato a Prometeo. Zeus era il signore celeste, il dio atmosferico. E non c'erano discussioni al suo ruolo patriarcale supremo. La sua parola era legge. L'unica volta in cui si verificò una ribellione sull'Olimpo fu quando Era tramò una congiura e istigò Apollo e Poseidone e gli altri olimpi (a parte Estia) a sollevarsi contro il suo potere. Gli dèi legarono Zeus al letto con corde di cuoio e nascosero le folgori, l'arma invincibile che solamente Zeus poteva utilizzare, per renderlo meno pericoloso. Mentre il Padre inveiva su di loro enumerando le vendette che si sarebbe preso una volta libero, i congiuratori presero a discutere su chi avrebbe preso il suo posto. Nel frattempo, Teti, temendo una lotta intestina che avrebbe indebolito l'Olimpo favorendone i nemici sempre in agguato, andò a chiamare l'ecatonchiro centimane Briareo, il quale, con la rapidità dovuta al fatto che aveva cento mani slegò l'imprigionato. Non appena libero, Zeus inchiodò la moglie alla volta celeste con polsiere d'oro e le appese delle incudini alle caviglie, facendola impazzire di urla strazianti che impaurirono tutti gli dèi. Terrorizzati di fronte a questo spettacolo, nessuno si oppose a questa punizione esemplare. Ristabilito l'ordine gerarchico, Zeus decise di liberarla a patto che il suo ruolo non fosse mai più messo in discussione da nessuno. Apollo e Poseidone, in quanto istigati da Era, furono gli unici dèi ad essere puniti e pertanto costretti a costruire le mura della città di Troia per il re Leomedonte, nonostante Poseidone, come vedremo, durante la guerra scatenata da Eris con la mela, prese le parti dei greci.

In questo modo si evince chiaramente che Zeus era un dio giusto e non vendicativo, ma che, nonostante ciò, non aveva alcun tipo di rispetto per le donne. Secondo Graves, "i rapporti coniugali tra Zeus ed Era rispecchiano quelli della barbara civiltà dorica, quando cioè le donne perdettero tutti i loro poteri magici, salvo il dono della profezia, e vennero considerate alla stregua di oggetti di proprietà del marito. è possibile che la congiura contro Zeus, salvato dall'intervento di Teti e di Briareo, ricordi una rivoluzione di palazzo organizzata dai principi vassalli contro il Grande Re Sacro, il quale per poco non perdette il trono, e fu salvato da un gruppo di guardie del corpo non elleniche, reclutate in Macedonia, patria di Briareo, e da un distaccamento di Magnesi, devoti di Teti. Se le cose andarono così la congiura fu senz'altro fomentata dalla Grande Sacerdotessa di Era, che il Gran Re punì in modo umiliante, come il mito descrive".

Quello che spesso trapela, nel mito, è che Zeus, quando si trova a prendere delle decisioni difficili, soprattutto in seno al potere femminile, cerca compromessi. Fu lui ad affermare che "non poteva né avvallare né negare" la richiesta di Ade di avere una moglie, lasciando quindi che il ratto a discapito della figlia Kore si verificasse e, quando Demetra si chiuse nel suo tempio ad Eleusi, immobile, silenziosa e cupa, facendo precipitare la morte e il disfacimento sulla natura, lui cercò di ammansirla mandandole diverse divinità che cercarono di intercedere per lui. Una situazione analoga si può trovare nel mito di Adone, quando il dio è conteso tra Afrodite e Persefone e, riconoscendo quanto la situazione fosse spinosa, lasciò il tribunale a Calliope. E la stessa cosa accadde quando Efesto portò di fronte a tutti gli dèi il tradimento della moglie, la dea dell'amore, trovata a letto con Ares. Zeus evitò coinvolgimenti, non prese posizioni e anzi redarguì il dio zoppo della fucina per non essersi occupato personalmente delle sue questioni famigliari. Inoltre anche durante l'Iliade Zeus aveva interdetto, in primis, l'intervento divino nel conflitto che interessava la città di Troia.

Sotto certi punti di vista, quindi, si potrebbe quasi affermare che Zeus pensasse solamente alle proprie brame e al proprio potere, difendendo i propri figli, tutelandoli nelle loro imprese come eroi. E in questo si potrebbe vedere l'aspetto distaccato, mentale, distante e celeste del ruolo stesso che ricopre e che ha anche, in qualche modo, passato ai gemelli Artemide e Apollo, il quale era noto come "Colui che colpisce da lontano". Dopotutto l'arma di Zeus è proprio la folgore invincibile, che saetta dal cielo per colpire con una precisione infallibile, come quando intervenne per fermare la lancia scagliata da Atena per impedire il rapimento di Kore. In realtà il ruolo che riveste, per quanto rappresentato come umano, non è assolutamente scevro dalle immense responsabilità, spesso scomode e di difficile gestione, come nel mito di Prometeo che ruba il fuoco divino dalla fucina di Efesto violando il dogma di Zeus che desiderava punire l'umanità togliendoglielo. Il Titano finisce incatenato ad una rupe dove un aquila si nutre del suo fegato per sempre. E una sorte simile capitò anche ad altri, come a Licaone, sovrano dell'Arcadia, noto per essere particolarmente profano, che ricevette la visita di Zeus, deciso a verificare la veridicità delle voci che circolavano su di lui e a cui servì le carni del nipote durante il banchetto in suo onore. Secondo la versione di Ovidio contenuta nelle Metamorfosi, il dio lo punì trasformandolo in un lupo e costringendolo a cibarsi di carne umana per tutta la vita. Anche Pandareo subì una punizione, dato che rubò il cane d'oro di Zeus custode di un suo tempio cretese e che secondo una versione del mito sfuggì alla punizione per intercessione di Demetra, mentre secondo altri venne trasformato in una pietra. Amico di Pandareo era Tantalo, figlio dello stesso Padre celeste e di Pluto, la ninfa oceanina, ripetutamente disonoratore della xenia, la regolamentazione della sacra ospitalità. Per aver rubato l'ambrosia destinata agli dèi e averla donata ai suoi sudditi, per aver giurato il falso dinanzi a Ermes quando venne a reclamare il cane d'oro che Pandareo gli aveva affidato per nasconderlo, e per aver rapito il bellissimo Ganimede, che Zeus aveva scelto per sé, venne umiliato da tutti gli dèi, che comunque vedevano di buon occhio. Dopo questo evento Tantalo invitò gli Olimpi ad un banchetto mostrandosi pentito e diede loro da mangiare i suoi stessi figli. Per questo fu punito in modo esemplare: fu gettato nel Tartaro dove gli fu impedito di mangiare e bere per sempre; fu legato ad un albero carico di frutti e immerso in un lago fino al mento. Ogni volta che cercava di bere, l'acqua si prosciugava e quando cercava di mangiare i rami si mantenevano a distanza dal suo braccio.

Nonostante quindi ci appaia come vendicativo, Zeus era visto in realtà come un dio giusto, che, a confronto di altre divinità, non puniva per vie personali, come avrebbero invece fatto Afrodite, Era o anche Artemide e Apollo. Inoltre, era capace di punire così come era capace di elargire doni e ricompense, come accadde con Tiresia che prese le sue parti nella disputa avuta con Era su chi, tra uomo o donna, provasse più piacere durante i rapporti sessuali. In quanto Padre era capace di mostrare il concetto di educazione usando sia il bastone che la carezza. E non favoriva i suoi figli se meritavano una punizione, come abbiamo visto nel mito di Tantalo o come accadde con il gigante Tizio che, infervorato da Era di passione per Leto, le si scagliò addosso per violentarla e venne ucciso da Artemide e Apollo.

Moltissimi furono i figli che ebbe da relazioni clandestine e nel corso del tempo, molti lo resero padre anche di divinità che esistevano prima ancora della sua comparsa, come il mito che lo vuole padre di Afrodite, avutala con Diope o di Ecate, avuta da Ferea (ma anche uno dei suoi epiteti) e a sua volta figlia di Eolo. In tutto pare abbia avuto oltre cento tra figli e figlie, secondo le diverse tradizioni. Alcuni di questi, come Ermes, avuto da Maia, Artemide e Apollo avuti da Leto, Dioniso avuto da Semele, Ares ed Efesto avuti da Era e Atena da Meti, divennero infine parte degli Olimpi, altre rimasero divinità minori come Ebe, Eris, Ilizia, Astrea e Nemesi. Ma tra i figli di Zeus, furono soprattutto gli eroi quelli che scolpirono maggiormente, con le loro gesta, la bibliografia greca. Sopra tutti Eracle, avuto con Alcmena, moglie di Anfitrione, di cui il dio aveva preso le sembianze, durante una notte che durò tre volte il suo normale scorrere, mentre Ermes faceva la guardia fuori dalla porta della camera da letto, come narratoci nella commedia di Euripide Anfitrione. Pare che fosse predetto che il figlio avuto da questa relazione sarebbe stato un grande eroe e il Padre celeste non mancò di vantarsene sull'Olimpo scatenando così la gelosa rappresaglia della moglie che, per prima cosa, infilò due serpenti nella culla del piccolo. Colta dal pianto del fratellino che dormiva in stanza con lui, la madre accorse e lo vide mentre li strangolava entrambi con le manine. Sulle vicende di Eracle non mi soffermerò oltre per non andare fuori tema anche perché la bibliografia è ampia. Mi limiterò a far notare come, dopo aver avuto come mentore il centauro Chirone, istruttore anche di altri dèi ed eroi, appena maggiorenne, durante una meditazione, incontrò due figure di donne molto attraenti che vestivano abiti diversi. Una appariva casta e solenne, mentre l'altra appariva fastosa, discinta e riccamente vestita. Entrambe custodivano un sentiero che rispecchiava il loro aspetto e lo invitarono a seguirlo: il primo era ripido, sassoso, irto di curve e difficoltà, mentre l'altro era in piano, dritto, dal piano erboso e piacevole a vedersi. Eracle capì che si trattava di una scelta del suo percorso di vita futura. L'una rappresentava il Dovere, mentre l'altra il Piacere. Nonostante, quindi, la via più facile fosse una tentazione davvero irresistibile, l'eroe scelse di seguire il sentiero del Dovere, dedicando così la sua intera vita e il suo cammino al servizio dei deboli, al raddrizzamento dei torti, alla giustizia e alla verità. Se notiamo, questi due aspetti rappresentano in realtà i due lati estremamente contrapposti dello stesso Zeus, che incarna in un solo dio entrambe queste qualità. Egli è infatti dipinto come un dio estremamente debole al piacere della carne, ma anche un forte senso del dovere e della giustizia che lo guida.

Altri famosi eroi figli di Zeus furono Perseo, avuto da Danae, figlia di Acrisio di Argo ed Euridice. Ovidio ci narra di questo evento in questo modo, nelle sue Metamorfosi: "A Danae, figlia di Acrisio e Aganippe, era stato predetto che il figlio da lei partorito avrebbe ucciso Acrisio; allora il padre, temendo che la profezia si avverasse, la rinchiuse in una prigione dai muri di pietra. Ma Giove, mutatosi in una pioggia d’oro, giacque con Danae; da quell’amplesso nacque Perseo. Il padre, a causa dell’atto impudico, la rinchiuse insieme a Perseo in un cofano, che gettò in mare. Per volere di Giove il cofano fu sospinto fino all’isola di Serifo; quando il pescatore Ditti, che lo trovò e lo forzò, vide la donna con il bambino, li portò dal re Polidette, che sposò Danae e fece allevare Perseo nel tempio di Minerva. Non appena Acrisio venne a sapere che i due erano alla corte di Polidette, partì per andare a riprenderseli; quando arrivò, Polidette intervenne in loro favore e Perseo giurò al nonno che non l’avrebbe mai ucciso. Acrisio fu poi trattenuto colà da una tempesta e nel frattempo Polidette morì. Vennero indetti dei giochi funebri in suo onore, durante i quali un disco lanciato da Perseo, deviato dal vento, colpì al capo Acrisio, uccidendolo; e così ciò che Perseo non volle fare di sua volontà fu compiuto dagli Dèi." Perseo fu uno degli eroi più noti della mitologia greca in quanto colui che, grazie all'egida donatagli da Atena, il falcetto di diamante e il calzari alati da Ermes nonché l'elmo di Ade, poté avvicinarsi alla Gorgone Medusa non visto, camminando all'indietro e osservandola dormire attraverso lo specchio dello scudo e, giunto in sua prossimità, tagliarle di netto la testa dal collo, raccogliendola poi in una sacca e prendendone il sangue che aveva scopi terapeutici.
Un altro figlio di Zeus molto noto, avuto da Europa dopo averla rapita sotto forma di toro e violentata in forma d'aquila, fu Minosse, che divenne re di Creta e marito di Pasifae e padre di Ariadne. Fu colui che fece costruire a Cnosso il labirinto all'architetto ateniese Dedalo affinché vi fosse rinchiuso il mostruoso minotauro, prova dell'infedeltà della moglie con il toro bianco dono di Poseidone. Ritenuto un re giusto, dopo la morte nell'Ade divenne giudice dei morti insieme a Radamante ed Eaco.
In ultimo ricordiamo Polluce ed Elena, avuti da Leda mentre Zeus era sotto forma di cigno. Questi eventi, in seguito, scatenarono quella che è la guerra più nota della storia della mitologia, narrata nella celebre Iliade dal poeta cieco Omero, dato che Elena andò in sposa all'acheo Aiace ma fu rapita dal principe troiano Paride come ricompensa da parte di Afrodite per aver scelto lei nella disputa scatenata dalla mela di Eris su quale tra le dee fosse la più bella.
Ma a Zeus non mancarono amori omosessuali, come quello con Ganimede, il più bello tra i ragazzi della sua età, che il dio rapì e salvò dalla morte sotto forma di aquila e che portò sull'Olimpo per renderlo coppiere reale.
Come Padre celeste era adorato ovunque nella penisola ellenica. Quello che è pressoché certo è che non si tratta di un dio indigeno, ma introdotto dalle invasioni degli Elleni, dei Micenei e dei Dori. Particolari, questi, che ci giungono dal mito delle cinque età dell'uomo. Come ci fa notare Robert Graves nel suo I Miti Greci: "II mito dell'età dell'oro si ricollega probabilmente all'organizzazione sociale di certe tribù devote alla Dea-Ape, ma all'epoca di Esiodo ci si era ormai scordati dei riti crudeli che accompagnavano il culto di tale dea e i mitografi idealisticamente supposero che gli uomini un tempo vivessero in pace e in armonia, come le api. Esiodo era un piccolo coltivatore che conduceva una vita dura, e ciò lo rese arcigno e pessimista. Nel mito dell'età dell'argento si ricordano le usanze matriarcali che sopravvissero poi anche in epoca classica presso i Pitti, i Mesineci del Mar Nero e talune tribù delle Baleari, della Galizia e del Golfo delle Sirti, presso le quali il sesso maschile era disprezzato, benché si fosse già introdotta la pratica dell'agricoltura e le guerre fossero rare.
L'argento è il metallo della Dea Luna. La terza stirpe fu quella degli antichi invasori elleni: gli allevatori di bestiame dell'età del bronzo che adottarono il culto del frassino, proprio della dea e di suo figlio Posidone. La quarta stirpe fu quella dei re guerrieri dell'età micenea. La quinta fu quella dei Dori del dodicesimo secolo a.C. che usavano armi di bronzo e distrussero la civiltà micenea. Alalcomeneo («protettore») è un personaggio fittizio, e il suo nome è la forma maschile di Alalcomeneide, un appellativo di Atena (Iliade IV 8), protettrice della Beozia. La sua figura fu utile al dogma patriarcale secondo cui nessuna donna, sia pure dea, poteva diventare sapiente senza l'aiuto dell'uomo, e la Dea Luna e la Luna stessa erano state create da Zeus.
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Molti erano gli epiteti con cui Zeus era chiamato e questo, assunto il concetto dei diversi figli divini che si mostrano come emanazioni dello stesso, può indurre a pensare che in origine fosse parte di un culto patriarcale monolatrico, più che monoteista. Se notiamo, infatti, abbiamo lo Zeus Meilichios, ossia il "semplice da invocare" e che deriva ancora dalla sua nascita e dal fatto che fosse stato nutrito dalla dea-ape Melissa, l'antica divinità delle culture matriarcali pre-elleniche e in questa forma era comunque un dio abissale sotto forma di serpente (che richiama quindi Dioniso) che andava placato proprio con il miele. Ma c'è anche Zeus Chthonius o anche Zeus Katachthonius, a corrispondere un aspetto opposto a quello celeste. Era quindi uno Zeus infero, quello che, possibilmente, divenne poi Ade, identificato poi anche con Dioniso. In contrapposizione c'era lo Zeus Oratrios, il dio del fulmine e della punizione celeste. Poi c'era lo Zeus Aitnàios, relativo al vulcano Etna, che potrebbe poi essere divenuto Efesto. Ma era noto anche come Soter, Salvatore dell'umanità, Ktesios, protettore dei patrimoni, Xenios, protettore degli stranieri, Agoraios, protettore degli affari, Horkios, protettore dei giuramenti, Basileus, quindi Zeus Re, ma era noto come dio atmosferico, quindi Ombrios e Hyetios, come dio della pioggia e Katabaites, come "colui che discende", Kappotas, "che cade" e Keraunos, in riferimento alla sua folgore. Ma era anche Gamelios, dio matrimoniale e di conseguenza Heraios, "appartenente ad Hera", oltre che Teleios, "colui che dà il compimento". A ricordare come le nozze che si svolsero con la moglie, in qualche modo, furono una conciliazione di culti diversi, ma soprattutto, per dare risalto al concetto patriarcale di come una dea non fosse nulla senza il marito, che nel caso di Era è particolarmente presente. Zeus era però visto soprattutto come Pater. Ci sarebbero molti altri epiteti che si potrebbero nominare, ed inoltre questo dio ci sarebbe ancora moltissimo da dire, dopotutto la sua figura punteggia la mitologia greca in pressoché ogni racconto, ma purtroppo lo spazio non ce lo permette.
Un ruolo di "padre" in quanto "marito" del tutto simile all'aspetto di Zeus lo troviamo nella figura di Adamo nel testo ebraico del Talmud, dove Lilith era la prima sposa, creata come lui dal fango, quindi paritaria al maschio. Un ruolo di cui non poté mai godere perché i due presero subito a battibeccare, soprattutto per il dominio sessuale di Adamo, che pretendeva di accoppiarsi con lei rimanendo sopra e non dandole modo di esprimersi se non in sottomissione. Questi litigi proseguirono per lungo tempo, finché Lilith abbandonò l'Eden e si congedò da Adamo. La punizione giunse violenta da parte di Dio non appena l'uomo si lamentò del suo comportamento e a Lilith fu intimato di ritornare. Ma nel deserto aveva copulato con presunti "demoni", pertanto l'Arcangelo Gabriele le uccise i figli davanti agli occhi e Dio la fece sprofondare nell'abisso, prima di prendere una costola di Adamo e creare così la donna in quanto "emanazione dell'uomo" perché "nata" da una parte stessa dell'uomo. Anche se, a dirla tutta, prima di essere la costola erano le feci, a dimostrare quanto la donna fosse ritenuta inferiore nelle culture mediorientali. Una verità che si rispecchia ancora adesso. Questa visione dell'uomo come patriarca divino che domina la donna in quanto sua emanazione, schiava o comunque creatura dipendente, secondo molti storici e antropologi è dovuta all'imposizione delle nuove culture patriarcali che hanno schiacciato le matriarcali, relegando così le dee ad essere costrette ad ingoiare la polvere mentre il marito, sposo celeste, scorrazza senza tregua in cerca di amori e favori sessuali.
E la stessa nascita di Atena, secondo Luciana Percovich, esimia autrice di Oscure Madri Splendenti rispecchia proprio questo legame. Ella infatti è un uomo mancato. Nata per partenogenesi e per di più figlia del capo di Zeus, da cui rimedia il suo carattere rigido, impostato e intellettuale, privato di ogni aspetto di piacere carnale. Nasce armata di scudo, lancia e armatura e rispecchia il lato mancante di Ares: là dove il fratellastro è signore del massacro e dello spargimento di sangue, lei è la dea della strategia. Lui è il sanguigno dove lei è quella pacata e distaccata. Lui è il fuoco dove lei è l'aria. Eppure entrambi hanno l'aspetto guerriero. Ma in fondo anche Ares è nato per partenogenesi in quanto ad Era non era consentito tradire per sua natura ed i due figli che ebbe furono senza l'aiuto di Zeus, uno dei quali, Efesto, fu gettato giù dall'Olimpo perché orrendo.
Nei concetti di Padre possiamo trovare molti altri dèi. L'esempio più vicino, per similitudine simbolica, è Odino, anch'egli un padre celeste, signore della poesia, della guerra e della saggezza e sposato con una dea madre dell'amore e del matrimonio: Frigg. Anche ad Odino è sacra la quercia, oltre ai corvi e i lupi e ha due fratelli, Vili e Vé. Nonostante queste similitudini e oltre al ruolo che egli ha, ci sono molte diversità: in primis è padre di Thor, che è un dio del tuono e delle tempeste, un potere più simile a quello di Zeus rispetto a Odino. Ma c'è da notare che il culto di Odino non era così diffuso come si crede: in Islanda ad esempio il culto di Thor era molto più praticato. Odino, come Zeus e come altre divinità padri, non è una divinità primigena. Non fu infatti nessuno di questi due a generare il mondo, come invece troviamo nel concetto cristiano ed ebraico del dio padre, ma è un padre di terza genealogia, ossia generato da un padre che è stato generato dal primordiale. Un concetto che ritroviamo anche in Osiride, oltre che Zeus, ad esempio.
Come ben sappiamo la cosmologia norrena è, a primo acchito, decisamente differente da quella greca, pertanto una vera e propria comparazione diventa difficile. Nell'Edda Poetica, il poema nordico, la fusione di mondi è descritta approfonditamente. è chiamata Yggdrasill e viene definita come un frassino tra i cui rami e radici si snodano nove mondi. Il nome stesso Yggdrasill significherebbe "forca di Ygg", dove Ygg è uno dei nomi di Odino a richiamare un evento che ora vedremo, quando durante il viaggio lungo i mondi il dio rimase appeso a questo albero. Secondo un traduttore benedettino del nono secolo, Rudolfo di Fulda, invece, Yggrasill sarebbe una quercia o un tasso (a richiamare ancora Zeus/Lugh) nato dal sacrificio del gigante del ghiaccio Ymir, ucciso dai figli di Borr, uno degli dèi primigeni, e uno di quei figli era proprio Odino, assieme ai due fratelli (un richiamo all'uccisione di Crono?). Tra i rami di questo immenso albero crescevano i nove mondi, di cui: Бsaheimr (il regno degli Asi, gli dèi), Miрgarрr, (il regno di mezzo, degli uomini), Hel (il regno sotterraneo, gli inferi). Questi tre mondi richiamerebbero l'Olimpo, la Terra e l'Averno della mitologia greca. Ma i norreni avevano altri sei mondi, di cui quattro appartenenti agli elementi: Mъspellsheimr, (il regno del fuoco e del calore), Jцtunheimr (il regno dei giganti), Vanaheimr, (il regno dei Vani e della terra e del mare) e Niflheimr (il regno del ghiaccio e del gelo) e due mondi intermedi tra Hel e Asgard: Бlfheimr (il regno degli elfi della luce e degli spiriti dell'aria) e Svartбlfaheimr (il regno dei nani e degli elfi oscuri).
Il concetto di albero come axis mundi non sfugge nelle altre mitologie e ricollega pressoché tutte le divinità arboree, sia nella nascita che nel sacrificio e rinascita: vedi Adone, Dioniso, Osiride, Gesù, Cuchulainn, Lugh. Secondo il mito narrato nel poema Havamal, Odino affrontò un viaggio iniziatico alla ricerca della conoscenza rimanendo appeso per nove giorni e nove notti all'albero del mondo, con una lancia che lo trafiggeva. E l'Havamal lo descrive proprio come un sacrificio di Odino ad Odino, quindi egli immolò se stesso nella ricerca della saggezza. Fu un sacrificio necessario perché potesse partire.

Lo so io, fui appeso
al tronco sferzato dal vento
per nove intere notti,
ferito di lancia
e consegnato a Урinn,
io stesso a me stesso,
su quell'albero
che nessuno sa
dove dalle radici s'innalzi.
Con pane non mi saziarono
né con corni [mi dissetarono].
Guardai giù,
presi su le rune,
urlando le presi,
e caddi di là.


Il suo viaggio comincia appunto da Yggdrasill, che si tramuta magicamente in Sleipnir, il destriero dalle otto zampe che Odino cavalcherà durante la sua ordalia attraverso i nove mondi tra le radici e i rami del frassino. Senza andare oltre nel dettaglio della numerologia del numero otto e del numero nove (che ritroviamo in altre mitologie: greca, celtica, mesopotamica, egizia) il viaggio in se stesso potrebbe essere un concetto metafisico più che prettamente fisico. Odino non si mosse, insomma, ma esplorò i mondi durante un viaggio sciamanico assieme al suo animale di potere. Affronta quindi il viaggio attraverso i tre mondi dell'asse, partendo da Бsaheimr giù fino a Miрgarрr grazie al Bifrost, il sacro ponte di collegamento tra il mondo degli Asi e quello degli uomini a cui fa la guardia il dio Heimdallr. Ma altri sono i passaggi tra questo mondo e i quattro mondi, e si tratta di porte magiche e nascoste grazie a cui gli abitanti di questi mondi paralleli entrano in contatto in momenti precisi dell'anno con gli abitanti di Miрgarрr, ossia noi esseri umani. E questi concetti si ritrovano molto spesso nelle culture germaniche, celtiche e norrene: basti pensare a Litha. Intorno a questo mondo di mezzo e ai quattro mondi paralleli stava Jormungand, l'enorme e mostruoso serpente che si morde la coda rappresentato dall'Uroboros che racchiudeva con le sue spire gli oceani. Ed infine Hel (termine stesso che richiama l'inglese "Hell" - Inferno). Tra le radici di Yggdrasill si trovava il mondo infero, che ha, guarda caso, un guardiano canide mostruoso: Garmr. Ma molti animali simbolici, si dice, abitavano l'albero. Sulla sua cima stanno un'aquila e un falco. Tra i rami abitano quattro cervi che si nutrono delle sue foglie: Duraюrуr, Dvalinn, Duneyrr e Dбinn. Tra le radici ci sono dei serpenti tra cui Nнрhцggr, che comunica con l'aquila sulla sommità grazie allo scoiattolo Ratatoskr che corre rapido sul tronco. Questo concetto di albero si ritrova anche nel mito di Inanna e dell'Huluppu, la pianta che trovò sulle rive dell'Eufrate e che fece trapiantare nel giardino personale da Gilgamesh perché, quando fosse cresciuto, potesse diventare il suo letto nuziale. Quando però giunse il tempo tra le radici aveva fatto il nido un serpente che non poteva essere incantato e sui rami l'uccello Anzu; nel tronco la vergine oscura Lilith.
Ma torniamo ad Odino. Il suo viaggio si concluse di fronte alla fonte della saggezza che sgorgava idromele, alla cui guardia stava il gigante Mimir. Per potersi abbeverare avrebbe però dovuto apprendere i canti di potere che solo Mimir conosceva e per farlo sacrificò il suo occhio che seppellì alla fonte in modo che potesse osservare il mondo ctonio e quello di superficie. Quale occhio? La Canzone di Hàrr (L'Eccelso) non lo specifica ma secondo molti pareri si tratterebbe del destro in quanto il sinistro è legato al potere spirituale (non credo che in termini di anatomia sapessero che gli occhi e i lobi del cervello sono invertiti). Ma di base non fa moltissima differenza, è il sacrificio che ha senso. Odino lascia l'occhio e si porta via la testa del gigante che potrà così insegnargli i canti. Si abbevera alla fonte e riceve così in dono le Rune, che in seguito insegna all'umanità. Il sacrificio del corpo, in questo caso parte del corpo, richiama divinità arboree di cui, a tutti gli effetti, fa parte anche Odino. Gesù Cristo ad esempio: appeso ad una croce (albero) e trafitto dalla lancia di Longino da cui è uscita acqua che è stata raccolta con la presunta coppa dell'ultima cena (il graal), Dioniso/Zagreo smembrato dai titani istigati da Era, Orfeo fatto a pezzi dalle Baccanti, Adone nato dall'albero e smembrato da un cinghiale, e ci ricollega anche a Llew Llaw Gyffes che, nel quarto ramo del Mabinogi venne trafitto da una lancia costruita ad hoc (ossia forgiata in un anno solo in giorni di festa), gettata dal malvagio Grown Pebr, signore di Penllyn, e ferito gravemente si trasforma in un'aquila e si va a rintanare su una quercia dove alla fine il padre Gwydion lo trova e lo guarisce. E proprio un'aquila è l'animale che ha il nido sulle fronde più alte di Yggdrasil e, ancora una volta, è il simbolo di Zeus. Nonché la lancia, Lбmhfhada, è ancora una delle armi di Lugh, il dio dai molti nomi.
Ci sono quindi simbolismi che richiamano tutti divinità diverse: il sacrificio, il collegamento all'albero, il legame con la lancia e lo smembramento. Un concetto che, come vedremo, è rivisto anche in Osiride, un dio arboreo ancora padre di Horus, che ne prese i poteri dopo la sua morte e rinascita. Questo richiamerebbe i concetti di cannibalismo rituale e di sacrificio del re sacro di cui il Padre/Re è il simbolismo pieno, simbolo di saggezza e giudizio. Un ruolo che ritroviamo in tutte le divinità toccate: Lugh, Llew Llaw Gyffes, Odino, Zeus, Osiride.